24 ottobre, 2020

24 ottobre 2006 - Bruno Lauzi, l’impegno e l’ironia

Il 24 ottobre 2006 muore Bruno Lauzi. Nato l’8 agosto 1937 a l’Asmara, in Etiopia, con la sua famiglia rientra in Italia negli anni Cinquanta e nel 1953 fa parte della Jelly Roll Morton Boys Jazz Band dove viene accettato grazie a una presentazione del suo amico Luigi Tenco. Nel gruppo jazz si fa notare per il particolare arrangiamento per banjo della Rapsodia in blu di George Gershwin. Nel 1960, compone 'O frigideiro un brano in dialetto genovese dalla ritmica brasiliana, seguita, tre anni dopo, dalla divertente Garibaldi blues e dalla pubblicazione del suo primo singolo di successo intitolato Ritornerai. Nel 1964 partecipa "Un disco per l'estate" con il brano Viva la libertà e, nel 1965, interpreta al Festival di Sanremo Il tuo amore in coppia con Kiki Dee. Nello stesso anno vince anche l'Oscar del disco con l'album Lauzi al cabaret e nel 1966 vince la Caravella d'oro di Bari come miglior cantautore. Parte quindi per un lungo tour con Mina in Sudamerica e nel 1968 vince ancora l'Oscar del disco con l'album Cara. Parallelamente all'attività di cantautore è un apprezzato traduttore di brani francesi. Sono sue le versioni italiane di canzoni come Lo straniero di Georges Moustaki e Quanto ti amo di Johnny Hallyday, mentre la sua canzone Il poeta, considerata un po’ il manifesto della cosiddetta "scuola genovese" viene portata al successo da Mina e Gino Paoli. Nel 1970 ottiene un altro riconoscimento con Arrivano i cinesi e nel 1971 arriva al primo posto della classifica italiana con Amore caro amore bello firmata dalla coppia Mogol-Battisti, cui segue l'album Bruno Lauzi. Da quel momento continua l'attività pubblicando album dignitosi e lavorando soprattutto come traduttore dei grandi artisti francesi e brasiliani. Muore a Peschiera Borromeo in provincia di Milano il 24 ottobre 2006.


23 ottobre, 2020

23 ottobre 1928 - Domenico Attanasio dalla lirica alla canzone

Il 23 ottobre 1928 nasce a Napoli Domenico Attanasio. Cantante in possesso di una voce estesa e pastosa, all’inizio della sua carriera tenta la strada della lirica e debutta come tenore sotto la direzione del maestro Gianandrea Gavazzeni nell'opera "Nina pazza per amore" di Giovanni Paisiello al Teatro San Carlo di Napoli. Come molti altri protagonisti della scena lirica di quel periodo, però, si lascia tentare dalle lusinghe di della cosiddetta “musica leggera” e passa alla canzone vincendo un concorso organizzato dalla RAI che lo assume. Ai microfoni della radio canta con le orchestre Anepeta, Fragna e Vinci. Nel 1952, in coppia con Oscar Carboni, si piazza al secondo posto con Varca lucente alla prima edizione del festival di Napoli. La sua carriera è costellata da grandi soddisfazioni e da un successo che supera anche i confini d’Italia.


22 ottobre, 2020

22 ottobre 2004 – Meg inaspettata e dolce

Il 22 ottobre 2004 Meg presenta il suo primo disco da solista. «Un parto travagliato. È una figlia, una piccola creatura di sesso femminile che io trovo graziosissima» Così Meg descrive l’album che porta il suo nome, il primo da solista dopo tanti anni con i 99 Posse e la più recente esperienza nei Nous in coppia con l’altro ex 99 Marco Messina. È un lavoro inaspettato per chi si è abituato a vederla sulla scena con Zulù e compagni. Delicato, musicalmente curato fin nei minimi dettagli, in qualche passaggio deliziosamente retrò, Meg è un album pop dove le alchimie elettroniche fanno l’amore con gli strumenti veri, fiati e archi compresi. Lei sostiene che al fascino sottile dei suoi brani non sia estranea una questione di genere: «C’è una grande differenza tra la sensibilità maschile e quella femminile. Io ho cantato al femminile». Ci vuole coraggio, però, a imbarcarsi su rotte nuove visto che avresti potuto continuare a navigare nello stesso mare in cui avevi veleggiato con i 99 Posse… «Nel momento in cui il gruppo ha incominciato a starci stretto e abbiamo deciso che era tempo di prenderci una boccata d’aria, ciascuno di noi ha finito per radicalizzare le proprie ispirazioni artistiche e stilistiche…» E le tue quali sono? «Quelle che ritrovi nel disco. Una cultura ricca, non prigioniera di un genere specifico, una sorta di liquido amniotico in cui convivono felicemente la tradizione classica napoletana, il pop dei Beatles, il jazz e la musica classica…» … e il Brasile, visto che nell’album l’unico pezzo che non porta la tua firma è Senza paura, un brano di molti anni fa scritto da Toquinho, Vinicius De Moraes e Sergio Bardotti. Caldo, molto luminoso, insieme a Simbiosi sembra un po’ la chiave di lettura dell’intero disco, uno squarcio di ottimismo, un invito a non credere alle cose come sono e a non avere paura. «È un solare esorcismo alla paura, una canzone che ha illuminato la mia infanzia. Per questo ho voluto cantarla e ho chiesto a mio padre di suonarci». Tu sei ottimista? «Come tutti alterno momenti di pessimismo nero a squarci di speranza e ottimismo. Tutto sommato mi considero positiva, anche se di questi tempi è sempre più difficile. Ciò che di peggio si poteva immaginare è diventato realtà: guerra, falsificazione, desolazione, sopraffazione e, in più, la caduta del significato delle parole. Opporsi è possibile solo se si sfugge a queste logiche». In Simbiosi sembri quasi rivalutare il sogno da contrapporre alla realtà. Non è una fuga? «No, tutt’altro. Io credo che la speranza del mondo sia proprio affidata a quella rete delicatissima, eppur fittissima, di persone che riescono ancora a sognare spostando più in là l’orizzonte. È quello che mi piace chiamare “esercito mondiale dei sognatori” e che raggruppa tutti quelli che non hanno smesso di sognare, progettare e lottare per un mondo diverso».


