27 aprile, 2017

28 aprile 1896 – George E. Lee da leader a taverniere

Il 28 aprile 1896 nasce a Kansas City, nel Missouri, il pianista e sassofonista George E. Lee. La sua è una famiglia di musicisti. Il padre è un buon violinista e la sorella Julia, che ha sei anni meno di lui, diventerà una famosa cantante e pianista blues. Proprio da suo padre impara a domare le note, a utilizzarle per esprimere i propri stati d'animo e a divertirsi. Indeciso nella scelta tra gli strumenti ad ancia e il pianoforte finisce per decidere… di non scegliere. Nel 1917 firma i suoi primi contratti regolari da strumentista come sassofonista baritono e pianista in varie orchestre. Quando rientra a Kansas City mette a frutto l'esperienza formando vari gruppi a suo nome. Il primo è un trio che si esibisce con regolarità alla Lyric Hall. Negli anni Venti si sente pronto per il grande passo della big band. Raccoglie alcuni tra i migliori strumentisti della sua zone e forma la Novelty Singing Orchestra, un'ensemble destinato a percorrere da protagonista tutti gli anni Venti e buona parte dei Trenta. Il ruolo di leader lo porta ad abbandonare progressivamente la pratica attiva come strumentista. Nei primi tempi suona il sassofono, ma poi finisce per limitarsi a dirigere accompagnando con la voce qualche ritornello. Tra il 1927 e il 1929 la Novelty Singing Orchestra registra anche qualche disco come band d'accompagnamento di Julia Lee, la sorellina di George. All'inizio degli anni Trenta può vantare la presenza in formazione di un sassofonista come Albert "Budd" Johnson e un pianista come Jesse Stone. Alla fine del decennio l'evoluzione del jazz con l'affermarsi nuovi stili lo mettono in crisi. Dopo un breve periodo con Bennie Moten, tenta di rimettersi in proprio, ma i tempi sono ormai cambiati. Incapace di adattarsi alle novità, negli anni Quaranta decide di farla finita con la musica. Lascia Kansas City e se ne va a Detroit dove apre una taverna che diventa il ritrovo preferito dei musicisti. Non si muoverà più fino al 1959, anno in cui morirà.

27 aprile 1976 – David Bowie e il saluto nazista

Il 27 aprile 1976 il treno che attraversa la frontiera tra l'URSS e la Polonia trasporta un ospite di riguardo. È David Bowie che, dopo un breve viaggio in Unione Sovietica, sta tornando a casa. La rockstar non lo sa, ma alcune sue frequentazioni moscovite con ambienti legati all'estrema destra nostalgica non sono sfuggite all'attenzione degli agenti in borghese incaricati di vegliare in modo discreto sulla sicurezza di un personaggio così popolare. Quando il treno arriva al posto di frontiera con la Polonia David dichiara di non aver nulla da dichiarare, ma una attenta perquisizione ai suoi bagagli rivela che tra gli indumenti e gli oggetti personali c'è un'intera collezione di libri nazisti. Dopo essere stato fatto scendere dal treno viene accompagnato negli uffici della polizia dove gli viene notificato l'immediato sequestro delle pubblicazioni. Il cantante tenta di opporsi sostenendo che i libri gli servono come documentazione per un film su Goebbels. Quando gli viene fatto notare che alcuni dei libri rinvenuti nel suo bagaglio sono illegali e fuorilegge non solo in Unione Sovietica, ma anche nel suo paese e in quasi tutta l'Europa occidentale, Bowie perde il controllo e inizia a inveire contro la polizia. Una piccola folla di curiosi, tra cui alcuni giornalisti, ascolta le sue frasi irate: «Comunisti di merda! Io sono un cittadino britannico, non un russo. Voi non mi potete sequestrare niente! Voglio l'intervento della mia ambasciata!» Messo al corrente dell'accaduto il consolato britannico fa sapere che il sequestro di pubblicazioni naziste non rientra nelle sue competenze… Il cantante risale sul treno urlando che «La Gran Bretagna sarebbe trattata meglio se avesse un leader fascista». La storia non finisce lì perché quando il 2 maggio David Bowie arriva in Victoria Station a Londra saluta i fans che l'attendono con il braccio teso nel saluto nazista accompagnato da un secco «Heil Hitler!». L'inquietante innamoramento durerà a lungo, così come l'astio nei confronti del suo paese, tanto da indurlo a trasferirsi per qualche anno in Germania. A fronte della solidarietà aperta dei movimenti di estrema destra e della condanna di quelli di sinistra, non manca chi reagisce con ironia soprattutto negli ambienti più disincantati e punk: «David Bowie ogni tanto si presenta con una faccia nuova. Di solito accade quando è in crisi creativa e la provocazione è sempre proporzionale alla sua paranoia del momento. Adesso fa il nazista? A parte gli idioti che esultano, gli altri dovrebbero ignorarlo. Sei nazista? Chi se ne frega…»

