31 agosto, 2023

31 agosto 1963 - La breve gloria delle Ronettes

Il 31 agosto 1963 le Ronettes entrano per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti con il brano Be my baby. Dopo lunghi anni di gavetta l'apporto di un mago della produzione come Phil Spector sembra lanciare definitivamente il trio composto dalle sorelle Veronica ed Estelle Bennett con la loro cugina Nedra Talley. Inseparabili fin da bambine coltivano da sempre il sogno di lasciare una traccia nel mondo dello spettacolo. La loro è una storia di tentativi andati a male o interrotti sul più bello. Quando le loro coetanee giocano ancora con le bambole Veronica, Estelle e Nedra sgambettano sui palcoscenici dei teatrini di New York con il nome di Dolly Sister. Il precoce talento di cui danno prova attira impresari veri e più d'un marpione deciso a sfruttarne l'ingenuità. La loro prima vera scrittura le vede nel ruolo di ballerine del Peppermint Lounge, cui segue la partecipazione come coriste e danzatrici alle esibizioni del Clay Cole Twist Package. Nel 1961, quando Veronica ha diciotto anni, Estelle diciassette e la piccola Nedra soltanto quindici, pubblicano il loro primo disco con il nome di Ronettes. Il risultato è deludente e solo la convinzione di potercela fare le trattiene dal mollare tutto. Analogo destino hanno i quattro dischi successivi. Quando stanno per rassegnarsi a un ruolo di secondo piano nel sottobosco dello spettacolo newyorkese incontrano il produttore Phil Spector. Innamoratosi di Veronica il produttore inizia a occuparsi delle tre ragazze e in pochi mesi le porta al successo. Be my baby è solo il primo di una serie di dischi fortunati come Baby, I love you e soprattutto Walking in the rain. All'apice della popolarità e frastornate dal successo improvviso le Ronettes all'inizio del 1964 partecipano al tour inglese dei Rolling Stones, ma la loro avventura è già arrivata alla fine. L'artefice del disastro è lo stesso che le ha portate al successo: Phil Spector. Il produttore, infatti, sposa Veronica e la convince a lasciare il gruppo che, nonostante l'inserimento della cugina Elaine, si scioglie. Qualche anno dopo Veronica tenterà di riformarlo senza grande convinzione e con risultati deludenti. Ci proverà più seriamente nel 1973 quando, con Denise Edwards e Chip Field, darà vita alle Ronnie & The Ronettes, che più tardi diventeranno Ronnie Spector & The Ronettes. Pur continuando fino alla metà degli anni Settanta non riusciranno mai a ripetere il successo delle prime, ineguagliabili, Ronettes.


30 agosto, 2023

30 agosto 1921 – Carlo Alberto Rossi, un sanguigno creatore di successi

Il 30 agosto 1921 nasce a Rimini Carlo Alberto Rossi, uno dei compositori più importanti della storia della canzone italiana. Nel 1939 scrive la sua prima canzone Tango di Manuelita. Tra i primi a capire l’importanza del music-businnes affianca all’attività di compositore quella di editore e discografico. Nel 1950 fonda con l’ungherese Ladislao Sugar le Edizioni Musicali Ariston, che lascia nel 1955 per dare vita alle Edizioni Musicali C.A. Rossi. Tre anni dopo crea l’etichetta discografica Juke box e contemporaneamente costruisce un modernissimo studio di registrazione, la Fonorama. La sua attività imprenditoriale dura fino al 1974 quando capisce che è giunto il momento di smettere, liquida tutte le società e si dedica a lunghi viaggi per il mondo. Alla sua fertile vena compositiva si devono innumerevoli successi come, tra i tanti, Mister jazz, Al chiar di luna porto fortuna, Le mille blu, E se domani, Se tu non fossi qui, Notorius, Vecchia Europa, Ritroviamoci e Nun è peccato. Muore a Milano il 12 aprile 2010.

29 agosto, 2023

29 agosto 1914 – Clely Fiamma, la più giovane stella dell’Olympia

Il 29 agosto 1914 nasce a Milano Clelia, la figlia dell'attore e cantante Bruno Cantalamessa destinata a diventare famosa con il nome d’arte di Clely Fiamma. Attrice, soubrette e cantante diventerà uno dei personaggi più eclettici del teatro di rivista italiano. Cresciuta nell’ambiente artistico a sette anni debutta col suo vero nome per la prima volta in palcoscenico a La Spezia al fianco del famoso chansonnier Gino Franzi. Nel 1923, quando ha soltanto nove anni, entra nella storia del teatro parigino dell’Olympia per essere la più giovane vedette mai proposta dal cartellone di quello che in Francia è considerato un vero e proprio tempio dello spettacolo. Nel 1932 debutta come soubrette accanto al celebre Totò, con il quale resta ben sette anni e poi lavora con Riccardo Billi e Tino Scotti. Nel dopoguerra entra a far parte della Compagnia del Teatro Comico Musicale di Radio Roma e non disdegna di cimentarsi anche con la prosa con Gino Cervi e Lilla Brignone. Non mancano esperienze interessanti e con buon successo nella canzone. Tra le sue interpretazioni più famose ci sono Qui fu Napoli, E tu chi si? e Quando ammore vo' filà. Muore a Roma il 19 febbraio 1977.

28 agosto, 2023

28 agosto 1979 - Il sequestro di Fabrizio e Dori

Alla fine degli anni Settanta Fabrizio De André è ormai considerato uno dei più importanti cantautori della storia della musica italiana. Il tempo delle discriminazioni, della censura delle sue composizioni e dell’ostracismo nei suoi confronti da parte della radio e della televisione sembra ormai alle spalle. Gli album La buona novella, Non al denaro, nè all’amore, nè al cielo, Storia di un impiegato, Canzoni e, nel 1978, Rimini vengono regolarmente salutati come capolavori anche da quei settori della critica che un tempo lo snobbavano. Reticente e timido non ama esibirsi dal vivo e quando lo fa si sente a disagio. Proprio nel 1978, stanco della monotonia della vita di città e del tran tran quotidiano decide insieme alla sua compagna, la cantante Dori Ghezzi, di abbandonare il “continente” e di acquistare un’azienda agricola a Lagnata, in Sardegna, una zona nelle vicinanze di Tempio Pausania. L’aria dell’isola e l’isolamento del posto ne fanno un luogo ideale per un artista che ha elevato la riservatezza e la discrezione a stile di vita. È un De Andrè diverso dal cantautore che per anni il suo pubblico ha imparato ad amare quello che si dedica, quasi a tempo pieno, all’allevamento e alla cura dei poderi. Questo paradiso terrestre cela una trappola. Il 28 agosto 1979 lui e la sua compagna vengono sequestrati da un gruppo di persone armate. Lo scopo del sequestro è evidente: chiedere un riscatto approfittando della popolarità del personaggio. La prigionia non sarà breve. Durerà quattro mesi. Per tutto quel periodo i due artisti verranno tenuti all’aria aperta sugli aspri contrafforti delle montagne sarde e passeranno le notti incatenati agli alberi. Il loro unico riparo sarà un telo di plastica. Dopo la liberazione il cantautore conserverà per sempre i segni della prigionìa e nel suo album del 1981, scritto insieme a Massimo Bubola, descriverà lo smarrimento e le incertezze di quelle notti in una canzone cruda e ricca di suggestione come Hotel Supramonte.



27 agosto, 2023

27 agosto 1990 - Steve Ray Vaughan, il bianco dalla chitarra nera

Il 27 agosto 1990 l’elicottero che sta trasportando a Chicago Steve Ray Vaughan precipita. A soli trentacinque anni muore così uno dei più grandi chitarristi bianchi di blues degli anni Ottanta. È reduce da un concerto all’Alpine Valley Music Theatre di East Troy dove si è esibito insieme al fratello Jimmie, Eric Clapton, Buddy Guy e Phil Palmer. Nell’incidente muoiono anche l’agente di Eric Clapton, Bobby Brooks, la sua guardia del corpo Nigel Browne, il tour manager Colin Smith e il pilota Jeffrey Browne. Nato a Dallas nel 1954, Stevie Ray Vaughan inizia a suonare la chitarra per imitare il suo fratello maggiore Jimmie, entrato poi a far parte dei Fabulous Thunderbirds. Non ha ancora dieci anni quando forma la sua prima band, i Chantones e, dopo aver abbandonato gli studi nel 1972 decide di fare della musica il suo mestiere. A diciotto anni si trasferisce ad Austin dove registra con i Nightcrawlers un disco mai pubblicato. Tra il 1975 ed il 1977 fa parte dei Cobras e successivamente decide di formare una propria band, i Triple Threat Revue, per essere libero di suonare la propria musica senza nessun tipo di condizionamento. I Triple Threat a partire dal 1981 diventano i Double Trouble, un nome ispirato a Ray da una canzone di Otis Rush che il gruppo manterrà fino alla sua morte. La band ottiene nell'aprile del 1982 un clamoroso successo al festival di Montreux, e l’anno dopo David Bowie vuole Vaughan alla chitarra solista nel suo album Let's dance. Indimenticabile resta la sua versione di Voodoo Chile, dedicata a Jimi Hendrix, che Stevie Ray considera il suo principale maestro. La morte lo coglie nel momento di maggior successo e contribuisce ad alimentarne la leggenda. Durante i suoi funerali, che si svolgono il 31 agosto al Laurel Land Memorial Park di Dallas, Jackson Browne, Stevie Wonder e Bonnie Raitt cantano il brano Amazing grace. Nel 1991 suo fratello Jimmie raccoglierà vari brani inediti e li pubblicherà nell'album postumo The sky is crying.



