25 ottobre, 2025

25 ottobre 2004 - Quando Papa Wemba venne accusato di favorire l’immigrazione clandestina

Il 25 ottobre 2004 a Bobigny, Parigi, inizia il processo intentato contro Papa Wemba, una delle star della world music mondiale, nato in Congo, cittadino belga e residente in Francia, accusato di vari reati collegati all’immigrazione illegale. Il musicista rischia una pena pesante, fino a dieci anni di carcere, per aver fatto entrare in Francia centinaia di cittadini congolesi con un’ingegnosa truffa ai danni delle leggi sull’immigrazione. Secondo l’accusa, infatti, Papa Wemba chiedeva visti per loro dichiarando che erano componenti del suo nutrito gruppo Vive La Musique. Sempre stando alla ricostruzione dell’accusa i cittadini congolesi, una volta ottenuto il visto per la Francia, non avrebbero fatto più ritorno in Congo. Con Papa Wemba, il cui vero nome è Jules Shungu Wembadio Pene Kikumba, saranno giudicate altre sette persone. Il musicista, che ha cinquantacinque anni, al momento del processo ha già trascorso in prigione quasi quattro mesi da quando ha preso avvio l’inchiesta.



24 ottobre, 2025

24 ottobre 1925 – Willie Mabon, una vita tra blues e camion

Il 24 ottobre 1925 nasce a Hollywood, nel Tennessee, il bluesman Willie Mabon. Come accade a molti altri protagonisti della storia del soul e del blues, la sua prima scuola di musica è il coro della chiesa del quartiere dove vive. Nel 1940, a quindici anni, convinto che il canto possa essere la sua definitiva scelta di vita, inizia a studiare pianoforte e armonica, ma l'anno dopo è costretto a cambiare progetti. La morte improvvisa della madre lo costringe a stabilirsi a Chicago dove alterna lavori saltuari a sporadiche esibizioni nei locali della città. La fine della seconda guerra mondiale lo sorprende al volante di un poderoso autocarro di proprietà di un'impresa di trasporti. Appena può, però, abbandona la vita vagabonda e senza orari per fare l'operaio in una fabbrica d'ascensori. Il lavoro è più duro ma gli lascia maggior tempo per la musica. I suoi amici di quel periodo si chiamano Memphis Slim e Sunnyland Slim, personaggi destinati a scrivere pagine importanti nella storia del blues. Nel mese di dicembre del 1946 forma con Lazy Bill Lucas ed Earl Dranes un trio che debutta al Tuxedo Lounge. L'esperienza di gruppo gli piace. Nel 1948 dà vita ai Blues Rockers e qualche tempo dopo forma addirittura una sorta di big blues band. Sono anni fortunati che lo vedono protagonista di innumerevoli successi discografici tra cui spicca, nel 1952, il singolo I don’t know e, nel 1953, I’m mad. In quel periodo vagabonda per le varie città degli Stati Uniti accompagnato da una band di sette elementi. Negli anni Sessanta, mentre sull'onda dell'esplosione del beat tutto il mondo scopre e impara ad amare il blues, lui comincia ad avere una crisi di rigetto nei confronti del music business. L'invadenza delle case discografiche e del sistema in generale finiscono per fargli rimpiangere gli anni della gioventù, duri ma caratterizzati da maggior libertà. Quando nessuno se l'aspetta abbandona tutto e torna a guidare camion. Accade alla fine del 1967, dopo una lunga serie di concerti nei club di Chicago. Per evitare problemi con la sua casa discografica entra in sala di registrazione e incide a tappe forzate i brani previsti dal contratto. Poi si cerca un posto da camionista e lascia tutto. La scelta non sarà definitiva. Dopo quattro anni sulle strade tornerà a esibirsi alla fine del 1972. L'anno dopo, invitato in tournée in Europa, scoprirà Parigi e non si muoverà più. Stabilirà la sua residenza nella capitale francese e troverà gli stimoli giusti per continuare.



23 ottobre, 2025

23 ottobre 1940 – Edson Arantes Do Nascimento, in arte Pelè


Il 23 ottobre 1940 a Tres Corações in Brasile nasce un bambino che viene registrato all’anagrafe con il nome di Edson Arantes Do Nascimento e che tutto il mondo conoscerà con il nome di Pelé. Lui stesso racconta di chiamarsi Edson in onore di Thomas Alva Edison e di non aver mai apprezzato particolarmente il nomignolo di Pelé. Nonostante le sue personali preferenze resta nella storia dello sport e del costume proprio con questo appellativo di due sole sillabe regalatogli da un compagno di scuola e di giochi quando era ancora un ragazzino e rimastogli appiccicato per tutta la vita. Talento naturale viene scoperto all'età di 11 anni dall'ex giocatore della nazionale brasiliana Waldemar de Brito che lo segue e si incarica di trovargli una collocazione. Quando entra a far parte della prestigiosa formazione del Santos ha soltanto quindici anni e non ne ha ancora compiuti sedici quando, nel mese di settembre del 1956, debutta contro il Corinthians segnando un gol. Due anni dopo i mondiali di Svezia lo consacrano tra gli dei del calcio mondiale. La fortuna non l’assiste quattro anni dopo, ai Mondiali del Cile del 1962. Attesissimo e in gran forma si fa male nel primo incontro e chiude lì la sua avventura. I suoi compagni vincono di nuovo il titolo ma lui deve accontentarsi di entrare nell’albo d’oro della manifestazione senza mai alzarsi dalla panchina. Il destino sembra prendersi gioco di lui anche nei mondiali del 1966 quando, colpito a uno stinco nel corso della terza partita contro il Portogallo deve uscire dal campo in barella e assistere al resto degli incontri dalla panchina. Questa volta, però, il tormento dura poco perché il Brasile viene rapidamente eliminato. Per rivedere il suo genio calcistico all’opera nella più grande e importante competizione internazionale di calcio si dovrà attendere Messico 1970 quando ormai trentenne, assistito dalla giovanile esuberanza di Jairzinho, Tostao, Rivelino e Carlos Alberto darà al mondo una serie di prove delle sue straordinarie qualità In quello che passerà alla storia come il primo Mondiale di calcio trasmesso a colori (anche se in Italia lo si vedrà ancora in bianco e nero) Pelé regala almeno tre perle rimaste negli annuari del calcio spettacolo. La prima è il tentativo di colpire la Cecoslovacchi con un pallonetto da metà campo, la seconda il colpo di testa contro l’Inghilterra impossibile per posizione e per dinamica cui risponde con una parata-capolavoro il portiere inglese Gordon Banks. Terza, ma soltanto in ordine di tempo, è la finta con la quale lascia scorrere il pallone oltre il portiere dell'Uruguay uscito fuori area, per poi recuperarlo e tirare verso la porta mancandola di un soffio. Nella finale contro l’Italia realizza il centesimo gol del Brasile in un Mondiale con un colpo di testa dopo essere stato sospeso in aria per un’eternità. Tarcisio Burgnich, il difensore italiano che ha l’ingrato compito di marcarlo, non si dimenticherà più quella giornata: «Prima della partita mi ripetevo che era un uomo di carne e ossa come me e come tutti gli altri, ma sbagliavo». Il Brasile vince il titolo e Pelé entra definitivamente nella leggenda. Il giorno dopo la finale sulla prima pagina del Sunday Times c’è scritto: «Come si scrive Pelé? D-I-O». Nel 1974 Pelé annuncia il suo abbandono del campo da gioco, ma non è vero. Un anno dopo accetta di andare a giocare nei Cosmos di New York «per portare il gioco più diffuso al mondo al pubblico nordamericano». L’esperienza si rivela molto remunerativa ma non ottiene i risultati sperati sul piano sportivo per cui appende definitivamente le scarpe al chiodo nel 1977 dopo aver realizzato 1.281 gol, un record insuperato che fa di lui il più grande cannoniere della storia del calcio. Muore il 29 dicembre 2022.


