29 ottobre, 2018

30 ottobre 1933 – Alberto Collatina, il jazzista che ha imparato la musica dalla nonna


Il 30 ottobre 1933 nasce a Roma Alberto Collatina, uno dei più dotati polistrumentisti italiani. Cresciuto in una famiglia di musicisti, è ancora un bimbetto quando impara dalla nonna concertista a premere con grazia i tasti bianchi e neri del pianoforte dedicandosi poi allo studio di vari strumenti. Per qualche tempo si fa valere nel campo della musica pop come pianista, fisarmonicista, bassista e batterista ma l'incontro con Sandro Brugnolini gli apre la strada al jazz. Alla fine degli anni Quaranta impara a suonare il sassofono (prima il tenore e poi il soprano) da Ivan Vandor. Dopo essersi perfezionato con il maestro Nardacci, nel 1952 passa al trombone a coulisse e, successivamente, a quello a pistoni. Alla metà degli anni Cinuanta è uno dei pochissimi polistrumentisti italiani in grado di suonare tutti i sax e tutti gli ottoni salvo la tromba. Con Brugnolini e altri costituisce nel 1950 la Junior Dixieland Band, una band in linea con la moda revival del periodo che nel 1952 evolve verso un jazz più elaborato con un buon successo. Sempre con Brugnolini suona nella Modern Jazz Gang per approdare poi negli anni Sessanta alla Roman New Orleans Jazz Band.






29 ottobre 1981 – Se ne va Georges Brassens, l’orso della canzone


Il 29 ottobre 1981 nel piccolo villaggio di Saint-Gély-du-Fesc, tra Séte e Montpellier muore Georges Brassens, un artista unico, un orso dotato di una genialità e un’ironia senza pari, scorbutico al punto da spaventare anche Fabrizio De André. Si racconta, infatti che il cantautore genovese, nonostante le parole di apprezzamento dello chansonnier per le versioni italiane delle sue canzoni da lui curate, non ha mai voluto incontrarlo temendo il suo brutto carattere. Nessuno può sapere se e quanto ci sia di vero in questa storia è vera ma non importa perchè certe storie hanno ragione d’esistere indipendentemente dalla loro veridicità. Aneddoti a parte Georges Brassens non ha mai avuto un bel carattere e il suo modo di scrivere canzoni non è differente dalla sua brusca capacità di relazione con il mondo. Mette al centro delle cure la parola. Come un artigiano perennemente insoddisfatto, la lima, la aggiusta, la adatta e quando non è convinto la sostituisce. Il risultato è una scrittura matematica che attraverso architetture ardite sviluppa un linguaggio raffinato con un rigore formale che non ammette deroghe. I suoi versi sono una costruzione perfetta, precisa come un orologio svizzero, complessa e insieme così semplice da poter essere cantati in coro dai liceali di buona famiglia come dagli avventori delle osterie o dai bambini. In questa fusione tra semplicità dei concetti e ricerca della perfezione formale c’è il segreto della grandezza e della longevità di Brassens. È il miracolo di quel coacervo di sentimenti, emozioni e passioni che l’umanità chiama da sempre poesia. Il suo non è il gioco dell’enigmista, l’esercizio senza scopo del letterato innamorato della propria cultura e delle proprie parole. In lui la poesia è forma ma anche sostanza. Le sue canzoni, pur attraversate da una febbrile tensione morale, si abbeverano alle sorgenti inesauribili dell’ironia e di quella capacità di benevolenza che gli antichi chiamavano “pietas” e che non può essere compiutamente rappresentata dalla sola parola “pietà”. Figlio di un muratore Georges Brassens nasce a Sète nel 1921 e lì nei dintorni muore sessant’anni dopo. In mezzo tra la nascita e la morte c’è una vita intensa, iniziata rubacchiando qua e là come un comune teppistello da strada e proseguita tra mille mestieri, compreso quello di spazzacamino e d’operaio alla Renault, passata per l’occupazione nazista, un campo di lavoro in Germania e l’adesione convinta al movimento anarchico. Quando arriva a Parigi non ha ancora compiuto vent’anni. Vive per lungo tempo a poche centinaia di metri dal parco che oggi porta il suo nome ubicato nei pressi del vecchio mattatoio. La capitale lo affascina, lo ispira e lo accompagna per quasi tutta la vita anche se non riesce mai a conquistarlo completamente tanto che quando sente che la morte sta per arrivare chiede di tornare a Sète, in quella che considera davvero casa sua. L’atteggiamento è in linea con un personaggio che nella propria vita si cura pochissimo della forma, diversamente da quanto accade nella sua poesia e nelle sue canzoni. Eppure, nonostante tutto, senza Parigi probabilmente non esisterebbe Brassens. È nella Parigi dei primi anni del dopoguerra, infatti, che trova gli umori giusti per far decollare le sue canzoni. Nella capitale francese respira l’aria degli esistenzialisti, sia pur senza troppo confondersi si mescola con gli intellettuali e gira per le cantine con il suo piccolo ensemble di derivazione jazz mettendo in musica le poesie di autori scomodi come François Villon. In questi fumosi locali negli anni Cinquanta nasce la sua fama di interprete della canzone sociale, erede della tradizione della chanson réaliste. I personaggi che popolano i suoi brani sono quasi sempre gli ultimi, quelli che vivono ai margini della società cosiddetta civile e, spesso, si prendono gioco anche degli intellettuali con le loro presunzioni. Nonostante tutto però proprio l’intellettualità parigina finisce per amarlo alla follia. Non è l’unica contraddizione del lungo percorso artistico di Brassens perché il gioco delle parti a volte è riserva sorprese inaspettate. A lui, anarchico e anti-istituzionale per eccellenza toccherà in sorte di ricevere encomi e riconoscimenti da alcune tra le più paludate e prestigiose istituzioni francesi. Se la poetica letteraria dei brani di Georges Brassens appare rigida nella sua definizione formale fino ad apparire più vicina all’Ottocento che al Novecento la musica non è da meno. Impermeabile alle mode e a qualunque evoluzione, la struttura di tutti i suoi dischi dal 1951 alla fine degli anni Settanta è sempre impostata su voce, chitarra e contrabbasso. Sbaglierebbe però chi s’immaginasse una lunga serie di brani sostanzialmente tutti uguali come accaduto alla canzone cantautorale italiana e anche a quella statunitense nella sua fase calante. Georges Brassens non attinge da quel pozzo. Per quel che riguarda i testi si riallaccia alla grande tradizione della chanson réaliste francese, quella che ha tradizionalmente per protagoniste le figure che popolano i bassifondi: vagabondi, poveri protettori, sbandati, prostitute, ladruncoli e delinquenti di strada. Prima di lui il genere era caduto nella stanca ripetitività didascalica. Lui impugna la ramazza, toglie la polvere, spazza le ragnatele e mette chanson la réaliste in relazione con le nuove pulsioni musicali derivate dal jazz e soprattutto dallo swing. In questa operazione fa tesoro della lezione surrealista di Charles Trenet che lui considererà sempre il suo maestro. Il risultato è che le sue canzoni, lungi dal restare aristocraticamente riservate a pochi intenditori, finiscono per diventare un patrimonio disponibile a tutti. Ascoltandole si piange e si ride, ci si indigna e ci si commuove perché le sue storie sono hanno una forza comunicativa cui non si può resistere. C’è chi gli ha rimproverato per questo una scarsa coerenza con la sua militanza nel movimento anarchico come se l’impegno politico e sociale in musica avesse il dovere di produrre solo inni. Lui non ha mai risposto lasciando che le canzoni parlassero da sole. La carica rivoluzionaria contenuta in storie come quella del gorilla che sodomizza l’autorità viaggia sul filo dell’ironia e dell’intelligenza. Se qualcuno non ce l’ha né Brassens né altri possono farci niente. Georges Brassens nasce il 22 ottobre 1921 a Sète, una città della Francia meridionale dove resta fino al 1940 quando va a Parigi. Appassionato di poesia nel 1942 riesce a pubblicare un volumetto con le sue composizioni che passa inosservato. Lavora come operaio alla Renault ma nel marzo del 1943 viene reclutato a forza dai tedeschi per il Servizio di Lavoro Obbligatorio e spedito in Germania. Non ci resta per molto. Sfruttando una licenza torna a Parigi e si nasconde in casa di Jeanne Le Bonniec, la bretone che l’ospiterà a pensione per una ventina d’anni. Dopo la Liberazione di Parigi nel 1946 aderisce alla Federazione Anarchica e scrive con vari pseudonimi sul giornale “Le Libertaire", Nello stesso periodo comincia a cantare in pubblico le sue canzoni. Negli anni successivi suona in vari locali. La svolta arriva il 6 marzo 1952 quando tra pubblico che l’ascolta c’è Patachou, uno dei personaggi più popolari del cabaret francese. Patachou resta impressionata dalle sue canzoni e lo ingaggia per aprire i suoi spettacoli. Tre giorni dopo, il 9 marzo Georges Brassens debutta al Trois Baudets, uno dei templi del cabaret parigino di quel periodo. È il successo. Prima della fine dell’anno incide il suo primo album. Da quel momento, pur tra alti e bassi, la sia carriera continuerà ininterrottamente fino alla fine degli anni Settanta. Nel mese di novembre del 1980 si ammala di cancro. Quando capisce di essere condannato decide di lasciare Parigi. Nell'estate del 1981 torna nella sua città natale e il 29 ottobre dello stesso anno muore nel piccolo villaggio di Saint-Gély-du-Fesc, tra Séte e Montpellier, dove è ospite del suo amico e medico Maurice Bousquet.


