31 luglio, 2025

31 luglio 1990 – Fernando Sancho, il messicano dei western all’italiana

Il 31 luglio 1990 muore di cancro a Madrid Fernando Sancho. La sua immagine per gli appassionati del western all’italiana è quella del messicano per eccellenza. La sua faccia larga e baffuta con la risata pronta e spesso falsa è entrata nell’immaginario del pubblico e nella storia delle caratterizzazioni del genere come quella del bandito destinato fin dall’inizio a soccombere nel confronto con il protagonista. Nel decennio in cui si è sviluppata l’intera epopea del western all’italiana nessuno più di Fernando Sancho ha interpretato il ruolo del bandito messicano. Si racconta che gli stessi sceneggiatori dovendo tratteggiare questa figura nella fase di preparazione dei film la disegnassero direttamente su di lui attribuendo direttamente il suo nome al personaggio. Nato a Saragozza, in Spagna, il 7 gennaio 1916 fa la sua prima esperienza cinematografica nel 1944 quando a soli diciott’anni partecipa alla realizzazione di “Orosia”, un film spagnolo mai arrivato in Italia. Nel dopoguerra, come molti altri aspiranti attori, sbarca a Roma intenzionato a cercare fortuna a Cinecittà, in quel periodo cuore pulsante della cinematografia mondiale grazie anche al trasferimento sulle rive del Tevere di molte produzioni hollywoodiane. La sua faccia particolare e l’imponenza del suo fisco non sfuggono ai responsabili dei cast, sempre alla ricerca di caratteristi. Dopo aver partecipato a vari film, facendosi notare soprattutto in alcuni film mitologici come “Goliath contro i giganti” e soprattutto in “Arrivano i Titani”, viene scritturato anche per tre produzioni hollywoodiane come “Il Re dei Re” nel quale interpreta il pazzo, “Lawrence d’Arabia” (è lui il sergente turco che arresta Lawrence) e “55 giorni a Pechino”. Personaggio di grande cultura e con uno spiccato senso dell’umorismo è molto amato da registi e produttori perché sa mettere le sue abilità da caratterista al servizio delle storie. Negli ultimi anni della sua carriera diventa uno dei personaggi di culto dei film horror. Muore di cancro a Madrid il 31 luglio 1990. Tra le innumerevoli battute dei suoi personaggi western la più citata resta ancora oggi quella pronunciata nei panni di Gordon Watch nel film “Arizona Colt” di Michele Lupo: «Un giorno mio padre mi disse: quando sarò morto questo orologio sarà tuo. Cinque minuti dopo l’orologio era mio».


30 luglio, 2025

30 luglio 2004 - “Pace e male” dei Têtes de Bois

Il 30 luglio 2004 i Têtes de Bois presentano il loro nuovo lavoro intitolato Pace e male. Visto il successo ottenuto con l’album Ferré, l’amore e la rivolta potevano vivacchiare di rendita sfruttando ancora per un po’ il “giocattolo” Ferré attingendo alla corposa produzione del cantautore francese, ma il gruppo non è fatto così. Il suo volo non è quello degli uccelli rapaci che girano in tondo attorno alla preda. Non ci sono prede, ma passioni, nel cuore di questa band che da tempo viaggia lungo le imperscrutabili rotte degli stormi migranti. «Ferré ce l’abbiamo sempre vicino, è nel nostro cuore e nella nostra musica – ci dice Andrea Satta, la voce del gruppo non solo sul palco – viaggia con noi sulle nuove strade. È un amico vivo, un compagno d’avventure, e gli amici e i compagni non si mummificano nel ricordo». E così dopo due anni ci regalano Pace e male, un doppio album che ha il sapore della strada, degli spazi liberi, il gusto del confronto e della contaminazione unito alla leggerezza del pensiero aperto. «In questa avventura abbiamo imbarcato un sacco di amici, ciascuno dei quali ha regalato un pezzo di sé». Sono davvero tanti e diversi gli apporti in voci, idee e suoni, un lungo elenco che comprende musicisti come Daniele Silvestri, Mauro Pagani, Ugolino e Antonello Salis, attori come Paolo Rossi e Marco Paolini, giornalisti ad assetto variabile come Gianni Mura e un ex ciclista, Davide Cassani. Come sempre il lavoro dei Têtes de Bois fa impazzire gli ostinati amanti delle classificazioni rigide. C’è di tutto, rock, classica, teatro, strada, un caleidoscopio musicale in cui tutto si mescola senza violenza per generare nuovi e differenti colori. È musica colta che parla della realtà quotidiana, la racconta attraverso piccole storie che in cui vive la forza dei grandi temi, dal lavoro (Buongiorno Arturo) alla guerra, all’imperialismo (Abbasso Nixon), alla critica sociale. A ben vedere è proprio questa capacità di raccontare la realtà minuta attraverso il linguaggio poetico l’eredità vera di Ferré, un modo di farlo rivivere rifuggendo dagli scimmiottamenti delle cover. È anche un modo di legare il presente con il passato senza trasformare quest’ultimo in un album di fotografie, perché, come ricorda Andrea Satta, la memoria è un elemento strategico nella battaglia per cambiare lo stato delle cose possibili: «La memoria è l’elemento che può fare la differenza in un mondo in cui il video, i sistemi di comunicazione e di persuasione di massa tendono a cancellare la capacità di discernere e di pensare. Anche l’indignazione è pilotata. Spesso mi sorprendo a pensare che quando non ci sarà più mio padre che è stato in campo di concentramento anche il nazismo diventerà una figurina innocua. Mi fa paura un mondo in cui i mass media controllano anche la nostra capacità critica, scegliendo i temi sui quali scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica. Il nostro lavoro sulle storie, sulle piccole vicende quotidiane è un modo di recuperare la memoria guardando avanti, di uscire dal sapere enciclopedico, la vera tragedia della cultura di questo tempo che riduce a sintesi e cancella la molteplicità». Chissà, forse è per questo che l’album è doppio, per non cadere nella trappola della sintesi forzata…