26 aprile, 2017

26 aprile 1938 – Duane Eddy, l'inventore del twangy

Il 26 aprile 1938 nasce a Corning, New York, il chitarrista Duane Eddy, uno dei più dotati chitarristi degli anni Cinquanta, tra i pionieri del rock and roll strumentale di quel periodo. I suoi genitori sono costretti a dedicare più tempo alla ricerca di lavoro che al figlio che si costruisce da solo la prima chitarra. In realtà è soltanto un legno con un'unica corda d'acciaio recuperata chissà dove, ma a un bambino può bastare. Nel 1951 la famiglia si trasferisce a Phoenix, in Arizona. Qui il ragazzo recupera una vera chitarra e impara da solo a suonarla. La tecnica non è proprio ortodossa, ma nel complesso il risultato è passabile. Il primo a pensare di utilizzarlo per le registrazioni di studio è Chet Atkins, ma successivamente la sua popolarità si allarga al punto che anche il grande talent-scout Lee Hazlewood gli chiede di lavorare con lui. In breve tempo tutti i musicisti conoscono il "twangy", quella strana tecnica di suonare la chitarra, inventata da Duane, che prevede l'impiego della sola corda bassa, invece delle altre cinque, per la melodia. La sua attività non si ferma solo agli studi di registrazione. Ben sostenuto dal proprio gruppo, i Rebels, di cui fanno parte Al Casey, Larry Knechtel (il futuro componente dei Bread) e Steve Douglas, centra nel 1958 con Rebel rouser il primo di una lunga serie di successi di rock and roll strumentale. Anche il cinema si accorge di lui e lo chiama a interpretare "Because they're young", una pellicola che consolida la sua popolarità tra i giovani. All'inizio degli anni Sessanta, però, la sua carriera entra in una fase difficile. Nel 1961 litiga con Hazlewood che decide di non occuparsi più di lui. Privo della astuta e geniale guida del produttore che l'ha scoperto, Duane pubblica una lunga serie di canzoni da dimenticare. Quando, superate le incomprensioni, Hazlewood torna con lui i tempi sono ormai cambiati. L'esplosione del beat inglese che spazza via e travolge tutti i vecchi templi del rock and roll sembra chiudere per sempre la sua avventura musicale, ma non sarà così. Dopo un lungo periodo passato negli stanchi circuiti del revival, il carisma di questo vecchio pioniere del rock strumentale tornerà ad affascinare le giovani generazioni in un periodo ricco di contraddizioni come gli anni Ottanta. Un tour nel 1983 e un nuovo album nel 1986 saluteranno il suo ritorno, mentre gli Art of Noise riproporranno una nuova e moderna versione del suo Peter Gunn, che tornerà nella classifica delle vendite trent'anni dopo la prima volta.