28 ottobre, 2018

28 ottobre 1891 – La prima volta di Nicola Maldacea


Il 28 ottobre 1891 al Salone Margherita di Napoli fa il suo debutto Nicola Maldacea. Emozionato l'artista propone al pubblico un paio di macchiette che ottengono un buon successo. Inizia così la storia artistica di uno dei personaggi più popolari del café chantant italiano. Nato a Napoli il 29 ottobre 1870 frequenta, giovanissimo la “scuola di declamazione e recitazione” di Carmelo Marroccelli con scarsi risultati. Nonostante lo scetticismo dei suoi insegnanti il ragazzo ha talento e molta voglia di arrivare. Immediatamente dopo il debutto vagabonda per i locali italiani dove pian piano la sua popolarità cresce fino a farne una delle più pagate star del cafè-chantant. Ottiene uno straordinario successo anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti dove si esibisce nel 1922 in una leggendaria tournée con Ria Rosa. Anche il cinema si accorge di lui e gli affida ruoli significativi in film come "Kean" nel 1940 e "Miseria e nobiltà" nel 1941. Le dispendiose passioni per il gioco e per le belle donne lo costringono a lavorare fino al giorno della sua morte, che avviene a Roma il 5 marzo 1945.


22 ottobre, 2018

22 ottobre 1958 - La prima volta di ‘Canzonissima’


Il 22 ottobre 1958 va in onda la prima puntata di “Canzonissima”, una sfida musicale collegata alla Lotteria di Capodanno, che qualche anno più tardi cambierà nome in Lotteria Italia. Il ruolo di presentatore-conduttore è affidato a Renato Tagliani, mentre l’ospite fisso è Ugo Tognazzi, che verrà sostituito successivamente da Walter Chiari. La prima edizione si concluderà il 4 gennaio con la vittoria di Nilla Pizzi, che canta L’edera, davanti a Claudio Villa con Arrivederci Roma. Verranno venduti 2.246.763 biglietti della lotteria e il possessore del biglietto accoppiato alla canzone vincitrice riceverà un premio di 100 milioni.