26 agosto, 2023

26 agosto 1981 - Quel folk singer è un pericoloso comunista!

Il 26 agosto 1981 un arresto cardiaco pone fine alla vita di Lee Hays nella sua casa di New York. Ammalato da anni di diabete è stato uno dei personaggi più significativi del folk politico statunitense. La sua vicenda artistica è strettamente legata con le battaglie politiche, antifasciste e sindacali degli Stati Uniti alla fine degli anni Trenta. Nel 1941 con Woody Guthrie, Pete Seeger e Millard Campbell fonda gli Almanac Singers, un gruppo di folk urbano che si esibisce nelle fabbriche occupate, nei picchettaggi e nei raduni sindacali. Il gruppo è anche l’inventore degli “Hootenannies”, concerti inframmezzati da storielle divertenti, discussioni politiche e slogan destinati a raccogliere fondi per le battaglie sindacali. Sotto l’incalzare della seconda guerra mondiale la band si scioglie e Hays fa dell’impegno antifascista lo scopo principale della sua attività. Nel primo dopoguerra il clima degli Stati Uniti è cambiato. I partiti della sinistra e i comunisti in particolare vengono guardati con crescente sospetto in una società che prepara la Guerra Fredda. Lee Hays non cambia bandiera e nel 1948 con Pete Seeger, Ronnie Gilbert e Fred Hellerman dà vita agli Weavers. La band ottiene un clamoroso successo commerciale con il brano Goodnight Irene che resta al primo posto della classifica dei dischi più venduti per ben tredici settimane vendendo oltre due milioni di copie. La storia degli Weavers viene, però, drammaticamente interrotta nel 1952 dalla caccia alle streghe scatenata dal senatore McCarthy contro i comunisti e gli oppositori di sinistra. Hays, dopo essere stato sottoposto a umilianti interrogatori dal Comitato contro le Attività Antiamericane e a vessazioni di ogni genere si vede messo al bando dalla vita civile. Inizia così a vivere ai margini del mondo musicale esibendosi in qualche campus universitario o nei circoli sindacali e riuscendo a vivere solo grazie alla silenziosa quanto efficace catena di solidarietà messa in piedi dalla sinistra statunitense. Quando muore i tempi duri sono ormai alle spalle, ma hanno lasciato un segno indelebile sulla sua salute, già minata dal diabete.




25 agosto, 2023

25 agosto 1979 - Il sogno di Stan Kenton

Il 25 agosto 1979 muore al Midway Hospital di Hollywood all’età di sessantasette anni Stan Kenton o, come risulta dai dati anagrafici, Stanley Newcombe Kenton, uno dei protagonisti di primo piano della storia del jazz orchestrale. Nato a Wichita, nel Kansas, si trasferisce poi con i genitori in un sobborgo di Los Angeles. Non sa ancora scrivere compiutamente il suo nome quando la madre inizia ad avviarlo ai segreti della tastiera di un pianoforte. La musica diventa ben presto il suo mondo. Non si accontenta del piano. Studia armonia e composizione e nel 1928 ha da poco compiuto i sedici anni quando scrive le partiture del suo primo arrangiamento. Una lunga gavetta in gruppi dell'hinterland losangelino precede il primo regolare contratto. Glielo propone Everett Hoagland che, nel 1934, lo scrittura come pianista e arrangiatore. Suona poi per un anno circa con Gus Arnheim e, in seguito, con Vido Musso e Johnny Davis, ma la sua idea fissa, il sogno della sua vita, è la costituzione di una grande orchestra. È talmente sicuro di farcela che dedica gran parte del suo tempo a preparare arrangiamenti destinati alla sua big band. Nel 1940 il sogno inizia ad avverarsi. La sua formazione non va oltre nove musicisti, ma è un primo passo. Ci riesce l'anno dopo quando chiama accanto a sé un nutrito gruppo di musicisti che, pur non potendo contare su grandi nomi, riesce a conquistare larghe schiere di appassionati. È l'inizio di una straordinaria carriera scandita dalle collaborazioni con quasi tutti i grandi jazzisti del dopoguerra e di cui resta una traccia consistente in oltre cinquanta album. Abilissimo negli arrangiamenti e nella direzione Stan Kenton tratta l'orchestra come fosse uno strumento, quasi annullando le individualità dei singoli strumentisti in una sorta di sintesi superiore. Sono pochi, nel jazz, i casi di un leader capace di sostituire qualsiasi musicista senza cambiare il volto della formazione. Proprio questa sua pretesa di sottomettere a un progetto corale le individualità, che qualcuno battezza "jazz sinfonico", gli vale anche le maggiori critiche. Se da un lato gli si riconosce il merito di aver saputo superare la crisi delle big band, dall'altra lo si ritiene marginale nell'evoluzione del movimento jazzistico, basata innanzitutto sulla grande creatività dei singoli. Mentre la critica si accapiglia lui tira dritto per la sua strada fatta di arrangiamenti calibrati, di esecuzioni perfette e di particolarissime e riconoscibili sonorità orchestrali. Non si fermerà più fino alla morte.


24 agosto, 2023

24 agosto 1968 - Caro Country Joe, se non ti piace l’America vattene!

La mobilitazione è davvero impressionante. Sono moltissimi i giovani che arrivano a Chicago nell’agosto del 1968 per manifestare contro il razzismo, per i diritti civili e contro la guerra del Vietnam. La calata nello stato-simbolo dell’Illinois è stata decisa da centinaia di organizzazioni, non tutte coordinate tra loro, per sfruttare la visibilità che può offrire la concomitanza con lo svolgimento della Convention del Partito Democratico. Le vie della città sono quotidianamente interessate da iniziative, cortei e manifestazioni. Molti sono gli artisti che portano la loro solidarietà, di giorno partecipando alle manifestazioni e la sera suonando in concerti come il Festival of Love, organizzato da Jerry Rubin insieme alle comuni hippie più radicali. Tra questi non poteva mancare uno dei cantautori elettrici più politicizzati di quel periodo, Country Joe McDonald con il suo gruppo, i Fish. Arrivati in città fin dai primi giorni di mobilitazione Country Joe e i suoi compagni alloggiano in un alberghetto nelle vicinanze del centro della città. Il loro concerto di solidarietà è programmato per la tarda serata del 24 agosto. Già nel nome il gruppo rappresenta un po’ una provocazione. Country Joe, infatti, è il nome dato dai servizi segreti americani a Giusepe Stalin nella seconda guerra mondiale e Fish, cioè pesci, è la definizione di comunisti nelle opere di Mao Tse Dong. Nelle ore che precedono la sua esibizione il cantautore si trattiene nella hall dell’albergo che lo ospita insieme al chitarrista Barry Melton e al tastierista David Cohen. I tre definiscono alcuni dettagli dell’esibizione serale e conversano a lungo scambiandosi battute. Un’occhiata all’orologio suggerisce che è tempo di prepararsi. Country Joe si alza e chiama l’ascensore per andare a prendere la chitarra che ha lasciato nella sua camera. I due strumentisti lo seguono senza prestare attenzione ad altre tre persone che si sono accodate al gruppo. Quando la porta dell’ascensore si apre i tre sconosciuti spingono con violenza nella cabina il cantautore e i suoi due compagni. Chiudono la porta e iniziano a tempestarli di pugni e calci. L’aggressione, fredda e premeditata, dura pochi secondi e lascia i ragazzi malconci a terra. Quando la porta dell’ascensore si riapre i tre, che si qualificano come “veterani del Vietnam”, urlano: «Non vi piace l'America? Allora andatevene, non c’è posto qui per quelli come voi!»

23 agosto, 2023

23 agosto 1975 - Togliete quel Reynolds!