29 luglio, 2025

29 luglio 1938 – Enzo G. Castellari, un maestro del film di genere

Il 29 luglio 1938 nasce a Roma Enzo G. Castellari. Mentre tutto il mondo lo omaggia come uno dei più grandi maestri del “film di genere” Enzo G. Castellari, al secolo Enzo Girolami, da sempre contesta addirittura la definizione sostenendo che il cinema “di genere” non esiste perché si tratta di una categoria inventata da chi non ha altro da fare che cercare di catalogare tutto quello che vede. Si definisce un “innamorato del cinema” a tutto tondo e senza altro aggettivo, anche se è chiaro che per lui un film deve prima di tutto affascinare, far sognare e se possibile aiutare a dimenticare i problemi giornalieri. Figlio del regista Marino Girolami, respira l’aria del set fin da quando muove i primi passi e prima di passare dietro alla macchina da presa si fa le ossa lavorando in quasi tutte le fasi della produzione, dalla sceneggiatura al montaggio, da attore ad aiuto regista. Per non restare prigioniero dell’ingombrante eredità paterna sceglie di lavorare sempre sotto un nome d’arte. Prima di diventare Enzo G. Castellari diventa E. G. Rowland e Stephen Andrews. Enzo G. Castellari fa il suo debutto alla regia nel 1966 nel western all’italiana dirigendo senza comparire sul manifesto il film “Pochi dollari per Django” ufficialmente firmato da Léon Klimovsky per ragioni legate alla co-produzione spagnola. L’anno dopo firma con lo pseudonimo H. G. Rowland l’interessante “7 winchester per un massacro”, un film ispirato alla storia vera del Reggimento Nero del Colonnello Shaw, una banda di sudisti che non accettò la resa e continuò la Guerra di Secessione per proprio conto. Sempre nel 1967 realizza, finalmente con lo pseudonimo di Enzo G. Castellari, “Vado, l’ammazzo e torno” che supera il miliardo di lire d’incasso e ne fa uno dei protagonisti del boom commerciale del western all’italiana. Seguono poi nel 1968 “Quella sporca storia del West”, una sorta di trasposizione western dell’Amleto di Shakespeare, “I tre che sconvolsero il West (Vado, vedo e sparo)” e “Ammazzali tutti e torna solo”. Il successo lo stimola a cercare nuove strade e a misurarsi con generi diversi dal western all’italiana. Arrivano così i successi de “La battaglia d’Inghilterra”, “Ettore Lo Fusto” e, soprattutto, “La polizia incrimina, la legge assolve” e “Il cittadino si ribella” che all’inizio degli anni Settanta segnano la nascita del genere poliziesco all’italiano o “poliziottesco”, un altro filone d’oro del nostro cinema di quel periodo. Le sue incursioni nel western all’italiana riprendono nel 1972 con “Tedeum” e nel 1975 con “Cipolla Colt”, due film che si inseriscono in modo originale nel filone satirico che caratterizza l’ultimo periodo del genere. L’omaggio più prezioso, la gemma della sua produzione western resta, però, Keoma, entrato nella storia del cinema come il film che chiude l’epopea iniziata con “Un pugno di dollari” di Sergio Leone. Inaspettatamente tornerà a far cavalcare Franco Nero sulle polverose strade della frontiera nel 1993 realizzando “Jonathan degli orsi”, un bellissimo omaggio postumo al western all’italiana che esce in Italia soltanto nel 1995 dopo il successo ottenuto nelle sale cinematografiche statunitensi.


28 luglio, 2025

28 luglio 1962 – Eddie Costa, il pianista con la passione del vibrafono


Il 28 luglio 1962 a New York muore in un incidente automobilistico il trentaduenne pianista e vibrafonista Eddie Costa. Si chiude così prematuramente la carriera di uno dei più promettenti strumentisti di quel periodo. Nato ad Atlas il 14 agosto 1930 Edwin James Costa, questo è il suo nome completo, inizia giovanissimo a studiare pianoforte. Ben presto, però scopre il vibrafono e, senza abbandonare gli studi pianistici, decide di dedicarsi anche al nuovo strumento, di cui impara l'uso da solo mettendo a frutto le tecniche apprese sulla tastiera del pianoforte. A diciassette anni esordisce con il trio di Frank Victor suonando un paio di anni nei club della Pennsylvania, ma ben presto decide che la vita di provincia non fa per lui. Sempre con il gruppo di Victor se ne va a New York dove incontra Joe Venuti con il quale sembra destinato a far coppia fissa quando arriva, in parte inaspettata, la chiamata di leva. Il servizio militare blocca la sua carriera per due anni, dal 1951 al 1952, ma non ne cancella la popolarità. Dopo il congedo suona in quasi tutti i migliori locali del circuito jazz con le formazioni di Sal Salvador, Johnny Smith, Tal Farlow, Kai Winding e Don Elliott. Parallelamente forma un suo trio con il quale partecipa al festival di Newport del 1957. Alla fine degli anni Cinquanta suona più volte nella grande orchestra di Woody Herman. Considerato da pubblico e critica come uno del giovani di maggior talento del nuovo jazz, nel 1957 vince anche il referendum indetto dalla rivista specializzata Down Beat come miglior "new star" dell'anno. Non sceglie tra i suoi due strumenti, ma cerca di assimilare il meglio di ciascuno per migliorare il proprio bagaglio tecnico. Suona il piano in uno stile originalissimo chiaramente derivato dallo studio del vibrafono, utilizzando, per esempio, la mano sinistra per creare suggestivi unisoni di ottave. La sua tecnica al vibrafono non è da meno e si caratterizza per l'originalità di un tappeto sonoro che non rinuncia alle tentazioni ritmiche. Non è un caso che un grande chitarrista come Tal Farlow quando può contare sul suo apporto rinuncia alla batteria. Il suo rapporto con i chitarristi in genere è però speciale tanto che nella sua brevissima carriera suona praticamente con tutti i più grandi: da Farlow a Smith, da Wayne a Salvador, a Joe Puma. L'incidente mortale lascia per sempre in sospeso l'interrogativo sulle sue possibili future evoluzioni.