21 ottobre, 2020

21 ottobre 1940 - Plinio Maggi, da Sanremo alla farmacia

Il 21 ottobre 1940 nasce a Catania Plinio Maggi. Cantante e autore soprattutto di testi, fin da ragazzo frequenta corsi di canto e di pianoforte, affiancando agli studi universitari l’attività musicale in varie orchestre. Nei primi anni Sessanta partecipa a vari concorsi canori e nel 1965 vince il Festival per voci nuove di Castrocaro, il più importante di quel periodo anche perché dà la possibilità al vincitore di partecipare al Festival di Sanremo. La sua voce melodico moderna è estremamente funzionale ai primi tentativi di costruzione di un pop all’italiana che mescola i ritmi del beat alle melodie tradizionali. Nel 1966 partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Anna Marchetti cantando il brano Io ti amo. Nello stesso anno vola in America dove ottiene un discreto successo partecipando all’Andy Williams Show. Dopo alcune fortunate tournée all'estero e qualche disco senza grandi risultati, all'inizio degli anni Settanta decide di lasciare le scene per fare il farmacista. Fra i suoi dischi sono da ricordare Quando tu partirai e Questa sera noi ci lasceremo. Muore a Catania il 20 ottobre 2019.


20 ottobre, 2020

20 ottobre 1986 – “Caruso” canzone dell’anno

La più bella canzone del 1986 è Caruso di Lucio Dalla. La giuria del Club Tenco di Sanremo, composta da critici, autori e giornalisti, non ha dubbi in proposito, tanto che il premio viene assegnato quasi all’unanimità. Il 20 ottobre 1986 nel corso dell’annuale manifestazione organizzata dallo stesso Club Tenco, Lucio Dalla riceve quello che lui considera uno dei premi più prestigiosi della sua carriera. La canzone nasce da una leggenda. Si racconta che il grande tenore Enrico Caruso, negli ultimi mesi della sua vita, ormai malato irrimediabilmente di cancro alla gola, continuasse a tenere lezioni di canto a una giovane ragazza di cui era anche segretamente innamorato. In una delle ultime sere della sua vita avrebbe fatto trasportare il suo pianoforte in terrazza per poter cantare una lunga serenata alla luna e allo stupendo Golfo di Sorrento. Commosso e ispirato da questa storia Lucio Dalla compone Caruso, un brano dalla melodia e dal testo ricchi di citazioni attinte direttamente alla tradizione napoletana e operistica. La canzone, pubblicata in singolo e inserita nell’album Dallamericacaruso arriva rapidamente al vertice della classifica dei dischi più venduti. Considerata il capolavoro del cantautore bolognese diventa un successo in varie parti del mondo grazie anche alle numerose versioni realizzate da diversi artisti. Tra i cantanti che l’hanno inserita nel loro repertorio ci sono Luciano Pavarotti, Anna Oxa, Roberto Murolo, Mireille Mathieu e Tom Robinson.


19 ottobre, 2020

19 ottobre 1966 – Sinitta, dalla discoteca al musical

Il 19 ottobre 1966 nasce a Seattle Sinitta Renet Malone, la figlia della cantante Miguel Brown, destinata a diventare una delle protagoniste della scena musicale degli anni Ottanta tanto da essere incoronata dai critici come “la nuova regina della musica da discoteca”. Trasferitasi ancora bambina in Gran Bretagna muovi i primi passi nel mondo dello spettacolo partecipando vari musical e film. Il primo grande successo in campo musicale arriva nel 1986 quando sotto l'esperta guida degli autori e produttori Stock, Aitken & Waterman realizza un singolo che contiene i brani So macho e Cruising che scala le classifiche e spopola nelle discoteche di mezzo mondo. La conferma del successo di Sinitta arriva l’anno dopo con il primo album Sinitta! e con i brani Toy boy e GTO, cui seguono nel 1988 i singoli Cross my broken heart e I don't believe in miracles. Nel 1989, nonostante il buon successo dei singoli Right back where we started from e Love on a mountain top, il suo album Wicked! delude un po’ le aspettative dell’artista e dei produttori. Di fronte al calo della sua popolarità come interprete dance, Sinitta preferisce sfruttare meglio la sua poliedricità, tornando al musical.