Il 23 agosto 1975 in vetta alla classifica statunitense dei singoli c'è il brano Fallin' in love e l'indicazione degli interpreti sull'etichetta riporta un marchio abbastanza noto in quel periodo: Hamilton, Joe Frank & Reynolds. Il nome è quello del gruppo formato alla fine degli anni Sessanta da Dan Hamilton, Joe Frank Carollo e Tommy Reynolds, tre ex componenti dei T-Bones, la band di No matter what shape (Your stomach's in). Il trio, dato per scomparso nel 1972 dopo un paio d'album di buon successo sembra così tornare alla ribalta. Sembra, perché gli esperti di cose musicali sono perplessi. Si sa, infatti, che Tommy Reynolds da tempo preferisce le regole di un ordine religioso del Texas allo scintillante mondo dello show-business. La comparsa della sigla appare quindi sospetta. C'è chi sostiene che Fallin' in love sia un brano inedito registrato tre anni prima quando Reynolds faceva ancora parte della band, ma c'è anche chi parla esplicitamente di "gruppo fantasma". La pubblicazione di un album con lo stesso titolo complica ancora di più le cose. Quanti sono gli inediti del gruppo? La verità sta nel mezzo. Il disco è nuovo ed è stato registrato da due terzi del vecchio trio, cioè da Dan Hamilton e Joe Frank Carollo, con l'aggiunta di un nuovo componente: Alan Dennison. Il trucco è stato quello di non cambiare nome al gruppo. Il clamore suscitato dalle polemiche fa arrabbiare il buon Tommy Reynolds che chiede di togliere il suo nome dal marchio. I due ex compagni non gli rispondono neppure e a lui non resta che citarli in tribunale. La causa durerà un anno e nel frattempo il gruppo pubblicherà, ancora come Hamilton, Joe Frank & Reynolds, l'album Winners and losers. Nell'estate del 1976 Tommy Reynolds riuscirà a impedire al gruppo di continuare a usare il suo nome e la band diverrà Hamilton, Joe Frank & Dennison. Paradossalmente con il cambio del nome finirà il successo. I tre pubblicheranno ancora qualche disco, con scarsi risultati.


22 agosto, 2023

22 agosto 1988 - Aretha, la regina

Fresca vincitrice di due Grammy Awards, Aretha Franklin assiste il 22 agosto 1988 alla presentazione di un film-documentario su di lei: “Aretha Franklin: The queen of soul” (Aretha Franklin, la regina del soul). Oltre a raccontarne la vita e le vicende artistiche, raccoglie le testimonianze di colleghi come Ray Charles, Eric Clapton, Whitney Houston e Smokey Robinson. Nata a Memphis il 25 marzo 1942 la Franklin inizia a cantare da giovanissima, insieme al fratello Cecil e alle sorelle Erna e Carolyn, sotto la guida del padre, il reverendo C.L. Franklin, cantante di gospel che la porta con sé nei suoi spettacoli itineranti. In questa mescola di musica, ritmo, fede e teatralità si forma la sua personalità artistica. Conosce grandi artisti come Mahalia Jackson e James Cleveland e pubblica il suo primo disco nel 1956 quando, appena quattordicenne, è la solista del coro della New Bethal Baptist Church di Detroit. Ben presto la sua fama travalica i confini dei concerti religiosi e di lei si accorge John Hammond, lo scopritore di Billie Holiday, che le procura il primo contratto discografico con la Columbia Records. Sotto la sua guida incide vari dischi gospel, ma i limiti di questo genere le stanno stretti. Nella seconda metà degli anni Sessanta passa alla Atlantic dove entra in contatto con i nuovi fermenti della musica nera. È il produttore John Wexler l’artefice del suo cambiamento. La lascia libera di spaziare come vuole, limitandosi a curare gli arrangiamenti e il tessuto orchestrale. Nel 1967 con I never loved a man (the way I love you) Aretha vola alta nelle classifiche e nel cuore del pubblico. La conferma arriva, qualche mese dopo da una drammatica versione di Respect, un brano di Otis Redding. Sono anni di forti tensioni razziali e di lotte per i diritti civili. La sua voce, potente e dolcissima, si leva sulla scena artistica statunitense di quel periodo e ne interpreta, come poche altre, la colonna sonora. Negli anni Settanta la formula ideata da Wexler sembra non funzionare più. Aretha ripiega allora sulle atmosfere eleganti e rilassate del pop orchestrale, imprigionando in parte la sua personalità e affidandosi a produttori abili come Quincy Jones. Sembra l’inizio del declino artistico, il progressivo adattamento a una tranquilla normalità, ma le apparenze ingannano. All’inizio degli anni Ottanta si rivede la vecchia e non sopita grinta in un’indimenticabile apparizione nel film “The blues brothers” che la rilancia come una delle più grandi interpreti del soul moderno. La sua scomparsa, il 16 agosto 2018, lascia il mondo della musica un po' più povero.



21 agosto, 2023

21 agosto 1930 – La difficile carriera di Christiane Legrand

Il 21 agosto 1930 nasce ad Aix-les-Bains, in Francia, Christiane Legrand, una delle più importanti voci femminili del jazz europeo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. La sua è una famiglia destinata a lasciare più d'una traccia nella storia musicale del Novecento. Il padre, infatti, è il clarinettista, sassofonista e compositore Raymond Legrand, mentre il fratello minore, il pianista Michel Legrand, otterrà uno straordinario successo sia come strumentista e compositore jazz che come autore e interprete di musiche e brani per il cinema. Chiusa tra i due talenti della famiglia Christiane fatica non poco a imporsi in un ambiente chiuso e un po' maschilista come la scena jazz francese degli anni Cinquanta. Dopo gli studi di piano non si rassegna alla carriera dell'insegnamento. A partire dal 1954 inizia a cantare in varie band, comprese quelle del fratellino. Contemporaneamente, nel 1955, trova ospitalità in un gruppo vocale considerato all'avanguardia per l'epoca. Sono i Blue Stars. Successivamente cambieranno nome in Double-Six e finiranno per essere osannati dalla critica come il primo gruppo europeo capace di cimentarsi in un nuovo stile vocale basato sui virtuosismi e l'arte quasi surrealista dell'allitterazione. Sono gli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta e Christiane diventa una delle voci francesi più importanti di quel periodo. La sua popolarità non resta, però, confinata nei ristretti confini del jazz. Più volte spazia nel pop attraverso la porta del cinema. È sua la voce femminile che canta nel film "Les Parapluies de Cherbourg" di Jacques Demy, la cui colonna sonora porta la firma del "fratellino" Michel Legrand. L'avventura con i Double-Six finisce nel 1965. Per un po' si esibisce con Ward Swingle, ma poi lascia. Preferisce seguire da vicino i nuovi gruppi vocali che si ispirano allo stile che l'ha resa famosa. Muore il 1° novembre 2011. Del suo periodo con i Double Six resta una testimonianza straordinaria nell'album Dizzy Gillespie et Les Double-Six.



20 agosto, 2023

20 agosto 1983 - Tornano i pirati dell’etere

Il 20 agosto 1983 torna a trasmettere Radio Caroline, una delle leggendarie radio pirata degli anni Settanta. L’emittente riprende a irradiare i propri programmi da una nave che viene battezzata "Imagine" in onore di John Lennon. La radio non ha più, ovviamente, la forza dirompente dell’originale, ma riporta all’attualità della cronaca l’era in cui i “pirati dell’etere” contribuirono a innovare la musica di una generazione. Artefice di questa rivoluzione fu un ventitreenne irlandese, Ronn O’Rahilly, che per primo comprese la necessità di creare uno spazio autonomo in grado di rompere il monopolio della BBC e di Radio Luxembourg nella programmazione musicale, chiuso alle nuove tendenze. Con una sottoscrizione raccolse 250.000 sterline con le quali acquistò una vecchia bagnarola danese, la “Frederika” ancorandola fuori dalle acque territoriali britanniche, quattro miglia al largo di Harwich. Con due trasmettitori da dieci kilowatt e un’antenna di cinquanta metri la domenica di Pasqua del 1964 Radio Caroline iniziò le sue trasmissioni. L’iniziativa ispirò altre avventure analoghe. Le reazioni del governo conservatore britannico non si fecero attendere, ma l’extraterritorialità delle stazioni e la simpatia del pubblico impedivano di dare concretezza alle minacce di chiusura. Dopo le elezioni del 1964 e l’avvento dei laburisti la linea nei confronti delle radio pirata cambiò di segno. Si riconobbe che esse avevano posto seriamente un problema di qualità della programmazione e pian piano si fece strada la convinzione che fosse meglio adeguare la BBC piuttosto che cercare lo scontro. Nel 1965 Simon Dee fu il primo di una lunga serie di disk jockey a passare da Radio Caroline alla BBC che, qualche tempo dopo inaugurò la sua nuova rete dedicata esclusivamente alla musica giovanile, Radio One. Esaurito il ruolo iniziale le radio pirata persero gran parte della loro carica innovativa per finire preda dell’affarismo delle major discografiche. La simpatia con cui erano state accolte all’inizio svanì rapidamente consentendo al governo britannico di varare il Marine Broadcasting (Offences) Act che pose fine alla loro attività.