27 luglio, 2025

27 luglio 1977 - Milt Buckner, l’inventore del locked-hands

Il 27 luglio 1977 muore a Chicago, nell’Illinois, il tastierista e arrangiatore Milton Buckner detto Milt. Nato a St. Louis, nel Missouri, il 10 luglio 1915 è fratello dell'altosassofonista Ted Buckner. La sua è una famiglia di musicisti. Un altro fratello George, morto nel 1969, suona la tromba. Rimasto orfano all'età di nove anni, si trasferisce a Detroit, dove lo zio, il trombonista John Tobias, gli insegna la musica. Nel 1930, a quindici anni, comincia a scrivere i primi arrangiamenti per l'orchestra di Earl Walton. Nello stesso periodo studia al Detroit Institute of Art, dove resta per due anni, suonando di tanto in tanto con gli Harlem Aristocrats, Mose Burke e The Dixie Whangdoodles. In seguito suona e scrive diversi arrangiamenti per i McKinney Cotton Pickers, e nel corso degli anni Trenta, a Detroit, per Lanky Bowman, Howards Bunts, Don Cox e Jimmy Raschelle. Nel 1941 entra nell'orchestra di Lionel Hampton con cui resta fino al 1952, salvo una parentesi tra il 1948 e il 1950 in cui dirige una propria big band.La sua lunga permanenza nella formazione di Hampton contribuisce in misura determinante al suo successo come pianista, non solo come solista nel celebre brano Hamp's Boogie-Woogie ma anche come primo interprete a fare uso della tecnica detta locked-hands (o block-chords), attuata eseguendo con ambedue le mani serie di accordi paralleli. Pur riducendosi in qalche caso a un semplice raddoppio di ottave, questa tecnica si diffonde notevolmente nel jazz moderno, e viene adottata da molti pianisti, tra i quali George Shearing, Dave Brubeck, Oscar Peterson. Abbandonato Hampton il pianista crea un proprio trio, utilizzando anche l'organo Hammond. Negli anni Sessanta viene riscoperto dalla critica e dal pubblico e suona con jazzisti quali Buddy Tate, Illinois Jacquet, Roy Eldridge, Wallace Bishop, Jo Jones e Alan Dawson. Nel 1971 torna a suonare con l'orchestra di Lionel Hampton.

26 luglio, 2025

26 luglio 1956 – L’Andrea Doria e la leggenda delle Lancia Aurelia affondate

La notte del 26 luglio 1956 mentre si sta avvicinando al porto di New York il transatlantico Andrea Doria, simbolo della navigazione civile italiana, entra in rotta di collisione con un’altra nave. Le segnalazioni non impediscono il contatto. La nave italiana cozza contro il rompighiaccio Stockholm e affonda. Nella tragedia muiono cinquantun persone. La leggenda racconta che a bordo ci siano alcune decine di Lancia Aurelia B24 Spider e che oggi le vetture riposino in fondo al mare con i resti del transatlantico. In realtà nei documenti di carico non c’è alcun dato che confermi l’evento. L’unica certezza riguarda l’affondamento con la nave di un prototipo preparato da Ghia per la Chrysler. Il resto appartiene al campo della fantasia e dei miti del mare.


25 luglio, 2025

25 luglio 1981 – Gli Orchestral Manoeuvres In The Dark

Il 25 luglio 1981, quasi un anno dopo la sua prima pubblicazione in Gran Bretagna, il brano Enola gay arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti in Italia. Sia pur in ritardo il disco ha un successo commerciale più eclatante di quello ottenuto in patria, dove non è andato oltre l'ottavo posto in classifica. Gli interpreti del brano si fanno chiamare Orchestral Manoeuvres In The Dark. Dietro questa sigla si nascondono, in realtà, due ingegneri del suono di Liverpool, Paul Humphreys e Andy McCluskey, provenienti dall'esperienza della cool wave. Definiti, forse con un po' di precipitazione, "alfieri della tecno pop", con il loro sound, basato su un ampio uso di tutte le soluzioni tecnologiche più avanzate disponibili in campo musicale, tende a superare gli angusti limiti di una definizione schematica. Enola gay è uno dei brani del loro secondo album Organisation, realizzato con la collaborazione di un gruppo di strumentisti che comprende, tra gli altri, il percussionista Malcolm Holmes, il sassofonista Martin Cooper e il tastierista Michael Douglas, un trio che li supporta anche nelle esibizioni dal vivo. Quando Enola gay arriva al vertice della classifica italiana in patria la band ha già pubblicato il nuovo album, Architecture and morality, con i singoli Souvenir e Joan of Arc (Maid of Orleans). Chi pensa che gli Orchestral Manoeuvres In The Dark, il cui nome si è nel frattempo accorciato in O.M.D. siano destinati a ripetersi all'infinito si sbaglia. Nel 1983 con l'album Dazzle ship e il singolo Genetic engeneering, i due di Liverpool inizieranno a prendere le distanze dalle facili tentazioni del pop. Non sarà, però, una scelta definitiva. Per qualche anno alterneranno brani decisamente sperimentali e ostici a parentesi commerciali. Alla fine degli anni Ottanta Humphreys se ne andrà per formare i Listening Pool. Quella degli Orchestral Manoeuvres In The Dark diventerà così una sigla nelle mani del solo McCluskey.



24 luglio, 2025

24 luglio 1927 - Ronald Langinger alias Ronny Lane, un sax per tante orchestre

Il 24 luglio 1927 nasce a Chicago, nell’Illinois, il sassofonista Ronny Lane, registrato all’anagrafe con il nome di Ronald Langinger. Dopo varie esperienze in gruppi minori debutta professionalmente con la Hoagy Carmichael Teenagers Band nel 1946. L'anno dopo suona con le formazioni di Earle Spencer, Ike Carpenter e Skinnay Ennis. Nel 1949 entra a far parte in modo stabile dell'orchestra di Les Brown, una delle big band più popolari di quell'epoca non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Proprio con questa orchestra registra una nutrita serie di brani per la Coral, in molti dei quali ha modo di emergere anche come solista, mettendo in mostra uno stile che con qualche plateale concessione al pubblico meno smaliziato, si dimostra molto efficace e perfettamente in armonia con l’esaltante suono dell’ensemble orchestrale. Dopo aver lasciato l'orchestra di Brown, forma un suo sestetto avvalendosi della collaborazione di Dave Pell dando così vita a un lungo sodalizio documentato da moltissime incisioni. A partire dagli anni Sessanta sceglie di lavorare prevalentemente come musicista di studio.