18 ottobre, 2020

18 ottobre 2003 - Gli Avion Travel con la Banda Pugliese del Sogno Biondo

Il 18 ottobre 2003 all’Auditorium della Musica di Roma si svolge un concerto particolare che vede protagonista la Piccola Orchestra Avion Travel, sei persone a bordo di un carrozzone musicale che da anni vaga per le polverose strade del mondo. Sei uomini, sei musicisti, sei artisti curiosi e gelosi dei propri spazi. Ciascuno di loro può coltivare altri progetti quando il carrozzone non è in viaggio, così ogni esperienza finisce per lasciare tracce di sé nel lavoro comune: è il segreto di un gruppo che, come i serpentelli, cambia pelle a ogni stagione rimanendo se stesso. Lasciato alle spalle il tour estivo, figlio dell'album Poco mossi gli altri bacini, hanno messo il naso negli ambienti odorosi di jazz del milanese "Blue note" poi hanno deciso di realizzare un progetto difficile da definire. Il 18 ottobre, infatti, suona all'Auditorium della Musica di Roma con la Banda Pugliese del Sogno Biondo, cioè l'ensemble residente del festival bandistico di Conversano. «Tutto nasce dalla nostra curiosità» racconta Peppe Servillo, la voce del gruppo. «Il tour, poi, ci ha caricati. Abbiamo lavorato su uno spettacolo ricco di musica ma anche di momenti non musicali, siparietti teatrali. Ci siamo sentiti ospiti del pubblico e quella dimensione stimola l'intelletto e la creatività». Quando c'è da curiosare, voi non vi tirate certo indietro, visto anche il lavoro con il cinema… «Quella delle colonne sonore è stata un'altra bella esperienza. Abbiamo sempre desiderato raccontare il cinema con le nostre canzoni, credo che in parte il sogno si sia realizzato. Adesso, poi, vorremmo entrare in teatro, anzi stiamo per entrarci, ma è un po' prematuro parlarne…». I vostri più che cambiamenti sono arricchimenti di un'esperienza, piccoli spostamenti progressivi e costanti in direzioni diverse. Non vi sembra che la scena musicale oggi viva più di novità eclatanti che di deliziose aggiunte o di curiosità intellettuali? «Non so se ci interessa davvero come vive la scena musicale e spesso non vedo le novità annunciate. Rischio di passare per nostalgico, ma se mi guardo in giro divento triste. Il valore musicale è un elemento di contorno, gli artisti vengono trattati come modelli a una sfilata di moda e le novità spesso sono soltanto immagine. La musica, come la politica del resto, rispecchia i valori dominanti nella società».


17 ottobre, 2020

17 ottobre 1952 – Marinella, la voce femminile del filone demenziale

Il 17 ottobre 1952 nasce a Bologna l’autrice e cantante Marinella Bulzamini, destinata alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta a lasciare un segno importante nella canzone italiana con una serie di brani che anticipano quello che verrà chiamato il filone “demenziale”. La ragazza bolognese con le sue canzoni volge in parodia i temi politici e di costume della sua epoca in parallelo con il lavoro di gruppi come i Pandemonium. Dopo aver fatto parte del gruppo femminile de Le Borgia, partecipa al Festival di Sanremo del 1979 con Autunno cadono le pagine gialle, lo sfogo di un’impiegata dell’impresa telefonica nazionale che tra i numeri telefonici ha perso la ragione. Torna sul palcoscenico sanremese nel 1981 accompagnata da quattro figuranti per accompagnare un balletto con una scopa di saggina il brano Ma chi te lo fa fare. Nello stesso anno pubblica anche l’album Ma lascia stare, ma chi te lo fa fare, che contiene brani come Datemi del sugo e Mi è scaduto il libretto della mutua. Dopo aver registrato Il cammello la prima sigla del programma per bambini "Bim Bum Bam" riduce l’attività. Nel 1985 realizza il suo ultimo singolo Colazione d'amore.

15 ottobre, 2020

15 ottobre 1935 - Sugar Pie DeSanto canta il blues

Il 15 ottobre 1935 a Brooklyn, New York, nasce Peylia Balinton, destinata a lasciare un segno importante nella storia del blues con il nome d’arte di Sugar Pie DeSanto. A due anni la sua famiglia lascia New York per trasferirsi a San Francisco, in California. Qui la bambina inizia a cantare nel coro della sua chiesa e frequenta corsi di danza classica. Affascinata dal blues inizia a modulare la sua voce sui brani della tradizione. Nel 1952 vince alcune rassegne per voci nuovi organizzate all'Ellis Theatre e trova così le prime vere scritture. Nel 1954 viene notata a Los Angeles da Johnny Otis, che le apre le porte della casa discografica Federal e, con il nome d’arte di Little Miss Sugar Pie la fa partecipare al proprio spettacolo viaggiante. Dopo una lunga serie di tournée nel “Johnny Otis Show” medita di mettersi in proprio. Nel 1957, dopo essersi esibita al Lincoln Club di Stockton, sposa il chitarrista e cantante Pee Wee Kingsley, con il quale registra vari dischi. Il notevole successo ottenuto con il brano I Want To Know le vale un ingaggio al prestigioso Apollo Theatre di New York, dove arriva in cartellone al fianco di James Brown, con il quale effettua poi varie tournée. All’inizio degli anni Sessanta si stabilisce a Chicago, dove registra vari dischi per la Chess, ottenendo un buon successo soprattutto con Slip In Mules del 1964. Nell'ottobre dello stesso anno viene in Europa al seguito dell'American Folk Blues Festival. Dalla fine degli anni Sessanta si esibisce soprattutto a San Francisco allo Sportsman Inn e al Continental Club. All’inizio del decennio successivo si ritira per qualche tempo dalle scene a causa di una malattia. Riapparsa in gran forma alla metà degli anni Settanta non lascia più il palcoscenico.


