31 ottobre, 2020

31 ottobre 1929 – Bud Spencer, dalle Olimpiadi al set

Il 31 ottobre 1929 nasce a Napoli Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli. Il padre è un uomo d’affari e la famiglia vive in una situazione di discreto benessere. Nel 1940 i Pedersoli se ne vanno a Roma dove il piccolo Carlo entra a far parte di un club di nuoto. Diplomatosi a soli diciassette anni si iscrive all’Università. Nel 1947 segue per un paio d’anni la famiglia in Sudamerica e, tornato in patria, inizia ad affermarsi nel nuoto vincendo titoli in varie specialità e conquistando il record nazionale cento metri stile libero dove scende per primo sotto la barriera del minuto netto. Partecipa poi alle Olimpiadi di Helsinki 1952 sia nel nuoto che nella pallanuoto, a quelle di Melbourne 1956 e a Roma 1960. In quel periodo esordisce anche nel cinema con una comparsata in Quo Vadis?, dove impersona un soldato romano, ma non dimentica gli studi e si laurea in Giurisprudenza. Dopo un tentativo come autore di testi per canzoni lavoricchia nel cinema e produce vari documentari per la RAI. Ex nuotatore olimpionico con un fisico imponente e la faccia da gigante buono Bud Spencer arriva al cinema relativamente tardi. L’assenza di scuole specifiche e l’imponenza della sua figura fanno presagire un suo utilizzo nella parti di caratterista. Forse sarebbe davvero finita così se sulla sua strada non avesse incontrato il western all’italiana, un altro attore apparentemente limitato come Terence Hill e un regista come Giuseppe Colizzi che lo vuole nel suo western Dio perdona... io no!. La pellicola, nella quale fa coppia con Terence Hill, lo fa conoscere e segna l’avvio di una lunghissima e fortunata carriera. Il western all’italiana, per la schematicità dei suoi codici, ha la necessità di attori capaci di caratterizzare nel modo più netto possibile i personaggi perché in genere non c’è né tempo né voglia di indulgere in complicate elaborazioni psicologiche. In questo senso Bud Spencer è perfetto: grande, grosso, generoso e con la faccia da buono si fa capire immediatamente. L’incontro con Terence Hill completa entrambi perché nella coppia ciascuno dà all’altro quello che manca. Colizzi ha il merito di intuirlo per tempo e fare la fortuna di tutti e due. Muore a Roma il 27 giugno 2016.

30 ottobre, 2020

30 ottobre 1969 – Lo slapping poderoso di Pop Foster

Il 30 ottobre 1969 muore a San Francisco, in California il contrabbassista Pop Foster, registrato all’anagrafe con il nome di George Murphy Foster. Nato a McCall, in Louisiana, il 19 maggio 1892 al momento della more è considerato uno dei più grandi contrabbassisti della storia del jazz, grazie al suo poderoso slapping creato da una possente forza delle dita e dei muscoli del braccio che quasi fa da contraltare al suo aspetto esile e dimesso. Il talento di Pop è soprattutto nelle sue intuizioni ritmiche che gli consentono di lanciare i solisti anticipandone il linguaggio. La sua tecnica, più vicino alla perfezione di un metronomo che ai capricci dell'invenzione, gli consente di diventare rapidamente uno dei protagonisti dello stile New Orleans delle origini. La sua carriera musicale inizia infatti proprio a New Orleans dove si trasferisce giovanissimo con la famiglia costretta ad abbandonare la piantagione di McCall in cui è nato e vissuto da bambino. Il suo primo strumento è il violoncello che impara sotto la guida del padre e della sorella. Soltanto a sedici anni passa al contrabbasso bruciando rapidamente le tappe. Prima dei vent’anni suona già con band come l'Eagle Band e la Magnolia Jazz Band che intrattengono i turisti ospitati dai battelli in navigazione sulle acque del Mississippi. Nello stesso periodo suona anche nei locali di Storyville insieme ai maestri leggendari dello stile di New Orleans, da King Oliver a Roy Palmer e George Baquet. Successivamente lascia New Orleans per entrare nell'orchestra itinerante di Fate Marable di cui fanno parte anche Louis Armstrong e Baby Dodds. Con loro Pop affina la sua tendenza ad irrobustire l’accompagnamento fino a sostituire definitivamente il basso tuba con il suo contrabbasso. Dalla band di Fate Marable passa poi a quella di Charlie Creath, un altro leggendario musicista della regione del delta e, dopo una breve parentesi californiana, se ne va a New York per suonare nell’orchestra di Luis Russell con la quale resta dal 1929 al 1940. Nella seconda metà degli anni Quaranta il jazz tradizionale va un po’ in crisi e non gli consente di guadagnare quanto basta per vivere Pop Foster continua a suonare ma si mantiene facendo l’operaio nella metropolitana di New York. I musicisti di cui si circonda in quegli anni sono i neri di New Orleans che vivono la fase del recupero storico, quali Baby Dodds, Bunk Johnson, George Lewis, ma anche i jazzmen bianchi di Chicago, primo fra tutti quell’Art Hodes, che ha saputo dare una coscienza storica e critica all'intero fenomeno del jazz delle origini. Rudi Blesh chiama Pop accanto a sé nelle celebri esibizioni radiofoniche intitolate “This Is Jazz” alle quali partecipa il meglio del jazz tradizionale. Dal 1949 al 1951 è a Boston con l'orchestra di Bob Wilber e successivamente con Jimmy Archey. Negli anni Sessanta deve ridurre la sua attività per ragioni di salute. Con la sua morte scompare uno dei protagonisti della scuola classica di contrabbasso.