25 aprile, 2017

25 aprile 1945 – Luciano Tajoli rapito dai partigiani

A Milano l'insurrezione inizia qualche giorno prima del 25 aprile. Il 23 i lavoratori in sciopero della Borletti, delle Rubinetterie e della CGE si scontrano con le milizie fasciste della “Muti” e della “Resega” e nel pomeriggio del 24 aprile a Niguarda i partigiani della Prima Brigata Garibaldi impegnano in un furioso conflitto a fuoco un gruppo di mezzi corazzati tedeschi che stanno fuggendo a nord, mentre gli operai dell’Alfa Romeo, dell’Innocenti e della Pirelli si attrezzano, armi in pugno, a difendere le fabbriche. Anche se le operazioni militari continueranno fino al 27, il 25 aprile in molte zone della città iniziano ad arrivare i partigiani delle zone limitrofe. La gente scende in strada per salutarne l'arrivo. Il cantante Luciano Tajoli e sua moglie Lina sono tra loro, partecipi della gioia collettiva. Improvvisamente un camion si ferma. Un giovane partigiano con un fucile a tracolla si avvicina al cantante e gli chiede «Tu sei Luciano Tajoli?» Alla sua risposta affermativa gli ordina di seguirlo. Viene issato sul camion, che riparte. La giovane Lina assiste impietrita alla rapida e inaspettata scomparsa del marito. L'accaduto la riempie d’angoscia, anche se sa che non esiste alcun motivo perché il cantante possa essere stato messo sotto accusa da chicchessia, a meno di un equivoco. Passano le ore, i giorni, ma di Luciano non si sa più niente. È come svanito nel nulla. Nessun frutto danno le ricerche, le peregrinazioni di Lina e degli amici del cantante più direttamente impegnati nella Resistenza. Nessuno sa niente di lui, nemmeno al comando del Corpo Volontari della Libertà. Dopo cinque giorni si fa strada l’idea di un tragico errore e la ragazza è rassegnata al peggio quando, la mattina del sesto giorno, sente provenire dalla strada il rumore d’un motore insieme al canto corale di molte voci maschili. S’affaccia alla finestra e vede Luciano che, stanco e sudato, viene calato di peso dal cassone dello stesso camion sul quale era stato caricato alcuni giorni prima. «Viva Tajoli!» è il grido con il quale l’allegra brigata saluta e se ne va. Il cantante è stanco, i suoi abiti sono coperti di polvere e puzzano di vino. Quando la moglie gli chiede dove sia stato, Tajoli risponde: «Dovunque. In cinque giorni avrò dormito un’ora. La città è impazzita dalla gioia e io ho dovuto cantare in non so quanti cortili, piazze, case... Dovunque c’era gente che ballava e festeggiava. Mi hanno accolto come un re perché io ero un po' il regalo dei partigiani. Insomma, sono stato rapito per cantare…”.

24 aprile, 2017

24 aprile 1962 – Romolo Balzani, il creatore della canzone romana

Il 24 aprile 1962 muore a Roma il settantenne cantante, chitarrista e autore Romolo Balzani, uno dei più rappresentativi personaggi della canzone romana, di cui, secondo molti storici, sarebbe stato il vero creatore. Nato nel 1892, respira fin dai primi anni di vita l'aria di Trastevere dove, a sedici anni fa il suo debutto in pubblico, mettendo in scena sul palcoscenico della sala parrocchiale di San Crisogono in Trastevere un balletto con dieci amici travestiti da ballerine che scandalizza il parroco. Pian piano decide che il "rutilante mondo dello spettacolo" sarà la sua vita, anche se per sopravvivere è costretto a fare lo stuccatore. L'Alcazar e il Salone Margherita sono testimoni della crescita della sua popolarità come cantante, chitarrista e intrattenitore. Dopo la pausa imposta dalla Grande Guerra nella quale vive anche l'esperienza della prigionìa nel 1920 forma il suo primo gruppo musicale composto esclusivamente da strumenti a corda. Nella seconda metà degli anni venti nascono le canzoni che lo renderanno famoso come L'eco der core e soprattutto Barcarolo Romano. Nel 1927 costruisce uno spettacolo di musica e immagini dal titolo "Canzoni illustrate da caratteristiche proiezioni luminose" che per l'epoca è decisamente innovativo e anticipa di mezzo secolo l'evoluzione della musica dal vivo. L'anno successivo inserisce in repertorio una canzone non sua di cui s'è innamorato: è la celeberrima Nannì ('Na gita a li castelli) di Silvestri. Eclettico e disponibile accetta di interpretare il personaggio di Lipari nella versione messa in scena da Luchino Visconti di "Uno sguardo dal ponte" di Arthur Miller. Storici e critici sono concordi nel sostenere che le sue canzoni costituiscono ancora oggi il nerbo della scuola tradizionale romana ed Enzo Giannelli ha scritto che Romolo Balzani è «per la città di Roma ciò che Odoardo Spadaro è per Firenze, Amalia Rodriguez per il Portogallo, Maurice Chevalier o Edith Piaf per Parigi».