20 ottobre, 2018

21 ottobre 1996 - I cantautori non sono il diavolo!


Il 21 ottobre 1996 il programma televisivo “Roxy Bar” condotto da Red Ronnie ha un ospite d’eccezione e inusuale. Si tratta del cardinale Ersilio Tonini. Il prelato dovrebbe confrontarsi con il cantautore Francesco De Gregori dopo le polemiche scatenate dal L’Osservatore Romano, il giornale del Vaticano, nei confronti dei cantautori italiani per l’utilizzazione di Dio nei loro testi. Il confronto, annunciato dalla stampa come una sorta di resa dei conti tra la musica dei giovani e la Chiesa, attira l’attenzione di milioni di spettatori. Contrariamente alle previsioni non c’è battaglia, ma un gesto ufficiale di conciliazione da parte dell’autorevole esponente della Chiesa Cattolica. Al termine del faccia a faccia con Francesco De Gregori, infatti, il cardinale Ersilio Tonini, si alza e abbraccia il cantautore esclamando «Posso ringraziare Dio di avere fatto uno come te».

20 ottobre 1977 – Una copertina premonitrice per i Lynyrd Skynyrd


Il 20 ottobre 1977 un Convair 240 della compagnia privata Falcon Airways decolla da Greenville, nel South Carolina, con destinazione Baton Rouge, in Louisiana. A bordo, tra i ventisei passeggeri, ci sono i componenti dei Lynyrd Skynyrd accompagnati dal loro manager e dal trio vocale femminile delle Konkettes, da un anno coriste della band. Il gruppo sta recandosi alla Louisiana University di Baton Rouge dove ha in programma un concerto. Mentre sorvola lo stato del Massachusetts l’aereo ha un’improvvisa avaria. Il pilota tenta un atterraggio di fortuna, ma non può evitare l’impatto violento con il terreno, che avviene nei pressi della città di Gillsburg. Fortunatamente nello schianto il velivolo non prende fuoco, ma nell’incidente muoiono sei passeggeri, tra cui il cantante dei Lynyrd Skynyrd Ronnie Van Zandt, il chitarrista Steve Gaines, sua sorella Cassie, corista, e Dean Kilpatrik, il manager. Tutti gli altri componenti del gruppo, pur feriti, non sono in pericolo di vita. Tre giorni prima dell’incidente i Lynyrd Skynyrd hanno pubblicato l’album Street survivors, la cui copertina è illustrata da un fotomontaggio premonitore che mostra i componenti del gruppo avvolti dalle fiamme. La storia dei veri Lynyrd Skynyrd finisce qui, anche se negli anni successivi i membri superstiti tenteranno di riformare sull’onda della nostalgia quello che, con l'Allman Brothers Band e la Marshall Tucker Band, è stato uno dei maggiori gruppi del rock sudista. A differenza degli altri due gruppi però Van Zandt e i suoi compagni, non ne hanno rappresentato l’anima innovatrice, né si sono proposti di recuperare gli aspetti più significativi della tradizione musicale sudista. In tutta la loro carriera essi si identificano con gli umori peggiori degli stati del sud degli Stati Uniti. Apertamente reazionari, all’inizio del 1977 appoggiano ufficialmente la campagna elettorale del leader razzista George Wallace. I brani riflettono questo clima e infiammano i giovani sottoproletari bianchi degli stati del sud, che ne assimilano la voglia di rivincita. La parte più intensa della loro storia finisce a Greenville, con la morte di Van Zandt, vero leader e anima del gruppo, ma la sfortuna no. Colpirà di nuovo, negli anni successivi, anche altri componenti della band tanto da alimentare la leggenda che vede nei Lynyrd Skynyrd un “gruppo maledetto”.


15 ottobre, 2018

16 ottobre 1984 - Oscurate (per poco) le reti di Berlusconi


Il 16 ottobre 1984 i pretori di Roma, Torino e Pescara dispongono che vengano oscurate le emissioni di Canale Cinque, Italia Uno e Retequattro le tre reti divenute di proprietà di Silvio Berlusconi per violazione delle norme vigenti in materia di telediffusione. Pochi giorni dopo il Presidente del Consiglio Bettino Craxi presenterà un decreto legge per consentire al gruppo privato di riprendere le trasmissioni sul territorio nazionale. Il cosiddetto “decreto Berlusconi” verrà respinto dalla camera perché incostituzionale, ma sarà riproposto e approvato definitivamente il 31 gennaio 1985.