29 ottobre, 2020

29 ottobre 2004 - Viene ripubblicato in cd il mitico album “Un biglietto del tram” degli Stormy Six

Il 29 ottobre 2004 torna nei negozi italiani di dischi Un biglietto del tram degli Stormy Six, l’album di Stalingrado, La fabbrica e Dante Di Nanni, uno dei dischi storici della musica italiana degli anni Settanta. Rimasterizzato in digitale dalla BTF è diventato un Cd in confezione cartonata con tutti i testi dei brani, i disegni originali e le etichette d’epoca. A quasi trent’anni dalla sua prima pubblicazione nell'aprile del 1975 non suona per niente datato. Tutte le canzoni, infatti, conservano intatto il fascino, la freschezza e l'energia comunicativa che le hanno impresse nel cuore e nella memoria di tante generazioni. In Un biglietto del tram gli Stormy Six mettono in poesia l'epopea della resistenza, dalla battaglia di Stalingrado agli scioperi del 1944, dallo sbarco degli angloamericani in Sicilia allo sbandamento dell'esercito italiano dopo l'8 settembre, ai fucilati di Piazzale Loreto, alla lotta di liberazione contro il nazifascismo. Sul piano musicale esprimono un magistrale equilibrio tra ricerca espressiva "colta" e tradizione popolare dando ampio spazio alle parti strumentali e non facendosi catturare dai luoghi comuni pop-rock. Le storie sono raccontate con gusto e slancio popolare ricollegando senza retorica presente e storia, epica e quotidiano. Riascoltarli nella versione originale è un’emozione che fa bene al cuore e alla mente.

28 ottobre, 2020

28 ottobre 1947 - Wanda Radicchi, in arte Monna Lisa, una delle voci del jazz italiano

Il 28 ottobre 1947 nasce a Crotone Wanda Radicchi, cantante con il nome d’arte di Monna Lisa e corista tra le più apprezzate della scena musicale italiana. Scoperta nel 1955 dal batterista Gil Cuppini, Monna Lisa in breve diventa una delle più apprezzate cantanti jazz italiane e si esibisce in concerto, oltre che con l'orchestra di Cuppini, con Chet Baker, Gorni Kramer, Renato Sellani e altri. Tra i suoi brani più famosi di questo periodo ci sono It had to be you, Whats new? e Cry me a river. La sua voce non si pone però limiti di genere e non disdegna interessanti esperienze nella musica leggera. La sua voce compare in moltissime registrazioni di successo di grandi artisti tra i quali figurano anche Lucio Battisti, Mina e Ornella Vanoni.

27 ottobre, 2020

27 ottobre 1962 – Giovanni Ardizzone era il suo nome

Il 27 ottobre 1962 in una Milano blindata muore investito da una camionetta della polizia Giovanni Ardizzone. La sua sola colpa è quella di essere lì per manifestare a favore della pace. Sono giorni difficili e la terra è sull'orlo della catastrofe nucleare. In quella che passerà alla storia come la "crisi dei missili", gli Stati Uniti fanno suonare le trombe di guerra contro un piccolo stato "canaglia", colpevole di aver cacciato le multinazionali nordamericane e di avere scelto la via socialista: Cuba. Nell'immaginario collettivo è la Cuba dei "barbudos", di Fidel Castro, Che Guevara e Camilo Cienfuegos, la "Isla grande" che ha dimostrato al mondo come anche nel cortile di casa degli imperialisti sia possibile dare un senso concreto a parole come libertà, socialismo e comunismo. Come sempre, come oggi, anche allora c'è chi non se ne accorge, chi guarda indeciso, chi si schiera dalla parte del più forte e chi si mobilita, oltre che per la pace, anche per l'autonomia e l'indipendenza di Cuba socialista. Tra questi ultimi c'è Giovanni Ardizzone, il ventunenne figlio unico del farmacista di Castano Primo, un borgo nelle vicinanze di Milano. Studente universitario, iscritto al secondo anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia, frequenta il collegio universitario Fulvio Testi ed è un militante comunista. La sua vita quotidiana non è diversa da quella di tanti giovani di oggi. Le sue giornate passano veloci scandite da discussioni, volantinaggi, riunioni, cinema e musica. Quando, come, in tante altre città italiane, la Camera del Lavoro di Milano organizza una grande manifestazione pacifista e di protesta contro l'aggressione statunitense, Giovanni e i suoi compagni sono, come sempre, in prima fila. È il 27 ottobre 1962, un sabato d'autunno. In piazza c'è molta gente e sono tanti, tantissimi i giovani. Dopo il discorso del segretario della CGIL è previsto un corteo per le vie del centro storico di Milano. Alla partenza non c'è particolare tensione. Nonostante la nutrita presenza di polizia, in particolare del Terzo Battaglione della Celere, corpo speciale di intervento anti-manifestazioni, giunto appositamente da Padova, non si registra alcun incidente. Quando la testa del corteo arriva in piazza del Duomo, però, il clima muta all'improvviso. Senza alcuna ragione plausibile la polizia riceve l'ordine di disperdere i manifestanti pacifisti. Scoppia un inferno di cariche, pestaggi, mentre il rombo dei motori delle jeep diventa la colonna sonora di un terrore del tutto ingiustificato. Impreparati all'attacco a freddo i manifestanti tentano di reagire con lanci di pietre e bastoni, ma il rapporto di forza è impari. Le gimkane motoristiche li costringono a rifugiarsi nelle vie adiacenti alla piazza alla mercé dei poliziotti che si scatenano in una vera e propria caccia all'uomo. Dove gli spazi sono più larghi le camionette si gettano a pazza velocità contro i partecipanti al corteo senza fermarsi davanti a nulla. Giovanni Ardizzone viene investito e travolto davanti alla Antica Loggia dei Mercanti, di fronte al Duomo. Poco più in là altri due partecipanti al corteo restano al suolo. Sono il muratore Nicola Giardino di 38 anni e l’operaio Luigi Scalmana, di 57 anni. Da subito si capisce che per il giovane studente non c'è nulla da fare. Giovanni Ardizzone muore poche ore dopo in ospedale. Agli altri due feriti va meglio. Dopo essere stati in fin di vita per alcuni giorni, riusciranno a riprendersi. La notizia dell'uccisione di Giovanni fa il giro della città. Nella notte tra il sabato e la domenica, gruppi di giovani operai, studenti e cittadini arrivano alla spicciolata nel luogo dove è stato ucciso, si siedono per terra e danno vita a una silenziosa veglia. Il giorno dopo, domenica 28 ottobre, i piccoli gruppi sono diventati una folla impressionante che occupa gran parte della Piazza del Duomo e dei dintorni. Il luogo dell'assassinio è sommerso da fiori e cartelli. I parlamentari comunisti e della sinistra presentano note di protesta e interrogazioni urgenti contro una versione "ufficiale" del ministero dell'interno, avallata da gran parte della stampa che parla di “banale, per quanto spiacevole, incidente stradale”. Lunedì 29 ottobre gli operai delle fabbriche milanesi entrano in sciopero e nelle università e nelle scuole superiori di Milano e hinterland vengono sospese le lezioni in segno di protesta contro l’assassinio di Ardizzone. Nella notte tra lunedì e martedì la foto del giovane caduto viene collocata nel vicino Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza, dove continua il pellegrinaggio della popolazione milanese e lombarda. L'emozione e lo sdegno per l'assassinio non si fermano, però, a Milano. In tutto il paese vengono indetti scioperi e manifestazioni di studenti e operai. Giovanni Ardizzone non resta solo neppure nel suo ultimo viaggio. Il giorno dei funerali Castano Primo è invaso da migliaia di persone, arrivate da ogni parte d'Italia per dare l'estremo saluto al giovane comunista caduto combattendo per la pace. Ispirandosi alla vicenda di Giovanni, il cantautore Ivan Della Mea scrive la sua Ballata per l’Ardizzone.