23 luglio, 2025

23 luglio 1992 – Arletty la collaborazionista

Il 23 luglio 1992 muore Arletty, una delle protagoniste, nel bene e nel male, dello spettacolo francese del Novecento. La sua vita è stata ricca di contraddizioni e di sbagli. La donna ha sbagliato ma, se paragonata ad altri protagonisti del suo tempo, ha pagato in misura certamente superiore agli sbagli commessi. Arletty l’altera, la bella e la traditrice, dopo essere stata la luminosa stella capace di scaldare il cuore della gente di Francia diventa la reietta e viene rinchiusa in un carcere con l’infamante accusa di aver collaborato con i nazisti. Per sua ammissione la vita non è stata tenera con lei ma nemmeno troppo maligna. Ogni volta che si è ritrovata nella polvere ha avuto la caparbietà ma anche la possibilità di risorgere. Grande attrice, ha saputo trasferire con naturalezza nella canzone quella straordinaria capacità interpretativa che le permetteva di brillare sul palcoscenico dei teatri e sullo schermo cinematografico. Amato o detestato, osannato o disprezzato il suo personaggio non ammette mezze misure e divide i sentimenti dei francesi. Suo malgrado Arletty è diventata un po’ il simbolo vivente delle contraddizioni anche drammatiche della Francia del Novecento. Léonie Bathiat, la futura Arletty, nasce il 15 maggio 1898 a Courbevoie. Suo padre Michel lavora nell’azienda dei tram, mentre la madre, Marie Dautreix, fa la lavandaia. Entrambi sognano un destino tranquillo e una vita serena per la piccola Léonie e con qualche sacrificio riescono a pagarle gli studi presso una scuola di stenografia. La sua vita trascorre apparentemente lineare con le emozioni e i sogni che caratterizzano l’adolescenza di migliaia di ragazze come lei. Le nubi che s’addensano sull’Europa, però, finiranno per cambiare in qualche modo il suo destino. Nel 1914 la guerra, quel massacro che i posteri chiameranno Prima Guerra Mondiale dopo averne messa in cantiere una seconda, le porta via il suo primo amore. La morte di Ciel, Cielo, come lei lo ha soprannominato per il blu intenso dei suoi occhi, la segna per sempre e l’accompagna per tutta la vita. «In quel momento ho deciso: non mi sposerò mai, non avrò alcun bambino perchè non voglio essere nè vedova di guerra ne madre di un soldato». Due anni dopo anche suo padre se ne va. Non se lo porta via la guerra ma un incidente. Travolto da un tram del deposito dove lavora lascia la famiglia nelle mani del destino. A diciott’anni la ragazza cerca allora di darsi da fare. Lavora un po’ come impiegata, ma soprattutto accetta la corte di un suo coetaneo, Jacques Georges Levy, rampollo di una famiglia di banchieri e innamorato perso di lei. È lui a introdurla nei salotti parigini e a farle conoscere il mondo del teatro. Il palcoscenico colpisce la sua immaginazione e la convince che quella deve essere la sua vita. Jacques George Levy diventa rapidamente un ricordo per la giovane Léonie che per sbarcare il lunario lavora come indossatrice a Parigi da Poiret con il nome d’arte di Arlette. Proprio nell’ambiente della moda conosce Paul Guillame, il gallerista che ha saputo intuire e valorizzare prima di tutti la genialità di pittori come Picasso e Modigliani. Tra i due nasce un’amicizia preziosa e la ragazza gli confida il suo sogno di lavorare in teatro. Per un tipo sveglio come Guillame darle una mano non è un problema. Una chiacchierata con il direttore del Théâtre des Capucines è sufficiente a cambiare la sua vita. Sui manifesti il nome d’arte da indossatrice, Arlette, viene modificato nel più esotico ed evocativo Arletty. È l’inizio di una lunga carriera. Per tutti gli anni Venti le sue canzoni e la sua straordinaria capacità interpretativa caratterizzano alcune tra le commedie musicali e le riviste di maggior successo. La popolarità di cui gode alla fine del decennio rende quasi inevitabile l’incontro con il cinema dove debutta nel 1930 interpretando un piccolo ruolo al fianco di Victor Boucher nel film “Douceur de vivre” diretto da René Hervil. La sua interpretazione viene notata da Jean Choux che le affida un ruolo di primo piano accanto al popolare Jean Coquelin nel lungometraggio “Un chien qui rapporte”. Negli stessi anni anche la sua carriera teatrale è costella da successi strepitosi come “Un soir de réveillon” al Bouffes-Parisiens, un’operetta di Sacha Guitry, e soprattutto “Le Bonheur mesdames” con Michel Simon che viene replicato ben cinquecento volte consecutive nonostante le liti tra Arletty e il suo compagno di scena. A completare il periodo magico c’è anche il successo di pubblico del lungometraggio “Pensione Mimosa” del belga Jacques Feyder. Proprio durante la lavorazione di questo film, l'attrice conosce il ventottenne Marcel Carné, all'epoca assistente alla regia di Feyder, che nel 1938 la chiama a interpretare, “Albergo Nord” con Louis Jouvet, e l’anno dopo la vuole in “Alba tragica” al fianco di Jean Gabin. Il successo di critica e pubblico ottenuto da questi film fanno di Arletty una delle attrici più popolari e pagate della Francia di quel periodo. All’inizio degli anni Quaranta proprio con Marcel Carné Arletty gira i due film destinati a regalarle l’immortalità artistica. Il primo è “L'amore e il diavolo”, girato nel 1942 con al suo fianco Alain Cuny e il secondo è “Amanti perduti” con Jean-Louis Barrault girato più o meno nello stesso periodo ma caduto sotto gli strali della censura degli occupanti nazisti e presentato al pubblico soltanto nel 1945 dopo la Liberazione. I due lungometraggi, nati dalla collaborazione di Carné con il poeta Jacques Prévert, sono considerati ancora oggi quanto di meglio abbia prodotto il realismo francese di quegli anni. È all’apice del successo quando si ritrova in una sorta di girone infernale apparentemente senza uscita. Come dicevano gli antichi, l’eccesso di fortuna finisce per suscitare l’invidia degli dei. Nell’estate del 1944, subito dopo la liberazione di Parigi, Arletty viene catturata e rinchiusa nel campo di prigionia di Drancy, a due passi da Parigi. L’accusa che le viene rivolta è la più infamante che in quel periodo si possa immaginare: collaborazionismo con le forze di occupazione naziste della città. In realtà la sua colpa vera è quella di essersi innamorata di un ufficiale tedesco di stanza nella capitale, ma il tribunale è inflessibile. Dopo 120 giorni nel carcere di Fresnes sconta un paio d’anni di libertà vigilata con l’impegno di stare lontana da Parigi. Gli amici però non l’abbandonano, neppure quelli più impegnati politicamente, a partire da Jacques Prévert. Capiscono che la sua colpa è stata soltanto quella d’innamorarsi e l’aspettano. Scontata la sua pena, a partire dal 1947 Arletty torna a lavorare, soprattutto in teatro dove ritrova il suo pubblico e l’antico successo. Più faticoso è il rientro nel cinema. Nel 1948 Marcel Carné la scrittura per il suo “La Fleur de l'âge” un film mai terminato per il fallimento della produzione. Le prime interpretazioni degne di nota sono del 1953 ne “Il grande gioco” di Robert Siodmak che la vede al fianco di una giovanissima Gina Lollobrigida e in “Aria di Parigi” di Marcel Carné con Jean Gabin. Quando nella sua vita tutto sembra tornato a posto, il destino ha in serbo un’altra brutta sorpresa. Arletty viene colpita da una grave forma di cecità progressiva. Lei reagisce con l’energia di chi è abituato a far fronte alle avversità, ma pian piano finisce per arrendersi all’ineluttabile. Nel 1962 chiude con il cinema interpretando “Viaggio a Biarritz” diretto da Gilles Grangier. Nonostante la perdita della vista lavora ancora in teatro per qualche anno prima di lasciare definitivamente le scene. Il suo ritiro non assume mai le caratteristiche dell’abbandono. Negli anni seguenti resta in contatto con il pubblico rilasciando interviste, raccontando la sua vita e commemorando gli amici scomparsi. Nel 1971 pubblica “La défense”, un’autobiografia ricca di aneddoti sconosciuti e considerazioni sulla vita. L’unica regola che si dà è quella di comparire il meno possibile in video, anche per lasciare ai suoi ammiratori l’immagine splendida degli anni migliori. Il canale di comunicazione con il pubblico resta affidato principalmente alla sua voce. Muore a Parigi il 23 Luglio del 1992 all'età di novantaquattro anni.

