29 settembre, 2020

29 settembre 1975 – La caduta di Jackie Wilson

Il 29 settembre 1975 il Latin Casino di Cherry Hill nel New Jersey è affollato da un pubblico entusiasta e attento. Sul palco c’è il soulman Jackie Wilson, un artista che sa bene come affascinare l’uditorio con il suo passo dinoccolato, le sigarette che si susseguono una dopo l’altra e le canzoni cantate con voce potente e inframmezzate da battute. Improvvisamente il cantante barcolla, come se avesse incontrato un ostacolo invisibile, e cade a terra battendo violentemente la testa contro il cordolo che delimita l’esterno del palco. Il suo corpo non si muove più. Arriva un’ambulanza che lo trasporta rapidamente al più vicino ospedale. I medici del Pronto Soccorso accertano che è stato colpito da un lieve attacco cardiaco. Quello che li preoccupa, però, non è il cuore, ma la testa. Nella caduta il cantante ha, infatti, riportato gravissime lesioni al cervello. Riusciranno a risvegliarlo dal coma, ma non a ridargli una vita. Passerà nove anni in uno stato vegetativo, senza più comunicare con il mondo, prima di morire il 21 gennaio 1984. Si consuma così la triste fine di uno dei più esplosivi interpreti del soul statunitense, amato alla follia dal suo pubblico che gli perdona tutto: gli eccessi, la passione per le donne e per la droga e gli inevitabili e frequenti guai con la giustizia. Ex pugile di successo, vincitore del Golden Glove nella categoria dei pesi welters ed ex cantante dei Dominoes, è tra i protagonisti dell’esplosione del soul ‘n’ roll nero. Al momento dell’incidente ha trentanove anni e non è la prima volta che rischia la vita su un palcoscenico. La leggendaria esuberanza delle sue ammiratrici per poco non gli è fatale nel 1961 quando una fan, in preda a una violenta crisi isterica, gli spara a bruciapelo e lo ferisce gravemente. Dopo una lunga degenza in ospedale ricomincia. Negli anni Settanta fa storcere il naso ai puristi e ai critici bianchi con le sue dissacranti e violente incursioni nella musica classica e lirica come Alone at last, (una riscrittura ritmata di Ciaikovskij) e My empty arms (versione “nera” di un brano di Leoncavallo). Lui non si cura delle critiche. «Se i bianchi rubano la nostra musica perché io non posso migliorare la loro?» racconta tra una sigaretta e l’altra al pubblico in adorazione. I suoi programmi si fermano, però, sul palco di Camdem, in quella dannata sera di settembre in cui il suo cervello smette di funzionare per sempre.