19 agosto, 2023

19 agosto 1906 - Il sogno di Manzie Johnson

Il 19 agosto 1906 nasce a Putnam, nel Connecticut, Manzie Johnson, uno dei più eleganti ed essenziali batteristi del jazz di New Orleans. Pressoché sconosciuto al grande pubblico, anche per il suo carattere asciutto, incapace di autopromozione e di poche parole, gode invece di una notevole popolarità e stima nella ristretta cerchia degli appassionati di tutto il mondo. Per lui il jazz è un sogno coltivato da piccolo, così come il desiderio di lasciarsi alle spalle la vita difficile nella cittadina dove è nato. Nei suoi occhi ci sono i locali e i teatri di Harlem, scenari che la sua fantasia carica di colori e significati particolari. Ha da poco smesso di portare i calzoni corti quando lascia la città natale per cercare fortuna a New York. A differenza di altri trova davvero quello che cerca. Nella "grande mela", infatti, si fa conoscere suonando per molto tempo allo Small's Paradise con l'orchestra di quel Willie Gant che, in quell'epoca, è considerato uno dei giganti della scena di Harlem. Successivamente suona e registra con quasi tutti i più importanti gruppi degli anni Trenta, da Freddie Johnson a June Clark, da Frankie Newton a Don Redman, da Willie Bryant a Joe Sullivan, a Bobby Burnett. Ancora oggi le sue registrazioni del 1938 con la band di Tommy Ladnier e Mezz Mezzrow sono merce pregiata per i collezionisti. Il suo carattere lo porta a non mettersi in evidenza, spesso con il rischio di non valorizzare abbastanza il suo apporto solido ed essenziale, perfettamente inquadrato nello schema della scuola tradizionale. Non si pensi, però, che la sua esperienza musicale finisca con la fine del periodo d'oro dello stile New Orleans. L'incontro con le aperture dello swing e del grande jazz orchestrale ma anche con le forme più evolute del dopoguerra fornisce alla sua tecnica nuovi stimoli. Resta per tutta la carriera un batterista dalla formazione classica, ma non rinuncia ad aperture e variazioni che denotano una acuta sensibilità e la capacità di adattarsi con intelligenza alle evoluzioni del suo genere musicale. Se può non si sposta da New York. Fino alla morte, che lo sorprende nel 1971, trascorrerà, infatti, gran parte della sua vita in quella città che era nei suoi sogni di ragazzo e che gli ha dato la possibilità di vivere di musica. Del suo lavoro restano testimonianza preziosa alcune registrazioni al fianco dei grandi del jazz come una straordinaria Doin' what I please con Don Retman del 1932, Sixty street con Lil Armstrong del 1939 e The mooche con Sidney Bechet del 1941.

18 agosto, 2023

18 agosto 1941 – Lili Marleen

Il 18 agosto 1941 Radio Belgrado, la stazione radiofonica messa in piedi dai nazisti nella Jugoslavia occupata, diffonde per la prima volta le note di una canzone destinata a conquistare il cuore dei soldati di tutti gli eserciti impegnati nella seconda guerra mondiale. Si intitola Lili Marleen e la sua musica è stata composta nel 1938 dal musicista tedesco Norbert Schultze. Il testo, inusuale, è stato scritto tredici anni prima, nel 1915, dall'allora giovane poeta Hans Leip mentre stava partendo per il fronte dei Carpazi nella prima guerra mondiale. La versione diffusa da Radio Belgrado è quella registrata l'anno precedente in Germania dalla canzonettista Lale Andersen e accolta con molta freddezza dal pubblico tedesco. Malinconica e carica di nostalgia, mal si sposa con le velleità belliche del Terzo Reich. Un anno prima il disco è rimasto praticamente invenduto e sembra non sia estraneo a questo risultato il giudizio negativo di Goebbels, il ministro nazista della propaganda, che la ritiene inadatta per la sua tristezza a mantenere alto il morale della popolazione tedesca e delle truppe al fronte. Come è arrivata, dunque, a Radio Belgrado? Per uno strano scherzo della sorte. Il destino delle scorte invendute della produzione discografica tedesca è quello di alimentare le emittenti radiofoniche nei paesi occupati dai nazisti o di arricchire i pacchi dono per gli ufficiali impegnati al fronte. Lili Marleen, insieme ad altri dischi invenduti in Germania, finisce così a Radio Belgrado che la manda in onda per la prima volta proprio il 18 agosto 1941. L’emittente radiofonica in territorio jugoslavo è una delle più potenti dell’epoca. Per questa ragione la voce di Lale Andersen arriva ovunque e diventa popolarissima tra i soldati di tutte le bandiere. Ciascun paese impegnato nel conflitto ne realizzerà una versione destinata alle proprie truppe. In Italia il brano viene tradotto da Nino Rastelli e interpretato dalla voce di Lina Termini.

17 agosto, 2023

17 agosto 1964 – Con "You really got me" i Kinks prendono il volo

Il 17 agosto 1964 la Pye Records pubblica You really got me. Il brano sarà il primo grande successo dei Kinks, uno dei gruppi più spigolosi degli anni Sessanta che più di altri incarna lo spirito ribelle delle bande giovanili dell'epoca. La loro selvaggia irruenza sul palco piace ai Mods, ma è amata anche dai Rockers e verrà presa a esempio dai protagonisti del punk. I Kinks nascono, di fatto, nel 1962 attorno ai fratelli Davies, Ray e Dave soprannominati "Rock Brothers" per la mania di ascoltare i dischi ad altissimo volume. Entrambi chitarristi formano il primo nucleo della band con il batterista Mick Avory e il bassista Peter Quaife. Per un po' si fanno le ossa come gruppo d'accompagnamento del cantante Robert Wace, un onesto mestierante che diventerà il loro manager. La storia non va avanti per molto, perché alla fine del 1963 decidono di proseguire da soli. Notati dal produttore Shel Talmy ottengono il primo contratto discografico con la Pye Records e si mettono subito al lavoro in sala di registrazione. Nel mese di febbraio del 1964 pubblicano il loro primo singolo, una cover di Long tall Sally, il brano di Little Richard. Il disco passa quasi inosservato e non va meglio al successivo You do something to me. Decisi a non mollare i quattro lavorano all'idea di realizzare un brano che possa avere la stessa carica esplosiva delle loro esibizioni dal vivo. Nasce così You really got me. Nonostante sia già pronto alla fine della primavera la loro casa discografica prende tempo tentando di convincerli ad ammorbidirne l'impatto con un arrangiamento meno selvaggio e duro. Sono in molti a dubitare che quel selvaggio e grezzo miscuglio di rock urlato e blues nero possa interessare a un mercato che si sta ormai evolvendo in forme più raffinate, ma Ray Davies e i suoi compagni tengono duro. You really got me esce così com'è. In pochi mesi conquista i giovani di tutto il mondo e diventa uno dei più longevi brani della storia del rock.





16 agosto, 2023

16 agosto 1968 – L’inaspettata fine di Cutty Cutshall

Il 16 agosto 1968 a Toronto, in Canada, dove si trova in tournée con gli All Stars di Eddie Condon, muore improvvisamente il trombonista Cutty Cutshall. Ha cinquantasette anni. Nato a Huntington County, in Pennsylvania, 29 dicembre 1911 è registrato all’anagrafe con il nome di Robert Dewee Cutshall. Giovanissimo comincia l'attività professionale a Pittsburg suonando nell'orchestra sinfonica comunale e in vari gruppi da ballo. Nel 1934 viene ingaggiato da Charley Dornberg e dal 1938 al 1940 suona con il gruppo della cantante Jan Savitt Successivamente entra nell’organico dell'orchestra di Benny Goodman e ci resta fino alla fine del 1946 sviluppando un rapporto di amicizia e rivalità professionale con Lou McGarity. Nella band di Goodman Cutshall si fa conoscere e apprezzare sia dai critici sia dal grosso pubblico. Nel 1948 ottiene un importante ingaggio al Nick's, il tempio dei dixielanders di New York, dove suona prima con Billy Butterfield. A partire dal 1949 entra a far parte degli All Stars di Eddie Condon diventandone un componente fedele e quasi inamovibile. Verso la fine degli anni Cinquanta, Cutshall suona anche con le orchestre di Bob Crosby, ancora una volta a fianco di McGarity, e di Wild Bill Davison pur senza abbandonare l’impegno primario con il "clan” di Condon. Nel 1965 entra partecipa a una serie di registrazioni della band di Yank Lawson e Bob Haggart che dal punto di vista stilistico anticipano la nascita della World Greatest Jazz Band nella quale ha ancora una volta al suo fianco McGarity. Non riuscirà però a prender parte alle prime incisioni di quest’orchestra perchè la morte lo sorprende a Toronto dove avrebbe dovuto esibirsi per l’ultima volta con gli All Stars di Condon.