22 aprile, 2017

23 aprile 1940 - Walter Barnes muore tra le fiamme del Rhythm Club

Il 23 aprile 1940 il Rhythm Club di Natchez, nel Mississippi, è gremito di gente per la presenza dell'orchestra del sassofonista e clarinettista Walter Barnes. Mentre le note si susseguono veloci l’aria diventa sempre più irrespirabile a causa di un fumo così denso da non poter essere attribuito soltanto ai sigari e alle sigarette degli spettatori. Quando ci si rende conto che è scoppiato un incendio è troppo tardi. L’inferno di fuoco e fiamme inghiotte molti spettatori e il locale viene letteralmente incenerito in poco tempo. Tra le rovine vengono ritrovati anche i cadaveri carbonizzati di otto musicisti della band, della cantante Juanita Avery e della star della serata Walter Barnes. A trentatrè anni finisce così la vita e la carriera di uno dei più promettenti personaggi del jazz dell’epoca. Nato a Vicksburg, in Mississippi, nel 1907 Barnes passa la sua infanzia a Columbus e giovanissimo si trasferisce a Chicago dove studia clarinetto con il professor Franz Schoepp, lo stesso insegnante di Benny Goodman. Successivamente frequenta il Chicago Musical College e l'American Conservatory of Music. Nel 1926 forma il suo primo quartetto entrando poi nella Detroit's Shannon's Band che, sotto la sua guida, cambia nome in Royal Creolians. Fra il 1927 e il 1930 suona prevalentemente a Chicago e nei dintorni anche se nel 1929 non si sottrae alla possibilità di esibirsi al celebre Cotton Club di New York. Negli anni Trenta si esibisce a lungo nel sud degli Stati Uniti con grande successo e nel 1938 forma una nuova orchestra di sedici elementi. È alla testa di questa band che la sera del 23 aprile 1940 trova la morte nell’incendio del Rhythm Club.

22 aprile 1978 – Bob Marley contro la guerra per bande

La sera del 22 aprile 1978, la Giamaica ospita a Kingston lo One Love Peace Concert, un avvenimento che si svolge, come recita il manifesto, "sotto gli auspici delle Dodici Tribù di Israele". L'iniziativa, voluta da Bob Marley, segna il suo ritorno in patria, dopo l’attentato di due anni prima. Il profeta del reggae intende dare il suo contributo al tentativo di porre un freno all’escalation di violenza politica che da tempo è degenerata in una sorta di guerra armata per bande. Nei giorni precedenti ha preso contatto con gli esponenti dei due principali partiti giamaicani: «Il mio concerto deve dare un segnale concreto, altrimenti non servirà a nulla. Voglio che sul palco con me salgano sia il primo ministro Michael Manley che il capo dell’opposizione Edward Seaga e voglio anche che si stringano la mano...». I due esponenti politici accettano. Il concerto, accolto in tutto il mondo come un passo importante nel tentativo di pacificazione dell’isola, inizia in un clima strano, sospettoso, con i servizi d'ordine dei due partiti che si guardano in cagnesco. Il programma prevede che prima di Marley si esibiscano tutti i principali artisti giamaicani del momento. Accompagnati da una sorta di danza collettiva passano, uno dopo l'altro, Jacob Miller & The Inner Circle, i Mighty Diamonds, i Trinity, Dennis Brown, i Culture, Dillinger, Big Youth, Ras Michael & The Sons of Negus e Peter Tosh. Quando arriva il turno di Bob Marley il cantante appare come in trance. Cammina avanti e indietro ondeggiando sul ritmo dei brani. Durante l’esecuzione di Jammin’ si ferma, alza gli occhi al cielo e inizia a parlare sulla musica lanciando la sua esortazione alla pace. La voce dapprima è un mormorio quasi incomprensibile, ma poi cresce con il ritmo di una cantilena: «La pace, fratelli, può diventare realtà, ma dobbiamo stare uniti, sì uniti, nel nome dell’Altissimo che conduce il popolo degli schiavi a stringersi la mano... Signor Michael Manley e signor Robert Seaga mostrate alla gente che la amate, fatele capire che sarete uniti, che siete felici, che tutto va bene... Io voglio che vi stringiate la mano e facciate vedere alla gente che sarete uniti, che saremo uniti... La luna è alta nel cielo sopra di me e io vi do il mio amore... datemi il vostro». Così dicendo invita i due leader a salire sul palco, prende le loro mani destre e le congiunge davanti a sé. Non fermerà la violenza e neppure i brogli, ma per una notte intera Kingston potrà dormire senza il rumore dei colpi di arma da fuoco.