22 luglio, 2025

22 luglio 1954 – Al Di Meola, batterista mancato

Il 22 luglio 1954 nasce a Bergenfield, nel New Jersey, il chitarrista Al DiMeola. A cinque anni comincia a picchiare sui tamburi di una batteria tra la disperazione dei famigliari e dei vicini di casa. Le proteste e la crescente insofferenza del quartiere fanno sì che, dopo qualche anno, le lezioni di batteria lascino il posto allo studio di un nuovo e meno problematico strumento: la chitarra. Proprio con le corde e la cassa armonica ha modo si svilupparsi lo straordinario e precoce talento musicale del piccolo Al. Ha soltanto undici anni, anche se ne dimostra qualcuno di più, quando forma la sua prima rockband. Inizialmente non proprio disposti ad assecondare quello che considerano un hobby, i suoi famigliari cedono alle insistenze del ragazzo e gli passano il sostegno economico necessario a frequentare il prestigioso Berklee College of Music di Boston. Qui Al DiMeola si trova a suo agio. Alterna gli studi alle esibizioni e ben presto riesce a conquistarsi un posticino nella band di Barry Miles. L'avventura dura soltanto qualche mese ma si rivela un passaggio decisivo per la sua carriera. Grazie ai buoni uffici del suo amico ed estimatore Larry Coryell a soli diciannove anni entra a far parte dei Return To Forever di Chick Corea. I suoi virtuosismi e la magica purezza del suo tocco vengono esaltati dall'esplosione del jazz rock. La critica è unanime nel considerarlo uno chitarristi più importanti del genere. La conclusione dell'esperienza dei Return To Forever non cambia la sua vita. Nel 1976 debutta come solista con l'album Land of the midnight sun. L'anno dopo per la realizzazione del suo secondo album Elegant gypsy può contare sulla collaborazione attiva e sulla partecipazione di grandi musicisti come Jan Hammer, Lenny White, Steve Gadd, Mingo Lewis e il chitarrista classico spagnolo Paco de Lucia. Superata indenne anche la fine del periodo d'oro del jazz rock, si presenta all'appuntamento degli anni Ottanta pubblicando il doppio album Splendido Hotel con la collaborazione, tra gli altri, di Chick Corea. In quel periodo oltre al lavoro in solitario realizza un'interessante collaborazione con i chitarristi John McLaughlin e Paco de Lucia che sfocia in una lunga serie di concerti dal vivo. Appassionato ricercatore, Al DiMeola svilupperà negli anni successivi innovative esperienze con moltissimi musicisti, compreso il geniale giapponese Stomu Yamashta.


21 luglio, 2025

21 luglio 1920 - Constance Dowling, verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Il 21 luglio 1920 (secondo alcune fonti il 24 luglio) nasce a New York Constance Dowling, la donna che, secondo alcuni cronisti dell’epoca, è stata la causa scatenante della tempesta interiore che ha portato Cesare Pavese alla morte. Comincia a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo come prima modella e poi come cantante e ballerina e nel 1943 viene scritturata dalla Metro Goldwin Mayer. Se ne va quindi a Hollywood e l’anno dopo fa il suo debutto su grande schermo nel film “Così vinsi la guerra” al fianco di Danny Kaye. Nei primi anni del dopoguerra come molti protagonisti dello star system statunitense si trasferisce a Roma dove gira una serie di lungometraggi di buon successo. Ci resta fino all’inizio del 1950 quando torna a Hollywood per girare un film di fantascienza. È una donna decisamente bella, anche se di una bellezza particolare, con il viso cosparso da efelidi rosse e uno sguardo profondo che, nelle foto, appare più da ragazza timida e un po’ sfuggente che da sensuale seduttrice. Cesare Pavese si innamora perdutamente di lei e ne viene ricambiato anche se, forse, non con la stessa intensità. Prima di suicidarsi le dedica dieci poesie, otto in italiano e due in inglese, che verranno trovate dopo la morte dello scrittore chiuse nel cassetto della sua scrivania negli uffici della casa editrice Einaudi. Sono dattiloscritte, ma la data e il titolo di ciascuna sono stati annotati a mano da Pavese che ha anche scritto sul frontespizio “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi/11 marzo – 11 aprile 1950”. Il destino non sarà poi così generoso neppure con lei. Constance Dowling infatti dopo aver lasciato le scene per sposare il produttore Ivan Tors morirà a Los Angeles il 28 ottobre 1969 a soli quarantanove anni.