13 ottobre, 2018

14 ottobre 1977 – Muore Bing Crosby


Il 14 ottobre 1977 muore Bing Crosby, uno dei personaggi più importanti della musica pop statunitense. Nato a Tacoma, nello stato di Washington, il 2 maggio 1904 da Harry Crosby e Kate Harrigan, cresce a Spokane. La sua famiglia non se la passa benissimo e il ragazzo deve abbinare il lavoro allo studio per essere di aiuto alla numerosa famiglia. A otto anni viene soprannominato Bing, come il popolare personaggio della comic strip “Bingleville Bugle” di cui è un appassionato lettore. Studia alla Webster School e poi al Gonzaga Institute, retto dai Gesuiti, dove inizia, ma non completa, gli studi di legge. Le sue prime esperienze musicali risalgono al 1920, quando è batterista e cantante dei Juicy Seven, un gruppo scolastico. Nel 1921 entra a far parte dei Musicaladers un gruppo modellato sullo stile della Original Dixieland Jazz Band. In quegli anni dà vita anche a un duo novelty di canto e piano con il pianista del gruppo, Al Rinker, fratello della cantante Mildred Bailey. Nel 1925, dopo lo scioglimento dei Musicaladers, i due si trasferiscono a Los Angeles, e, grazie all'interessamento di Mildred Bailey, vengono ingaggiati dalla compagnia di vaudeville Fanchon & Marco al Boulevard Theatre di Los Angeles. Le loro interpretazioni jazzate di motivi di successo (San, China Boy, Copenhagen) integrate da effetti speciali mutuati dai Mound City Blue Blows e da occasionali battute comiche, ottengono un buon successo. Per questa ragione l'impresario Arthur Freed li scrittura per la rivista “The Morrisey Music Hall Revue”, messa in scena al Majestic Theatre di Los Angeles. Partecipano poi a uno spettacolo di varietà al Metropolitan Theatre, dove vengono notati da Paul Whiteman, allora all'apice della popolarità, che li aggrega alla sua orchestra come numero di attrazione. Il pubblico di Whiteman però non li apprezza particolarmente e il loro ruolo si riduce quasi esclusivamente al sottofondo vocale delle parti strumentali insieme ad altri vocalist della band. Le cose cambiano quando Whiteman scrittura Harry Barris, un giovane e dinamico pianista e cantante hot proveniente dall'orchestra di George Olsen dando vita ai Paul Whiteman's Rhythm Boys. Il buon successo ottenuto con brani come Mississippi Mud, scritto dallo stesso Barris, e From Monday On, sembra rilanciare Bing e il suo compagno, ma la loro caparbia insistenza a dare sempre maggiore spazio alle battute comiche a detrimento della parte musicale finisce per stancare il pubblico e lo stesso Paul Whiteman che li allontana dall’orchestra. Bing, Rinker e Barris si esibiscono nei teatri e nei night-club di varie città della California ottenendo un notevole successo al Monmartre Café di Los Angeles e un successivo ingaggio al prestigioso Cocoanut Grove di Hollywood. Nel frattempo Bing Crosby sposa la cantante e attrice Wilma Wyatt (Dixie Lee) decide di sfruttare la popolarità guadagnata nei locali con un proprio programma radiofonico dove le sue canzoni When the Blues of the Night e I Surrender Dear fanno faville. Sotto l’abile gestione del fratello maggiore Everett viene scritturato anche dalla casa cinematografica Paramount che lo trasforma in una star del cinema musicale hollywoodiano. La popolarità non lo abbandona più fino alla morte e non conosce appannamenti neppure quando, alla soglia dei settant'anni, riduce al minimo le sue apparizioni in pubblico. Il comico Bob Hope, suo grande amico ed estimatore, a chi vaticinava il declino di Bing dinanzi alla esplosione di Frank Sinatra (soprannominato "swoonatra" perchè faceva svenire le fans) agli inizi degli anni Quaranta, replicava con queste parole, che al di là del paradosso contengono un fondo di verità: «Non si preoccupi per Bing: quello è l'uomo che fece svenire la madre di Sinatra ed è anche l'uomo che fra una quindicina d'anni farà svenire la figlia di Sinatra».


12 ottobre, 2018

13 ottobre 1920 – Umberto Cesari, il pianista che amava Fats Waller


Il 13 ottobre 1920 nasce a Chieti il pianista Umberto Cesari. All’inizio dell’attività, pur essendo in possesso di una formazione classica non disdegna incursioni sempre più frequenti nella musica leggera. La sua carriera sembra ormai incanalata sui binari di una tranquilla routine da strumentista d’accompagnamento quando l’ascolto casuale di un disco che contiene After you’ve gone nella versione di Fats Waller gli fa scoprire il jazz. È quasi un colpo di fulmine. Gli orizzonti del giovanotto chietino cambiano improvvisamente e anche la sua impostazione stilistica per un po’ appare fortemente condizionata da quella di Waller. Negli anni immediatamente successivi alla Liberazione dà vita a ben due formazioni: il Cristall Trio e un sestetto impostato sulla falsariga delle formazioni di Benny Goodman di cui si occupa persino Down Beat, la rivista per le forze armate statunitensi di stanza in Europa. La sua popolarità si allarga e alla fine degli anni Quaranta se ne va a New York per suonare in una grande orchestra radiofonica. Nel marzo del 1950 è, però di nuovo in Italia per registrare negli studi della Parlophon una leggendaria versione di Begin the Beguine con il Trio, un gruppo che oltre a lui comprende Carlo Pes alla chitarra e Carletto Loffredo al basso. In breve tempo diventa uno dei più apprezzati strumentisti jazz di studio. Tra le sue registrazioni più famose ci sono quelle con il quartetto di Aurelio Ciarallo per la Columbia nel 1954, quattro brani con la Roman New Orleans Jazz Band per la RCA nel 1958 e otto nel 1959 con la stessa band che può contare per l’occasione anche sull’apporto del clarinettista Peanuts Hucko e del trombettista Trummy Young. Il 24 ottobre 1960, con Sergio Biseo al basso e Roberto Podio alla batteria, registra negli studi della RCA la famosa Pino solitario. Nella sua carriera ha incontrato quasi tutti i protagonisti del jazz di quel periodo. Suona a lungo con Stéphane Grappelli e, in jam session, incrocia il suo strumento con quelli di personaggi straordinari come Django Reinhardt, Louis Armstrong, Trummy Young, Cozy Cole, Arvell Shaw, Jack Teagarden, Bill Coleman, Barney Bigard, Don Byas, Toots Thielemans, Chet Baker, Max Roach, Zoot Sims, oltre a moltissimi musicisti europei. Da sempre poco incline a mostrarsi in pubblico, negli anni Sessanta rende il suo isolamento quasi inaccessibile rifiutando anche le proposte di nuove registrazioni. Muore nel 1992.



11 ottobre, 2018

12 ottobre 1985 – Chi diavolo sono i Ready For The World?