22 ottobre, 2025

22 ottobre 2004 – Meg inaspettata e dolce

Il 22 ottobre 2004 Meg presenta il suo primo disco da solista. «Un parto travagliato. È una figlia, una piccola creatura di sesso femminile che io trovo graziosissima» Così Meg descrive l’album che porta il suo nome, il primo da solista dopo tanti anni con i 99 Posse e la più recente esperienza nei Nous in coppia con l’altro ex 99 Marco Messina. È un lavoro inaspettato per chi si è abituato a vederla sulla scena con Zulù e compagni. Delicato, musicalmente curato fin nei minimi dettagli, in qualche passaggio deliziosamente retrò, Meg è un album pop dove le alchimie elettroniche fanno l’amore con gli strumenti veri, fiati e archi compresi. Lei sostiene che al fascino sottile dei suoi brani non sia estranea una questione di genere: «C’è una grande differenza tra la sensibilità maschile e quella femminile. Io ho cantato al femminile». Ci vuole coraggio, però, a imbarcarsi su rotte nuove visto che avresti potuto continuare a navigare nello stesso mare in cui avevi veleggiato con i 99 Posse… «Nel momento in cui il gruppo ha incominciato a starci stretto e abbiamo deciso che era tempo di prenderci una boccata d’aria, ciascuno di noi ha finito per radicalizzare le proprie ispirazioni artistiche e stilistiche…» E le tue quali sono? «Quelle che ritrovi nel disco. Una cultura ricca, non prigioniera di un genere specifico, una sorta di liquido amniotico in cui convivono felicemente la tradizione classica napoletana, il pop dei Beatles, il jazz e la musica classica…» … e il Brasile, visto che nell’album l’unico pezzo che non porta la tua firma è Senza paura, un brano di molti anni fa scritto da Toquinho, Vinicius De Moraes e Sergio Bardotti. Caldo, molto luminoso, insieme a Simbiosi sembra un po’ la chiave di lettura dell’intero disco, uno squarcio di ottimismo, un invito a non credere alle cose come sono e a non avere paura. «È un solare esorcismo alla paura, una canzone che ha illuminato la mia infanzia. Per questo ho voluto cantarla e ho chiesto a mio padre di suonarci». Tu sei ottimista? «Come tutti alterno momenti di pessimismo nero a squarci di speranza e ottimismo. Tutto sommato mi considero positiva, anche se di questi tempi è sempre più difficile. Ciò che di peggio si poteva immaginare è diventato realtà: guerra, falsificazione, desolazione, sopraffazione e, in più, la caduta del significato delle parole. Opporsi è possibile solo se si sfugge a queste logiche». In Simbiosi sembri quasi rivalutare il sogno da contrapporre alla realtà. Non è una fuga? «No, tutt’altro. Io credo che la speranza del mondo sia proprio affidata a quella rete delicatissima, eppur fittissima, di persone che riescono ancora a sognare spostando più in là l’orizzonte. È quello che mi piace chiamare “esercito mondiale dei sognatori” e che raggruppa tutti quelli che non hanno smesso di sognare, progettare e lottare per un mondo diverso».


21 ottobre, 2025

21 ottobre 1996 - I cantautori non sono il diavolo!

Il 21 ottobre 1996 il programma televisivo “Roxy Bar” condotto da Red Ronnie ha un ospite d’eccezione e inusuale. Si tratta del cardinale Ersilio Tonini. Il prelato dovrebbe confrontarsi con il cantautore Francesco De Gregori dopo le polemiche scatenate dal L’Osservatore Romano, il giornale del Vaticano, nei confronti dei cantautori italiani per l’utilizzazione di Dio nei loro testi. Il confronto, annunciato dalla stampa come una sorta di resa dei conti tra la musica dei giovani e la Chiesa, attira l’attenzione di milioni di spettatori. Contrariamente alle previsioni non c’è battaglia, ma un gesto ufficiale di conciliazione da parte dell’autorevole esponente della Chiesa Cattolica. Al termine del faccia a faccia con Francesco De Gregori, infatti, il cardinale Ersilio Tonini, si alza e abbraccia il cantautore esclamando «Posso ringraziare Dio di avere fatto uno come te».


20 ottobre, 2025

20 ottobre 1986 – “Caruso” canzone dell’anno

La più bella canzone del 1986 è Caruso di Lucio Dalla. La giuria del Club Tenco di Sanremo, composta da critici, autori e giornalisti, non ha dubbi in proposito, tanto che il premio viene assegnato quasi all’unanimità. Il 20 ottobre 1986 nel corso dell’annuale manifestazione organizzata dallo stesso Club Tenco, Lucio Dalla riceve quello che lui considera uno dei premi più prestigiosi della sua carriera. La canzone nasce da una leggenda. Si racconta che il grande tenore Enrico Caruso, negli ultimi mesi della sua vita, ormai malato irrimediabilmente di cancro alla gola, continuasse a tenere lezioni di canto a una giovane ragazza di cui era anche segretamente innamorato. In una delle ultime sere della sua vita avrebbe fatto trasportare il suo pianoforte in terrazza per poter cantare una lunga serenata alla luna e allo stupendo Golfo di Sorrento. Commosso e ispirato da questa storia Lucio Dalla compone Caruso, un brano dalla melodia e dal testo ricchi di citazioni attinte direttamente alla tradizione napoletana e operistica. La canzone, pubblicata in singolo e inserita nell’album Dallamericacaruso arriva rapidamente al vertice della classifica dei dischi più venduti. Considerata il capolavoro del cantautore bolognese diventa un successo in varie parti del mondo grazie anche alle numerose versioni realizzate da diversi artisti. Tra i cantanti che l’hanno inserita nel loro repertorio ci sono Luciano Pavarotti, Anna Oxa, Roberto Murolo, Mireille Mathieu e Tom Robinson.