20 luglio, 2025

20 luglio 1963 – Con "Maria Elena" l'Italia scopre Los Indios Tabajaras

Il 20 luglio 1963 arriva al vertice della classifica dei dischi più venduti in Italia la canzone Maria Elena. Ci resterà per sei settimane diventando uno dei primi fenomeni del mercato discografico del nostro paese. Il duo che l'interpreta è indicato sulla copertina del disco con il nome di Los Indios Tabajaras. Più che un marchio di fabbrica la definizione è la pura e semplice verità. Nonostante nelle biografie addomesticate abbiano i nomi molto cristiani e civilizzati di Natalicio e Antenor i componenti del duo si chiamano Musaperi ed Herundy e sono davvero due indios della tribù Tabajaras, stanziata nel nord-est del Brasile. La loro storia inizia alla fine degli anni Cinquanta quando, chitarristi autodidatti e appassionati dei suoni caraibici, lasciano il loro villaggio per cercar fortuna nel mondo dello spettacolo. In quel periodo incidono alcuni classici della tradizione cubana e centro- americana compresa Maria Elena, una canzone degli anni Quaranta scritta da Barcelata. I sogni di gloria non si concretizzano e i dischi finiscono direttamente sulle bancarelle dei venditori ambulanti. Molto tempo dopo, nel 1963, per uno scherzo del destino il disk jockey di una radio newyorkese si ritrova Maria Elena tra le mani e decide di trasmetterla. Il risultato è inaspettato. La canzone piace al pubblico per cui la RCA decide di farla propria e distribuirla. In breve tempo Maria Elena ottiene un successo strepitoso, ma dei musicisti che l'hanno incisa si sono perse le tracce. Vengono rintracciati qualche tempo dopo in uno dei villaggi della loro tribù e convinti a tornare sulle scene. Questa volta sarà per sempre. Nel 1965 ottengono un nuovo successo mondiale con Siempre en mi corazon, un classico di Ernesto Lecuona, uno dei tanti della loro lunghissima carriera scandita dalla rielaborazioni di classici della canzone latina e nordamericana. Negli anni Settanta, sull'onda dell'interesse per il folk, si fanno trascinare in un'operazione commerciale di dubbio gusto che li porta a eseguire il consueto repertorio indossando però i costumi tipici della loro tribù con tanto di piume in testa. Recuperata una dimensione più dignitosa al loro lavoro riusciranno a sopravvivere ai margini del music business grazie al circuito del revival e dei grandi alberghi statunitensi. Negli anni Ottanta pubblicheranno, con risultati lusinghieri, una loro versione di Annie's Song di John Denver e di Woman in love dei Bee Gees.



19 luglio, 2025

19 luglio 2002 – L’ordinanza contro Franco Trincale

È il 19 luglio 2002. Provate a immaginare tra i mille problemi della città di Milano qual è quello che tormenta di più i sogni del Sindaco Gabriele Albertini? La disoccupazione, il traffico, le nuove povertà, l'ambiente… Macché il problema principale si chiama Franco Trincale, di professione cantastorie, "reo" di disturbare con le sue canzoni la gente per bene che vota a destra e deplora ogni "disordine". L'attivo Sindaco di Milano, infatti, il 19 luglio prende carta e penna (si fa per dire) e scrive, anzi scolpisce, un’ordinanza con cui si stabilisce di vietare l'uso di «impianti di amplificazione per l'esercizio di attività musicali disciplinate dal vigente Regolamento comunale degli artisti di strada nelle aree pedonali di Piazza Duomo, C.so Vittorio Emanuele e Via Dante». Indovinate chi si esibisce in quelle aree pedonali? Franco Trincale. La cosa, se non fosse una vera e propria persecuzione contro un artista che ha il torto di aver mai piegato la testa di fronte a nessuno, sarebbe ridicola. Non è così. In realtà è un attacco contro la libertà di espressione artistica e un atto di insofferenza contro i "fastidiosi" cantastorie che "osano" prendere in giro il potere. Mentre crescono gli attestati di solidarietà nei confronti di Franco Trincale, la questione arriva in Parlamento grazie a un'interrogazione presentata dai senatori, Pizzinato, Togni, Pagliarulo, Donati, Dalla Chiesa e Piloni ai Ministri della Cultura e dell'Interno. Alla fine vince Trincale, ma il braccio di ferro sarà lungo e ricco di nuovi tentativi di limitarne la libertà.

18 luglio, 2025

18 luglio 1975 – Nasce il mito di Marley

Il 18 luglio 1975 una folla impressionante si accalca davanti al Lyceum di Londra dove è in programma un concerto di Bob Marley & The Wailers. Il servizio d'ordine, sorpreso e impreparato a reggere un afflusso di queste proporzioni, fatica a contenere l'urto dei corpi che si spingono per entrare. Interviene anche la polizia che, faticosamente, forma un cordone protettivo. Sono migliaia le persone senza biglietto costrette a restare fuori. La confusione è tale che anche Tyrone Downie, il tastierista degli Wailers, rischia di non poter suonare perché imbottigliato nella ressa. Alla fine Bob Marley può iniziare. L’intero concerto viene registrato e fornirà il materiale per l’album Live, destinato a portare nelle classifiche di vendita la magia che Bob e la sua band sanno creare dal vivo. Il concerto del 18 luglio resta nella storia della musica del Novecento soprattutto per la versione, strepitosa, di No woman, no cry registrata in quell’occasione e pubblicata in singolo. Sarà proprio questo disco a segnare la definitiva conquista da parte di Marley del difficile mercato inglese. Quel 18 luglio nasce un mito destinato a durare oltre la morte del musicista. In breve tempo il Rasta Marley diventerà una sorta di portavoce ufficiale della vasta comunità giamaicana in Gran Bretagna e dalle rive del Tamigi la sua popolarità inizierà a estendersi anche nell’Europa continentale. In quella trionfale sera di luglio la rockstar immaginata da Blackwell, il discografico giamaicano bianco che per primo ha creduto nelle sue possibilità, si separa dalle mani del suo creatore. Il suo destino sarà diverso da quello dei dominatori delle classifiche. Non sarà prigioniero della ricerca spasmodica del risultato commerciale. A Bob il successo discografico interesserà sempre poco, perché, come avrà modo di dichiarare più volte, lui si sente investito da una missione più grande: testimoniare la potenza di Jah in tutto il mondo. Lo farà fino alla morte, oltre la morte.