Il 12 ottobre 1985 al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti arriva il brano Oh Sheila, una canzoncina gradevole e ben fatta firmata da una band che si fa chiamare Ready For The World. «Chi diavolo sono questi Ready For The World?» è la domanda che rimbalza negli ambienti musicali statunitensi e qualcuno comincia a pensare che la band non esista. C’è chi avanza esplicitamente l’ipotesi che la sigla nasconda un gruppo fantasma composto da strumentisti di studio al servizio di una geniale operazione commerciale della MCA Record. Prima che le voci riescano a prendere consistenza i Ready For The World si fanno vivi. Sono una vera band e non sono neanche di primo pelo. Nascono nel 1982 quando due tra i gruppi più popolari di Flint, nel Michigan, si raggruppano per esibirsi eccezionalmente insieme. Lo strano supergruppo, inizialmente formato più per scommessa che per effettiva convinzione, finisce per vivere di vita propria determinando la fine delle due band originarie. La sua composizione ha notevoli elementi d’originalità, visto che raggruppa strumentisti che rischiano di essere dei doppioni. Li aiuta nell’avventura la versatilità di alcuni elementi come il cantante, pianista e chitarrista Melvin Riley e l’eccentrico Gordon Strozier che passa indifferentemente dalla chitarra al basso alla batteria. La formazione dei Ready For The World è completata dal tastierista Gregory Potts, dal bassista John Eaton, dal batterista Gerald Valentine e dal percussionista Willie Triplett. Superati i problemi di amalgama i sei ragazzi incrociano sulla loro strada un disk jockey della loro città, “Mojo” Johnson, che ne intuisce le potenzialità, li aiuta a realizzare i primi demo e, soprattutto, li convince a investire i loro risparmi in un’etichetta indipendente, la Blue Lake Records, per la quale pubblicano il primo singolo Tonight. Il disco spopola solo nella loro città, ma attira l’attenzione della MCA che decide di scritturarli. Un singolo d’assaggio precede il grande successo di Oh Sheila che fa di loro uno dei gruppi rivelazione del 1985. Decisi a sfruttare il buon momento pubblicano anche l’album Ready For The World. La loro è, però, una breve fiammata. L’anno dopo, nonostante il buon successo del singolo Love you down entreranno in una fase di declino irreversibile che li riporterà rapidamente nell’anonimato.

10 ottobre, 2018

10 ottobre 1934 - Elio Mauro, l'operaio dalla chitarra d'oro

Il 10 ottobre 1934 nasce ad Avezzano, in provincia de L'Aquila, il cantante e chitarrista Elio Mauro, all’anagrafe Aurelio Collacciani. Per lungo tempo per lui la musica resta soltanto un hobby da coltivare nel tempo libero che gli resta dopo il lavoro come operaio nelle Acciaierie di Terni. La svolta nella sua vita arriva inaspettatamente nel 1950 quando viene scritturato da una compagnia di varietà diretta Vichi De Roll e Anna Galento. Da quel momento lascia le Acciaierie di Terni per dedicarsi completamente alla musica. Dotato di una voce calda dall'impostazione moderna e di una buona tecnica chitarristica si adatta bene all'ambiente dello spettacolo anche perché non insegue particolari sogni di gloria. L'esperienza da operaio l'ha abituato ad accettare tutto quello che arriva senza guardare troppo per il sottile. Suona e canta con numerose orchestre ed è disponibile anche a sopportare le non sempre agevoli tournée nei locali da ballo di mezzo mondo. Proprio al ritorno da un lungo tour in terra straniera viene scritturato nel 1954 dalla Rupe Tarpea, un locale romano alla moda. Sono i tempi della "dolce vita" e Roma è un luogo d'incontro per le star hollywoodiane. Lui con la sua voce e la sua musica fa da colonna sonora ai frequentatori del suo locale, tra i quali c'è anche Ava Gardner. Proprio l'attrice, innamorata della sua musica, gli regala una chitarra d'oro. Nel 1955 vince un concorso alla RAI e inizia a cantare a Radio Roma, ma successivamente parte per un lungo tour negli Stati Uniti. Partecipa poi alla commedia musicale "Irma la dolce" con Vittorio Gassman e nel 1959 arriva secondo al Festival di Napoli cantando Padrone d''o mare. La sua popolarità è legata all’interpretazione di brani come Stella furastiera, Ave Maria no morro e, soprattutto La canzone del faro, sigla della famosa inchiesta televisiva "Viaggio nel Sud". La sua voce compare nelle colonne sonore di molti film tra cui il felliniano "Le notti di Cabiria".



09 ottobre, 2018

9 ottobre 1967 – Una raffica uccide il Che, non le sue idee

Alle 13.30 del 9 ottobre 1967, a La Higuera, un paesino della Bolivia, una raffica del mitra Uzi di fabbricazione belga in dotazione al sottufficiale dell’esercito boliviano Mario Teran e un colpo di pistola al cuore pongono fine alla vita di Ernesto ‘Che’ Guevara. La sua morte è stata decisa in accordo con i servizi segreti statunitensi per evitare i contraccolpi propagandistici di un processo pubblico. Il rivoluzionario argentino, comunista e giramondo, tra i principali protagonisti della rivoluzione cubana, che era arrivato in Bolivia per guidare la guerriglia è stato catturato poche ore prima dai soldati in un agguato insieme ad altri compagni. Guevara ha trentanove anni. La fotografia del suo cadavere steso su un tavolo con gli occhi aperti fa il giro del mondo. Contrariamente a quello che pensano i suoi aguzzini la sua morte, lungi dal chiudere per sempre la questione, ne farà un mito destinato a sopravvivere nel tempo. Mario Teran, il sottufficiale che gli avrebbe sparato l’ultima raffica, morirà suicida nell’aprile del 1968 a La Paz.