19 ottobre, 2025

19 ottobre 1967 – Henderson Chambers ovvero quando il trombone da hobby diventa mestiere

Il 19 ottobre 1967 muore New York il cinquantottenne trombonista Henderson Chambers. Nato ad Alexandria, in Georgia, nel 1908 inizia a coltivare la passione per uno strumento inusuale come il trombone negli anni Venti, quando è ancora studente e suona con la banda del Morehouse College di Atlanta. Con il passare del tempo quello che sembrava un hobby diventa sempre più coinvolgente fino a quando, nel 1931, si trasforma definitivamente in un lavoro. Il primo direttore d'orchestra che gli offre un ingaggio professionale è Neil Montgomery. Per tutti gli anni Trenta la sua popolarità non va oltre i confini della Georgia dove suona con quasi tutte le orchestre impegnate nei locali jazz dello stato in cui è nato. Sono le cosiddette "territory bands", le orchestre territoriali che traggono vita e sostanza dal luogo dove sono nate e qui esauriscono il loro ciclo. La limitazione spaziale non ne diminuisce il valore, anzi. Alcune sono destinate a entrare nella storia del jazz e molte di queste schierano in vari periodi il trombone di Chambers. È il caso delle band di Doc Banks, Jack Jackson, Speed Weeb e Zack Whyte, solo per citare quelle più conosciute. Verso la fine degli anni Trenta Chambers è con l’orchestra del sassofonista Al Sears che lascia successivamente per passare a quella di Tiny Bradshaw. All’inizio degli anni Quaranta lascia la sua Georgia e se ne va a New York per suonare al Savoy Ballroom con Chris Columbus. Qui ha modo di farsi notare dalla critica e dal pubblico, suscitando consensi e stupore per il suo stile ricco di abbellimenti e sostenuto da una tecnica sopraffina. L’anno successivo viene ingaggiato da Louis Armstrong, con la cui orchestra entra per la prima volta in sala di registrazione nel 1941. Nel 1943 suona insieme a Don Redman e poi al clarinettista Edmond Hall, con il quale lavora per diversi anni. Proprio con l'orchestra di Hall accompagna il suo vecchio amico Louis Armstrong nel concerto alla Carnegie Hall dell’8 febbraio 1947, considerato uno dei migliori tra i tanti registrati dal trombettista nel corso degli anni Quaranta. Negli anni Cinquanta suona con Lucky Millinder, Count Basie, Buck Clayton, Cab Calloway, Duke Ellington e Mercer Ellington. Considerato ormai uno dei migliori trombonisti di scuola swing, rinuncia alla tentazione di dar vita a una propria orchestra e nel decennio successivo darà il suo contributo strumentale alla costruzione del mito di Ray Charles.

18 ottobre, 2025

18 ottobre 2003 - Gli Avion Travel con la Banda Pugliese del Sogno Biondo

Il 18 ottobre 2003 all’Auditorium della Musica di Roma si svolge un concerto particolare che vede protagonista la Piccola Orchestra Avion Travel, sei persone a bordo di un carrozzone musicale che da anni vaga per le polverose strade del mondo. Sei uomini, sei musicisti, sei artisti curiosi e gelosi dei propri spazi. Ciascuno di loro può coltivare altri progetti quando il carrozzone non è in viaggio, così ogni esperienza finisce per lasciare tracce di sé nel lavoro comune: è il segreto di un gruppo che, come i serpentelli, cambia pelle a ogni stagione rimanendo se stesso. Lasciato alle spalle il tour estivo, figlio dell'album Poco mossi gli altri bacini, hanno messo il naso negli ambienti odorosi di jazz del milanese "Blue note" poi hanno deciso di realizzare un progetto difficile da definire. Il 18 ottobre, infatti, suona all'Auditorium della Musica di Roma con la Banda Pugliese del Sogno Biondo, cioè l'ensemble residente del festival bandistico di Conversano. «Tutto nasce dalla nostra curiosità» racconta Peppe Servillo, la voce del gruppo. «Il tour, poi, ci ha caricati. Abbiamo lavorato su uno spettacolo ricco di musica ma anche di momenti non musicali, siparietti teatrali. Ci siamo sentiti ospiti del pubblico e quella dimensione stimola l'intelletto e la creatività». Quando c'è da curiosare, voi non vi tirate certo indietro, visto anche il lavoro con il cinema… «Quella delle colonne sonore è stata un'altra bella esperienza. Abbiamo sempre desiderato raccontare il cinema con le nostre canzoni, credo che in parte il sogno si sia realizzato. Adesso, poi, vorremmo entrare in teatro, anzi stiamo per entrarci, ma è un po' prematuro parlarne…». I vostri più che cambiamenti sono arricchimenti di un'esperienza, piccoli spostamenti progressivi e costanti in direzioni diverse. Non vi sembra che la scena musicale oggi viva più di novità eclatanti che di deliziose aggiunte o di curiosità intellettuali? «Non so se ci interessa davvero come vive la scena musicale e spesso non vedo le novità annunciate. Rischio di passare per nostalgico, ma se mi guardo in giro divento triste. Il valore musicale è un elemento di contorno, gli artisti vengono trattati come modelli a una sfilata di moda e le novità spesso sono soltanto immagine. La musica, come la politica del resto, rispecchia i valori dominanti nella società».


17 ottobre, 2025

17 ottobre 1952 – Marinella, la voce femminile del filone demenziale

Il 17 ottobre 1952 nasce a Bologna l’autrice e cantante Marinella Bulzamini, destinata alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta a lasciare un segno importante nella canzone italiana con una serie di brani che anticipano quello che verrà chiamato il filone “demenziale”. La ragazza bolognese con le sue canzoni volge in parodia i temi politici e di costume della sua epoca in parallelo con il lavoro di gruppi come i Pandemonium. Dopo aver fatto parte del gruppo femminile de Le Borgia, partecipa al Festival di Sanremo del 1979 con
Autunno cadono le pagine gialle
, lo sfogo di un’impiegata dell’impresa telefonica nazionale che tra i numeri telefonici ha perso la ragione. Torna sul palcoscenico sanremese nel 1981 accompagnata da quattro figuranti per accompagnare un balletto con una scopa di saggina il brano Ma chi te lo fa fare. Nello stesso anno pubblica anche l’album Ma lascia stare, ma chi te lo fa fare, che contiene brani come Datemi del sugo e Mi è scaduto il libretto della mutua. Dopo aver registrato Il cammello la prima sigla del programma per bambini "Bim Bum Bam" riduce l’attività. Nel 1985 realizza il suo ultimo singolo Colazione d'amore.