14 ottobre, 2020

14 ottobre 1953 - Michele Ascolese una delle chitarre di De André

Il 14 ottobre 1953 nasce a Salerno il chitarrista Michele Ascolese. È ancora molto giovane quando inizia a suonare la chitarra da autodidatta facendone poi pian piano la sua occupazione esclusiva. A ventun anni è già un professionista del mondo delle sette note. Dopo aver fatto parte del gruppo del percussionista brasiliano Mandrake, nel 1978 suona con la cantante Lilian Terry e l’anno dopo vola in Giappone in tournée con la band del trombettista Nini Rosso. Negli anni successivi partecipa a vari progetti tra i quali spiccano la big band di Tommaso Vittorini e la nascita di un trio a suo nome con il fratello Gian Paolo ed Enzo Pietropaoli. Sempre alla fine degli anni Settanta partecipa all'album di Enrico Rava Pupa o Crisalide. Chitarrista versatile ed eclettico dichiara una grande passione per la musica brasiliana, pur accumulando nel suo repertorio molti suoni diversi. Nel 1985 entra nel gruppo che accompagna la tournée “Insieme” di Ornella Vanoni con Gino Paoli. Considerato uno dei più completi e apprezzati session man del panorama musicale italiano ha accompagnato i progetti artistici di un gran numero di artisti. Oltre ai già citati Gino Paoli e Ornella Vanoni si sono “appoggiati” alla sua chitarra Sergio Caputo, Roberto Vecchioni, la PFM, Teresa De Sio, Angelo Branduardi, Fabio Concato, Eduardo De Crescenzo, Renato Zero, Eros Ramazzotti, Tullio De Piscopo, e molti altri. Per anni è stato collaboratore stretto di Fabrizio De Andrè

13 ottobre, 2020

13 ottobre 1936 – Shirley Bunnie Foy, una voce da jazz

Il 13 ottobre 1936 nasce New York la cantante Shirley Foy, più conosciuta come Bunnie Foy. La sua è una famiglia di musicisti. Sua madre è una violinista, suo padre un chitarrista, i suoi zii suonano tutti il sassofono e le sue quattro sorelle sono anche esse cantanti. La piccola Bunnie fin da bambina inizia a familiarizzare con tutti i tipi di canto popolare e rurale della cultura afroamericana come il gospel, blues, spirituals, anche alcuni tipi di canti africani e caraibici. In seguito frequenta la New York Schools of Music, studiando pianoforte teoria e solfeggio. In quel periodo collabora e studia anche con John Coltrane e Junior Cook. Negli anni Cinquanta a soli quattordici anni entra a far parte dei Delltones, un quintetto vocale di rhythm ann blues che si esibisce accompagnato da contrabbasso, batteria e da un gruppo di trombonisti tra i quali spiccano i nomi di Slide Hampton, Melba Liston, Dave Baker e Chuck Connors. Lavorato anche con musicisti come Count Basie e Maynard Ferguson. Nel 1959 si trasferisce a Parigi dove canta con il trio del pianista Pierre Franzino che diventerà suo marito. Tornata nel 1965 a New York canta con Archie Sheep e poi entra a far parte del gruppo di Charlie Shavers, che schiera Jo Jones alla batteria. Dal 1966 al 1968 collabora con Curtis Potter nelle sue composizioni e arrangiamenti per sedici voci Nel 1969 torna in Europa e, dopo una breve permanenza a Parigi e a Nizza si trasferisce a Milano per lavorare sugli arrangiamenti per Big Band scritti dal batterista Gil Cuppini. L’anno dopo Enrico Intra la vuole come voce solista nella sua Messa d’oggi, eseguita alla Certosa di Pavia e alla Fenice di Venezia. Negli anni Settanta Bunnie Foy collabora con alcuni dei maggiori protagonisti del jazz di quel periodo, da Franco Cerri ad Art Blackey, da Mario Rusca a Pino Presti Giampiero Boneschi a Johnny Griffin, da Bruno De Filippi a Sante Palumbo, da Freddie Hubbard a Tullio De Piscopo e Paolo Tomelleri. Nel 1977 collabora con Franco e Stefano Cerri alla realizzazione di un album di armonie sperimentali e l’anno dopo reinterpreta in chiave jazz i più grandi successi di Gorni Kramer accompagnata dallo stesso Kramer alla fisarmonica. In quegli anni insegna anche canto jazz nella scuola "Nuova Milano Musica". Instancabile e curiosa sperimentatrice non abbandona mai la scena e ancora nel 2007 ha registrato un disco con il pianista Jean-Sébastien Simonoviez, il contrabbassista François Gallix, il batterista Yohan Serra alla batteria e il sassofonista Gael. Muore a Nizza il 24 novembre 2016.




04 ottobre, 2020

4 ottobre 1875 – Le Olimpiadi? Ma quale leggenda, quella è storia...