28 settembre, 2020

28 settembre 1970 - L’ultima volta delle Renault 8 Gordini

Il 28 settembre 1970 scendono per l’ultima volta in pista le Renault 8 Gordini dopo aver dominato per anni nei Rally europei. Tutto comincia sei anni prima. «La Renault 8 Gordini nasce per consentire a tutti gli appassionati di guida sportiva di soddisfare la propria passione senza dover sborsare il costo spropositato di un prototipo o di una vettura di lusso». Queste parole sono stampate a lettere cubitali sul foglio che apre la cartella stampa con la quale la Renault annuncia nell’autunno del 1964 la nascita della R8 Gordini, un’auto destinata a sostituire la leggendaria Dauphine nei rally e a infiammare il cuore degli appassionati. Visto dal di fuori non si tratta di un modello nuovo, ma di una sorta di aggiustamento di una vettura già esistente. La Renault 8, infatti, gira sulle strade e sui circuiti di tutta Europa da un paio d’annetti, con un motore derivato direttamente da quello della già citata Dauphine, di cui rappresenta un po’ la naturale evoluzione. I risultati sportivi, però, sembrano non sostenere il confronto con la vettura che l’ha preceduta. Abituata a dominare o, quantomeno, a lasciare il segno, la Renault non può accontentarsi delle scarse performance della R8. Infatti non s’accontenta. Accade così che, mentre gli ambienti sportivi s’interrogano sulle reali potenzialità di quel modello e i più esigenti iniziano a storcere il naso, il progettista Amédé Gordini stia già lavorando nel suo laboratorio di Boulevard Victor Hugo a Parigi a un motore di nuova concezione destinato a trasformare quella che sembra la pallida erede della Dauphine in una velocissima bomba. Il geniale mago della meccanica decide di accantonare la motorizzazione in essere. Recupera un motore a 4 cilindri da 956 cmc originariamente montato sulle Estafette e sulle Caravelle e comincia a modificarlo e a ridisegnarne alcune componenti per aumentarne la potenza e la duttilità. I risultati non si fanno attendere e in breve tempo la cilindrata passa da 956 a 1.108 cmc. Il nuovo motore, che sui registri Renault porta la sigla R1134, montato sulla R8 dimostra di avere potenzialità e performance decisamente inusuali per le vetture da turismo sportivo all’epoca. Quando, in prova, tocca i 170 kmh la casa francese capisce di avere tra le mani un gioiello. Nel 1964 sono pochissime le berline in grado di competere con un veicolo che abbia una velocità massima di 170 kmh. Per fare un paragone basti pensare che la leggendaria DS19 della Citroën non supera i 160 kmh mentre la Peugeot 404 fatica a raggiungere i 140! L’arrivo sulla scena automobilistica della Renault 8 Gordini ha, quindi, l’effetto di un fulmine a ciel sereno, una sorta di tornado che si abbatte sulle certezze degli addetti ai lavori e sconvolge pronostici e gerarchie. Un mese dopo la presentazione ufficiale la vettura trionfa al Rally di Corsica, dove si ripeterà anche nel 1965 e nel 1966, superando le Alfa Romeo GTA e le Porsche 911. I risultati stimolano la creatività. L’entusiasmo degli sportivi e della stampa specializzata spingono la Renault a non accontentarsi dei positivi risultati raggiunti e a lavorare ancora sulla competitività della vettura. Nel 1966 viene presentata la R8 Gordini 1300. Distinguibile dalla prima serie per la calandra a quattro fari, l’auto monta un motore da 1255 cmc che accresce la potenza delle frecce blu sui circuiti da Rally di tutto il mondo. Nonostante tutto, però, Renault mantiene la caratteristica fondamentale della prima R8 Gordini: il prezzo contenuto rispetto agli altri modelli in circolazione. Questa scelta, unitamente alla solida maneggevolezza dell’auto, saranno una delle componenti fondamentali della leggenda targata Gordini. Nascerà anche un circuito di gare riservate a questa vettura e moltissimi giovani talenti sceglieranno di iniziare così la loro carriera. Dopo la 1300 Gordini comincia a ritenere decisamente finito il lavoro di miglioramento della vettura. L’unico cambiamento sostanziale riguarda il colore della carrozzeria che, fin dagli inizi, è stato unico e quasi intoccabile: blu con due bande verticali bianche che la attraversano verticalmente. Nel 1968, non senza proteste e indignazioni, la gamma dei colori disponibili si allarga a ben quattro tinte diverse, tutte rigorosamente corredate dalle due bande verticali. Nello stesso anno si comincia a parlare di un nuovo misterioso progetto che prende corpo nel 1970 con l’annuncio della fine della produzione delle Renault 8 Gordini. A giugno la catena di montaggio si ferma per sempre mentre il 18 e 19 luglio sul Circuito Paul Ricard di Le Castellet vengono presentate per la prima volta le nuovissime Renault 12 Gordini, auto diversissime per concezione e per meccanica con trazione e motore anteriori. Nonostante tutto, però, la R8 Gordini resta nel cuore della gente e sono migliaia le persone che accorrono il 28 settembre a salutare per l’ultima volta in pista le vetture blu e bianche. Quando la bandiera a scacchi chiude l’ultima corsa della squadra ufficiale delle R8 l’ovazione del pubblico fa capire che l’eredità di quest’auto sarà difficile da raccogliere.