26 ottobre, 2020

26 ottobre 1926 - Il massacro di Merca, l'altra faccia di "Faccetta nera"

Nella notte del 26 ottobre 1926 tra i coloni italiani della cittadina di Genale, in Somalia, si diffonde la notizia che lo sceicco Ali Mohamed Nur, un capo religioso sospettato di appoggiare la resistenza somala contro l’occupazione italiana si è rifugiato con un gruppo di suoi seguaci all’interno della moschea di El Hagi, a Merca, un villaggio poco distante. Invece di attendere l’esercito una cinquantina di ex squadristi insediatisi a Genale decidono di farsi giustizia da soli. Armati di moschetti e di fucili da caccia si dirigono verso Merca. Arrivati nel villaggio circondano la moschea e trucidano indistintamente tutte le persone che si trovano all’interno. Esaltati dall’impresa decidono di proseguire uccidendo tutta la popolazione indigena del villaggio. Il proposito viene però stroncato dall’intervento sia pur tardivo dei reparti dell’esercito. La strage, che resta nella storia come “Il massacro di Merca” è uno dei tanti episodi di crimini di cui s’è macchiata l’avventura coloniale italiana.

25 ottobre, 2020

25 ottobre 1948 – Anselmo Genovese, più autore che cantante

Il 25 ottobre 1948 a Camporosso, in provincia d’Imperia nasce il cantante e autore Anselmo Genovese. Nel 1965, a soli diciassette anni, firma Ora un brano beat che viene pubblicato su disco RCA dai Kites. Due anni dopo fonda i Sextons, un gruppo dalla breve vita che contribuisce a farlo conoscere. Successivamente passa con i Kidnappers, una band già affermata di cui diventa l’insostituibile chitarrista. Proprio con i Kidnappers incide nel 1968 il suo primo disco, un singolo con i brani E se un angelo e Ho sete. Scritturato come solista dalla Ariston pubblica nel 1969 come Anselmo (senza il cognome) il brano Il fuoco è spento, da lui stesso scritto e composto. L’anno successivo recupera il suo nome intero e partecipa a “Un disco per l'estate” con il brano Per 70 lire. Sempre nel 1970 Paolo Mengoli interpreta con buon successo la sua Muore il giorno ma l'amore no. La svolta nella sua carriera arriva quando Ornella Vanoni, colpita dal talento compositivo, lo convoca e decide di inserire nel suo repertorio Il tempo d’impazzire. Il brano, presentato dalla cantante a “Canzonissima '71” ottiene un grande successo sia in Italia che in Spagna. Due anni dopo Ornella Vanoni incide un altro brano scritto da Anselmo Genovese, Pazza d'amore, sigla della trasmissione radiofonica “Gran Varietà”, presentata da Johnny Dorelli e dalla stessa Ornella Vanoni. Ormai affermato come autore Anselmo Genovese scrive nel 1973 La grande risposta per Giovanna e nel 1974 Farei anche il meccanico per Piero Focaccia. Sempre nel 1974 Anselmo Genovese partecipa a “Un disco per l'estate” interpretando La prima volta, un brano originariamente destinato all’Equipe 84. L’anno dopo una sua canzone intitolata La nostra buona educazione viene pubblicato da Julio Iglesias in cinque lingue e vendendo più di diciotto milioni di copie in tutto il mondo. Nel 1976 partecipa al “Discoinverno” con Sensazione di un grande amore, e l’anno dopo porta al Festivalbar Un grido di gabbiani. Il successo di questo brano gli apre le porte del Festival di Sanremo cui partecipa nel 1978 con Tu sola. Nel 1979 Mina interpreta e porta al successo la sua Anche un uomo, sigla del rifacimento del programma a quiz “Lascia o raddoppia?” presentata Mike Bongiorno. Nel 1980 Genovese pubblica È facile e l’anno dopo Mia cara Brooklyn un brano scritto appositamente per il varietà televisino “Te la do io l’America” presentato da Beppe Grillo. Nel 1987 incide il suo ultimo singolo con i brani Anno 2000 e Senza umanità. Prende poi la decisione di non esibirsi più in pubblico pur continuando a scrivere canzoni come Anche un uomo, Il cigno dell'amore, Senza fiato, Un' aquila nel cuore, Senza umanità, Momento magico e tante altre.