Il 4 ottobre 1875 il professor Ernst Curtius, originario di Lubecca, inizia a scavare tra le macerie di quella che veniva indicata come l'antica Olimpia. Il suo scopo è quello di dimostrare che le Olimpiadi non sono un mito. Il cocciuto studioso ci riesce. Il 20 marzo 1881 conclude la sua opera di scavo consegnando agli allibiti contemporanei i ruderi dell'antico stadio olimpico e un'ampia relazione sull'argomento contenuta in ben sei volumi. Sulla base dei suoi studi diventa così certo che il fatto che, a partire dal 776 a.C. al 393 d.C., ogni quattro anni Olimpia diventava sede di giochi in onore di Zeus, durante i quali anche le guerre tra le litigiose nazionalità greche si fermavano. La leggenda più diffusa e pretenziosa attribuisce la prima organizzazione dei giochi nientemeno che a Ercole, mentre un'altra, meno nobile, ma certamente più vicina alla realtà elegge a padre dei giochi un certo Pelope, figlio di Tantalo, che avrebbe voluto, in questo modo, celebrare la sua vittoria, ottenuta corrompendo un cocchiere, su Enomao re di Olimpia, che aveva messo in palio la mano della figlia Ippodamia. Gli storici, invece, ritengono che varie siano state le ragioni per la nascita delle Olimpiadi: l'aspirazione a ingraziarsi gli dei in un periodo di stragi ed epidemie in tutto il Peloponneso, la possibilità di mimare senza spargimenti di sangue la lotta per il potere, l'esaltazione dell'individualità (non c'erano prove di gruppo) per stemperare le tensioni tra città ed etnìe e, in qualche modo, anche per incrementare il commercio e il turismo nell'Elide con l'arrivo di migliaia di spettatori e pellegrini. Fino alla trentaseiesima edizione i Giochi Olimpici vennero riservati soltanto ai giovani rigorosamente "di buona discendenza Greca", vale a dire agli aristocratici che avevano così occasione di mostrare al popolo la loro bellezza, la loro bravura e la loro forza. I giochi furono sempre vietati alle donne, ammesse solo negli accampamenti degli atleti e degli spettatori, anche se nel 396 la spartana Kiniska riesce a figurare tra i vincitori perchè proprietaria dei cavalli che avevano trionfato nella corsa. Accanto alle manifestazioni sportive si tenevano poi concorsi di poesia e di eloquenza, oltre a numerosissime celebrazioni religiose. Con il passare del tempo però lo spirito delle Olimpiadi si inquinò. Nonostante l'individualità delle gare, riaffiorarono le competizioni tra le etnìe e le città iniziarono ad accaparrarsi con ingaggi sempre più alti gli atleti migliori, trasformandoli, in professionisti ben pagati. Questo fatto portò, alla fine del secolo scorso, il buon De Coubertin a sostenere che il professionismo fosse il vero nemico delle Olimpiadi perchè le aveva già corrotte nel passato. In realtà non fu questa la causa del progressivo declino dei giochi. Altri furono gli elementi che lo determinarono: la progressiva decadenza della Grecia, il programma delle gare dilatato a dismisura e la concorrenza di altri centri, che, in anni diversi, organizzavano gare simili per attirare turisti furono gli indici più evidenti della decadenza e della perdita d'importanza dell'avvenimento. La fine venne decretata nel 393 d.C., quando i cristiani, che avevano ormai un enorme peso politico, dopo una rivolta seguita da un eccidio in un circo di Tessalonica (l'odierna Salonicco) chiesero e ottennero dall'imperatore Teodosio la soppressione dei Giochi Olimpici. Quello degli incidenti di Tessalonica fu, in realtà, un pretesto, perchè da tempo i cristiani meditavano la soppressione di una cerimonia che, al di là del fatto sportivo, rinnovava ogni quattro anni feste religiose antagoniste e legate agli antichi culti. La richiesta di soppressione venne avanzata da Ambrogio, vescovo di Milano e a Teodosio non restò che adeguarsi. Si chiuse così il sipario sui più famosi giochi dell'antichità. La storia ha tramandato solo il nome dell'atleta più popolare dell'ultima edizione: un pugile armeno di nome Varasdate.

02 ottobre, 2020

2 ottobre 2002 – Il Mediterraneo di pace di Eugenio Bennato

Il 2 ottobre 2002, mentre qualcuno conia nuove medaglie per gli eroi della Santa Crociata dell'occidente contro il nemico della fede e della civiltà che arriva dal mare, c'è anche chi ricorda a tutti che il Mediterraneo è una grande madre per un crogiolo di culture i cui crediti e debiti si confondono. È il caso di Eugenio Bennato che quel giorno pubblica l’album Che il Mediterraneo sia. L'artista napoletano non vuole sentire parlare di "scontro di civiltà. «Le radici del nostro sud ci portano direttamente all'idea di un Mediterraneo della pace e degli scambi. Quando ho suonato ad Algeri ho visto cadere in un attimo la diffidenza di un pubblico arroccato su posizioni di sospetto verso l’europeo privilegiato e colonizzatore: dopo i primi colpi di tamburello e di chitarra battente i ragazzi algerini si sono sentiti partecipi e protagonisti di una musica che appartiene anche a loro». Il disco, nato dai viaggi e dalle esperienze maturate in questi ultimi anni dal musicista partenopeo, continua il discorso iniziato con Taranta power incrociando le suggestioni di una mescola culturale che abbraccia senza stritolare una serie straordinaria di forme musicali e poetiche. Gli echi della lunga ricerca storica e musicale di Eugenio Bennato arricchiscono un lavoro che pur attualizzandone le sonorità, continua un discorso rigoroso iniziato negli anni Settanta con la Nuova Compagnia di Canto Popolare. È intero il fascino di un Sud che cessa di essere una imprecisa definizione geografica per diventare un luogo della fantasia. Ci sono (e come potrebbero non esserci?) le danze, le donne, il mare, i navigatori, i mercanti e i contadini, protagonisti di leggende antiche e nuove, ma c'è anche la realtà di oggi con la sua cupa disperazione e con le nuove emigrazioni. In Ninna nanna 2002, per esempio, è esplicito l'omaggio ai profughi che inseguono un sogno che spesso è di morte e non di vita. Affascinante, infine, è l'incrocio tra l'Africa, il Maghreb e il Salento che apre Taranta sound, uno dei brani più suggestivi e danzabili di un album che fa bene all'anima e alla mente.

01 ottobre, 2020

1° ottobre 1964 – Con l'arresto di Jack Weinberg nasce il movimento studentesco statunitense

Il 1° ottobre 1964, sulla Sproul Plaza del campus di Berkeley, lo studente Jack Weinberg viene arrestato senza troppe giustificazioni mentre sta distribuendo volantini politici. Quel giorno e quell’evento segnano la nascita del Movimento Studentesco statunitense. Nello spazio di pochi, frenetici minuti, gli studenti capitanati da Mario Savio e Jackie Goldberg mettono in stato d'assedio l'università, bloccando per ben trentadue ore l'auto della polizia sulla quale è stato caricato Weinberg. In quelle ore concitate viene fondato il Free Speech Movement. Sono i primi passi di un movimento destinato a crescere nel movimento pacifista la cui azione culminerà nella marcia sul Pentagono del 21 ottobre 1968. Quello statunitense è un movimento singolare che, salvo sporadiche fiammate, non metterà mai davvero in discussione il sistema politico del paese ma contribuirà a determinare un poderoso rinnovamento generazionale nelle strutture stesse del potere.