16 ottobre, 2025

16 ottobre 1979 – “Récital d’adieu” per Les Frères Jacques

Il 16 ottobre 1979 al teatro della Comédie des Champs-Élysées va in scena “Récital d’adieu”, l’ultimo spettacolo de Les Frères Jacques, uno dei gruppi più eccentrici e significativi dello spettacolo francese del Novecento. Creativi, geniali al limite del surrealismo e musicalmente ineccepibili Les Frères Jacques rappresentano un po’ l’isola sorridente dell’arcipelago degli chansonniers a partire dal nome che si sono scelti. Frères Jacques, infatti, fa il verso all’espressione «Faire le Jacques» che in italiano può essere tradotta in «fare il deficiente». Per più di quarant’anni la loro imprevedibile follia si è conquistata uno spazio particolare sulla scena musicale francese. Ogni loro esibizione è più di un semplice concerto perché le canzoni si mescolano con le mimiche prese in prestito dal teatro di strada e i travestimenti paradossali delle gag da circo. Con calzamaglia, guanti, cappello e il tocco delicato e paradossale di un particolare imprevisto, un paio d’occhiali o un mazzo di fiori, trasformano ogni canzone in una piccola pièce teatrale, un’avventura della fantasia. Gli inizi della storia de Les Frères Jacques si incrociano con il dramma di una Francia che sta precipitando sotto il tallone nazista. Tutto comincia nei primi anni Quaranta quando il ventiseienne André Bellec, appena congedato dall’esercito, raggranella qualche soldo insegnando drammatizzazione nelle strutture ricreative destinate ai giovani. Qui s’imbatte in varie compagnie teatrali che lo aiutano a perfezionarsi nel canto, nella danza e nelle tecniche da mimo. Con lui c’è suo fratello Georges, eccellente trombettista jazz con una passioncella per il canto comico costretto a lasciare l’accademia delle Belle Arti di Parigi per sfuggire al reclutamento coatto nelle squadre di lavoro obbligatorio messe in piedi dal governo collaborazionista francese. Proprio dai fratelli Bellec nasce l’idea di un gruppo che sappia coniugare interpretazione musicale ed espressività teatrale. Il progetto diventa realtà dopo la Liberazione quando entrambi tornano a Parigi. Il primo ad aggiungersi a loro è François Soubeyran, un cantante e attore che dopo aver combattuto nelle file della Resistenza sta cercando un progetto per tornare a nuovamente a lavorare. Il quarto e ultimo componente è Paul Tourenne, un ex impiegato delle poste con all’attivo numerose esperienze radiofoniche. Les Frères Jacques sono nati. In breve tempo arriva anche un ingaggio dalla Troupe Grenier-Hussenot, la prima compagnia teatrale formatasi a Parigi dopo la Liberazione che dà loro una interessante opportunità di farsi le ossa sul palcoscenico. Proprio nella Grenier-Hussenot conoscono Pierre Philippe, il pianista della compagnia, l’uomo che “inventerà” le sonorità del gruppo, che ne curerà gli arrangiamenti e che sarà considerato così indispensabile da essere soprannominato il “quinto componente” de Les Frères Jacques. Nello stesso periodo incontrano anche Jean-Denis Malclés, lo scenografo teatrale che “inventerà” i loro costumi di scena. All’inizio della loro carriera Les Frères Jacques, decisi a non farsi scappare alcuna occasione, diventano quasi dei forzati del palcoscenico. Accettano qualunque ingaggio e finita la serata in teatro corrono a esibirsi fino alle prime luci dell’alba nei cabaret della Rive Gauche. In breve tempo il loro umorismo, i loro costumi e soprattutto le loro originali interpretazioni conquistano il “popolo della notte” della capitale. Nel 1946 la canzone L’entrecôte interpretata per la prima volta sul piccolo palcoscenico del cabaret Capri diventa una specie di tormentone tra i giovani parigini e aumenta a dismisura la popolarità del gruppo che l’anno dopo viene scritturato per il suo primo spettacolo di rivista alle Folies-Belleville. Nel loro instancabile girovagare Les Frères Jacques si esibiscono sui palcoscenici di un’infinità di locali, ma il luogo cui sono più fedeli e dove si sentono più a loro agio è la Rose Rouge. Sul palco di quel locale nascono gran parte dei primi successi del gruppo, a partire da Le manège aux cochon roses a Nous voulons une petite soeur a Sérénade de la purée solo per citare i tre brani che fanno compagnia a L’entrecôte sul primo disco a 78 giri che registrano nel 1948. Ormai in grado di muoversi da soli sulla scena musicale nel 1949 lasciano la compagnia Grenier-Hussenot dopo aver dato il loro contributo alle repliche del “Les Gaietés de l’Escadron” al Théâtre de la Renaissance e accettano una scrittura di cinque mesi al prestigioso Bobino. L’evento più significativo di quell’anno resta, però, l’incontro con Jacques Canetti, l’ex direttore della scalcinata Radio Cité che nella Parigi del dopoguerra si è trasformato in uno dei più infallibili e ascoltati scopritori di talenti della scena musicale cittadina. È lui a proporre a Les Frères Jacques un cambiamento di repertorio che, a prima vista, sembra un po’ azzardato. In sostanza chiede al quartetto di cimentarsi in una serie di brani scritti da Jacques Prévert e musicati da Joseph Kosma senza rinunciare a filtrarli attraverso il proprio originale taglio interpretativo. Il risultato è sorprendente e viene accolto bene sia dalla critica che dal pubblico. Proprio con L’inventaire, un brano scritto da Prévert e musicato da Kosma Les Frères Jacques vincono il Grand Prix du Disque del 1950. Per i Frères Jacques gli anni Cinquanta e Sessanta sono quelli del grande successo internazionale iniziato con la prima tournée in nordafrica del 1951 cui segue l’anno dopo una lunga serie di concerti in Canada e negli Stati Uniti. Il loro repertorio spazia ormai dalle canzoni divertenti ai testi impegnati di Vian, Brassens, Queneau, Ferré e tanti altri protagonisti della scena artistica parigina oltre al loro amico Prévert. Nel 1953 il gruppo partecipa al film “Il paese dei campanelli” di Jean Boyer interpretato da Sophia Loren. Nel 1955 festeggiano il decimo anniversario della loro formazione con una grande festa spettacolo al teatro della Comédie des Champs-Élysées e un’applaudita e partecipata tournée francese. L’anno dopo recitano nell’operetta “La belle Anabelle”, messa in scena al Teatro de la Porte Saint-Martin dal loro amico Yves Robert e annunciano la loro intenzione non lavorare più con compagnie teatrali per dedicarsi soltanto ai récital e ai propri spettacoli musicali. Negli anni Sessanta Les Frères Jacques confermano e allargano ancora la loro popolarità e il loro successo nonostante l’irrompere sulla scena mondiale di nuovi generi arrivati dall’universo anglosassone, il rock innanzitutto. Nel 1964 viene annunciata la fine della collaborazione tra il gruppo e Pierre Philippe, il pianista e arrangiatore che da vent’anni viene considerato il quinto componente del gruppo. La separazione, che si concretizza soltanto nel 1966, è preceduta da una serie di affollatissimi concerti d’addio. Al posto di Pierre Philippe arriva Hubert Degeux che non farà rimpiangere il suo predecessore. Sempre nel 1966 i quattro componenti del gruppo vengono insigniti del titolo di Cavalieri delle Arti e delle Lettere. Lo scorrere del tempo non sembra lasciare segni particolari sulla carriera de Les Frères Jacques che negli anni Settanta diventano quasi un’icona per i giovani alfieri dell’avanguardia parigina. Nel 1977 non mantengono l’impegno di non partecipare più a spettacoli teatrali e mettono in scena con i vecchi amici della Compagnia Grenier-Hussenot uno spettacolo musicale dedicato alla Belle Epoque. Verso la fine del decennio si comincia a parlare dello scioglimento del gruppo. Interpellati sull’argomento i componenti non rilasciano dichiarazioni ma il 16 ottobre 1979 al teatro della Comédie des Champs-Élysées mettono in scena un nuovo recital con il significativo titolo di “Récital d’adieu” la cui scaletta non prevede brani nuovi ma una lunga carrellata sui principali successi della loro carriera. La storia de Les Frères Jacques si chiude ufficialmente nel 1982 anche se nel 1983 si esibiscono ancora una volta per salutare definitivamente gli ammiratori più affezionati e fedeli al Théâtre de Boulogne-Billancourt nella periferia parigina. Lasciate le scene ogni componente del gruppo si dedica ad attività diverse dalla musica. Georges Bellec si dedica alla pittura con buon successo, Paul Tourenne alla fotografia mentre André Bellec si occupa dell’associazione degli anziani dello spettacolo. Il quarto componente del gruppo François Soubeyran preferisce invece ritirarsi a vita privata nella sua casa di Pilette-Montjoux dove muore il 21 ottobre del 2002 a 83 anni.