15 agosto, 2023

15 agosto 1969 - Alle cinque del pomeriggio inizia Woodstock

Alle cinque del pomeriggio del 15 agosto 1969, sono duecentomila le persone che affollano a Bethel i prati della fattoria di Max Yasgur. Il Woodstock Music and Art Fair sembra destinato a non avere mai inizio, ma i giovani arrivati fin lì non danno l’impressione di preoccuparsene. Non c’è il nervosismo che precede eventi di questo genere. Nella confusione indescrivibile ciascuno aspetta con pazienza che qualcosa succeda. Improvvisamente qualcuno arriva sul palco. È un emozionatissimo Richie Havens che, afferrato il microfono intona con voce tremante la sua Freedom. Inizia così, con un ritardo di molte ore e con la scaletta rivoluzionata, il festival di Woodstock, destinato a entrare nella leggenda come “Tre giorni di pace, amore e musica”. Secondo quanto annunciato dal programma non avrebbe dovuto essere Havens il primo a esibirsi e neppure si sarebbe dovuto attendere il pomeriggio per poter ascoltare le prime note. La manifestazione doveva aprirsi nella mattinata con Joan Baez, seguita da Arlo Guthrie e da Tim Hardin, quindi Havens, poi la Incredible String Band, Ravi Shankar, Bert Sommer e gli Sweetwater, cui era affidato il compito di chiudere la prima delle tre giornate. Già all’alba del 15 agosto, però, si capisce che tutte le previsioni sono saltate. Fin dal giorno prima tutte le linee viarie di comunicazione sono saltate. Una folla immensa sta intasando le strade con ogni mezzo nel tentativo di raggiungere i prati della fattoria di Max Yasgur, incurante degli elicotteri della polizia che con gli altoparlanti invitano a tornare indietro annunciando che l’area del festival è già al limite della capienza. Le autorità preposte all’ordine pubblico fanno diffondere via radio la notizia che la zona viene considerata “area disastrata”, ma non serve a molto. Ogni passaggio degli elicotteri viene accompagnato da gesti di scherno e il fiume umano continua ad avanzare. L’intasamento diventa definitivo quando, vista la situazione, molti ragazzi decidono di abbandonare i propri mezzi di locomozione in mezzo alle strade per continuare a piedi. La situazione che si crea rende, però, difficile, se non impossibile per gli artisti raggiungere l’area del festival. Qualcuno arriverà a piedi, altri riusciranno a garantire la loro presenza solo grazie all’intervento degli elicotteri della polizia. Mentre la fiumana di gente continua ad affluire, l’area destinata al Festival, controllata dai ragazzi della Hog Farm, una comunità hippy che si è assunta l’impegno del servizio d’ordine, ospita già duecentomila giovani, ai quali vengono consegnate razioni gratuite di riso integrale per sopperire alla mancanza di cibo. Alle cinque del pomeriggio il clima non è teso, ma la musica deve iniziare. L’unico cantante presente è Richie Havens, non ci sono dubbi che gli tocchi l’apertura. «Continua fin che ce la fai», gli dicono gli organizzatori e lui va avanti per tre ore, fino allo sfinimento, in attesa che arrivi qualcuno a dargli il cambio. Fortunatamente, quando già il povero Richie comincia a temere di dover cantare per tre giorni da solo, arriva quel folle di Country Joe McDonald che, senza la band, ancora dispersa nel traffico, sale sul palco e intona una lunghissima versione di I feel like I’m fixin’ to die rag, il suo brano contro la guerra del Vietnam, concluso da un coro di centinaia di migliaia di persone che all’unisono con lui urlano un sonoro «Fuck». Anche Country Joe, però, non è di ferro e prima o poi bisognerà pur dargli il cambio, ma non si hanno notizie degli altri artisti previsti dal programma. Gli organizzatori non sanno che pesci pigliare, ma la fortuna è decisamente dalla loro parte. Non si sa bene come, ma scovano tra il pubblico John Sebastian, il leader dei Lovin’ Spoonful, arrivato lì in veste di spettatore. Lo convincono a salire sul palco e guadagnano un’altra preziosa mezz’ora. Nel frattempo comincia ad arrivare qualcuno, sia pure alla spicciolata e senza rispettare l’ordine originario. Dopo Sebastian tocca a Bert Sommer, quindi a Ravi Shankar, la cui esibizione si svolge quasi interamente sotto una pioggia battente e improvvisa. Seguono Arlo Guthrie e gli Sweetwater. Manca sempre Joan Baez. Non c’è problema. Come già per John Sebastian, viene recuperata tra il pubblico Melanie, anche lei arrivata come spettatrice e spedita velocemente sul palco mentre calano le prime ombre della sera. Finalmente arriva anche Joan Baez. Quando la folksinger inizia a cantare è ormai notte fonda e, teoricamente, la prima giornata di Woodstock dovrebbe già essersi chiusa da qualche ora, ma chi ha tempo o voglia di guardare l’orologio?

14 agosto, 2023

14 agosto 1971 – King Curtis accoltellato

Il 14 agosto 1971 il sassofonista King Curtis viene accoltellato a morte da un ladro sorpreso davanti alla porta del suo appartamento a New York. Ha trentasei anni e negli ultimi tempi è divenuto, nei fatti, il direttore musicale di Aretha Franklin, di cui accompagna le esibizioni con la sua band, The King Pins. È sua la tromba che si può ascoltare nell'album Live at the Fillmore West, uno dei migliori della Franklin. Talento precoce, a quindici anni è già un musicista professionista in vari gruppi commerciali della zona di Fort Worth, in Texas, dove è nato. Si trasferisce a New York nel 1952 quando Lionel Hampton lo invita a far parte della sua band. Negli anni successivi lavora con jazzisti di grande valore come Wynton Kelly, Nat Adderley, Sam Jones e molti altri. Parallelamente non disdegna il fronte del rhythm and blues, collaborando con quasi tutti i maggiori esponenti del genere. Eclettico e geniale non vive di sole collaborazioni. Alla testa del suo gruppo si esibisce anche in modo autonomo entusiasmando pubblico e critica con la sua sonorità asciutta e ricca di grinta, con evidenti richiami alla grande scuola del folk blues. Alla fine degli anni Sessanta la sua popolarità si allarga grazie alle musiche scritte per la serie televisiva "Soul", in particolare per il brano Soulful 13 che fa da sigla al programma. Tra le sue composizioni maggiormente conosciute ci sono Soul serenade, Instant groove e Memphis soul stew. La sua morte violenta suscita grande emozione nella scena musicale newyorkese. Tre giorni dopo, il 17, a New York si svolgono i suoi funerali di fronte a una grande folla di musicisti, appassionati e semplici cittadini. Nel corso della cerimonia funebre celebrata dal reverendo Jesse Jackson, sono moltissimi gli artisti che vogliono cantare e suonare per lui. Ci riescono, tra gli altri, Aretha Franklin, Stevie Wonder, Cissy Houston, Brook Benton e Arthur Prysock, Delaney & Bonnie Bramlett, Duane Allman ed Herbie Mann.


13 agosto, 2023

13 agosto 1965 - Il primo volo del Jefferson Airplane

Nell’estate del 1965 la città di San Francisco è un immenso laboratorio musicale. La città più europea degli Stati Uniti vive uno straordinario fermento creativo e culturale in cui si mescolano le utopie delle comunità hippy, i figli dei fiori con la loro idea di “rivoluzione dell’amore”, i primi gruppi più politicizzati in cerca di sbocchi radicali, gli spinelli e la psichedelia. Nei mille ritrovi improvvisati si suona di tutto, dal folk elettrico al blues più nero al jazz, mentre i gruppi nascono e muoiono come i funghi nel sottobosco di un caldo settembre. In questo clima nessuno presta molta attenzione al gruppo in cartellone il 13 agosto 1965 al Matrix Club, uno dei tanti locali alternativi della città. Sono i Jefferson Airplane, la band destinata a rappresentare per San Francisco quello che i Beatles sono stati per Liverpool: la sintesi più alta di un crogiuolo di esperienze passato alla storia con il nome di “San Francisco sound”. La storia del gruppo è iniziata pochi mesi prima per iniziativa di tre personaggi molto conosciuti nei localini alternativi della città: il cantante e poeta Marty Balin, l’occhialuto chitarrista Paul Kantner, un tipo singolare reduce da un’esperienza nell’entourage dei Byrds, e Jorma Kaukonen, anch’egli chitarrista, appassionato di blues e con all’attivo una breve militanza nel gruppo di Janis Joplin. I tre, decisi a dar vita a un gruppo musicale, l’hanno completato con il bassista Jack Casady, il batterista Skid Spence e la cantante Signe Anderson. Con questi sei componenti i Jefferson Airplane esordiscono il 13 agosto 1965 di fronte al pubblico del Matrix. La storia del gruppo è solo all’inizio. La formazione subirà una rapida evoluzione nel giro di pochi mesi. Skip Spence se ne andrà con i Moby Grape e verrà sostituito da Spencer Dryden, mentre Signe Anderson lascerà il suo posto a Grace Slick, l'ex modella ed ex cantante dei Great Society destinata a diventare un personaggio chiave nella vita e nel successo della band. Rapidamente la popolarità dei Jefferson Airplane supererà i confini di San Francisco fino a farli diventare un punto di riferimento fondamentale per un’intera generazione.