29 settembre, 2020

29 settembre 1975 – La caduta di Jackie Wilson

Il 29 settembre 1975 il Latin Casino di Cherry Hill nel New Jersey è affollato da un pubblico entusiasta e attento. Sul palco c’è il soulman Jackie Wilson, un artista che sa bene come affascinare l’uditorio con il suo passo dinoccolato, le sigarette che si susseguono una dopo l’altra e le canzoni cantate con voce potente e inframmezzate da battute. Improvvisamente il cantante barcolla, come se avesse incontrato un ostacolo invisibile, e cade a terra battendo violentemente la testa contro il cordolo che delimita l’esterno del palco. Il suo corpo non si muove più. Arriva un’ambulanza che lo trasporta rapidamente al più vicino ospedale. I medici del Pronto Soccorso accertano che è stato colpito da un lieve attacco cardiaco. Quello che li preoccupa, però, non è il cuore, ma la testa. Nella caduta il cantante ha, infatti, riportato gravissime lesioni al cervello. Riusciranno a risvegliarlo dal coma, ma non a ridargli una vita. Passerà nove anni in uno stato vegetativo, senza più comunicare con il mondo, prima di morire il 21 gennaio 1984. Si consuma così la triste fine di uno dei più esplosivi interpreti del soul statunitense, amato alla follia dal suo pubblico che gli perdona tutto: gli eccessi, la passione per le donne e per la droga e gli inevitabili e frequenti guai con la giustizia. Ex pugile di successo, vincitore del Golden Glove nella categoria dei pesi welters ed ex cantante dei Dominoes, è tra i protagonisti dell’esplosione del soul ‘n’ roll nero. Al momento dell’incidente ha trentanove anni e non è la prima volta che rischia la vita su un palcoscenico. La leggendaria esuberanza delle sue ammiratrici per poco non gli è fatale nel 1961 quando una fan, in preda a una violenta crisi isterica, gli spara a bruciapelo e lo ferisce gravemente. Dopo una lunga degenza in ospedale ricomincia. Negli anni Settanta fa storcere il naso ai puristi e ai critici bianchi con le sue dissacranti e violente incursioni nella musica classica e lirica come Alone at last, (una riscrittura ritmata di Ciaikovskij) e My empty arms (versione “nera” di un brano di Leoncavallo). Lui non si cura delle critiche. «Se i bianchi rubano la nostra musica perché io non posso migliorare la loro?» racconta tra una sigaretta e l’altra al pubblico in adorazione. I suoi programmi si fermano, però, sul palco di Camdem, in quella dannata sera di settembre in cui il suo cervello smette di funzionare per sempre.


28 settembre, 2020

28 settembre 1970 - L’ultima volta delle Renault 8 Gordini

Il 28 settembre 1970 scendono per l’ultima volta in pista le Renault 8 Gordini dopo aver dominato per anni nei Rally europei. Tutto comincia sei anni prima. «La Renault 8 Gordini nasce per consentire a tutti gli appassionati di guida sportiva di soddisfare la propria passione senza dover sborsare il costo spropositato di un prototipo o di una vettura di lusso». Queste parole sono stampate a lettere cubitali sul foglio che apre la cartella stampa con la quale la Renault annuncia nell’autunno del 1964 la nascita della R8 Gordini, un’auto destinata a sostituire la leggendaria Dauphine nei rally e a infiammare il cuore degli appassionati. Visto dal di fuori non si tratta di un modello nuovo, ma di una sorta di aggiustamento di una vettura già esistente. La Renault 8, infatti, gira sulle strade e sui circuiti di tutta Europa da un paio d’annetti, con un motore derivato direttamente da quello della già citata Dauphine, di cui rappresenta un po’ la naturale evoluzione. I risultati sportivi, però, sembrano non sostenere il confronto con la vettura che l’ha preceduta. Abituata a dominare o, quantomeno, a lasciare il segno, la Renault non può accontentarsi delle scarse performance della R8. Infatti non s’accontenta. Accade così che, mentre gli ambienti sportivi s’interrogano sulle reali potenzialità di quel modello e i più esigenti iniziano a storcere il naso, il progettista Amédé Gordini stia già lavorando nel suo laboratorio di Boulevard Victor Hugo a Parigi a un motore di nuova concezione destinato a trasformare quella che sembra la pallida erede della Dauphine in una velocissima bomba. Il geniale mago della meccanica decide di accantonare la motorizzazione in essere. Recupera un motore a 4 cilindri da 956 cmc originariamente montato sulle Estafette e sulle Caravelle e comincia a modificarlo e a ridisegnarne alcune componenti per aumentarne la potenza e la duttilità. I risultati non si fanno attendere e in breve tempo la cilindrata passa da 956 a 1.108 cmc. Il nuovo motore, che sui registri Renault porta la sigla R1134, montato sulla R8 dimostra di avere potenzialità e performance decisamente inusuali per le vetture da turismo sportivo all’epoca. Quando, in prova, tocca i 170 kmh la casa francese capisce di avere tra le mani un gioiello. Nel 1964 sono pochissime le berline in grado di competere con un veicolo che abbia una velocità massima di 170 kmh. Per fare un paragone basti pensare che la leggendaria DS19 della Citroën non supera i 160 kmh mentre la Peugeot 404 fatica a raggiungere i 140! L’arrivo sulla scena automobilistica della Renault 8 Gordini ha, quindi, l’effetto di un fulmine a ciel sereno, una sorta di tornado che si abbatte sulle certezze degli addetti ai lavori e sconvolge pronostici e gerarchie. Un mese dopo la presentazione ufficiale la vettura trionfa al Rally di Corsica, dove si ripeterà anche nel 1965 e nel 1966, superando le Alfa Romeo GTA e le Porsche 911. I risultati stimolano la creatività. L’entusiasmo degli sportivi e della stampa specializzata spingono la Renault a non accontentarsi dei positivi risultati raggiunti e a lavorare ancora sulla competitività della vettura. Nel 1966 viene presentata la R8 Gordini 1300. Distinguibile dalla prima serie per la calandra a quattro fari, l’auto monta un motore da 1255 cmc che accresce la potenza delle frecce blu sui circuiti da Rally di tutto il mondo. Nonostante tutto, però, Renault mantiene la caratteristica fondamentale della prima R8 Gordini: il prezzo contenuto rispetto agli altri modelli in circolazione. Questa scelta, unitamente alla solida maneggevolezza dell’auto, saranno una delle componenti fondamentali della leggenda targata Gordini. Nascerà anche un circuito di gare riservate a questa vettura e moltissimi giovani talenti sceglieranno di iniziare così la loro carriera. Dopo la 1300 Gordini comincia a ritenere decisamente finito il lavoro di miglioramento della vettura. L’unico cambiamento sostanziale riguarda il colore della carrozzeria che, fin dagli inizi, è stato unico e quasi intoccabile: blu con due bande verticali bianche che la attraversano verticalmente. Nel 1968, non senza proteste e indignazioni, la gamma dei colori disponibili si allarga a ben quattro tinte diverse, tutte rigorosamente corredate dalle due bande verticali. Nello stesso anno si comincia a parlare di un nuovo misterioso progetto che prende corpo nel 1970 con l’annuncio della fine della produzione delle Renault 8 Gordini. A giugno la catena di montaggio si ferma per sempre mentre il 18 e 19 luglio sul Circuito Paul Ricard di Le Castellet vengono presentate per la prima volta le nuovissime Renault 12 Gordini, auto diversissime per concezione e per meccanica con trazione e motore anteriori. Nonostante tutto, però, la R8 Gordini resta nel cuore della gente e sono migliaia le persone che accorrono il 28 settembre a salutare per l’ultima volta in pista le vetture blu e bianche. Quando la bandiera a scacchi chiude l’ultima corsa della squadra ufficiale delle R8 l’ovazione del pubblico fa capire che l’eredità di quest’auto sarà difficile da raccogliere.