15 ottobre, 2025

15 ottobre 1968 – Come uno Zeppelin di piombo

Il 15 ottobre 1968 due componenti degli Who, il batterista Keith Moon e il bassista John Entwistle, sono nell’aula magna della Surrey University. Anonimi e confusi tra il pubblico stanno assistendo a un concerto dei New Yardbirds, la band formata dopo lo scioglimento degli Yardbirds dal chitarrista Jimmy Page e dal bassista John Paul Jones con il cantante Robert Plant e il batterista John Henry “Bonzo” Bonham, entrambi provenienti dai Band of Joy. I due componenti degli Who, amici del manager del gruppo Peter Grant, non sembrano particolarmente convinti da quanto accade sul palco. L’esibizione nonostante abbia scatenato l’entusiasmo del pubblico li lascia perplessi. Fanno notare a Grant come il gruppo di Page, salito sul palco senza particolare entusiasmo, si sia poi progressivamente sgonfiato fino a dare l’impressione di aver fretta di chiudere. Quando vanno nei camerini a salutare i musicisti ne parlano con lo stesso Page che non ha alcuna difficoltà ad ammettere che l’impressione è quella giusta. Non cerca giustificazioni. Attribuisce la brutta esibizione soprattutto alla stanchezza per un repertorio, quello dei vecchi Yardbirds, che non soddisfa più le loro esigenze artistiche, ma che deve essere eseguito per esigenze contrattuali. «Abbiamo pronto un nuovo repertorio, un buon numero di nuovi pezzi e stiamo ancora cercando un nome per la band. Vogliamo cambiare, abbiamo bisogno di cambiare… cambieremo», dice il chitarrista. Il clima è disteso e rilassato perciò sia Moon che Entwistle iniziano a fare battute con i ragazzi del gruppo sul concerto. In particolare il batterista degli Who ridendo dice «Going down like a lead Zeppelin» (Siete andati giù come uno Zeppelin di piombo). Il riferimento al nome dei famosi dirigibili tedeschi colpisce Jimmy Page che ammicca alla battuta, ma si fissa bene in mente la frase. Qualche giorno dopo le ultime due parole ispireranno il nuovo nome del gruppo. Tolta la “a” di “Lead”, i New Yardbirds diventeranno così i Led Zeppelin, uno dei grandi gruppi di culto della storia del rock destinato a entrare nella leggenda. Gli storici musicali li indicheranno come gli artefici della vera svolta post-Beatles, originali creatori di una miscela di blues elettrico e rock ad altissimo volume capace di recuperare la carica eversiva di un genere che iniziava a spegnersi.

14 ottobre, 2025

14 ottobre 1977 – Bing Crosby, un nome d'arte nato da una striscia

Il 14 ottobre 1977 muore Bing Crosby, uno dei personaggi più importanti della musica pop statunitense. Nato a Tacoma, nello stato di Washington, il 2 maggio 1904 da Harry Crosby e Kate Harrigan, cresce a Spokane. La sua famiglia non se la passa benissimo e il ragazzo deve abbinare il lavoro allo studio per essere di aiuto alla numerosa famiglia. A otto anni viene soprannominato Bing, come il popolare personaggio della comic strip “Bingleville Bugle” di cui è un appassionato lettore. Studia alla Webster School e poi al Gonzaga Institute, retto dai Gesuiti, dove inizia, ma non completa, gli studi di legge. Le sue prime esperienze musicali risalgono al 1920, quando è batterista e cantante dei Juicy Seven, un gruppo scolastico. Nel 1921 entra a far parte dei Musicaladers un gruppo modellato sullo stile della Original Dixieland Jazz Band. In quegli anni dà vita anche a un duo novelty di canto e piano con il pianista del gruppo, Al Rinker, fratello della cantante Mildred Bailey. Nel 1925, dopo lo scioglimento dei Musicaladers, i due si trasferiscono a Los Angeles, e, grazie all'interessamento di Mildred Bailey, vengono ingaggiati dalla compagnia di vaudeville Fanchon & Marco al Boulevard Theatre di Los Angeles. Le loro interpretazioni jazzate di motivi di successo (San, China Boy, Copenhagen) integrate da effetti speciali mutuati dai Mound City Blue Blows e da occasionali battute comiche, ottengono un buon successo. Per questa ragione l'impresario Arthur Freed li scrittura per la rivista “The Morrisey Music Hall Revue”, messa in scena al Majestic Theatre di Los Angeles. Partecipano poi a uno spettacolo di varietà al Metropolitan Theatre, dove vengono notati da Paul Whiteman, allora all'apice della popolarità, che li aggrega alla sua orchestra come numero di attrazione. Il pubblico di Whiteman però non li apprezza particolarmente e il loro ruolo si riduce quasi esclusivamente al sottofondo vocale delle parti strumentali insieme ad altri vocalist della band. Le cose cambiano quando Whiteman scrittura Harry Barris, un giovane e dinamico pianista e cantante hot proveniente dall'orchestra di George Olsen dando vita ai Paul Whiteman's Rhythm Boys. Il buon successo ottenuto con brani come Mississippi Mud, scritto dallo stesso Barris, e From Monday On, sembra rilanciare Bing e il suo compagno, ma la loro caparbia insistenza a dare sempre maggiore spazio alle battute comiche a detrimento della parte musicale finisce per stancare il pubblico e lo stesso Paul Whiteman che li allontana dall’orchestra. Bing, Rinker e Barris si esibiscono nei teatri e nei night-club di varie città della California ottenendo un notevole successo al Monmartre Café di Los Angeles e un successivo ingaggio al prestigioso Cocoanut Grove di Hollywood. Nel frattempo Bing Crosby sposa la cantante e attrice Wilma Wyatt (Dixie Lee) decide di sfruttare la popolarità guadagnata nei locali con un proprio programma radiofonico dove le sue canzoni When the Blues of the Night e I Surrender Dear fanno faville. Sotto l’abile gestione del fratello maggiore Everett viene scritturato anche dalla casa cinematografica Paramount che lo trasforma in una star del cinema musicale hollywoodiano. La popolarità non lo abbandona più fino alla morte e non conosce appannamenti neppure quando, alla soglia dei settant'anni, riduce al minimo le sue apparizioni in pubblico. Il comico Bob Hope, suo grande amico ed estimatore, a chi vaticinava il declino di Bing dinanzi alla esplosione di Frank Sinatra (soprannominato "swoonatra" perchè faceva svenire le fans) agli inizi degli anni Quaranta, replicava con queste parole, che al di là del paradosso contengono un fondo di verità: «Non si preoccupi per Bing: quello è l'uomo che fece svenire la madre di Sinatra ed è anche l'uomo che fra una quindicina d'anni farà svenire la figlia di Sinatra».