12 agosto, 2023

12 agosto 1985 - Kyu Sakamoto, la star giapponese del rock and roll

Il 12 agosto 1985 nella concitazione e nel caldo del periodo attorno a Ferragosto le agenzie battono la notizia di un incidente aereo accaduto nei pressi di Tokyo. In poche asettiche e impersonali righe si dice che sono morte cinquecentoventi persone tra le quali il "famoso Sakamoto". Il nome senza alcuna precisazione o più probabilmente la scarsa cultura musicale di qualche giornalista fa sì che in brevissimo tempo si diffonda la notizia della morte di Ryuichi Sakamoto, uno dei più popolari musicisti giapponesi, già componente della Yellow Magic Orchestra, collaboratore dei Japan e di David Bowie. Mentre si stanno preparando in fretta e furia vari servizi commemorativi dell'artista, Ryuichi Sakamoto in persona compare nei notiziari per dimostrare di essere vivo e vegeto. Finalmente qualcuno decide di capirne di più e scopre che la vittima dell'incidente aereo non è, ovviamente, Ryuichi, ma Kyu Sakamoto, uno dei nove figli di un ristoratore di Tokyo che negli anni Sessanta è riuscito a diventare una star del rock and roll anche in occidente. Il suo debutto risale agli anni Cinquanta quando, giovanissimo, inizia a esibirsi nei jazzclub della capitale giapponese. L'esplosione del rock and roll fa di lui uno degli interpreti idolatrati dai giovani di un Giappone in bilico tra le musiche della tradizione e i nuovi suoni che sostengono la progressiva americanizzazione del paese. La sua musica, per la verità, è una sorta di sintesi tra i ritmi del rock and roll d'importazione e le atmosfere tradizionali. In pochi anni vende milioni di dischi e diventa una star cinematografica e televisiva. Il suo successo è straordinario, ma senza una fortunata combinazione sarebbe, con ogni probabilità rimasto confinato nei confini giapponesi. La buona sorte ha le sembianze di un produttore britannico che, nel 1963, dopo aver ascoltato la sua Ue o muite aruko, ne cura la versione inglese con il titolo di Sukiyaki. Il brano, interpretato da Kenny Ball, si rivela un buon successo di vendite e agevola l'immissione sul mercato della versione originale. Nel mese di giugno del 1963 Kyu Sakamoto arriva al vertice della classifica statunitense nonostante la campagna di alcuni ambienti conservatori e di qualche associazione di veterani della Seconda Guerra mondiale che ricordano come egli non sia altro che un "muso giallo". Il successo favorisce la pubblicazione di un album con i suoi brani migliori, ma è destinato a restare un fatto isolato. Di lui non si parlerà più fino alla scomparsa nell'incidente aereo del 12 agosto 1985.




11 agosto, 2023

11 agosto 1966 - Vade retro Lennon!


L’11 agosto 1966 all’Astor Towers Hotel di Chicago si svolge una burrascosa conferenza stampa dei Beatles, sbarcati negli Stati Uniti per esibirsi in quello che è destinato a essere il loro ultimo tour oltreoceano. Per una volta, però non sono i giornalisti a creare grattacapi ai quattro ragazzi di Liverpool. Anzi, c’è chi rileva come siano “più o meno le stesse del tour precedente”. Quello che disturba è la presenza vociante e aggressiva fuori dall’albergo di varie organizzazioni cristiane integraliste che alzano cartelli in cui si chiede a John Lennon di pentirsi e alle autorità americane di espellere i “blasfemi inglesi”. Allieta l’ambiente un grande falò di dischi e manifesti della band in puro stile Ku Klux Klan. La ragione di tanto trambusto è da ricercare in una non recentissima intervista rilasciata da John Lennon a Maureen Cleave, una giornalista dell’”Evening Standard”, nella quale il musicista rileva, tra l’altro, che “i Beatles sono oggi più conosciuti nel mondo di quanto non sia Gesù Cristo.” In quello stesso 11 agosto, mentre si sta svolgendo la conferenza stampa, un’associazione conservatrice di Memphis chiede che venga annullato il concerto che i quattro di Liverpool dovrebbero tenere nella città. In caso contrario si promettono disordini e contestazioni, oltre che la dannazione eterna per i responsabili del sacrilegio. E mentre il Sudafrica, che non ha mai sopportato John Lennon per il suo impegno antiapartheid, coglie l’occasione per mettere al bando i dischi dei Beatles, i vertici della Chiesa Cattolica tentano di riportare un po’ tutti alla realtà. Su “L’Osservatore Romano” e il “Catholic Herald” compaiono due editoriali molto simili che rilevano come, pur se sbagliate nel tono, le dichiarazioni Lennon siano sostanzialmente vere. Forse perché non leggono, ma più probabilmente perché non capiscono, varie organizzazioni di estrema destra, non tutte a sfondo confessionale, si daranno appuntamento a Memphis il 20 agosto, data del concerto dei Beatles in quella città, per limitarsi a bersagliare con frutta marcia e immondizia la band. I disordini promessi finiranno lì.





10 agosto, 2023

10 agosto 1918 - Il sax selvaggio di Arnett Cobb

Il 10 agosto 1918 nasce a Houston, nel Texas, il sassofonista Arnett Cobb o, come risulta all'anagrafe, Arnett Cleophus Cobb, considerato il sax tenore "più selvaggio" della storia del jazz. Il suo swing mordente al punto da sembrare violento, i suoi attacchi improvvisi e aggressivi contribuiscono a farlo entrare nella leggenda. Non è male per un musicista la cui carriera sembrava destinata a svilupparsi nella musica classica. Cobb, infatti, studia a lungo pianoforte e violino prima di scoprire il fascino del sassofono tenore. Il suo debutto sulle scene jazzistiche avviene nel 1933 quando si esibisce con l'orchestra di Frank Davis nella città dove è nato. Tra lui e il jazz, ma soprattutto tra lui e il sassofono, è amore a prima vista, una passione intensa che lo porta a vagabondare tra le maggiori orchestre di quel periodo. Dal 1934 al 1936 è con Chester Booner, poi se ne va con la band di Milton Larkins dove incontra Illinois Jacquet ed Eddie Vinson. Sono queste due vecchie volpi a incoraggiare il suo lato musicalmente più aggressivo e a fare di lui un protagonista della scena jazzistica mondiale. A partire dal 1942, con l'orchestra di Lionel Hampton, la sua popolarità si consolida definitivamente. Il destino, però, è in agguato. Nell'aprile del 1947, deciso a sfruttare fino in fondo il buon momento artistico, lascia Hampton e si mette in proprio con una band costruita su misura per mettere in risalto le sue caratteristiche. L'esperienza dura soltanto qualche settimana perché Cobb si ammala seriamente. Per due anni il suo orizzonte diventano le pareti che circondano il letto dove sta combattendo contro una malattia che i medici ritengono incurabile. Alla fine la ce la fa a vincere la battaglia, ma non potrà più abbandonare le stampelle. Nonostante tutto riprende il sax tenore e ricomincia da capo. Nel 1951, a quattro anni dalla scomparsa dalle scene, torna a esibirsi in pubblico con una piccolo gruppo di cui è l'indiscusso leader. Le difficoltà fisiche e la lunga malattia non ne hanno compromesso in alcun modo l'irruenza. La sua ostinata caparbietà ha fatto il miracolo. L'ambiente lo accoglie con immutata simpatia e spesso il suo vecchio leader Lionel Hampton lo vuole accanto a sé nel ruolo che l'ha reso famoso. Indimenticabile resta la sua apparizione alla Grande Parade di Nizza, in Francia, del 1978 con la band di Hampton, dove riconferma sul campo anche di fronte a un pubblico difficile come quello europeo la sua fama di sax tenore "più selvaggio" della storia del jazz.