24 ottobre, 2020

24 ottobre 2006 - Bruno Lauzi, l’impegno e l’ironia

Il 24 ottobre 2006 muore Bruno Lauzi. Nato l’8 agosto 1937 a l’Asmara, in Etiopia, con la sua famiglia rientra in Italia negli anni Cinquanta e nel 1953 fa parte della Jelly Roll Morton Boys Jazz Band dove viene accettato grazie a una presentazione del suo amico Luigi Tenco. Nel gruppo jazz si fa notare per il particolare arrangiamento per banjo della Rapsodia in blu di George Gershwin. Nel 1960, compone 'O frigideiro un brano in dialetto genovese dalla ritmica brasiliana, seguita, tre anni dopo, dalla divertente Garibaldi blues e dalla pubblicazione del suo primo singolo di successo intitolato Ritornerai. Nel 1964 partecipa "Un disco per l'estate" con il brano Viva la libertà e, nel 1965, interpreta al Festival di Sanremo Il tuo amore in coppia con Kiki Dee. Nello stesso anno vince anche l'Oscar del disco con l'album Lauzi al cabaret e nel 1966 vince la Caravella d'oro di Bari come miglior cantautore. Parte quindi per un lungo tour con Mina in Sudamerica e nel 1968 vince ancora l'Oscar del disco con l'album Cara. Parallelamente all'attività di cantautore è un apprezzato traduttore di brani francesi. Sono sue le versioni italiane di canzoni come Lo straniero di Georges Moustaki e Quanto ti amo di Johnny Hallyday, mentre la sua canzone Il poeta, considerata un po’ il manifesto della cosiddetta "scuola genovese" viene portata al successo da Mina e Gino Paoli. Nel 1970 ottiene un altro riconoscimento con Arrivano i cinesi e nel 1971 arriva al primo posto della classifica italiana con Amore caro amore bello firmata dalla coppia Mogol-Battisti, cui segue l'album Bruno Lauzi. Da quel momento continua l'attività pubblicando album dignitosi e lavorando soprattutto come traduttore dei grandi artisti francesi e brasiliani. Muore a Peschiera Borromeo in provincia di Milano il 24 ottobre 2006.


23 ottobre, 2020

23 ottobre 1928 - Domenico Attanasio dalla lirica alla canzone

Il 23 ottobre 1928 nasce a Napoli Domenico Attanasio. Cantante in possesso di una voce estesa e pastosa, all’inizio della sua carriera tenta la strada della lirica e debutta come tenore sotto la direzione del maestro Gianandrea Gavazzeni nell'opera "Nina pazza per amore" di Giovanni Paisiello al Teatro San Carlo di Napoli. Come molti altri protagonisti della scena lirica di quel periodo, però, si lascia tentare dalle lusinghe di della cosiddetta “musica leggera” e passa alla canzone vincendo un concorso organizzato dalla RAI che lo assume. Ai microfoni della radio canta con le orchestre Anepeta, Fragna e Vinci. Nel 1952, in coppia con Oscar Carboni, si piazza al secondo posto con Varca lucente alla prima edizione del festival di Napoli. La sua carriera è costellata da grandi soddisfazioni e da un successo che supera anche i confini d’Italia.


21 ottobre, 2020

21 ottobre 1940 - Plinio Maggi, da Sanremo alla farmacia

Il 21 ottobre 1940 nasce a Catania Plinio Maggi. Cantante e autore soprattutto di testi, fin da ragazzo frequenta corsi di canto e di pianoforte, affiancando agli studi universitari l’attività musicale in varie orchestre. Nei primi anni Sessanta partecipa a vari concorsi canori e nel 1965 vince il Festival per voci nuove di Castrocaro, il più importante di quel periodo anche perché dà la possibilità al vincitore di partecipare al Festival di Sanremo. La sua voce melodico moderna è estremamente funzionale ai primi tentativi di costruzione di un pop all’italiana che mescola i ritmi del beat alle melodie tradizionali. Nel 1966 partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Anna Marchetti cantando il brano Io ti amo. Nello stesso anno vola in America dove ottiene un discreto successo partecipando all’Andy Williams Show. Dopo alcune fortunate tournée all'estero e qualche disco senza grandi risultati, all'inizio degli anni Settanta decide di lasciare le scene per fare il farmacista. Fra i suoi dischi sono da ricordare Quando tu partirai e Questa sera noi ci lasceremo. Muore a Catania il 20 ottobre 2019.


19 ottobre, 2020

19 ottobre 1966 – Sinitta, dalla discoteca al musical

Il 19 ottobre 1966 nasce a Seattle Sinitta Renet Malone, la figlia della cantante Miguel Brown, destinata a diventare una delle protagoniste della scena musicale degli anni Ottanta tanto da essere incoronata dai critici come “la nuova regina della musica da discoteca”. Trasferitasi ancora bambina in Gran Bretagna muovi i primi passi nel mondo dello spettacolo partecipando vari musical e film. Il primo grande successo in campo musicale arriva nel 1986 quando sotto l'esperta guida degli autori e produttori Stock, Aitken & Waterman realizza un singolo che contiene i brani So macho e Cruising che scala le classifiche e spopola nelle discoteche di mezzo mondo. La conferma del successo di Sinitta arriva l’anno dopo con il primo album Sinitta! e con i brani Toy boy e GTO, cui seguono nel 1988 i singoli Cross my broken heart e I don't believe in miracles. Nel 1989, nonostante il buon successo dei singoli Right back where we started from e Love on a mountain top, il suo album Wicked! delude un po’ le aspettative dell’artista e dei produttori. Di fronte al calo della sua popolarità come interprete dance, Sinitta preferisce sfruttare meglio la sua poliedricità, tornando al musical.