13 ottobre, 2025

13 ottobre 1984 – Il primo cedimento commerciale degli U2

Il 13 ottobre 1984 entra nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna l’album The unforgettable fire degli U2, realizzato con la collaborazione di Brian Eno e del tecnico del suono canadese Daniel Lanois. Il titolo del disco è “rubato” da quello di una mostra di quadri dipinti dagli scampati al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki che i componenti della band hanno visitato a Chicago. «In quei quadri – dice Bono, il leader del gruppo – abbiamo visto l’orrore della strage, la disperazione di un mondo che ha l’impressione di essere arrivato a un punto di non ritorno. Abbiamo, però, visto anche la speranza di risollevarsi, la voglia di continuare a credere nell’alba di una nuova era di pace. Ci siamo immersi in quell’atmosfera e l’abbiamo fatta nostra. Abbiamo voluto dare a chi ci ascolta le stesse sensazioni. L’album è come una mostra di quadri, solo che le pennellate di colore, le sfumature, i disegni sono sostituiti da voci, ritmi e melodie, oltre che da parole». L’opera segna una svolta nella carriera degli U2 che, grazie anche al lavoro di cesello di Eno e Lanois, si presentano al pubblico con un suono diverso dal passato, meno aggressivo e violento. Le atmosfere sonore su cui si dipanano i brani sono morbide e curate, lasciando ai testi il compito di dare il senso della continuità con i lavori precedenti. Le canzoni danno il consueto spazio ai temi sociali, all’importanza della solidarietà e alla difesa dei diritti umani. Nonostante tutto, però, una parte della critica storce il naso, arrivando a parlare di svolta “commerciale” degli U2, e lascia intendere che si tratta del primo cedimento del gruppo nei confronti del music business.

12 ottobre, 2025

12 ottobre 1938 – Piergiorgio Farina, il violino del jazz italiano

Il 12 ottobre 1938 nasce a Goro, in provincia di Ferrara, Piergiorgio Farina, all’anagrafe Piergiorgio Farinelli, considerato uno dei violinisti più lirici della scena musicale italiana del dopoguerra, sempre sospeso tra la canzone, la musica da ballo e il jazz. In lui si ritrova un po’ di Jean Luc Ponti, un pizzico di Stéphan Grappelli, tanto Joe Venuti ma anche il gusto di sperimentarsi sempre senza troppe preoccupazioni. Nel 1982 per il suo film “Dancing Paradise” Pupi Avati si ispira a un suo brano intitolato L’amore è come il sole. Il grande pubblico inizia a conoscerlo come cantante nella seconda metà degli anni Sessanta quando partecipa al programma televisivo "Settevoci" condotto da Pippo Baudo. Nel 1968 partecipa anche al Festival di Sanremo con Tu che non sorridi mai in coppia con Orietta Berti ma la vita un po’ “artificiale” del cantante pop “da classifica” non dura a lungo e qualche tempo dopo ricomincia a girare per l’Italia con la sua orchestra. Considerato dagli appassionati il “violino jazz italiano” per antonomasia muore di cancro il 28 luglio 2008 a Bologna.


11 ottobre, 2025

11 ottobre 1960 - Bravi! Dopo le ballerine, Togliatti!

L’11 ottobre 1960 alle ore 21 la televisione inaugura “Tribuna politica”. Il dibattito d’apertura si svolge allo Studio 4 di Via Teulada a Roma, ha come ospite il ministro degli Interni Mario Scelba ed è condotto da Gianni Granzotto. È la prima volta che i politici parlano direttamente ai telespettatori senza la mediazione del telegiornale, ma soprattutto, non è mai successo che la televisione intervistasse esponenti dei partiti dell’opposizione. L’onore di essere il primo protagonista della trasmissione non placa le ire del democristiano Mario Scelba, contrario a questa innovazione, che rivolgendosi al suo compagno di partito Amintore Fanfani dichiara con disappunto: «Bravi! Dopo le ballerine siete riusciti a far entrare nelle case degli italiani Palmiro Togliatti. Vergognatevi!»



10 ottobre, 2025

10 ottobre 2003 – “Viaggio in Italia” per Alice

Il 10 ottobre 2003 esce Viaggio in Italia un album con cui Alice ritorna sulla scena discografica a tre anni di distanza da Personal juke-box, il suo ultimo lavoro in studio. La cantante, che non ha mai nascosto la passione per le «canzoni in cui il valore della parola è in primo piano», si misura con quattordici brani nati dall'ispirazione e dalla genialità di grandi autori. Chi la conosce bene sa che con lei anche le canzoni più conosciute cambiano forma, perdono l'innocenza originaria e diventano intrigantemente adulte. Ciò non è dovuto soltanto alle indiscusse capacità vocali e all'intelligenza esecutiva, ma alla sua capacità di liberarne le potenzialità nascoste, di regalare loro nuove ali per farle volare in cieli diversi da quelli per cui erano state immaginate. La cantante e il suo fido produttore Francesco Messina definiscono il disco «un nuovo viaggio nella musica italiana d'autore» nato da «una ritrovata passione per la bellezza della nostra lingua» che finisce per incontrarsi con «il patrimonio poetico e musicale di diverse culture». Tra i quattordici brani dell'album, però, ce ne sono due che sfuggono a questo ragionamento: Islands dei King Crimson e Golden hair, scritta da Syd Barrett su una poesia di James Joyce. Che cosa c'entrano con il Viaggio in Italia? La risposta di Alice è spiritosa «In questo caso il "viaggio in Italia" è quello compiuto da Tim Bowness, il vocalist dei No-Man, per venire a cantarle con me». Il titolo del disco è una citazione di un opera di Goethe. Il richiamo non è casuale: «un po' come lui, infatti, sono andata a vedere, a studiare alcuni aspetti del nostro paese attraverso le pagine dei nostri più grandi autori». Se prevedibili, pur se non scontate sembrano le scelte di brani targati Guccini, De André, Fossati, De Gregori, o del Battisti più problematico del periodo con Pasquale Panella e dell'amico e antico mentore Battiato, meno usuali appaiono l'inserimento di due brani inediti con testi di Pier Paolo Pasolini musicati da Mino Di Martino e la ripresa di Non insegnate ai bambini, la canzone che molti considerano il “testamento spirituale” di Giorgio Gaber. Per una cantante pop, come lei si ostina a definirsi, cercare la poesia delle parole è una scelta di igiene mentale e professionale in tempi in cui la musica fatica sempre più a regalare parole. «È avvilente ascoltare canzoni che non significano nulla. Certi testi non sono soltanto innocui: fanno danni». Come sempre, anche in questo disco ha cercato e trovato la collaborazione di altri musicisti e colleghi che le hanno dato una mano in studio. Oltre al già citato Tim Bowness, questa volta ci sono Paolo Fresu, Morgan e Jakko Jakszyk.