17 settembre, 2020

17 settembre 1958 – Herbie Fields l'incompreso

Il 17 settembre 1958 muore suicida a Miami, in Florida, il saxoclarinettista Herbert “Herbie” Fields. Nato a Elizabeth, nel New Jersey, il 24 maggio 1919, fra il 1936 e il 1938 ottiene il primo ingaggio professionale con l'orchestra di Fred Allen quando è ancora studente alla Juilliard School of Music di New York. Nel 1939 dirige un'orchestra insieme al pianista e arrangiatore George Handy e successivamente dopo un breve periodo con quella di Woody Herman, suona col trio di Leonard Ware e nel 1941 approda nella band di Raymond Scott. Nel periodo del servizio militare dirige la banda di Fort Dix e dopo il congedo, capeggiò un proprio gruppo che scioglie verso la fine del 1944. Nel dicembre di quell’anno entra nell'orchestra di Lionel Hampton con la quale rimane fino al febbraio del 1946. Chiusa l’esperienza con Hampton dà vita a una nuova formazione a suo nome nella quale suonano anche il trombettista Neal Hefti e il batterista Tiny Kahn. Negli anni Cinquanta, deluso dalla progressiva marginalizzazione cui viene sottoposto da parte dell’ambiente del jazz si rifugia in Florida dedicandosi quasi esclusivamente alla musica commerciale. Le difficoltà a trovare spazio lo portano a ricorrenti crisi depressive fino al 17 settembre 1958 quando muore dopo aver ingerito una dose massiccia di barbiturici.





15 settembre, 2020

15 settembre 1977 – Driftin' Slim, una leggenda se ne va

15 settembre 1977 muore a Los Angeles, in California, il leggendario bluesman Driftin’ Slim. Cantante, armonicista e chitarrista blues nasce ad Atlanta, in Georgia, il 24 febbraio 1919 e all’anagrafe è registrato con il nome di Elmon Mickle. Eccellente cantastorie è un leggendario “one man band” conosciuto anche con gli pseudonimi di Drifting Smith, Harmonica Harry e Model T Slim. Impara a suonare l'armonica da John Lee “Sonny Boy” Williamson, destinato a rimanere a lungo il suo maggior ispiratore e con lui lavora spesso durante i primi anni Quaranta nei locali di Little Rock, in Arkansas. Nel 1951 forma un proprio gruppo con i chitarristi Baby Face Turner, Junior Crippled, Red Brooks e con Bill Russell alla batteria. Con questa band incide per la Modern i suoi primi brani My Little Machine e Down South Blues. L'anno dopo registra con Ike Turner Good Morning Baby e My Sweet Woman per la RPM. Dopo la morte di Brooks inizia a esibirsi da solo come nell'area di Los Angeles. Nel 1959 registra alcuni dischi con il suo vero nome. All'inizio degli anni Settanta le sue cattive condizioni di salute lo costringono ad abbandonare la vita musicale attiva. La sua ultima esibizione pubblica avviene al Folk Music Festival di San Diego del 1971. Nel 1977 ci lascia per sempre.

14 settembre, 2020

14 settembre 1973 – La musicalità istintiva di Alessandro Canino

Il 14 settembre 1973 nasce a Firenze il cantante Alessandro Canino. Figlio di un musicista trova nel padre un alleato quando decide di avvicinarsi al mondo della musica, per il quale dimostra un precoce interesse e un grande talento. Il ragazzo studia con Walter Savelli e inizia prestissimo a esibirsi in vari locali di Firenze. Nel 1992 Alessandro debutta nella categoria “Nuove Proposte” del Festival di Sanremo con la canzone Brutta cui segue il suo primo album Alessandro Canino. Brutta diventa uno dei successi commerciali dell’anno e Canino vince il Telegatto come Miglior Artista Emergente decretato dal pubblico di “Vota la Voce”. Negli anni successivi torna ancora al Festival di Sanremo presentando nel 1993 Tu tu tu tu tu e nel 1994 Crescerai. Dotato di una musicalità istintiva si conferma successivamente come uno dei più promettenti cantautori del nuovo panorama pop italiano.