08 ottobre, 2018

8 ottobre 1941 – Alla radio c'è il Quartetto Cetra

L’8 ottobre del 1941 accompagnato dall’Orchestra Zeme, il Quartetto Cetra si esibisce per la prima volta ai microfoni della radio. Nati sull’onda del successo delle canzoni del “filone dell’allegria”, con il nome di Egie, sigla ottenuta assemblando le iniziali dei loro nomi, Enrico Gentile, Giovanni Giacobetti detto ‘Tata’, Iacopo Jacomelli e Enrico De Angelis, debuttano al teatro Valle di Roma il 27 maggio del 1940 con “Caccia al passante”, uno spettacolo ideato e scritto dal loro amico Agenore Incrocci, che si firma con lo pseudonimo di Age e che è destinato a diventare uno dei grandi autori della commedia italiana. Nelle loro esecuzioni si ispirano al quartetto vocale americano dei Mills Brothers. Qualche tempo dopo a Iacomelli subentra Virgilio Savona, per cui, dopo alcune discussioni interne si decide di cambiare il nome di Egie in Quartetto Cetra. L’esordio ai microfoni della radio avviene proprio l’8 ottobre del 1941, quando, accompagnati dall’Orchestra Zeme, cantano Il Visconte di Castelfombrone. Nello stesso periodo, però, anche Enrico Gentile, il solista, è costretto a lasciare i compagni per adempiere agli oblighi militari e al suo posto arriva un giovane di Fondi in provincia di Latina, Felice Chiusano. L’ultima cambiamento nella formazione è del 1947, quando se ne va Enrico De Angelis che viene sostituito dalla moglie di Savona, Lucia Mannucci,

07 ottobre, 2018

7 ottobre 1992 - Augusto non canta più

Stroncato da un male incurabile contro il quale stava lottando da tempo il 7 ottobre 1992 scompare Augusto Daolio, la voce e la figura-simbolo dei Nomadi, uno dei più longevi gruppi della storia della canzone italiana. La sua morte segue di pochi mesi quella del chitarrista dello stesso gruppo Dante Pergreffi, avvenuta il 14 maggio in un incidente stradale e sostituito nella formazione dalla giovanissima Elisa Minari. In loro memoria i compagni pubblicano il doppio album dal vivo Ma che film la vita - I nostri concerti. La morte di Daolio non segna però la fine dei Nomadi che, sotto la guida di Beppe Carletti, l’ultimo rimasto del nucleo storico della band, iniziano a scrivere un altro capitolo della loro lunga e straordinaria storia.

06 ottobre, 2018

6 ottobre 1967 - Il lungo funerale degli hippies

Il 6 ottobre 1967 tutte le comuni hippie situate nel circondario di San Francisco si radunano in città. Una moltitudine di ragazzi e ragazze vestiti a lutto si avvia in un lungo e silenzioso corteo che percorre le vie principali. Ai bordi delle strade percorse dalla singolare processione altri ragazzi distribuiscono volantini che spiegano ai passanti come tutte le comuni abbiano deciso di celebrare “la morte degli hippie”. Il movimento hippie fa il funerale a se stesso per protestare contro lo sfruttamento commerciale della sua immagine, delle sue idee e della sua stessa esistenza. «Questo mondo non ci piace. Siamo nati per cambiarlo e il consumismo ha scoperto che anche la nostra voglia di cambiamento può diventare merce. Per questo il movimento è morto e oggi lo accompagnamo nel suo ultimo viaggio». Basta guardarsi intorno per capire quali siano i fenomeni cui fanno riferimento i ragazzi delle comuni. Le vetrine di San Francisco, i bar, i ritrovi, tutto è stato colorato da fiori. La scritta "Peace and love" campeggia su un numero impressionante di oggetti e capi di vestiario in vendita. A partire dall'aprile di quell'anno la Greyhound, la più famosa compagnia statunitense di pullman, ha addirittura inaugurato un singolare giro turistico tra le varie comuni hippie di S. Francisco. «Adesso basta, non si possono vendere le idee». Un movimento culturale ed esistenziale nato dalla ribellione al consumismo sta diventando esso stesso oggetto di consumo. Al di là del gesto simbolico, il funerale segnerà davvero la fine di una fase nella storia degli hippies. Di lì a poco il movimento si spezzerà in due tronconi. Uno, sull'onda del "flower power", finirà per rifugiarsi sempre più in una sorta di individualismo di massa finalizzato alla felicità interiore e lontano dalle questioni sociali. L'altra scoprirà la politica e affiancherà l'impegno alle esperienze di vita comunitaria finendo poi per confluire nelle grandi battaglie pacifiste e per i diritti civili che di lì a poco infiammeranno gli States.