09 ottobre, 2025

9 ottobre 1978 - Jacques Brel, ribelle fino alla fine

Il 9 ottobre 1978 muore Jacques Brel. «Io non porto messaggi, lo lascio fare ai postini». Accompagnata da un sorriso sarcastico la frase di Jacques Brel arriva come una frustata a chi tenta di stanarlo sulle questioni politiche. Nascosto dietro quell’aria un po’ indolente, con la sigaretta sempre accesa e le dita gialle di nicotina, lo chansonnier belga trattato dai parigini come se fosse uno di casa non sopporta chi tenta di ficcare il naso nelle sue cose siano esse opinioni, idee o anche soltanto canzoni. L’uomo non è poi tanto differente da quello che sembra ascoltando le sue composizioni. In lui essere e apparire coincidono o, meglio, l’apparenza non esiste proprio. Franco e diretto nel modo di rapportarsi con gli interlocutori assomiglia più di quello che vorrebbe al suo grande amico Brassens soprattutto nella sua istintiva imprevedibilità e nella sua ostinata attenzione a non farsi strumentalizzare. Il pubblico italiano conosce la sua faccia prima delle sue canzoni. Il suo volto diventa popolare alla fine degli anni Sessanta attraverso il cinema ma per la voce ci vuole più tempo e il grande pubblico si accorge della bellezza delle sue canzoni solo grazie all'impegno di un pugno di infaticabili e appassionati divulgatori guidati da Gino Paoli, Duilio Del Prete ed Herbert Pagani. I giovani contestatori del Sessantotto fanno di alcuni suoi personaggi cinematografici una sorta di culto come accade quando scappano per le vie della città con la polizia alle calcagna si sentono un po’ emuli della Banda Bonnot. Negli anni Sessanta, quando il mondo si accorge di lui, Jacques Brel non è più un ragazzino. È nato, infatti, a Schaerbeek, nei dintorni di Bruxelles, l'8 aprile 1929 da una mescola etnica di cui andrà fiero nel futuro. Suo padre è fiammingo ma francofono mentre nelle vene della madre secondo i racconti dello stesso Jacques scorrerebbe sangue francese con abbondanti tracce di sangue spagnolo lasciato in dote ai cittadini di quelle terre dal dominio castigliano del XVI e XVII secolo. Questa storia delle radici iberiche lo solletica e lo affascina al punto che nei suoi brani le atmosfere spagnoleggianti sono tutt’altro che rare così come i riferimenti alla figura di Don Chisciotte. Mescole di sangue a parte, la sua famiglia è del tutto normale, simile a tante altre. Suo padre è un piccolo industriale che produce cartoni e il giovane Brel sembra destinato a seguirne le orme visto che ancora adolescente lascia gli studi e comincia a lavorare come impiegato. Giocando con i termini, dirà che in quel periodo si sentiva "encartonné", chiuso in una gabbia di cartone. Appena possibile cerca di percorrere una strada diversa cominciando a comporre canzoni e a cantarle in giro nelle bettole di Bruxelles e dovunque sia possibile. Sono brani che mescolano l'amore e i sentimenti con l’impegno sociale, che fanno incontrare la poesia con il desiderio di ribellione e la vita con i sogni. Non sono canzoni facili ma si fanno notare e negli anni che vanno dal 1948 al 1953 il buon Jacques si costruisce un piccola ma solida fama nella sua città natale. La popolarità nei bar e nei locali della sua città natale non gli bastano. Vorrebbe andarsene e tentare la strada di una popolarità più ampia ma non è facile puntare a qualcosa di così difficile per uno che canta la vita da un angolo di visuale critico e radicato nella realtà. Forse per questo il suo primo disco arriva relativamente tardi, nel febbraio del 1953, dopo ottantadue provini falliti. È un 78 giri e nelle due facciate ci sono le canzoni La foire e Il y a. Il disco, pubblicato dalla Philips, vende la non straordinaria cifra di duecento copie, ma la soddisfazione per essere finalmente arrivato in sala di registrazione lo aiuta a non arrendersi. Nel frattempo anche la fortuna ha deciso di dargli finalmente una mano. Il disco arriva quasi per caso nelle mani di Jacques Canetti uno dei più infallibili e ascoltati scopritori di talenti della scena parigina che si entusiasma per questo sconosciuto chansonnier belga, lo contatta e lo convince a seguirlo a Parigi. Brel, un po’ confuso dalla svolta imprevista, si lascia alle spalle la famiglia, Bruxelles, i club e gli amici che fino a quel momento lo hanno sostenuto e se ne nella capitale francese. Il debutto avviene nel Trois Baudets, il locale gestito dallo stesso Canetti nel quale qualche tempo prima un altro debuttante dal nome di Georges Bassens aveva infiammato e deliziato il pubblico. Jacques Brel non infiamma ma piace e finisce per tornarci ancora altra volte nei cinque anni seguenti. Non è ancora il successo, ma lo chansonnier venuto da Bruxelles riesce a restare a Parigi alzando le spalle quando le critiche si fanno feroci, sopportando con pazienza le offensive storielle sui belgi, mangiando pane e formaggio e accettando di suonare in tutti i locali dove è possibile accettando qualunque compenso. Nel 1954 suona anche in sette locali in una notte cantando canzoni per spettatori non sempre attenti dalle otto di sera alle prime luci dell’alba. In questo periodo di fatica, sudore e fame trova il modo di registrare il suo primo album Grand Jacques. La fatica non è inutile. Lo stralunato chansonnier comincia a trovare nuovi ammiratori tra i protagonisti della scena musicale francese di quel periodo, da Dario Moréno a Catherine Sauvage, da Maurice Chevalier a Michel Legrand, a Serge Gainsburg ad Aznavour e Zizi Jeanmarie. Un’artista in particolare si rivela decisiva per la sua carriera. Si chiama Juliette Gréco, ed è considerata una sorta di dea dalle parti di Saint-Germain-des-Prés e dai protagonisti della corrente esistenzialistica. Proprio lei decide di inserire nel suo repertorio e nella sua produzione discografica un brano di Brel intitolato Le diable. L'incontro con la Gréco si rivela fondamentale per lo chansonnier arrivato da Bruxelles che, oltre a moltiplicare le entrate in diritti d’autore e le richieste d’esibizione inizia una collaborazione preziosa con Gérard Jouannest, pianista e compagno della cantante, e con l'arrangiatore François Rauber. Il rapporto con i due segna un’evoluzione decisiva nella qualità compositiva di Brel. Le sue melodie escono dalla secca essenzialità per mettere al servizio delle parole un nuovo, variegato cromatismo. È il successo. Parigi lo adotta e ne fa un protagonista della scena musicale al punto che nel 1961 il patron dell’Olympia Bruno Coquatrix lo vuole per sostituire Marlene Dietrch che ha dato improvvisamente forfait. Il successo non cambia Jacques Brel. Lo chansonnier resta un ribelle nella vita come nelle canzoni. Nel 1965, incurante della guerra fredda e delle tensioni internazionali accetta di andare in URSS, oltre che in Canada e negli Stati Uniti. Più volte annuncia la sua intenzione di non cantare più in pubblico e altrettante volte si smentisce da solo, mentre anche il cinema inizia a utilizzare la sua faccia e la recitazione fredda e tagliente come un coltello. Dopo "La Banda Bonnot" di Fourastié interpreta più di un pugno di film con registi come Cayatte, Molinaro, Carné, Lelouch. Nel 1968 mette in scena "L'uomo della Mancia", una sua versione del musical "The Man of the Mancha", ma i medici gli dicono che un tumore ha iniziato a mangiargli un polmone. Compra una barca a vela e, dopo un intervento chirurgico, se ne va in giro per il mondo. Si ferma a Hiva-Oa, nell'arcipelago delle Isole Marchesi che, di fatto, diventa la sua nuova patria. Mort Shuman, suo grande ammiratore, gli dedica un lavoro teatrale il cui titolo sembra una beffa del destino: "Jacques Brel is alive and well and living in Paris" (Jaques Brel è vivo, sta bene e vive a Parigi). Nel 1977, quando sente che la fine s'avvicina, registra il suo ultimo disco (due milioni di copie di prenotazioni) e destina il 90% dei proventi alla ricerca sul cancro. Non rinuncia alla poesia neppure di fronte alla propria morte, raccontando che gli abitanti della "sua" isola la trovano un evento del tutto naturale e che parlano «della morte/come si parla d’un frutto». Pochi mesi dopo, il 9 ottobre 1978, muore all'ospedale di Bobigny, un sobborgo di Parigi. Ha quarantanove anni e viene seppellito sulla adorata isola Hiva-Oa.