15 ottobre, 2020

15 ottobre 1935 - Sugar Pie DeSanto canta il blues

Il 15 ottobre 1935 a Brooklyn, New York, nasce Peylia Balinton, destinata a lasciare un segno importante nella storia del blues con il nome d’arte di Sugar Pie DeSanto. A due anni la sua famiglia lascia New York per trasferirsi a San Francisco, in California. Qui la bambina inizia a cantare nel coro della sua chiesa e frequenta corsi di danza classica. Affascinata dal blues inizia a modulare la sua voce sui brani della tradizione. Nel 1952 vince alcune rassegne per voci nuovi organizzate all'Ellis Theatre e trova così le prime vere scritture. Nel 1954 viene notata a Los Angeles da Johnny Otis, che le apre le porte della casa discografica Federal e, con il nome d’arte di Little Miss Sugar Pie la fa partecipare al proprio spettacolo viaggiante. Dopo una lunga serie di tournée nel “Johnny Otis Show” medita di mettersi in proprio. Nel 1957, dopo essersi esibita al Lincoln Club di Stockton, sposa il chitarrista e cantante Pee Wee Kingsley, con il quale registra vari dischi. Il notevole successo ottenuto con il brano I Want To Know le vale un ingaggio al prestigioso Apollo Theatre di New York, dove arriva in cartellone al fianco di James Brown, con il quale effettua poi varie tournée. All’inizio degli anni Sessanta si stabilisce a Chicago, dove registra vari dischi per la Chess, ottenendo un buon successo soprattutto con Slip In Mules del 1964. Nell'ottobre dello stesso anno viene in Europa al seguito dell'American Folk Blues Festival. Dalla fine degli anni Sessanta si esibisce soprattutto a San Francisco allo Sportsman Inn e al Continental Club. All’inizio del decennio successivo si ritira per qualche tempo dalle scene a causa di una malattia. Riapparsa in gran forma alla metà degli anni Settanta non lascia più il palcoscenico.


14 ottobre, 2020

14 ottobre 1953 - Michele Ascolese una delle chitarre di De André

Il 14 ottobre 1953 nasce a Salerno il chitarrista Michele Ascolese. È ancora molto giovane quando inizia a suonare la chitarra da autodidatta facendone poi pian piano la sua occupazione esclusiva. A ventun anni è già un professionista del mondo delle sette note. Dopo aver fatto parte del gruppo del percussionista brasiliano Mandrake, nel 1978 suona con la cantante Lilian Terry e l’anno dopo vola in Giappone in tournée con la band del trombettista Nini Rosso. Negli anni successivi partecipa a vari progetti tra i quali spiccano la big band di Tommaso Vittorini e la nascita di un trio a suo nome con il fratello Gian Paolo ed Enzo Pietropaoli. Sempre alla fine degli anni Settanta partecipa all'album di Enrico Rava Pupa o Crisalide. Chitarrista versatile ed eclettico dichiara una grande passione per la musica brasiliana, pur accumulando nel suo repertorio molti suoni diversi. Nel 1985 entra nel gruppo che accompagna la tournée “Insieme” di Ornella Vanoni con Gino Paoli. Considerato uno dei più completi e apprezzati session man del panorama musicale italiano ha accompagnato i progetti artistici di un gran numero di artisti. Oltre ai già citati Gino Paoli e Ornella Vanoni si sono “appoggiati” alla sua chitarra Sergio Caputo, Roberto Vecchioni, la PFM, Teresa De Sio, Angelo Branduardi, Fabio Concato, Eduardo De Crescenzo, Renato Zero, Eros Ramazzotti, Tullio De Piscopo, e molti altri. Per anni è stato collaboratore stretto di Fabrizio De Andrè

13 ottobre, 2020

13 ottobre 1936 – Shirley Bunnie Foy, una voce da jazz

Il 13 ottobre 1936 nasce New York la cantante Shirley Foy, più conosciuta come Bunnie Foy. La sua è una famiglia di musicisti. Sua madre è una violinista, suo padre un chitarrista, i suoi zii suonano tutti il sassofono e le sue quattro sorelle sono anche esse cantanti. La piccola Bunnie fin da bambina inizia a familiarizzare con tutti i tipi di canto popolare e rurale della cultura afroamericana come il gospel, blues, spirituals, anche alcuni tipi di canti africani e caraibici. In seguito frequenta la New York Schools of Music, studiando pianoforte teoria e solfeggio. In quel periodo collabora e studia anche con John Coltrane e Junior Cook. Negli anni Cinquanta a soli quattordici anni entra a far parte dei Delltones, un quintetto vocale di rhythm ann blues che si esibisce accompagnato da contrabbasso, batteria e da un gruppo di trombonisti tra i quali spiccano i nomi di Slide Hampton, Melba Liston, Dave Baker e Chuck Connors. Lavorato anche con musicisti come Count Basie e Maynard Ferguson. Nel 1959 si trasferisce a Parigi dove canta con il trio del pianista Pierre Franzino che diventerà suo marito. Tornata nel 1965 a New York canta con Archie Sheep e poi entra a far parte del gruppo di Charlie Shavers, che schiera Jo Jones alla batteria. Dal 1966 al 1968 collabora con Curtis Potter nelle sue composizioni e arrangiamenti per sedici voci Nel 1969 torna in Europa e, dopo una breve permanenza a Parigi e a Nizza si trasferisce a Milano per lavorare sugli arrangiamenti per Big Band scritti dal batterista Gil Cuppini. L’anno dopo Enrico Intra la vuole come voce solista nella sua Messa d’oggi, eseguita alla Certosa di Pavia e alla Fenice di Venezia. Negli anni Settanta Bunnie Foy collabora con alcuni dei maggiori protagonisti del jazz di quel periodo, da Franco Cerri ad Art Blackey, da Mario Rusca a Pino Presti Giampiero Boneschi a Johnny Griffin, da Bruno De Filippi a Sante Palumbo, da Freddie Hubbard a Tullio De Piscopo e Paolo Tomelleri. Nel 1977 collabora con Franco e Stefano Cerri alla realizzazione di un album di armonie sperimentali e l’anno dopo reinterpreta in chiave jazz i più grandi successi di Gorni Kramer accompagnata dallo stesso Kramer alla fisarmonica. In quegli anni insegna anche canto jazz nella scuola "Nuova Milano Musica". Instancabile e curiosa sperimentatrice non abbandona mai la scena e ancora nel 2007 ha registrato un disco con il pianista Jean-Sébastien Simonoviez, il contrabbassista François Gallix, il batterista Yohan Serra alla batteria e il sassofonista Gael. Muore a Nizza il 24 novembre 2016.