21 aprile, 2017

21 aprile 1978 – Si spegne la voce del folk britannico

Il 21 aprile 1978 Sandy Denny, l’ex cantante degli Strawbs, dei Fairport Convention e dei Fotheringay, cade dalle scale nella sua casa di Londra e batte il capo contro un gradino. La mancanza di soccorsi immediati le è letale. Poche ore dopo muore per un’emorragia cerebrale. Ha da poco compiuto trentun anni. Scompare così, per un banale incidente, la miglior voce femminile britannica dei primi anni settanta e una delle principali protagoniste della grande stagione del folk-rock inglese. Allieva dell'Art College di Kensington, ha come compagni di studi Eric Clapton, Jimmy Page e John Renburn. Irrequieta e attratta dalle sperimentazioni fatica a trovare una sua dimensione artistica. Nel 1968 si unisce agli Strawbs, con i quali registra l'album All our on work, ma se ne va dopo pochi mesi per passare ai Fairport Convention. Gli album Unhalfbricking, What we did on our holiday e, soprattutto, il delizioso Liege and lief fanno di lei la regina del nuovo folk britannico. La sua voce pulita e limpida diventa il simbolo di un rinnovamento musicale che cerca di legare le nuove forme espressive del rock con le sonorità della tradizione. Il ruolo della star, però, non fa per lei. Nel 1970, quando è all'apice del successo, decide di ricominciare da capo. Abbandona i Fairport Convention e forma un suo gruppo, i Fotheringay, con i chitarristi Trevor Lucas e Jerry Donahue, il bassista Pat Donaldson e il batterista Gerry Conway. La fredda accoglienza riservata dal pubblico al primo album della band, bellissimo ma troppo sperimentale, la convince a rinunciare all'impresa e a continuare da sola. Resta al suo fianco il chitarrista Trevor Lucas, divenuto anche il suo inseparabile compagno di vita. La pubblicazione di una serie di album di successo scandisce la sua crescita artistica tra il 1971 e il 1974 prima dell'atteso ritorno con i Fairport Convention per un tour da cui nasce anche un album live. L'anno dopo sia lei che Trevor restano con i Fairport giusto il tempo di realizzare il nuovo album della band, Rising for the Moon. Al termine se ne vanno. Decisa a prendersi un periodo di riposo Sandy non dà più notizie di sé per due anni fino al 1977 quando realizza l'album Rendez vous, l'ultimo della sua carriera. Nel 1986, otto anni dopo la scomparsa, verrà pubblicato Who knows where the time goes, un album quadruplo ricco di inediti, una sorta di monumento alla genialità e al talento musicale di una delle migliori voci femminili della musica britannica di tutti i tempi.



