
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
30 ottobre, 2016
31 ottobre 1968 – MC5, i cinque della città dei motori

30 ottobre 1984 – Linda e la Bohème

29 ottobre, 2016
29 ottobre 1979 – Ad Hatfield non si scappa più!

27 ottobre, 2016
28 ottobre 1965 – My generation

27 ottobre 1973 - Tina lascia Ike

25 ottobre, 2016
26 ottobre 1965 – I Beatles, quattro baronetti imbarazzanti

25 ottobre 1992 - Sinead Brigade: il Papa è il tuo nemico

23 ottobre, 2016
24 ottobre 1967 - I Byrds cacciano David Crosby
23 ottobre 1982 - Il brano di scorta dei Culture Club

21 ottobre, 2016
22 ottobre 1967 – Ravi Shankar: lasciatemi in pace, non sono una rockstar!

20 ottobre, 2016
21 ottobre 1962 – Monette, la regina del musical nero

19 ottobre, 2016
20 ottobre 1964 - Parigi brucia per gli Stones

18 ottobre, 2016
19 ottobre 1978 – Le Slits: un maschio nel gruppo? Pazienza!

17 ottobre, 2016
18 ottobre 1976 – La TV inventa Billy Idol

17 ottobre 1962 – Rubberlegs, la voce e le gambe della tap dancing

15 ottobre, 2016
16 ottobre 1966 – Joan Baez tra gli arrestati di Oakland

15 ottobre 1964 – Muore Cole Porter

13 ottobre, 2016
14 ottobre 1919 – Buddy Anderson dalla tromba al piano per non morire

12 ottobre, 2016
13 ottobre 1971 - David Essex, da Gesù Cristo a Che Guevara

11 ottobre, 2016
12 ottobre 1990 – Torna la musica nello stadio insanguinato di Santiago del Cile
11 ottobre 1976 - Muore l'anima delle Boswell Sister
10 ottobre, 2016
10 ottobre 1976 – Nessun discografico fa soldi sui Sex Pistols, anzi si...

08 ottobre, 2016
9 ottobre 1964 – Per gli Stones l’apartheid è una vergogna

8 ottobre 1971 – Slade, i proletari del glam rock

07 ottobre, 2016
7 ottobre 1967 – Mamma Africa in classifica

05 ottobre, 2016
6 ottobre 1962 – L'assassinio di Scrapper Blackwell non fa notizia

Il 6 ottobre 1962, in un vicolo di Indianapolis, nell’Indiana, viene trovato il cadavere del cantante e chitarrista Scrapper Blackwell. L’indagine sulle cause della sua morte, condotta in modo superficiale e svogliato, si limita a stabilire che è stato assassinato in una banale rissa di strada. I giornali dedicano poche righe all’accaduto che viene ben presto dimenticato. Muore così, a cinquantanove anni uno dei personaggi più importanti del blues, artefice di uno stile basato sulle note singole che ha influenzato in modo determinante l’evoluzione strumentale del rock. Blackwell è anche uno dei precursori nell’utilizzo del “break” strumentale, divenuto con il passare del tempo un elemento comune a tutti i bluesmen del mondo. La sua vita non è stata un divertimento. Nato a Syracuse, nel North Carolina, il 21 febbraio 1903, si trasferisce all’età di tre anni a Indianapolis con la famiglia e a sei inizia a suonare la chitarra sotto la guida del padre. Passa le giornate nella strada e ben presto impara a cavarsela da solo. Negli anni del protezionismo alterna l’attività musicale con quella di manovale nelle distillerie clandestine controllate dalla malavita. Nel 1927 l’incontro con il pianista Leroy Carr lascia un segno profondo nella sua ispirazione artistica e il sodalizio tra i due è premiato da uno straordinario successo. Il duo sembra destinato a durare in eterno, ma nel 1935, Carr muore consumato dall'alcol. Blackwell, sconvolto e annichilito, decide di lasciare la musica. Trova un lavoro come manovale in una fabbrica di bitume e taglia decisamente i ponti con il passato. Passano cinque anni prima che il grande capo-orchestra Jack Dupree riesca convincerlo a tornare sui suoi passi. Alla fine del 1940 ricomincia a suonare proprio con l’orchestra di Dupree al Cotton Club di Indianapolis. Pian piano riprende confidenza con l’ambiente e nel 1958 ricuce i rapporti anche con l’industria discografica realizzando alcuni dischi per la 77 Records e per la Bluesville destinati a diventare merce preziosa per i collezionisti. Nei primi anni Sessanta sull’onda dell’evoluzione del rock si parla di lui come di un maestro, il suo lavoro viene riscoperto e c’è chi gli propone nuove collaborazioni. La mano di un anonimo assassino chiude per sempre il discorso.
04 ottobre, 2016
5 ottobre 1961 – La lezione di Booker Little jr

03 ottobre, 2016
4 ottobre 1985 - Communards per il socialismo

3 ottobre 1967 – Una chitarra che uccide i fascisti
Il 3
ottobre 1967 dopo un calvario durato tredici anni di ricoveri, guarigioni e
speranze muore al Queen Hospital di New York, consumato dal morbo di
Hutchinson, il folksinger Woody Guthrie. Il padre della moderna canzone di
protesta statunitense ha da pochi mesi compiuto cinquantacinque anni.
Registrato all’anagrafe con il nome di Woodrow Wilson Guthrie, nasce, infatti,
il 12 luglio 1912 nella cittadina di Okemah in Oklahoma e a dieci anni già si
guadagna da vivere come manovale e impara a strimpellare la chitarra. Quando
esplode la crisi della Grande Depressione, cerca fortuna vagabondando con gli
"hobos", i disoccupati costretti a spostarsi da un lato all'altro
degli Stati Uniti alla ricerca di lavori precari. Le esperienze vissute in quel
periodo e le storie delle persone che incontra diventano canzoni. La sua
vicenda personale di artista “on the road” si intreccia però anche con le
grandi lotte operaie, con i movimenti dei disoccupati e con i tentativi della
sinistra americana degli anni Trenta e Quaranta di organizzare e offrire
prospettive credibili alle grandi masse di quell’immenso paese. Woody non è al
di sopra delle parti e, prima da solo, poi con gli Almanac Singers, garantisce
presenza, sostegno e solidarietà alle azioni di lotta. Per non lasciare dubbi
sul suo modo di pensare incide sulla cassa armonica della sua chitarra la frase
“this machine kills fascists” (Questa macchina uccide i fascisti). Dopo la
seconda guerra mondiale, deluso dalla litigiosità interna della sinistra
statunitense e perseguitato dalla caccia ai comunisti, cerca di sopravvivere
come può, ma inizia a fare i conti con un nemico invisibile: la paralisi
progressiva provocata dalla malattia che l’ha colpito. Nel 1954 entra per la
prima volta in ospedale e fino alla morte non avrà più una vita normale. Non
per questo rinuncerà a lavorare nei giorni in cui la malattia allenta la presa.
Quando il suo cuore cessa di battere lascia in eredità al mondo un patrimonio
musicale di enormi proporzioni. La sua produzione musicale, infatti, ha
spaziato su molti fronti: dalle canzoni per bambini a quelle di lotta, alle
ballate, alle canzoni di protesta. Si calcola che siano più di un migliaio i
brani da lui composti e destinati a influenzare le generazioni successive di
folksinger nordamericani. Sulla sua esperienza ha scritto nel 1943 il libro
autobiografico “Bound for glory”, da cui nel 1976 è stato tratto un film uscito
in Italia con il titolo “Questa terra è la mia terra".
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