04 ottobre, 2020

4 ottobre 1875 – Le Olimpiadi? Ma quale leggenda, quella è storia...

Il 4 ottobre 1875 il professor Ernst Curtius, originario di Lubecca, inizia a scavare tra le macerie di quella che veniva indicata come l'antica Olimpia. Il suo scopo è quello di dimostrare che le Olimpiadi non sono un mito. Il cocciuto studioso ci riesce. Il 20 marzo 1881 conclude la sua opera di scavo consegnando agli allibiti contemporanei i ruderi dell'antico stadio olimpico e un'ampia relazione sull'argomento contenuta in ben sei volumi. Sulla base dei suoi studi diventa così certo che il fatto che, a partire dal 776 a.C. al 393 d.C., ogni quattro anni Olimpia diventava sede di giochi in onore di Zeus, durante i quali anche le guerre tra le litigiose nazionalità greche si fermavano. La leggenda più diffusa e pretenziosa attribuisce la prima organizzazione dei giochi nientemeno che a Ercole, mentre un'altra, meno nobile, ma certamente più vicina alla realtà elegge a padre dei giochi un certo Pelope, figlio di Tantalo, che avrebbe voluto, in questo modo, celebrare la sua vittoria, ottenuta corrompendo un cocchiere, su Enomao re di Olimpia, che aveva messo in palio la mano della figlia Ippodamia. Gli storici, invece, ritengono che varie siano state le ragioni per la nascita delle Olimpiadi: l'aspirazione a ingraziarsi gli dei in un periodo di stragi ed epidemie in tutto il Peloponneso, la possibilità di mimare senza spargimenti di sangue la lotta per il potere, l'esaltazione dell'individualità (non c'erano prove di gruppo) per stemperare le tensioni tra città ed etnìe e, in qualche modo, anche per incrementare il commercio e il turismo nell'Elide con l'arrivo di migliaia di spettatori e pellegrini. Fino alla trentaseiesima edizione i Giochi Olimpici vennero riservati soltanto ai giovani rigorosamente "di buona discendenza Greca", vale a dire agli aristocratici che avevano così occasione di mostrare al popolo la loro bellezza, la loro bravura e la loro forza. I giochi furono sempre vietati alle donne, ammesse solo negli accampamenti degli atleti e degli spettatori, anche se nel 396 la spartana Kiniska riesce a figurare tra i vincitori perchè proprietaria dei cavalli che avevano trionfato nella corsa. Accanto alle manifestazioni sportive si tenevano poi concorsi di poesia e di eloquenza, oltre a numerosissime celebrazioni religiose. Con il passare del tempo però lo spirito delle Olimpiadi si inquinò. Nonostante l'individualità delle gare, riaffiorarono le competizioni tra le etnìe e le città iniziarono ad accaparrarsi con ingaggi sempre più alti gli atleti migliori, trasformandoli, in professionisti ben pagati. Questo fatto portò, alla fine del secolo scorso, il buon De Coubertin a sostenere che il professionismo fosse il vero nemico delle Olimpiadi perchè le aveva già corrotte nel passato. In realtà non fu questa la causa del progressivo declino dei giochi. Altri furono gli elementi che lo determinarono: la progressiva decadenza della Grecia, il programma delle gare dilatato a dismisura e la concorrenza di altri centri, che, in anni diversi, organizzavano gare simili per attirare turisti furono gli indici più evidenti della decadenza e della perdita d'importanza dell'avvenimento. La fine venne decretata nel 393 d.C., quando i cristiani, che avevano ormai un enorme peso politico, dopo una rivolta seguita da un eccidio in un circo di Tessalonica (l'odierna Salonicco) chiesero e ottennero dall'imperatore Teodosio la soppressione dei Giochi Olimpici. Quello degli incidenti di Tessalonica fu, in realtà, un pretesto, perchè da tempo i cristiani meditavano la soppressione di una cerimonia che, al di là del fatto sportivo, rinnovava ogni quattro anni feste religiose antagoniste e legate agli antichi culti. La richiesta di soppressione venne avanzata da Ambrogio, vescovo di Milano e a Teodosio non restò che adeguarsi. Si chiuse così il sipario sui più famosi giochi dell'antichità. La storia ha tramandato solo il nome dell'atleta più popolare dell'ultima edizione: un pugile armeno di nome Varasdate.