20 aprile, 2017

20 aprile 1992 – Cinquecento milioni in memoria di Freddie Mercury

Il 20 aprile 1992 ottantamila persone nello stadio di Wembley e oltre cinquecento milioni di telespettatori in settanta paesi di tutto il mondo ricordano Freddie Mercury, il cantante dei Queen ucciso dall’AIDS. Non era mai successo fino a quel momento che settanta nazioni diverse vivessero in contemporanea un avvenimento musicale. Per la prima volta c'è anche il Sud Africa, uscito dal lungo tunnel dell'apartheid. “A concert for life - Tribute to Freddie Mercury” entra di diritto nella lista dei più grandi avvenimenti della storia del rock. Non si tratta di un evento commerciale. I proventi del concerto sono, infatti, destinati a finanziare la ricerca contro l'AIDS. Cinque giorni prima, per dare l'esempio, i Queen hanno donato a un'associazione che assiste i malati terminali un milione e settecento sessantamila dollari: l'intera cifra ricavata dalla ripubblicazione del brano Bohemian rhapsody. L'organizzazione del concerto non è stata facile, ma la volontà di onorare nel miglior modo l'amico scomparso prevale sulle difficoltà logistiche e sulle perplessità dei media. La vera anima dell'evento è da ricercare nel gruppo di personaggi del mondo dello spettacolo da anni impegnati su questo fronte e che hanno un'agguerrita testimonial nell'attrice Elizabeth Taylor. «La nostra è una guerra contro un nemico implacabile. Non c'è tempo per le incertezze né per le giustificazioni: chi non c'è è un disertore». Per questo sul palco allestito nello stadio di Wembley sfila l'élite della musica pop internazionale di quel periodo, dai Metallica agli Extreme, dall'ideatore di Live Aid Bob Geldof agli Spinal Tap, dai Def Leppard ai Guns N’ Roses, dall'italiano Zucchero agli irlandesi U2 in collegamento via satellite da Sacramento in California. Particolarmente emozionanti sono le esecuzioni delle canzoni di Freddie Mercury da parte di una lunga serie di amici, a partire da George Michael che canta Year of 39 da solo, These are days of our lives con Lisa Stanfield e Somebody to love insieme al London Community Gospel Choir. David Bowie esegue Under pressure in coppia con Annie Lennox mentre Elton John dedica all'amico scomparso le commoventi versioni di Bohemian rhapsody con l'aiuto di Axl Rose e, soprattutto, di The show must go on, il brano che i Queen hanno giurato di non eseguire più dopo la morte del loro leader. Alla fine della lunga performance collettiva tutti gli artisti salgono sul palco per accompagnare un'emozionatissima Liza Minnelli in We are the champions.

18 aprile, 2017

19 aprile 1969 – Con Desmond Dekker il mondo scopre il reggae

Il 19 aprile 1969 arriva al vertice della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna il brano Israelites interpretato da Desmond Dekker & The Aces. L'improvviso successo di questo strano disco che si muove su ritmi e sonorità inusuali per quel periodo sorprende un po' tutti. Nessuno, nemmeno il produttore Leslie Kong, pensava a un exploit commerciale di queste proporzioni per un prodotto destinato prevalentemente al mercato degli immigrati giamaicani. Le atmosfere musicali, la ritmica e la struttura armonica del brano, infatti, affondano le loro radici nella lontana Giamaica, isola da cui provengono l'interprete e la sua band. Gli immigrati lo chiamano "reggae" e fino a quel momento non ha avuto spazio in un panorama musicale caratterizzato dalle varie evoluzioni del rock. Israelites è, invece, destinato a restare nella storia della discografia per aver proposto per la prima volta al mondo il reggae, un genere che raggiungerà la massima diffusione qualche anno dopo con l'avvento del "profeta" Bob Marley. Dekker, che si chiama in realtà Desmond Dacres è nato a Kingston, in Giamaica, dove è popolarissimo più per essere stato tra i protagonisti della serie televisiva "Action" che per le sue qualità canore. I suoi primi passi come cantante risalgono ai primi anni di vita quando canta nel coro della chiesa del suo quartiere. Emigrato in Gran Bretagna per cercare fortuna sbarca il lunario con gli Aces, il suo gruppo, suonando alle feste degli immigrati giamaicani e pubblicando qualche disco destinato ai suoi conterranei. Il successo di Israelites gli cambierà la vita. Poco tempo dopo il singolo entrerà anche nella classifica statunitense allargando la sua popolarità. La carriera di Desmond Dekker continuerà tra pochi alti e molti bassi. Pubblicherà vari brani, tra i quali lo splendido You can get it if you really want it, ma il suo nome resterà per sempre legato a Israelites che tornerà ancora in classifica nel 1975 e nel 1980, quando il cantante ne realizzerà una nuova versione per l’album Black and Dekker. L'etichetta di "inventore del reggae" lo perseguiterà finendo per trasformarsi più in un peso che in un valore aggiunto e, dopo l'esplosione del fenomeno Bob Marley, cercherà di approfittare proprio del boom del reggae per galleggiare nella musica pop internazionale, fino a diventare una sorta di caratterista musicale condannato a ripetere all'infinito il suo vecchio brano.