09 agosto, 2023

9 agosto 1974 – Bill Chase, profeta del jazz rock

Il 9 agosto 1974 un piccolo Piper che sta sorvolando Jackson nel Minnesota si ritrova sulla strada di una violentissima tromba d'aria. Travolto dal vento precipita e si fracassa al suolo. Il velivolo è il mezzo di trasporto dei Chase, la band capitanata dal trombettista Bill Chase, che perde la vita nell'incidente. Con lui, oltre al pilota, muoiono altri tre strumentisti della sua band: l'organista Wallace Wohn, il bassista Walter Clark e il chitarrista John Emma. A trentanove anni si chiude così la carriera di William "Bill" Chase, uno dei grandi sperimentatori del jazz rock. Nato a Boston, nel Massachusetts, negli anni Sessanta, poco più che ventenne, è già popolarissimo per la sua tecnica superlativa messa in mostra nelle orchestre di Stan Kenton, Maynard Ferguson e, soprattutto, di Woody Herman. All'inizio degli anni Settanta, attratto dalle contaminazioni tra jazz e rock sviluppate da gruppi come i Chicago e i Blood, Sweat & Tears, si lancia con entusiasmo nelle sperimentazioni di frontiera tra i due generi. Nella primavera del 1971 ottiene uno straordinario successo con l'album Chase, considerato uno dei primo grandi capolavori del jazz rock. Il disco vende quasi mezzo milione di copie (una sorta di record per un disco di jazz) e viene scelto dai lettori della rivista specializzata Down Beat come migliore album dell'anno. Per dare continuità al suo lavoro crea i Chase, una band con la quale si esibisce anche al festival di Newport. Il primo album con il gruppo non ripete il successo del precedente. Il fiasco lo mette in crisi. Per molto tempo accarezza l'idea di mollare tutto, ma poi si scuote e decide di ricominciare. Riformati i Chase inizia una lunga tournée attraverso gli Stati Uniti entusiasmando il pubblico con i suoi pirotecnici show. La critica che l'aveva stroncato torna pian piano a occuparsi di lui mentre si parla di un nuovo album. Una tromba d'aria decide per tutti. La sua carriera e la sua vita finiscono a Jackson.

08 agosto, 2023

8 agosto 1975 – Nashville, specchio degli USA

L'8 agosto 1975 Robert Altman presenta il film “Nashville”. Annunciato come un un grande affresco sul mondo della musica country, ma anche una lucida analisi, tutt'altro che metaforica, sulla provincia statunitense con i suoi vizi e con le sue tentazioni razziste, autoritarie e di destra. La narrazione descrive lo svolgersi parallelo di due avvenimenti che si intersecano tra di loro: un festival di musica country per il bicentenario della nascita degli Stati Uniti e la campagna elettorale di un candidato alla presidenza. Utilizzando una tecnica di registrazione sonora a otto piste capace di fondere suoni, musica, voci e slogan, il regista racconta attraverso le vicende di ventiquattro personaggi cinque giorni di baldoria paesana che si concludono con l'uccisione di una cantante da parte di un reduce dal Vietnam, mentre il pubblico continua a cantare It don't worry (Non importa). Il tema caro ad Altman dell'esistenza alienata, spesso brutalizzata dalla casualità degli eventi, spicca sullo sfondo di una città, Nashville, che non è vista soltanto come la capitale della country music, ma come l'emblema stesso della schizofrenica e caciarona identità culturale statunitense. Il cast mescola personaggi inventati ad altri veri che interpretano se stessi come Jonnie Barnett, Vassar Clements, i Misty Mountain Boys, Sue Barton, Elliott Gould e Julie Christie. "Nashville" divide l'opinione pubblica statunitense. C'è chi lo considera un capolavoro e chi, indignato, parla di «oltraggio ai valori fondanti della nazione». Oggetto di polemiche accese finirà per essere bistrattato, nonostante i lusinghieri giudizi della critica di tutto il mondo, dall'Academy Awards, la giuria che assegna gli Oscar. Il film riceverà, infatti, soltanto un unico striminzito Oscar per la canzone I'm easy, scritta da Keith Carradine e cantata dallo stesso in una esilarante scena in cui quattro donne pensano contemporaneamente di essere le destinatarie dell'esecuzione.

07 agosto, 2023

7 agosto 1941 – Una tuba jazz prestata al pop

Il 7 agosto 1941 nasce a Montgomery, nell'Alabama, Howard Lewis Johnson, polistrumentista tra i più versatili del jazz e del rock statunitense degli anni Settanta. Dalla tuba al sassofono, al trombone, al flicorno, non c'è strumento a fiato con il quale non si sia sperimentato con successo. Ancora piccolo resta affascinato dalle orchestrine jazz che gironzolano nell'Ohio, stato nel quale si è trasferito poco tempo dopo la nascita. Non potendo contare su maestri affidabile rubacchia il mestiere qua e là e a tredici anni sa già cavarsela egregiamente con il sassofono baritono. In breve diventa un po' la mascotte dei musicisti che operano nella sua zona e nel 1955 inizia a frequentare un corso (quasi) regolare di tuba. Non fa in tempo a terminare gli studi che deve indossare la divisa marina statunitense. Ci resta quattro anni, passati in gran parte a Chicago, ma mantiene i contatti con l'ambiente del jazz. Proprio a Chicago conosce Eric Dolphy, che lo consiglia di trasferirsi a New York. Ci va nel 1963 e un anno dopo entra a far parte del gruppo di Charlie Mingus con cui resta fino al 1966, senza rinunciare ad altre collaborazioni come quelle con Gil Evans, Hank Crawford, Archie Shepp e Buddy Rich, soltanto per citarne alcuni. In questo periodo inizia anche il suo rapporto con il Composer's Workshop Ensemble, destinato a durare a lungo. Quando molla la band di Mingus, dopo un breve periodo a Los Angeles, nel settembre del 1967 forma a New York i Substructure, un gruppo di solisti di tuba che cambia poi nome in Gravity. Oltre a lui e alla indispensabile sezione ritmica ne fanno parte Joe Daley, Morris Edwards, Carleton Greene, Jack Jeffers e Bob Stewart. Negli anni Settanta collabora a vari progetti di Carla Bley e, come molti altri strumentisti, allarga il suo interesse anche al di fuori del jazz. Particolarmente interessante risulta la sua collaborazione con Taj Mahal. Compare anche insieme alla Band nel film di Scorsese "The Last Waltz".

06 agosto, 2023

6 agosto 1970 - Mai più Hiroshima, basta con la guerra!

«Mai più stragi inutili, mai più guerra!». Il variegato mondo del pacifismo statunitense si mobilita, nell’estate del 1970, per ricordare il venticinquesimo anniversario dell’esplosione della bomba atomica di Hiroshima. Lo fa sapendo che non sarà una passeggiata perché “peace and love” è un bello slogan se serve a decorare le magliette o le copertine dei dischi, ma diventa pericoloso e sovversivo se trasferito nella realtà. E la realtà è che gli Stati Uniti sono impegnati a “difendere la civiltà occidentale” nelle paludi della penisola indocinese e che, come contro i giapponesi, il fine giustifica qualunque mezzo. Ieri era giusto lanciare un paio di bombe atomiche contro un paese già prossimo alla resa come oggi il napalm è l’unico modo per “stanare i musi gialli” da quelle giungle così intricate dove i marines si perdono. Il movimento pacifista sa che il ricordo di Hiroshima rischia di essere un ingombrante fantasma per l’establishment americano e che la celebrazione del venticinquennale non avrà vita facile. Decide così di costringere il “nemico” a dividere le forze. Per il 6 agosto 1970 programma due concerti in contemporanea, entrambi dedicati all’anniversario della bomba atomica di Hiroshima, entrambi contro la guerra. Il primo si dovrebbe svolgere a New York e l’altro a Filadelfia. Gli organizzatori sono sicuri che nessuno dirà loro un chiaro e tondo “no”, ma con altrettanta sicurezza si rendono conto che si tenterà in ogni modo di impedire le due manifestazioni. Parte così una corsa a ostacoli contro il tempo e le complicazioni burocratiche. Il 6 agosto allo Shea Stadium di New York più di ventimila persone gridano il loro impegno per la pace mentre sul palco si esibiscono John Sebastian, Janis Joplin, Paul Simon, Paul Butterfield, Johnny Winter e tutto il cast del musical “Hair”. La stessa sera tutto tace, invece, al JFK Stadium di Filadelfia. Guarda caso, la mancanza di banalissimo certificato ha impedito la concessione dello stadio: all’ultimo momento, naturalmente.