02 ottobre, 2020

2 ottobre 2002 – Il Mediterraneo di pace di Eugenio Bennato

Il 2 ottobre 2002, mentre qualcuno conia nuove medaglie per gli eroi della Santa Crociata dell'occidente contro il nemico della fede e della civiltà che arriva dal mare, c'è anche chi ricorda a tutti che il Mediterraneo è una grande madre per un crogiolo di culture i cui crediti e debiti si confondono. È il caso di Eugenio Bennato che quel giorno pubblica l’album Che il Mediterraneo sia. L'artista napoletano non vuole sentire parlare di "scontro di civiltà. «Le radici del nostro sud ci portano direttamente all'idea di un Mediterraneo della pace e degli scambi. Quando ho suonato ad Algeri ho visto cadere in un attimo la diffidenza di un pubblico arroccato su posizioni di sospetto verso l’europeo privilegiato e colonizzatore: dopo i primi colpi di tamburello e di chitarra battente i ragazzi algerini si sono sentiti partecipi e protagonisti di una musica che appartiene anche a loro». Il disco, nato dai viaggi e dalle esperienze maturate in questi ultimi anni dal musicista partenopeo, continua il discorso iniziato con Taranta power incrociando le suggestioni di una mescola culturale che abbraccia senza stritolare una serie straordinaria di forme musicali e poetiche. Gli echi della lunga ricerca storica e musicale di Eugenio Bennato arricchiscono un lavoro che pur attualizzandone le sonorità, continua un discorso rigoroso iniziato negli anni Settanta con la Nuova Compagnia di Canto Popolare. È intero il fascino di un Sud che cessa di essere una imprecisa definizione geografica per diventare un luogo della fantasia. Ci sono (e come potrebbero non esserci?) le danze, le donne, il mare, i navigatori, i mercanti e i contadini, protagonisti di leggende antiche e nuove, ma c'è anche la realtà di oggi con la sua cupa disperazione e con le nuove emigrazioni. In Ninna nanna 2002, per esempio, è esplicito l'omaggio ai profughi che inseguono un sogno che spesso è di morte e non di vita. Affascinante, infine, è l'incrocio tra l'Africa, il Maghreb e il Salento che apre Taranta sound, uno dei brani più suggestivi e danzabili di un album che fa bene all'anima e alla mente.

01 ottobre, 2020

1° ottobre 1964 – Con l'arresto di Jack Weinberg nasce il movimento studentesco statunitense

Il 1° ottobre 1964, sulla Sproul Plaza del campus di Berkeley, lo studente Jack Weinberg viene arrestato senza troppe giustificazioni mentre sta distribuendo volantini politici. Quel giorno e quell’evento segnano la nascita del Movimento Studentesco statunitense. Nello spazio di pochi, frenetici minuti, gli studenti capitanati da Mario Savio e Jackie Goldberg mettono in stato d'assedio l'università, bloccando per ben trentadue ore l'auto della polizia sulla quale è stato caricato Weinberg. In quelle ore concitate viene fondato il Free Speech Movement. Sono i primi passi di un movimento destinato a crescere nel movimento pacifista la cui azione culminerà nella marcia sul Pentagono del 21 ottobre 1968. Quello statunitense è un movimento singolare che, salvo sporadiche fiammate, non metterà mai davvero in discussione il sistema politico del paese ma contribuirà a determinare un poderoso rinnovamento generazionale nelle strutture stesse del potere.

29 settembre, 2020

29 settembre 1975 – La caduta di Jackie Wilson

Il 29 settembre 1975 il Latin Casino di Cherry Hill nel New Jersey è affollato da un pubblico entusiasta e attento. Sul palco c’è il soulman Jackie Wilson, un artista che sa bene come affascinare l’uditorio con il suo passo dinoccolato, le sigarette che si susseguono una dopo l’altra e le canzoni cantate con voce potente e inframmezzate da battute. Improvvisamente il cantante barcolla, come se avesse incontrato un ostacolo invisibile, e cade a terra battendo violentemente la testa contro il cordolo che delimita l’esterno del palco. Il suo corpo non si muove più. Arriva un’ambulanza che lo trasporta rapidamente al più vicino ospedale. I medici del Pronto Soccorso accertano che è stato colpito da un lieve attacco cardiaco. Quello che li preoccupa, però, non è il cuore, ma la testa. Nella caduta il cantante ha, infatti, riportato gravissime lesioni al cervello. Riusciranno a risvegliarlo dal coma, ma non a ridargli una vita. Passerà nove anni in uno stato vegetativo, senza più comunicare con il mondo, prima di morire il 21 gennaio 1984. Si consuma così la triste fine di uno dei più esplosivi interpreti del soul statunitense, amato alla follia dal suo pubblico che gli perdona tutto: gli eccessi, la passione per le donne e per la droga e gli inevitabili e frequenti guai con la giustizia. Ex pugile di successo, vincitore del Golden Glove nella categoria dei pesi welters ed ex cantante dei Dominoes, è tra i protagonisti dell’esplosione del soul ‘n’ roll nero. Al momento dell’incidente ha trentanove anni e non è la prima volta che rischia la vita su un palcoscenico. La leggendaria esuberanza delle sue ammiratrici per poco non gli è fatale nel 1961 quando una fan, in preda a una violenta crisi isterica, gli spara a bruciapelo e lo ferisce gravemente. Dopo una lunga degenza in ospedale ricomincia. Negli anni Settanta fa storcere il naso ai puristi e ai critici bianchi con le sue dissacranti e violente incursioni nella musica classica e lirica come Alone at last, (una riscrittura ritmata di Ciaikovskij) e My empty arms (versione “nera” di un brano di Leoncavallo). Lui non si cura delle critiche. «Se i bianchi rubano la nostra musica perché io non posso migliorare la loro?» racconta tra una sigaretta e l’altra al pubblico in adorazione. I suoi programmi si fermano, però, sul palco di Camdem, in quella dannata sera di settembre in cui il suo cervello smette di funzionare per sempre.