17 settembre, 2020

17 settembre 1958 – Herbie Fields l'incompreso

Il 17 settembre 1958 muore suicida a Miami, in Florida, il saxoclarinettista Herbert “Herbie” Fields. Nato a Elizabeth, nel New Jersey, il 24 maggio 1919, fra il 1936 e il 1938 ottiene il primo ingaggio professionale con l'orchestra di Fred Allen quando è ancora studente alla Juilliard School of Music di New York. Nel 1939 dirige un'orchestra insieme al pianista e arrangiatore George Handy e successivamente dopo un breve periodo con quella di Woody Herman, suona col trio di Leonard Ware e nel 1941 approda nella band di Raymond Scott. Nel periodo del servizio militare dirige la banda di Fort Dix e dopo il congedo, capeggiò un proprio gruppo che scioglie verso la fine del 1944. Nel dicembre di quell’anno entra nell'orchestra di Lionel Hampton con la quale rimane fino al febbraio del 1946. Chiusa l’esperienza con Hampton dà vita a una nuova formazione a suo nome nella quale suonano anche il trombettista Neal Hefti e il batterista Tiny Kahn. Negli anni Cinquanta, deluso dalla progressiva marginalizzazione cui viene sottoposto da parte dell’ambiente del jazz si rifugia in Florida dedicandosi quasi esclusivamente alla musica commerciale. Le difficoltà a trovare spazio lo portano a ricorrenti crisi depressive fino al 17 settembre 1958 quando muore dopo aver ingerito una dose massiccia di barbiturici.





15 settembre, 2020

15 settembre 1977 – Driftin' Slim, una leggenda se ne va

15 settembre 1977 muore a Los Angeles, in California, il leggendario bluesman Driftin’ Slim. Cantante, armonicista e chitarrista blues nasce ad Atlanta, in Georgia, il 24 febbraio 1919 e all’anagrafe è registrato con il nome di Elmon Mickle. Eccellente cantastorie è un leggendario “one man band” conosciuto anche con gli pseudonimi di Drifting Smith, Harmonica Harry e Model T Slim. Impara a suonare l'armonica da John Lee “Sonny Boy” Williamson, destinato a rimanere a lungo il suo maggior ispiratore e con lui lavora spesso durante i primi anni Quaranta nei locali di Little Rock, in Arkansas. Nel 1951 forma un proprio gruppo con i chitarristi Baby Face Turner, Junior Crippled, Red Brooks e con Bill Russell alla batteria. Con questa band incide per la Modern i suoi primi brani My Little Machine e Down South Blues. L'anno dopo registra con Ike Turner Good Morning Baby e My Sweet Woman per la RPM. Dopo la morte di Brooks inizia a esibirsi da solo come nell'area di Los Angeles. Nel 1959 registra alcuni dischi con il suo vero nome. All'inizio degli anni Settanta le sue cattive condizioni di salute lo costringono ad abbandonare la vita musicale attiva. La sua ultima esibizione pubblica avviene al Folk Music Festival di San Diego del 1971. Nel 1977 ci lascia per sempre.

