Il 31 agosto 1984, preceduto da una massiccia campagna pubblicitaria viene distribuito nelle sale di tutto il mondo il film “Purple rain”. Prodotto e interpretato da Prince, uno dei grandi miti neri del pop degli anni Ottanta è diretto dall'esordiente Albert Magnoli. Vista la popolarità dell'interprete c'è molta attesa per la performance cinematografica e i media sfoderano paragoni con Elvis Presley e con i Beatles. La pellicola è una sorta di lungo videoclip racconta la storia di Kid, il leader della band dei Revolution, un giovane musicista ambizioso ed egocentrico figlio di un jazzista fallito e violento. Il protagonista, interpretato da Prince, e i suoi compagni del gruppo sono in lotta perenne con un'altra band, i Time, il cui leader cerca di soffiargli anche la donna dei suoi sogni, l'amata Apollonia, interpretata da Patti Kotero, in quel periodo compagna del cantante anche nella vita. La storia, che la massiccia campagna promozionale sostiene contenga riferimenti autobiografici del cantante, si dipana tra musica, qualche colpo di scena, l'inevitabile lite nel gruppo dei Revolution e l'altrettanto inevitabile suicidio del padre di Kid. Non manca il lieto fine con il protagonista che dopo un bagno di umiltà riesce a ricostituire la band e a riconquistare l'amore della sua bella. La storia restituisce una inaspettata dignità ai "musicarelli" italiani degli anni Sessanta, con storie da fotoromanzo ispirate alle canzoni del momento. La storia di "Purple rain" è, però, davvero tutta qui, ma la risposta del pubblico è incredibile. Il film balza in testa alle classifiche dei botteghini negli Stati Uniti e in Gran Bretagna fa addirittura meglio. Qui Prince diventa il primo artista dopo i Beatles a piazzare al primo posto della relativa classifica il film, l'album della colonna sonora e il singolo della canzone d'apertura When doves cry. Non è finita qui perché proprio When doves cry vincerà anche l'Oscar per la miglior canzone da film.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
31 agosto, 2019
12 agosto, 2019
12 agosto 1982 - Il cantante che parlava sulle note alte

Il sorriso ironico e la carica vitale di Joe Tex, uno dei personaggi più emblematici della black music degli anni Sessanta e Settanta, si spengono il 12 agosto 1982. Colpito da un attacco cardiaco il quarantanovenne soulman muore a Navasota, in Texas, pochi giorni dopo la conclusione della "Soul Clan Revue", un lungo tour che l’ha visto esibirsi in compagnia di Wilson Pickett, Solomon Burke, Don Convay e altri veterani del soul. Cresciuto in un sobborgo di Houston, Joe Tex, all’anagrafe Joseph Arrington jr, per sopravvivere si adatta a fare di tutto: lustrascarpe, venditore di giornali, ballerino e cantante. Non dà molto credito alla possibilità che quella di cantante possa essere la sua professione futura. Si fa conoscere come autore e scrive successi per Jerry Butler ed Etta James, ma la svolta nella sua carriera inizia nel 1964 quando un impresario di country, Buddy Killen, gli propone di registrare una versione di Baby you're right di James Brown. Dotato di una voce rauca e inadatta alle note alte Joe è costretto a eliminare le parti difficili delle canzoni introducendo brani di parlato sulla musica. Il risultato non gli piace. Se ne va, ma prima si fa promettere che l’incisione non verrà mai utilizzata. Bugiardo matricolato, Killen, convinto delle qualità del ragazzo, gli dice di sì ma poi autorizza la pubblicazione del brano in un singolo che in pochi giorni scala la classifica dei dischi più venduti. È il successo. Con i primi quarantamila dollari Joe regala una casa alla sua vecchia nonna. Sono gli anni del grande successo del soul e lui ne diviene uno degli interpreti più originali con brani come Hold what you've got, A sweet woman like you, You're right Ray Charles e, soprattutto I gotcha. All'apice del successo, però, abbandona la scena musicale per diventare predicatore della Chiesa dei Musulmani Neri, con il nome di Joseph Hazziez. Tornerà sulle scene nel 1975 dopo la morte di Elijah Muhammad, il capo dei Musulmani Neri. I tempi, però, sono ormai cambiati. Ottiene un buon successo con Ain’t gonna bump no more, ma non riuscirà più a ripetersi sui livelli precedenti.
05 agosto, 2019
5 agosto 1975 - Stevie Wonder, il ragazzo del ghetto diventa miliardario

C’è chi pensa sia una vergogna, chi invece sostiene che è la rivincita di un ragazzo nero non vedente contro il suo destino. In ogni caso la notizia è di quelle che sembrano nate apposta per far discutere. Il 5 agosto 1975 Stevie Wonder rinnova il contratto discografico con la Motown per sette anni. Per quel che riguarda l’entità finanziaria del contratto, non vengono emessi comunicati ufficiali, ma voci bene informate parlano di una cifra che si aggira intorno ai tredici milioni di dollari. È una somma da capogiro, un record per quegli anni, il più ricco contratto mai stipulato fino ad allora tra un artista e una casa discografica. Non resterà né l’unico, né il più alto, ma tredici milioni di dollari sono decisamente troppi, anche per un personaggio come Wonder cui sembrava che la vita non dovesse regalare nulla. Nato prematuro a Saginaw, nel Michigan, Steveland Morris, questo è il suo vero nome, perde l’uso della vista per il malfunzionamento della sua incubatrice. È l’ultimo di tre fratelli e la madre, Lula Hardway, giura a se stessa di non fargli pesare la sua condizione. Mantiene il giuramento anche quando il padre se ne va. Stringe i denti e con i tre figli si trasferisce a Breckenridge, uno dei quartieri più poveri di Detroit. Il piccolo Stevie passa il tempo con il gioco che più gli piace: la musica. Il suo primo strumento musicale è una batteria giocattolo con la quale batte il tempo delle canzoni della radio. I regali dei vicini arricchiscono la sua strumentazione. Il piccolo canterino anima con la sua voce il quartiere finché, un giorno, un altro ragazzo del ghetto, Gerald White parla di lui a suo fratello Ronnie, che canta nei Miracles di Smokey Robinson. “Fammi sentire quello che sai fare con la voce, ragazzo!” Quello che ascolta lo lascia di stucco. Lo porta negli studi della Motown per farlo ascoltare da Brian Holland. A dodici anni Stevie Wonder ottiene così il suo primo contratto discografico. D’ora in poi la sua famiglia non avrà più problemi economici.
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