28 settembre, 2020

28 settembre 1970 - L’ultima volta delle Renault 8 Gordini

Il 28 settembre 1970 scendono per l’ultima volta in pista le Renault 8 Gordini dopo aver dominato per anni nei Rally europei. Tutto comincia sei anni prima. «La Renault 8 Gordini nasce per consentire a tutti gli appassionati di guida sportiva di soddisfare la propria passione senza dover sborsare il costo spropositato di un prototipo o di una vettura di lusso». Queste parole sono stampate a lettere cubitali sul foglio che apre la cartella stampa con la quale la Renault annuncia nell’autunno del 1964 la nascita della R8 Gordini, un’auto destinata a sostituire la leggendaria Dauphine nei rally e a infiammare il cuore degli appassionati. Visto dal di fuori non si tratta di un modello nuovo, ma di una sorta di aggiustamento di una vettura già esistente. La Renault 8, infatti, gira sulle strade e sui circuiti di tutta Europa da un paio d’annetti, con un motore derivato direttamente da quello della già citata Dauphine, di cui rappresenta un po’ la naturale evoluzione. I risultati sportivi, però, sembrano non sostenere il confronto con la vettura che l’ha preceduta. Abituata a dominare o, quantomeno, a lasciare il segno, la Renault non può accontentarsi delle scarse performance della R8. Infatti non s’accontenta. Accade così che, mentre gli ambienti sportivi s’interrogano sulle reali potenzialità di quel modello e i più esigenti iniziano a storcere il naso, il progettista Amédé Gordini stia già lavorando nel suo laboratorio di Boulevard Victor Hugo a Parigi a un motore di nuova concezione destinato a trasformare quella che sembra la pallida erede della Dauphine in una velocissima bomba. Il geniale mago della meccanica decide di accantonare la motorizzazione in essere. Recupera un motore a 4 cilindri da 956 cmc originariamente montato sulle Estafette e sulle Caravelle e comincia a modificarlo e a ridisegnarne alcune componenti per aumentarne la potenza e la duttilità. I risultati non si fanno attendere e in breve tempo la cilindrata passa da 956 a 1.108 cmc. Il nuovo motore, che sui registri Renault porta la sigla R1134, montato sulla R8 dimostra di avere potenzialità e performance decisamente inusuali per le vetture da turismo sportivo all’epoca. Quando, in prova, tocca i 170 kmh la casa francese capisce di avere tra le mani un gioiello. Nel 1964 sono pochissime le berline in grado di competere con un veicolo che abbia una velocità massima di 170 kmh. Per fare un paragone basti pensare che la leggendaria DS19 della Citroën non supera i 160 kmh mentre la Peugeot 404 fatica a raggiungere i 140! L’arrivo sulla scena automobilistica della Renault 8 Gordini ha, quindi, l’effetto di un fulmine a ciel sereno, una sorta di tornado che si abbatte sulle certezze degli addetti ai lavori e sconvolge pronostici e gerarchie. Un mese dopo la presentazione ufficiale la vettura trionfa al Rally di Corsica, dove si ripeterà anche nel 1965 e nel 1966, superando le Alfa Romeo GTA e le Porsche 911. I risultati stimolano la creatività. L’entusiasmo degli sportivi e della stampa specializzata spingono la Renault a non accontentarsi dei positivi risultati raggiunti e a lavorare ancora sulla competitività della vettura. Nel 1966 viene presentata la R8 Gordini 1300. Distinguibile dalla prima serie per la calandra a quattro fari, l’auto monta un motore da 1255 cmc che accresce la potenza delle frecce blu sui circuiti da Rally di tutto il mondo. Nonostante tutto, però, Renault mantiene la caratteristica fondamentale della prima R8 Gordini: il prezzo contenuto rispetto agli altri modelli in circolazione. Questa scelta, unitamente alla solida maneggevolezza dell’auto, saranno una delle componenti fondamentali della leggenda targata Gordini. Nascerà anche un circuito di gare riservate a questa vettura e moltissimi giovani talenti sceglieranno di iniziare così la loro carriera. Dopo la 1300 Gordini comincia a ritenere decisamente finito il lavoro di miglioramento della vettura. L’unico cambiamento sostanziale riguarda il colore della carrozzeria che, fin dagli inizi, è stato unico e quasi intoccabile: blu con due bande verticali bianche che la attraversano verticalmente. Nel 1968, non senza proteste e indignazioni, la gamma dei colori disponibili si allarga a ben quattro tinte diverse, tutte rigorosamente corredate dalle due bande verticali. Nello stesso anno si comincia a parlare di un nuovo misterioso progetto che prende corpo nel 1970 con l’annuncio della fine della produzione delle Renault 8 Gordini. A giugno la catena di montaggio si ferma per sempre mentre il 18 e 19 luglio sul Circuito Paul Ricard di Le Castellet vengono presentate per la prima volta le nuovissime Renault 12 Gordini, auto diversissime per concezione e per meccanica con trazione e motore anteriori. Nonostante tutto, però, la R8 Gordini resta nel cuore della gente e sono migliaia le persone che accorrono il 28 settembre a salutare per l’ultima volta in pista le vetture blu e bianche. Quando la bandiera a scacchi chiude l’ultima corsa della squadra ufficiale delle R8 l’ovazione del pubblico fa capire che l’eredità di quest’auto sarà difficile da raccogliere.



17 settembre, 2020

17 settembre 1958 – Herbie Fields l'incompreso

Il 17 settembre 1958 muore suicida a Miami, in Florida, il saxoclarinettista Herbert “Herbie” Fields. Nato a Elizabeth, nel New Jersey, il 24 maggio 1919, fra il 1936 e il 1938 ottiene il primo ingaggio professionale con l'orchestra di Fred Allen quando è ancora studente alla Juilliard School of Music di New York. Nel 1939 dirige un'orchestra insieme al pianista e arrangiatore George Handy e successivamente dopo un breve periodo con quella di Woody Herman, suona col trio di Leonard Ware e nel 1941 approda nella band di Raymond Scott. Nel periodo del servizio militare dirige la banda di Fort Dix e dopo il congedo, capeggiò un proprio gruppo che scioglie verso la fine del 1944. Nel dicembre di quell’anno entra nell'orchestra di Lionel Hampton con la quale rimane fino al febbraio del 1946. Chiusa l’esperienza con Hampton dà vita a una nuova formazione a suo nome nella quale suonano anche il trombettista Neal Hefti e il batterista Tiny Kahn. Negli anni Cinquanta, deluso dalla progressiva marginalizzazione cui viene sottoposto da parte dell’ambiente del jazz si rifugia in Florida dedicandosi quasi esclusivamente alla musica commerciale. Le difficoltà a trovare spazio lo portano a ricorrenti crisi depressive fino al 17 settembre 1958 quando muore dopo aver ingerito una dose massiccia di barbiturici.