03 ottobre, 2018

4 ottobre 1970 – Addio piccola Janis

Il 4 ottobre 1970 Janis Joplin lascia per sempre la scena e vola via sulle ali di un’overdose di vita, più che di eroina, diventando suo malgrado un simbolo emblematico, come Jimi Hendrix, Brian Jones e Jim Morrison, del disagio esistenziale di una generazione. Janis è stata travolta un mondo duro e ostile da infrangere, più che domare. Per usare una terminologia politica non c’è riformismo possibile per una bambina nata in un buco del Texas agro-petrolifero come Port Arthur dove l’intelligenza e la curiosità sono guardati come un’espressione del diavolo e il canto è considerato «il primo passo verso la rovina». Se poi la bambina coltiva il sogno di andare via cavalcando le note di quella musica che racconta l’anima il peggio che le può toccare è scoprire che la sella è stata costruita su misura per i maschietti. Non è stata davvero tenera la vita per Janis, che dopo essersi fatta le ossa con i Walker Creek Boys molla le ancore e segue il sogno “on the road” dei beatniks trasferendosi ad Austin dove conosce Nick Gravenites e dove si esibisce alla Coffee Gallery, accompagnandosi con l'autoharp o con musicisti girovaghi, come Jorma Kaukonen, il futuro chitarrista dei Jefferson Airplane Nel 1962 entra per la prima volta in sala di registrazione per realizzare un jingle pubblicitario per una banca sulla melodia di This land is your land di Woody Guthrie. Nello stesso anno inizia a viaggiare tra le comuni hippie formatesi in quel periodo a San Francisco e Los Angeles. Alcuni brani di questo periodo, registrati da vivo ad Austin e a San Francisco verranno pubblicati nell'album Janis/Early Performances del 1975. Nell'estate del 1966 il poeta Chet Helms manager dei Big Brothers & The Holding Company le propone di diventare la voce solista della band. Per la prima volta nella sua breve carriera, quindi, Janis si esibisce con una band stabile formata dal bassista Peter Albin, dal batterista Dave Jetez, dal chitarrista James Gurley e dal chitarrista Sam Andrew. Con la sua voce graffiante e disperata il gruppo diventa, con i Grateful Dead, Country Joe & The Fish e i Quicksilver Messenger Service, uno dei protagonisti della scena musicale di San Francisco. Oggi parlare bene di lei è facile, ma all’epoca la critica storce il naso e la definisce anche «un incrocio fra una locomotiva a vapore, Calamity Jane, Bessie Smith, una trivella e un liquore disgustoso». Nel 1967 Janis e la band registrano il primo album, Big Brother & The Holding Company, uscito subito dopo il festival di Monterey, tenutosi in agosto, dove Janis ottiene uno straordinario successo personale. Nel mese di febbraio del 1968 Janis Joplin e la band tengono un memorabile concerto all'Anderson Theatre di New York e a settembre pubblicano lo splendido Cheap thrills. L’album, con la copertina disegnata dal fumettista underground Robert Crumb, è una delle migliori testimonianze dell'acid rock e si rivela un grande successo commerciale, ma segna anche l'inizio di un contrasto insanabile tra Janis e la band che sfocia nella definitiva rottura. L’irrequieta cantante decide di fare di testa sua. Riunisce musicisti come il chitarrista Sam Andrew, il tastierista Bill King, il bassista Brad Campbell, il batterista Ron Markovitz, il sassofonista Terry Clements e il trombettista Marcus Doubleday e li mescola in una band ad assetto variabile che prende vari nomi: Kozmic Blues Band, The Janis Revue e The Main Squeeze. Dopo I got dem ol'kozmic blues again mama del 1969 la fuga di Sam Andrew, sostituito in un primo momento da John Till, è il primo segnale di una crisi che sfocia nello scioglimento della banda. Su Janis, ormai entrata in un processo autodistruttivo condito da alcol e sostanze varie, piove anche una denuncia per linguaggio blasfemo comminatagli dalla polizia di Tampa al termine di un concerto. Il 12 giugno 1970 a Lexington, nel Kentucky, si esibisce con la sua terza e ultima band, la Full Till Boogie Band, composta dal chitarrista John Till, il pianista Richard Bell, l’organista Ken Pearson, il bassista Brad Campbell e il batterista Clark Pierson. Ormai la sua corsa sta per finire. Durante la registrazione dell'album Pearl, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1970, Janis Joplin muore in una camera dell'Hotel Landmark di Hollywood. Muore sola, nonostante il successo e la disponibilità a dare tutto di se stessa, nonostante l’amore regalato a uomini e donne in rapporti spesso consumati troppo in fretta. Il succo della sua vita è nascosto nella dichiarazione fatta dopo un concerto: «Mi sento come se avessi fatto l'amore con migliaia di persone e adesso so che devo tornare a casa da sola». Di lei restano meravigliose performance vocali e la capacità di interpretare il blues nella sua accezione originaria di musica dell’anima, della sofferenza, dell’insoddisfazione e del dolore.