17 aprile, 2017

18 aprile 1971 – I Family arrivano a Milano

La sera del 18 aprile 1971 i Family sono attesi al Palalido di Milano, il palazzone in Piazza Stuparich da qualche anno destinato al rock e alla boxe. L'inizio del concerto è fissato per le ore 21 e il prezzo dei biglietti, contestato perché ritenuto eccessivo, è di mille lire in galleria, duemila in gradinata e tremila in platea. La band, la cui tournée italiana è sponsorizzata dal settimanale "Ciao 2001" e dal Piper Club, arriva direttamente da Roma dove il giorno prima ha tenuto ben due concerti al Teatro Brancaccio. L'appuntamento è di quelli da non mancare, anche se i più smaliziati sostengono che lo spirito originario della band se n'è andato da tempo. Hanno torto. La band è al culmine del suo miglior periodo, nonostante la formazione non sia più quella nata nel 1966 dalla fusione di due gruppi di Leicester, Jim King & The Farinas e Roaring Sixties. Dei componenti originari sono rimasti il cantante Roger Chapman, il chitarrista Charlie Whitney e il batterista Rob Townsend, mentre il sassofonista Jim King, ritiratosi a vita privata, e il bassista Rick Grech, passato con i Blind Faith, sono stati sostituiti dal chitarrista John Weider già con Eric Burdon & The Animals e dal tastierista John "Poli" Palmer, proveniente dai Blossom Toes e dagli Election. Questa formazione, che i critici ricorderanno come una delle migliori della storia della band, quando arriva in Italia ha all'attivo due album di tutto rispetto come A song for me e Anyway. Il pubblico che affolla il Palalido è irrequieto e rumoreggiante. Si calma soltanto quando sul palco appare il carismatico Roger Chapman che, senza dire una parola, dà il segnale d'inizio del concerto. Alla fine dell'esibizione, che ha raggiunto il culmine in una A song for me dilatata all'inverosimile con incursioni solistiche di tutti i componenti della band, tocca allo stesso Chapman il compito di ringraziare i giovani milanesi: «Sono stati fantastici. Noi viviamo per la musica dal vivo, non possiamo farne senza. Abbiamo bisogno di un contatto continuo con il nostro pubblico. È lui che ispira la nostra musica». Nessuno può immaginarlo, ma la formazione che si esibisce a Milano ha i giorni contati. Due mesi dopo Weider se ne va e verrà sostituito da John Wetton, l'ex bassista dei Mogul Trash, ma è ormai iniziata la lenta dissoluzione dei Family. La loro produzione diventerà sempre più stanca anche per le diserzioni e i cambiamenti di formazione. La fine ufficiale verrà annunciata nell'ottobre del 1973: in tempo per lanciare un antologico d'addio.