08 settembre, 2020

8 settembre 2001 – RE.SET, il primo festival italiano di dance ed elettronica

L'8 settembre 2001 il Campovolo di Reggio Emilia si trasforma nella capitale europea della musica dance ed elettronica. Nell'area, occupata dalla Festa Nazionale dell'Unità sbarca infatti RE.SET, il primo festival di dance ed elettronica italiana con una succulenta serie di artisti annunciati. L’iniziativa riempie un vuoto. Da tempo, infatti, in molti sottolineavano come alla scena dance ed elettronica italiana mancasse un grande appuntamento live, di ampio respiro, capace di misurarsi con i raduni di massa che costellano il panorama europeo. Dalla fin troppo citata Love Parade di Berlino, che in quell’anno dopo oltre un decennio mobilita oltre un milione di persone ai più modesti (si fa per dire) happening di Parigi con "soltanto" mezzo milione di persone o di Zurigo, che si attesta su trecentomila presenze, l'intera Europa vede lo svolgimento di grandi festival. L'Italia per lungo tempo ha guardato stupita, quasi distratta, ciò che avveniva negli altri paesi, pur con qualche lodevole eccezione. Mancanza d'interesse? Non sembra, visto che le attività nei club italiani e, soprattutto, nei Centri Sociali sono da tempo coronate da successo. A Milano, per esempio, l'attività del venerdì in Pergola è stata particolarmente attiva nei settori nu-jazz e drum'n'bass, mentre alcuni rave organizzati dal Leoncavallo, come quello con Goldie e Storm, hanno attirato migliaia di giovani entusiasti. Sempre per restare in Lombardia come dimenticare lo storico mercoledì dei Magazzini Generali che si ripete ormai da cinque anni? Ma la febbre non è soltanto nordica, visto che Roma dimostra un'effervescenza non inferiore alle altre capitali europee con serate come quella del venerdì all'Agatha, del sabato al Classico Village. Accanto all'ormai storico govedì del Goa, che ha ospitato, tra gli altri, Goldie, Darren Emerson e la Boutique di Fatboy Slim, non mancano nuove iniziative come l'apertura del Blue Cheese, un locale dedicato ai nuovi suoni del breakbeat e del drum'n'bass. Più orientate ai suoni tech-house appaiono, invece, Torino e Bologna, dove il Link resta il faro-guida della scena dance underground non soltanto locale. Insomma, il panorama italiano dell'elettronica mai come in quel periodo appare in forte crescita qualitativa e quantitativa. Per questa ragione l'appuntamento di Reggio Emilia diventa uno di quelli destinati a lasciare un segno. Non è un caso che proprio la cittadina emiliana si sia candidata a diventare, sia pure per un giorno la capitale della dance e dell'elettronica. Sul suo territorio l'anno prima è stata organizzata Clubspotting, una mostra di approfondimento sulla club culture che ha suscitato notevole interesse in tutto il mondo e di cui è prevista nel 2001 la seconda edizione. Sempre a Reggio c'è, poi, il Maffia Music Club, il cui Soundsystem funge da maestro di cerimonia nella lunga, lunghissima giornata del RE.SET. Il programma annunciato promette una rassegna unica nella pur lunga storia di questo genere musicale nel nostro paese. Tra le performance più attese c'è quella dei Transglobal Underground, il system che negli anni precedenti ha avuto nella propria line-up anche Natacha Atlas. Il loro suono capace di ardite contaminazioni tra tribalismo, rap arabo, campionamenti ipnotici e sonorità etniche, resta, a dieci anni dalla nascita dell'ensemble, un costante punto di riferimento per la scena del world groove. Ci sono anche Roni Size & Full Cycle, i quattro ragazzotti di Bristol vincitori di un Mercury Award e considerati tra i maggiori responsabili della diffusione nel mondo del drum’n’bass e i londinesi Pressure Drop con il loro suono radicale e antirazzista. L'orizzonte si allarga ancora con le esplorazioni del francese Frederic Galliano che mescolano musica elettronica, jazz e cultura africana e le tensioni sonore e ritmiche di Howie B. C'è anche Fabio, il dj esponente dell'ala più jazzy e musicale del drum'n'bass cui Matthew Collin ha dedicato un intero capitolo del suo libro "Stati di alterazione" che analizza la club culture inglese. Una sfida al razzismo e a favore dell'integrazione tra culture diverse è anche la presenza di Badmarsh & Shri esponenti di quell'Asian Underground che mescola funk, drum'n'bass, dub, musica indiana, London beat e jazz. Non manca neppure Wookie, considerato l'astro nascente del twostep garage britannico e neppure i suoni malfermi e uggiosi del breackbeat dei Freestylers. Non sono, infine, escluse presenze a sorpresa di artisti non annunciati. Il panorama italiano, oltre che dai Maffia Soundsystem è rappresentato dall'ex Aeroplanitaliani Alessio Bertallot, divenuto una sorta di profeta dell'elettronica che da qualche tempo, consapevole del suo ruolo, alterna evoluzioni ai piatti, rubriche radiofoniche e performance giornalistiche.