 

08 ottobre, 2025

8 ottobre 2004 - Christina Aguilera: basta cazzeggi, andate a votare!

L’8 ottobre 2004 il nome di Christina Aguilera si aggiunge a quello degli artisti impegnati nella campagna elettorale statunitense con l’obiettivo primario di convincere le ragazze e i ragazzi a iscriversi alle liste elettorali e a votare per mandare a casa Bush. Per il suo appello la cantante ha scelto un mezzo di larga diffusione come lo schermo televisivo. È infatti comparsa su MTV indossando una maglietta con la scritta “Stop bitching” (Basta cazzeggi) e ha lanciato un appello destinato principalmente alle ragazze. Ha usato parole durissime nei confronti di chi si limita a mugugnare e poi non fa niente per cambiare le cose. Il succo del suo discorso è che la superficialità e l’indifferenza finiscono per lasciare ad altri il potere di decidere del destino di tutti. «È tempo di iniziare una rivoluzione – ha concluso – per questo mi rivolgo alle ragazze: andate a votare, ve lo dico dal profondo del cuore, andate a votare».


07 ottobre, 2025

7 ottobre 1959 – Mario Lanza, una voce da leggenda

Il 7 ottobre 1959 il tenore Mario Lanza muore a Roma nella Clinica Valle Giulia dove era stato ricoverato d'urgenza per un malore. Figlio di un emigrato italiano, Mario Lanza, registrato all’anagrafe con il nome di Alfredo Arnold Cocozza, nasce a Philadelphia, in Pennsylvania, il 31 gennaio 1925. Dopo aver compiuto regolari studi di canto alla Berkshire School, nel 1947 debutta come tenore nell’opera “Le allegre comari di Windsor” a Tanglewood nel Massachusetts, ottenendo un successo strepitoso. Dotato di una voce potente diventa rapidamente uno degli interpreti più popolari del mondo, grazie anche a una lunga serie di film musicali. Nel suo repertorio figura una lunga lista di canzoni napoletane tradizionali, ma anche moderne come Guaglione, Come prima, Resta cu’ mme e Strada ‘nfosa. Quando la morte lo sorprende a Roma ha trentaquattro anni. La sua voce e il suo nome entrano nella leggenda.



06 ottobre, 2025

6 ottobre 2000 – Quando Mina cantò il giubileo

Anticipato da una succosa anteprima via Internet il 6 ottobre del 2000, l'anno del Giubileo, arriva nei negozi Dalla terra, un album nel quale Mina si cimenta in dodici brani che affondano le loro radici nella musica sacra della tradizione cattolica. La cantante nega una correlazione diretta con l’evento ma l'impianto d'immagine che accompagna la nascita del nuovo disco sembra funzionale a una normalissima operazione d'aggancio all'anno giubilare. Per quel che riguarda le collaborazioni è da notare la consulenza del teologo Luigi Nava e di quella del direttore della Schola Gregoriana del Duomo di Cremona, Massimo Lattanti. A loro va aggiunto l'apporto compositivo di Monsignor Frisina, il compositore delle musiche per le messe del Papa, in un paio di brani tra cui il Magnificat che apre la raccolta. I "cattivi pensieri" di una scontata operazione commerciale reggono, però, fino a quando si ascolta il disco. Fin dalle prime note, infatti, ci si accorge che Mina ha fatto proprio i brani fino a trasformarli. I canti sacri emergono con una forza tutta pagana, con una vitalità che pare derivare la sua energia più dalle musiche diaboliche come il jazz e il blues che dalla asessuata e monocorde tradizione cattolica. C'è un apporto personale della cantante che si nota. Mina non se ne sta sullo sfondo, ma riempie di passione musiche nate per esaltare la spiritualità distaccata. Certamente non si tratta di un album in linea con la precedente produzione della cantante anche se bisogna ricordare che nel 1980 l'album Kyrie Mina conteneva già una singolare versione dell'Aria di chiesa di Antonio Stradella. C’è una rilettura del tutto personale della tradizione cattolica con caratteristiche decisamente pagane. Come si potrebbe definire altrimenti una versione dell'Ave Maria di Gounod in tempo leggero quasi fosse uno standard jazzato? La cantante, accompagnata da un’orchestra sinfonica diretta dal fedele Gianni Ferrio piega la struttura originaria dei brani alle proprie esigenze interpretative. Rispetto al passato più recente scompaiono gli abbellimenti estetici e vengono sostituiti da un rigore interpretativo che non toglie, però, anima e passione alla partecipazione emotiva. Fin dal Magnificat che apre il disco si capisce che Mina parla di religiosità al femminile. Al centro del suo interesse e della forza evocativa dei brani c'è la donna, cioè quel soggetto che dalla Chiesa Cattolica è da sempre marginalizzato e ridotto nel suo apporto al disegno ecclesiale. Nei brani si coglie non tanto l'asettica e distaccata percezione del rapporto con Dio quanto la forza decisamente carnale di una passione religiosa al femminile vissuta attraverso i temi della maternità e del dolore causato dalla perdita del figlio. Sono impressioni forti che non emergono solo dai brani più direttamente collegati alla tematica come il Magnificat o il Pianto della Madonna di Monteverdi, ma traspaiono anche nel caso di puri brani gregoriani come Veni creator spiritus, che acquista un calore sconosciuto dall'incontro con la voce di Mina. Quasi a dare più peso alla sua libertà di scelta per Quanno nascette Ninno, il canto seicentesco in dialetto napoletano di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, antesignano del natalizio Tu scendi dalle stelle, si avvale nientemeno che della collaborazione decisamente poco angelica di un chitarrista come Andrea Braido, vecchio compagno d'avventura di Vasco Rossi e altre rockstar italiane. Per finire la cantante fa sapere che il disco vuole essere un puro e semplice “omaggio a chi vive la religiosità” destinato soprattutto alle donne, se si presta bene ascolto ai brani.