05 agosto, 2023

5 agosto 1967 – Il primo album dei Pink Floyd

Il 5 agosto 1967 viene pubblicato The piper at the gates of dawn, il primo album dei Pink Floyd. La realizzazione del disco è stata preceduta dal licenziamento di Joe Boyd, il produttore della band, e dalla sua sostituzione con Norman Smith, più gradito alla Columbia, l'etichetta del gruppo EMI alla quale sono legati contrattualmente. È proprio Smith il primo a intuire che le potenzialità dei Pink Floyd non possono essere compresse nel ristretto spazio di un singolo. Per questa ragione lascia mano libera alla band nella scelta dei brani da inserire nel loro primo album. Il risultato è un disco splendido, completamente ispirato dal genio visionario del chitarrista Syd Barrett. A lui si deve, oltre che la composizione di ben dieci degli undici brani dell'album, anche la scelta del titolo The piper at the gates of dawn, ispirato a uno racconto dello scrittore underground Kenneth Graham. L'impronta di Barrett non finisce qui, visto che s'è anche occupato delle grafica della copertina. Il disco segna una forte discontinuità con i due singoli che l'hanno preceduto. Due brani in particolare, Astronomy domine e Interstellar overdrive sono destinati a vivere a lungo entrando nei classici senza tempo della band. L'album, accolto con stupore e qualche perplessità dalla critica, vola alto nelle classifiche di vendita aprendo ai nuovi leader della psichedelia britannica le porte del mercato internazionale. Di lì a qualche mese, infatti, i Pink Floyd partiranno per la loro prima tournée negli Stati Uniti. Soprattutto nei concerti dal vivo emerge con forza la completa dipendenza della band da Syd Barrett, la cui carismatica presenza scenica è però resa ogni giorno più imprevedibile dalla costante assunzione di forti dosi di LSD. I rapporti interni al gruppo vengono messi a dura prova nonostante o, forse, a causa del crescente successo. I Pink Floyd da band "di nicchia", con un seguito ristretto a pochi ma fedeli appassionati, si ritrovano, quasi da un giorno all'altro, a dover gestire il ruolo di profeti della psichedelia con un crescente ed entusiastico seguito di pubblico. Con il passar del tempo cresce l'insofferenza dei compagni nei confronti di Barrett, spesso alle prese con disturbi mentali provocati dall'azione dell'acido lisergico. Proprio in questo periodo inizia l'evoluzione che li porterà prima ad affiancare, poi a sostituire il loro fragile leader con David Gilmour. I fans della prima ora lo rimpiangeranno per sempre, ma per i Pink Floyd inizierà l'era dei grandi successi mondiali.

04 agosto, 2023

4 agosto 1972 – 10CC, la faccia scanzonata del rock progressivo

Il 4 agosto 1972 l’etichetta UK di Jonathan King pubblica Donna, il primo singolo dei 10CC, una band che nel proprio nome ha aggiunto un centimetro al volume massimo dell’eiaculazione umana. Il gruppo si forma a Manchester con i chitarristi Eric Stewart e Lol Creme, il batterista Kevin Godley e il bassista Graham Gouldman. Nessuno di loro è alla prima esperienza. Stewart e Gouldman fino al 1968 hanno fatto parte dei Mindbenders di Wayne Fontana. Il secondo, poi, è l'autore di una lunga serie di brani di successo per gli Hollies, gli Herman's Hermits e gli Yardbirds, oltre a un album in proprio prodotto da John Paul Jones dei Led Zeppelin. Dopo lo scioglimento dei Mindbenders Stewart ha formato con gli ex Sabres Godley e Creme gli Hotlegs. Proprio dalla struttura di questa band, con l’innesto di Gouldman, nascono i 10CC. Donna, il loro primo singolo, non è un fulmine di guerra. Piace, ma non convince del tutto. I primi risultati positivi arrivano con il terzo singolo Rubber bullets, fiondatosi immediatamente al vertice della classifica britannica dei dischi più venduti, e con l’album 10CC. A partire dal 1973 diventano uno dei più importanti fenomeni musicali di quel periodo. Dotati di una sorprendente capacità di condensare in brevi brani orecchiabili suoni e ritmi di provenienza eterogenea i 10CC scoprono il lato più divertente del rock progressivo e scalano le classifiche di mezzo mondo con i loro album. Il successo non basta, però, a tenere insieme i quattro musicisti. Nel 1976, infatti, Godley e Creme lasciano la band per formare un duo con il proprio nome, mentre Stewart e Gouldman, inserito il organico il batterista Paul Burgess tentano continuare. L’anno dopo risistemano la formazione aggiungendo un altro batterista, Stuart Tosh, un tastierista, Tony O'Malley e un bassista, Ric Fenn. Alla fine del 1977, con alle spalle un tour mondiale di grande successo e un paio di dischi milionari, l’organico della band cambia ancora. Tony O’Malley se ne va e al suo posto arriva Duncan McKay, ex componente dei Cockney Rebel. Nel 1979 inizia il declino. Bloccato a lungo dai postumi di un grave incidente, Eric Stewart cura la produzione dell'album Facades dei Sad Cafe e scrive la colonna sonora del film "Girls". Anche Gouldman scrive musica per il cinema e si dedica a varie produzioni. I nuovi interessi dei due leader segnano il destino dei 10CC che nel 1983, dopo la pubblicazione di Windows in the jungle, si separeranno definitivamente.

03 agosto, 2023

3 agosto 1969 - Carl Wilson, un imbarazzante disertore

Il 3 agosto 1969 Carl Wilson, il chitarrista dei Beach Boys, compare davanti alla Corte Federale di Los Angeles per rispondere dell’accusa di diserzione. Non è un reato da poco negli Stati Uniti dell’epoca, dove vige la coscrizione obbligatoria e il paese è impegnato in una guerra mai dichiarata nel Vietnam. Obiettore di coscienza il musicista, dopo una lunga trattativa caratterizzata da blandizie e proposte nel tentativo di farlo recedere dai suoi propositi, aveva ottenuto di sostituire la divisa con il servizio civile. Poteva evitarselo. In fondo, gli avevano detto tutti, poteva anche accettare di farsi il periodo di leva sotto le armi. Non avrebbe certo rischiato, lui così biondo, bianco e famoso, di andare a combattere nelle giungle indocinesi. Tutt’al più gli sarebbe toccato di visitare in elicottero qualche base militare USA ben lontana dal fronte, ripulito e con la divisa in perfetto ordine, a uso e consumo dei fotografi e dei telegiornali. Nonostante tutto ha detto no. I militari non hanno gradito e, alla prima occasione si sono vendicati. Quando non si è presentato nel luogo e nel giorno stabiliti per l'inizio del servizio civile hanno chiesto il suo rinvio a giudizio per diserzione, salvo scoprire quasi subito di non aver avuto una bella idea in un periodo in cui sta crescendo nell’opinione pubblica l’opposizione alla guerra in Vietnam. Tutta l’America infatti viene così a sapere che persino uno dei componenti del gruppo-simbolo dello scanzonato disimpegno californiano tutto casa, surf e ragazze si rifiuta di vestire la divisa. L’udienza del 3 agosto si risolve in pochi minuti perché Carl presenta ai giudizi un certificato da cui risulta che nel giorno in cui avrebbe dovuto iniziare a lavorare nel servizio civile era ricoverato in ospedale. Il processo finisce lì. Uscendo dall’aula il chitarrista dice ai giornalisti che, a parziale risarcimento del disturbo arrecato alla collettività dalla sua ritardata presentazione, i Beach Boys suoneranno gratuitamente in ospedali, carceri e in altri luoghi “dove c’è gente che soffre”.

02 agosto, 2023

2 agosto 1951 - Andrew Gold, figlio della musica da film

Il 2 agosto 1951 nasce a Burbank, in California, il cantante e autore Andrew Gold, definito scherzosamente "figlio della musica da film". Suo padre, infatti, è il compositore Ernest Gold, autore di colonne sonore di film famosi, primo fra tutti "Exodus". La vicinanza con la musica che fa da sfondo alle vicende cinematografiche non si ferma qui. Anche sua madre, la cantante Marni Nixon, ha una lunga serie di trascorsi vocali con le tracce da film. Sua è la voce prestata a Natalie Wood in "West Side Story" e sempre lei canta le canzoni che finge d'interpretare Audrey Hepburn in "My fair lady". Con queste premesse è inevitabile che il piccolo Andrew finisca per considerare la musica come un elemento essenziale della sua vita e gli strumenti musicali il complemento ideale dei suoi giochi. Ancora adolescente è già considerato nell'ambiente un polistrumentista di valore. Appena riesce a liberarsi dal condizionamento famigliare forma la sua prima band, i Bryndle, insieme a un altro talento precoce come la cantante Karla Bonoff. L'esperienza non dura molto. Negli anni successivi, dopo aver suonato il basso con Maria Muldaur, inizia una lunga collaborazione con Linda Ronstadt che gli dà modo di liberarsi dell'immagine di "figlio d'arte" e di conquistarsi la fama di musicista capace di garantire buoni risultati sia a livello esecutivo che creativo. Nel 1975 riesce anche a convincere i discografici a dargli più spazio e consentirgli finalmente di pubblicare il suo primo album da solista. Il disco, intitolato semplicemente Andrew Gold, non è un fulmine di guerra, ma non va nemmeno tanto male, per cui continuerà a pubblicare senza troppi assilli un album all'anno. Nel 1980 ottiene un inaspettato successo commerciale con il singolo Lonely boy. Negli anni successivi lavorerà con vari artisti tra cui Carly Simon e Art Garfunkel e nel 1986 formerà insieme all'ex 10CC Graham Gouldman il duo dei Wax. Visti i risultati non esaltanti tornerà a lavorare da solo. Muore per un collasso cardiaco il 3 giugno 2011.