17 luglio, 2025

17 luglio 1942 – Zoot Money, un irrequieto bluesman britannico

Il 17 luglio 1942 nasce a Bournemouth, in Gran Bretagna, Zoot Money, uno dei grandi pionieri del blues britannico. Registrato all’anagrafe con il nome di George Bruno, il giovane Zoot studia pianoforte ma agli autori classici preferisce decisamente i ritmi e le melodie dei discendenti degli schiavi neri d'America. Quando, nel 1961, dà vita alla prima formazione della Big Roll Band ha soltanto diciannove anni. Lo affianca nell'impresa un gruppo di giovani destinati a lasciare un segno importante: il chitarrista Roger Collins, il bassista Johnny King, il batterista Peter Brooks e il sassofonista Kevin Drake. La Big Roll Band diventerà una sorta di contenitore di cui Zoot costituirà l'unico elemento stabile, tanto che non si potrà mai parlare di una "formazione tipo", ma di tante formazioni, ciascuna riferita a un periodo specifico. Una delle più significative è quella del 1963, che schiera, oltre a Zoot, il chitarrista Andy Somers (il futuro Andy Summers dei Police), il sassofonista Nick Newall e il batterista Colin Allen. Tra le numerose testimonianze discografiche di questo periodo, alcune ufficiali, altre meno, la migliore resta l'album live Zoot! del 1966, registrato al Klook's Kleek con la partecipazione del sassofonista Johnny Almond. In quell'anno Zoot abbandona il progetto della Big Roll per formare una nuova band: i Dantallion's Chariot. Non si fermerà lì. Irrequieto e sempre disponibile a nuove avventure alternerà progetti solistici a esperienze con gruppi diversi. Alla fine degli anni Sessanta farà anche parte di una delle ultime formazioni storiche degli Animals, la leggendaria band di Eric Burdon, con i quali registrerà l'album Everyone of us. All'inizio degli anni Settanta darà vita agli Ellis insieme a Steve Ellis, l'ex componente dei Love Affair, ma anche questa non sarà una scelta definitiva. Recuperata, come ogni volta, la sua libertà continuerà a vivere da protagonista le ricche esperienze della scena blues britannica. Muore l'8 settembre 2024.


16 luglio, 2025

16 luglio 2004 - Chi vota per Bush non è punk

«Questa compilation non nasce per fare profitti: nasce per fare la differenza». La scritta in inglese campeggia bene in evidenza nel libretto che accompagna Rock Against Bush – vol. 1 l’album promosso e realizzato dall’eclettico Fat Mike a supporto del sito www.punkvoter.com. per convincere i giovani ad andare a votare contro Bush. La filosofia dell’album, presentato anche in Italia il 16 luglio, e del sito è, grosso modo, riassumibile così: chi vota per Bush non è punk e chi si astiene è un pisciasotto. E se il presidente dell’America imperialista che punta a farsi impero sceglie il mondo intero come scenario per la sua campagna elettorale, i punk decidono di fare lo stesso perché alla minaccia globale si risponde con la mobilitazione globale. L’album viene così distribuito ovunque e anche in un mercato provinciale come quello italiano si può acquistare per 14 Euri. Sono soldini spesi bene sia per la causa che per il contenuto musicale. In allegato c’è un dvd, forse un po’ ostico per chi non frequenta troppo l’inglese, con videoclip (di Bad Religion, Anti-Flag, NOFX e Strike Anywhere), documentari sulla guerra in Iraq, divertenti spot anti-Bush e un monologo del comico David Cross. La scaletta del Cd è ricca. Accanto ai nomi sempre presenti in iniziative di questo genere ci sono anche gruppi inaspettati. Balzano all’occhio Pennywise, Strike Anywhere, Anti-Flag, NOFX, New Found Glory, Sum 41, Less Than Jake, Soviettes, Ataris, Authority Zero, Strong Out e il quasi leggendario Jello Biafra supportato per l’occasione dai D.O.A. Tra i brani spiccano la bella versione elettrica di Sink, Florida, sink degli Against Me!, l'inedito Give it all dei Rise Against e una Baghdad degli Offspring che è in realtà la riscrittura della Tehran del loro primo album. L’elenco comprende altri nomi illustri come Social Distortion, Descendents o Billy Bragg che affianca i Less Than Jake. Gli amanti dei generi più di confine si possono deliziare con il crossover dei Frisk, il metallo industriale dei Ministry, l'indie-rock degli ormai disciolti Denali, la new wave degli Epoxies, lo ska-core degli RX Bandits, il folk-punk di The World/Inferno Friendship Society o l'emo-pop-rock degli Alkaline Trio e dei Get Up Kids. La campagna di Punkvoter.com sarà supportata anche da decine di concerti cui parteciperanno, oltre ai gruppi citati, Bad Religion, Blink, Good Charlotte, Foo Fighters, Green Day e Sonic Youth, destinati a finire nell’annunciata seconda compilation. Di fronte a quest’offensiva mediatica l’establishment non è stato fermo. In pochi giorni è nato un sito “di destra”, ConservativePunk.com, che ha arruolato l'ex cantante dei Misfits Michael Graves, l’ex Black Flag Henry Rollins e il leggendario Johnny Ramone, tutti favorevoli alla rielezione di Bush. Il tentativo, però, come scrive la stampa d’oltreoceano «…finora ha raccolto scarse adesioni e si è tolto poche soddisfazioni…». Sono timidi e un po’ patetici pannicelli messi a fermare l’onda. Nata sull’onda del movimento contro la guerra l’ondata musicale anti-Bush non sembra facilmente arrestabile. Chi vota per Bush non è punk, appunto.



15 luglio, 2025

15 luglio - Il Festival del Meréngue, vida amor y baile

Se è vero che quasi tutta la vita degli abitanti della Repubblica Dominicana si svolge a ritmo del meréngue diffuso dagli immancabili apparecchi radiofonici che si trovano ovunque, è altrettanto vero che questa sorta di fiesta ininterrotta trova il suo culmine il 15 luglio di ogni anno con il classico Festival del Meréngue. In quel giorno tutta la nazione sembra fermarsi e convergere sul lungomare di Santo Domingo, mentre centinaia di gruppi improvvisati riempiono ogni vicolo e ogni spazio della città con le loro note. È una grande manifestazione di “vida, amor y baile” (vita amore e ballo) che si riversa in ogni angolo della nazione: dagli aeroporti agli alberghi, dai mezzi pubblici, ai bar, fino alle case delle periferie. Per i turisti il Carnaval con la sua musica, il rhum e una moltitudine di corpi che ballano in libertà, è una folgorazione, un'esperienza unica nel suo genere.