14 settembre, 2020

14 settembre 1973 – La musicalità istintiva di Alessandro Canino

Il 14 settembre 1973 nasce a Firenze il cantante Alessandro Canino. Figlio di un musicista trova nel padre un alleato quando decide di avvicinarsi al mondo della musica, per il quale dimostra un precoce interesse e un grande talento. Il ragazzo studia con Walter Savelli e inizia prestissimo a esibirsi in vari locali di Firenze. Nel 1992 Alessandro debutta nella categoria “Nuove Proposte” del Festival di Sanremo con la canzone Brutta cui segue il suo primo album Alessandro Canino. Brutta diventa uno dei successi commerciali dell’anno e Canino vince il Telegatto come Miglior Artista Emergente decretato dal pubblico di “Vota la Voce”. Negli anni successivi torna ancora al Festival di Sanremo presentando nel 1993 Tu tu tu tu tu e nel 1994 Crescerai. Dotato di una musicalità istintiva si conferma successivamente come uno dei più promettenti cantautori del nuovo panorama pop italiano.



08 settembre, 2020

8 settembre 2001 – RE.SET, il primo festival italiano di dance ed elettronica

L'8 settembre 2001 il Campovolo di Reggio Emilia si trasforma nella capitale europea della musica dance ed elettronica. Nell'area, occupata dalla Festa Nazionale dell'Unità sbarca infatti RE.SET, il primo festival di dance ed elettronica italiana con una succulenta serie di artisti annunciati. L’iniziativa riempie un vuoto. Da tempo, infatti, in molti sottolineavano come alla scena dance ed elettronica italiana mancasse un grande appuntamento live, di ampio respiro, capace di misurarsi con i raduni di massa che costellano il panorama europeo. Dalla fin troppo citata Love Parade di Berlino, che in quell’anno dopo oltre un decennio mobilita oltre un milione di persone ai più modesti (si fa per dire) happening di Parigi con "soltanto" mezzo milione di persone o di Zurigo, che si attesta su trecentomila presenze, l'intera Europa vede lo svolgimento di grandi festival. L'Italia per lungo tempo ha guardato stupita, quasi distratta, ciò che avveniva negli altri paesi, pur con qualche lodevole eccezione. Mancanza d'interesse? Non sembra, visto che le attività nei club italiani e, soprattutto, nei Centri Sociali sono da tempo coronate da successo. A Milano, per esempio, l'attività del venerdì in Pergola è stata particolarmente attiva nei settori nu-jazz e drum'n'bass, mentre alcuni rave organizzati dal Leoncavallo, come quello con Goldie e Storm, hanno attirato migliaia di giovani entusiasti. Sempre per restare in Lombardia come dimenticare lo storico mercoledì dei Magazzini Generali che si ripete ormai da cinque anni? Ma la febbre non è soltanto nordica, visto che Roma dimostra un'effervescenza non inferiore alle altre capitali europee con serate come quella del venerdì all'Agatha, del sabato al Classico Village. Accanto all'ormai storico govedì del Goa, che ha ospitato, tra gli altri, Goldie, Darren Emerson e la Boutique di Fatboy Slim, non mancano nuove iniziative come l'apertura del Blue Cheese, un locale dedicato ai nuovi suoni del breakbeat e del drum'n'bass. Più orientate ai suoni tech-house appaiono, invece, Torino e Bologna, dove il Link resta il faro-guida della scena dance underground non soltanto locale. Insomma, il panorama italiano dell'elettronica mai come in quel periodo appare in forte crescita qualitativa e quantitativa. Per questa ragione l'appuntamento di Reggio Emilia diventa uno di quelli destinati a lasciare un segno. Non è un caso che proprio la cittadina emiliana si sia candidata a diventare, sia pure per un giorno la capitale della dance e dell'elettronica. Sul suo territorio l'anno prima è stata organizzata Clubspotting, una mostra di approfondimento sulla club culture che ha suscitato notevole interesse in tutto il mondo e di cui è prevista nel 2001 la seconda edizione. Sempre a Reggio c'è, poi, il Maffia Music Club, il cui Soundsystem funge da maestro di cerimonia nella lunga, lunghissima giornata del RE.SET. Il programma annunciato promette una rassegna unica nella pur lunga storia di questo genere musicale nel nostro paese. Tra le performance più attese c'è quella dei Transglobal Underground, il system che negli anni precedenti ha avuto nella propria line-up anche Natacha Atlas. Il loro suono capace di ardite contaminazioni tra tribalismo, rap arabo, campionamenti ipnotici e sonorità etniche, resta, a dieci anni dalla nascita dell'ensemble, un costante punto di riferimento per la scena del world groove. Ci sono anche Roni Size & Full Cycle, i quattro ragazzotti di Bristol vincitori di un Mercury Award e considerati tra i maggiori responsabili della diffusione nel mondo del drum’n’bass e i londinesi Pressure Drop con il loro suono radicale e antirazzista. L'orizzonte si allarga ancora con le esplorazioni del francese Frederic Galliano che mescolano musica elettronica, jazz e cultura africana e le tensioni sonore e ritmiche di Howie B. C'è anche Fabio, il dj esponente dell'ala più jazzy e musicale del drum'n'bass cui Matthew Collin ha dedicato un intero capitolo del suo libro "Stati di alterazione" che analizza la club culture inglese. Una sfida al razzismo e a favore dell'integrazione tra culture diverse è anche la presenza di Badmarsh & Shri esponenti di quell'Asian Underground che mescola funk, drum'n'bass, dub, musica indiana, London beat e jazz. Non manca neppure Wookie, considerato l'astro nascente del twostep garage britannico e neppure i suoni malfermi e uggiosi del breackbeat dei Freestylers. Non sono, infine, escluse presenze a sorpresa di artisti non annunciati. Il panorama italiano, oltre che dai Maffia Soundsystem è rappresentato dall'ex Aeroplanitaliani Alessio Bertallot, divenuto una sorta di profeta dell'elettronica che da qualche tempo, consapevole del suo ruolo, alterna evoluzioni ai piatti, rubriche radiofoniche e performance giornalistiche.