02 ottobre, 2018

3 ottobre 2002 – La musica USA si schiera contro la guerra

Il 3 ottobre 2002 un folto numero di musicisti statunitensi inizia con un concerto alla Great Hall di New York aperto dal "grande vecchio" Pete Seeger una serie di iniziative destinate a culminare il 6 ottobre (anniversario dell'attacco all'Afghanistan) in una lunga serie di concerti per la pace in Central Park, a Los Angeles, San Francisco e Seattle. Non era scontato, ma sta succedendo. Le corde del rock hanno ripreso a vibrare contro quelli che, negli anni Sessanta (un secolo fa!) Bob Dylan chiamava "Masters of war" (Signori della guerra). Su entrambi i lati dell'Oceano Atlantico la musica sta riscoprendo nuove e antiche parole per opporsi all'idea della guerra permanente invocata da Bush. Lo fa con due manifesti diversi, ma simili per i contenuti, sottoscritti da un numero impressionante di artisti. In Gran Bretagna porta il titolo di "Stop the War" (fermiamo la guerra) e negli Stati Uniti quello di "Not in our name" (non in nostro nome), ma la sostanza è la stessa, riassunta da Robert Del Naja dei Massive Attack: «Non possiamo stare a guardare gli Stati Uniti mentre uccidono sempre più persone per assicurarsi il monopolio del petrolio nel Medio Oriente». Scorrendo i nomi ci si accorge che qualcosa è davvero cambiato in un music system che per tanti, troppi anni, dopo le fiammate degli anni Sessanta e Settanta aveva guardato i movimenti pacifisti con indifferenza, quando non con aperta complicità. Chi mastica di musica ricorda ancora con raccapriccio l'orribile video realizzato da molti protagonisti della scena musicale per sostenere i "nostri ragazzi" impegnati nella Guerra del Golfo, mentre i piloti dei caccia statunitensi si vantavano di ascoltare in volo heavy metal ad altissimo volume. Allora solo una frangia importante ma ridotta aveva avuto il coraggio di dissociarsi. Oggi, invece, scorrendo la lista dei nomi, ci si accorge che non siamo di fronte a un'iniziativa un po' elitaria di pochi e illuminati artisti. Il vento della rivolta contro la guerra è alimentato in Gran Bretagna dalla popolarità di personaggi come i già citati Massive Attack, i Blur, Richard Ashcroft, i Primal Scream, Fatboy Slim, i Chemical Brothers, Billy Bragg, gli Elbow, Terence Trent D'Arby, i Coldplay, Brian Eno, i Radiohead e moltissimi altri. Non sono mancate le diserzioni e i distinguo dei musicisti più organicamente vicini al partito Laburista come Noel Gallagher degli Oasis che ha definito l'iniziativa «un tentativo inutile» e Paul Weller che, pur su posizioni simili a quelle del movimento, preferisce mantenere un ruolo autonomo, «forse per dare più spazio al suo nuovo disco» hanno ironizzato i colleghi. L'offensiva musical-pacifista britannica non si limita si concerti, alle manifestazioni e alle prese di posizione, ma tenta di allargare la sua azione con l'obiettivo di radicare un imponente movimento di massa. Damon Albarn dei Blur e i Massive Attack, per esempio, hanno acquistato due intere pagine del "New Musical Express", uno dei più diffusi magazine musicali del mondo, per dire che la guerra contro l'Iraq è ingiustificata e «rischia di provocare orribili ramificazioni, come l'apertura di un Vaso di Pandora che più nessuno poi riuscirebbe a richiudere». Sulla stessa onda i colleghi statunitensi pubblicano sul sito ufficiale le dieci ragioni per cui non si deve attaccare l'Iraq: 1) Non c'è alcuna vera giustificazione; 2) È falso che l'Iraq sia un pericolo reale; 3) Gli Stati Uniti faticano a trovare alleati; 4) La guerra, per definizione, rende tutti meno sicuri; 5) L'attacco all'Iraq viola le leggi internazionali; 6) L'attacco all'Iraq è costoso, difficile e pericoloso; 7) L'attacco all'Iraq uccide moltissime persone; 8) L'attacco all'Iraq viola la costituzione degli Stati Uniti; 9) La guerra non è mai la via giusta per la pace; 10) L'opposizione alla guerra cresce in tutto il mondo. Anche qui le firme sono tantissime, da Laurie Anderson ad Ani DiFranco, Michael Franti, Mos Def, Steve Earle, Tom Morello, Oscar Brown e moltissimi altri, compresi personaggi meno musicali come Jane Fonda, Susan Sarandon, Oliver Stone e Noam Chomsky. Tra le star che hanno fatto sentire la propria voce negli States contro la guerra ci sono anche (e come potevano mancare?) Bruce Springsteen, Moby e i Pearl Jam. L'onda, insomma, sta crescendo, impetuosa su entrambe le sponde dell'oceano sotto la spinta di un vento che torna a rianimare le piazze e a far sussultare le coscienze. E, come hanno detto i promotori di "Stop the War", questa volta non ci si fa intrappolare dalle parole, prima ancora di capire a chi si muove guerra bisogna capire che non esistono guerre giuste: bisogna cancellare l'idea stessa di guerra dalla coscienza dell'umanità.


2 ottobre 1957 – L’ultimo traguardo di Luigi Ganna il primo vincitore del Giro

Il 2 ottobre 1957 muore a Varese Luigi Ganna, il primo vincitore del Giro d’Italia. Nato il 1° dicembre del 1883 a Induno Olona, in provincia di Varese, Ganna è stato, con Cuniolo, Galetti e Pavesi, uno dei “quattro moschettieri”, come vennero chiamati, all’inizio del secolo i quattro campioni capaci di suscitare in Italia i primi entusiasmi per uno sport giovane come il ciclismo. L’anno migliore della sua carriera fu il 1909 quando, dopo aver vinto la Milano-Sanremo davanti a Georget e Cuniolo, si aggiudicò la prima edizione del Giro d’Italia con due punti di vantaggio sull’amico-rivale Galetti, vincendo anche le tappe di Roma, Firenze e Torino. Tra i suoi successi figurano anche il Giro dell’Emilia e la Milano-Modena nel 1910 e la Gran Fondo nel 1912. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale decretò la fine anticipata della sua carriera agonistica, ma non del suo rapporto con il ciclismo. Intuite le grandi potenzialità produttive del settore si impegnò nella costruzione di biciclette che, approfittando della popolarità conseguita, chiamò con il suo nome. Le biciclette Ganna vennero portate alla vittoria negli anni successivi da Bottecchia, Demuysière e Fiorenzo Magni. Luigi Ganna morì a Varese il 2 ottobre 1957.

01 ottobre, 2018

1° ottobre 1908 – Nasce la Ford Model T

Il 1° ottobre 1908 un emozionato Henry Ford annuncia la nascita dell’auto dei suoi sogni. È la mitica Model T, che verrà soprannominato "Tin Lizzie" da milioni di americani. Un’automobile semplice nel funzionamento e brillante nelle prestazioni, destinata a essere insignita quasi cent’anni dopo del titolo di “Auto del secolo” da una giuria di esperti e giornalisti specializzati. Nei vent’anni di produzione la Ford costruirà 15.458.781 vetture del Modello T, un record che resterà imbattuto per oltre 50 anni! La capacità produttiva viene supportata da un’innovazione destinata a lasciare il segno quando Henry Ford adatta il concetto di catena di montaggio alla produzione automobilistica riuscendo ad abbattere i tempi di produzione a livelli mai visti prima. L’innovazione produttiva è affiancata da un’altra serie di innovazioni sul piano dei rapporti sociali: la casa automobilistica raddoppia la paga giornaliera dei suoi operai e riduce l’orario di lavoro a otto ore giornaliere. Anche la frase con cui Ford convince i riottosi soci è rimasta emblematica: «Se riduci le paghe, riduci il numero dei tuoi clienti». I parametri della linea di montaggio fordista trascinano tutta l’industria statunitense. La morte del fondatore, avvenuta nel 1947, non ferma la marcia della Ford Motor Company che, riorganizzata da Henry Ford II, rinnova la sfida al mercato con modelli di grande successo e suggestione come la Thunderbird del 1955, la Mustang lanciata nel 1964 e la celebre Fairlane. Viene potenziata anche la produzione europea che, nel 1976, vede il lancio della Fiesta, uno dei maggiori successi tutti i tempi di casa Ford con oltre 12 milioni di esemplari prodotti finora.