14 luglio, 2025

14 luglio 1973 – L'ultima volta al vertice per i Camaleonti

Il 14 luglio 1973 i Camaleonti arrivano per la quinta volta nella loro storia al vertice della classifica dei singoli più venduti in Italia con Perché ti amo. Il brano, un'accattivante, ma un po' stucchevole, melodia scritta da Totò Savio consacra definitivamente il paroliere Giancarlo Bigazzi che, per l'occasione non si è troppo spremuto (Perché ti amo/io non lo so/ma stai sicura/che non dormirò). Rappresenta però una sorta di canto del cigno per la band milanese, arrivata al capolinea di un'involuzione stilistica iniziata alcuni anni prima con la separazione dal suo primo cantante e frontman Riki Maiocchi. Nati all'inizio degli anni Sessanta nel Santa Tecla, uno dei locali di culto del rock milanese, con il già citato Maiocchi, il bassista Gerry Manzoli, il chitarrista Livio Macchia, il tastierista Tonino Cripezzi e il batterista Paolo De Ceglie, sono per qualche tempo una delle più genuine espressione del garage beat dell'area alternativa milanese. Nei primi dischi e, soprattutto, nei concerti, i cinque entusiasmano i giovani rocker del capoluogo lombardo con le loro ruvide versioni di brani inglesi e americani. Il primo successo discografico è, nel 1965, Sha-la-la-la la, versione dell'omonimo brano di Paul Clarence. La popolarità finisce per innescare o, forse, accelerare un processo di revisione interna. Persa per strada la roca voce blues di Riki Maiocchi che viene sostituita da quella più melodica e perbene di Tonino Cripezzi, la band cambia rapidamente impostazione e casa discografica. Chiude in un cassetto il garage beat degli inizi e si avvia su una strada decisamente commerciale abbracciando progressivamente un pop melodico di grande successo. All'inizio degli anni Settanta sotto la spinta dei cambiamenti in atto nella canzone italiana la popolarità dei Camaleonti è in declino. Nel 1973 il successo di Perché ti amo sembra inaugurare una nuova stagione per quello che è ormai divenuto uno dei gruppi simbolo del pop melodico italiano, ma non sarà così.



13 luglio, 2025

13 luglio 1920 – Umberto Cesari, il pianista che amava Fats Waller

Il 13 luglio 1920 nasce a Chieti il pianista Umberto Cesari. All’inizio dell’attività, pur essendo in possesso di una formazione classica non disdegna incursioni sempre più frequenti nella musica leggera. La sua carriera sembra ormai incanalata sui binari di una tranquilla routine da strumentista d’accompagnamento quando l’ascolto casuale di un disco che contiene After you’ve gone nella versione di Fats Waller gli fa scoprire il jazz. È quasi un colpo di fulmine. Gli orizzonti del giovanotto chietino cambiano improvvisamente e anche la sua impostazione stilistica per un po’ appare fortemente condizionata da quella di Waller. Negli anni immediatamente successivi alla Liberazione dà vita a ben due formazioni: il Cristall Trio e un sestetto impostato sulla falsariga delle formazioni di Benny Goodman di cui si occupa persino Down Beat, la rivista per le forze armate statunitensi di stanza in Europa. La sua popolarità si allarga e alla fine degli anni Quaranta se ne va a New York per suonare in una grande orchestra radiofonica. Nel marzo del 1950 è, però di nuovo in Italia per registrare negli studi della Parlophon una leggendaria versione di Begin the Beguine con il Trio, un gruppo che oltre a lui comprende Carlo Pes alla chitarra e Carletto Loffredo al basso. In breve tempo diventa uno dei più apprezzati strumentisti jazz di studio. Tra le sue registrazioni più famose ci sono quelle con il quartetto di Aurelio Ciarallo per la Columbia nel 1954, quattro brani con la Roman New Orleans Jazz Band per la RCA nel 1958 e otto nel 1959 con la stessa band che può contare per l’occasione anche sull’apporto del clarinettista Peanuts Hucko e del trombettista Trummy Young. Il 24 ottobre 1960, con Sergio Biseo al basso e Roberto Podio alla batteria, registra negli studi della RCA la famosa Pino solitario. Nella sua carriera ha incontrato quasi tutti i protagonisti del jazz di quel periodo. Suona a lungo con Stéphane Grappelli e, in jam session, incrocia il suo strumento con quelli di personaggi straordinari come Django Reinhardt, Louis Armstrong, Trummy Young, Cozy Cole, Arvell Shaw, Jack Teagarden, Bill Coleman, Barney Bigard, Don Byas, Toots Thielemans, Chet Baker, Max Roach, Zoot Sims, oltre a moltissimi musicisti europei. Da sempre poco incline a mostrarsi in pubblico, negli anni Sessanta rende il suo isolamento quasi inaccessibile rifiutando quasi tutte le proposte di nuove registrazioni. Fanno eccezione un concerto in trio con Giovanni Tommaso al contrabbasso e Daniel Humair alla batteria tenuto il 28 marzo 1968 per Rai Radio e la registrazione nel 1975 dell'album Reminiscenze per la Carosello. Muore nel 1992.


12 luglio, 2025

12 luglio 1963 - Una pallottola nel cuore di Gino Paoli

Il cantautore Gino Paoli viene ricoverato alle 18.30 del 12 luglio 1963 al pronto soccorso dell’ospedale genovese di San Martino con una ferita d’arma da fuoco alla “regione parasternale destra”. La prognosi è riservata e i medici disperano di salvarlo. I giornali sostengono che il cantante, in preda a una forte crisi depressiva, ha deciso di farla finita e si è sparato al cuore. Paoli, invece, sostiene che si tratta di un colpo accidentale partito mentre stava pulendo l’arma. Contrariamente alle previsioni la vicenda ha un felice epilogo. La pallottola si è incastrata in un punto non vitale del cuore, per cui non è neppure necessario procedere alla sua estrazione. Dopo una lunga convalescenza il cantautore riprenderà a lavorare.