14 aprile, 2017

17 aprile 1971 – Joy to the world

Il 17 aprile 1971 i Three Dog Night arrivano al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti con Joy to the world, il brano che più e meglio di altri è divenuto l'emblema dello straordinario successo ottenuto dalla band a cavallo tra gli anni sessanta e i Settanta. Joy to the world mantiene per sette settimane in vetta alla classifica un gruppo dal palmarés ragguardevole: quindici milioni di dischi venduti con ben undici dischi d'oro per gli album e altrettanti per i singoli. Il brano diventerà uno dei più significativi inni generazionali e nel 1983 verrà recuperato, non a caso, nella colonna sonora del film "Il grande freddo". Il nucleo centrale dei Three Dog Night è costituito, come suggerisce il nome del gruppo, dalle tre voci di Cory Wells, Danny Hutton e Chuck Negron. Nascono nel 1968 quando al trio si uniscono quattro strumentisti esperti come il chitarrista Mike Allsup proveniente dai Family Scandar, il tastierista Jimmy Greenspoon degli East Side Kids, il batterista Floyd Sneed, già nelle band di Josè Feliciano e Bobby Taylor, e il bassista Joe Schermie, fresco reduce dall'esperienza con i Dyke & The Blazers. La perfetta intesa tra le voci di Cory, Danny e Chuck e la facilità delle canzoni, scritte dai migliori autori del periodo, sono le ragioni fondamentali della rapida affermazione dei Three Dog Night che, a partire dal 1969, collezionano una lunga serie di successi. Guardati con sospetto dal movimento hippie, che li considera troppo commerciali, sono invece molto amati dagli autori. Per loro scrivono personaggi come Randy Newman, Russ Ballard, Paul Williams e, soprattutto, Leo Sayer che regala ai Three Dog Night due canzoni come One man band e The show must go on. Il grande successo di Joy to the world segna il culmine della parabola ascendente della band che progressivamente perde smalto e personalità. Nel 1973 Schermie se ne va e viene sostituito dal bassista Jack Ryland mentre la formazione acquista l'ottavo elemento, il tastierista Skip Conte. È l'inizio della fine. Tre anni dopo anche Danny Hutton saluta la compagnia e cede il suo posto a Jay Gruska, ma la crisi è ormai esplosa. A nulla serve l'assurda decisione dei discografici di aggiungere alla formazione tre componenti dei Rufus come Al Ciner, Ron Stocker e Denny Belfield. In musica come in natura gli innesti artificiali spesso non danno i frutti sperati. In questo caso la forzatura non fa che accelerare la fine.

16 aprile 1943 – Nasce l'LSD

Il 16 aprile del 1943, Albert Hofmann, un chimico elvetico, scopre gli effetti allucinogeni dell'acido lisergico, una sostanza conosciuta e divenuta famosa come LSD. Che cosa c’entra la scoperta in un blog musicale? C’entra perché oltre a entrare di diritto nella memoria storica di più di una generazione, questa misteriosa sostanza ha uno spazio tutto suo nella storia della cultura mondiale a partire dal 1954 quando Aldous Huxley pubblica "Le porte della percezione", un libro nel quale descrive gli effetti della conoscenza "fantastica e creativa" ottenuta sotto gli effetti di sostanze allucinogene. L'uso delle droghe sintetiche caratterizza le sedute ad Harvard di Timothy Leary, Allen Ginsberg e Peter Orlowsky da cui parte la fiammata artistica, filosofica e culturale della beat generation. La sua influenza nel rock non è da meno. Un'intera generazione di musicisti si sperimenta sulle sottili e collose vie della psichedelia, a partire dai Beatles e dai Rolling Stones per raggiungere l'apice con i voli musicali dei Pink Floyd passando attraverso le porte di quel grande laboratorio all'aperto che vive e muore nella baia di San Francisco. È un'esperienza drammatica più che liberatoria quella dell'incontro tra la droga e le nuove pulsioni musicali. Spesso si tende a dimenticare che è costellata da una lunga lista di cadaveri eccellenti e di cervelli bruciati, come quello di Syd Barret, persi per sempre tra le costellazioni lisergiche. Oggi il rapporto tra l'LSD e la musica vive in una sorta di mitologia abborracciata che utilizza i sopravvissuti per celebrare qualche stanco rito un po' tardo-romantico e molto commerciale.

15 aprile 1967 - Totò ci lascia


Colto da un malore sul set del film "Capriccio all’italiana" Totò muore nella sua casa di Roma il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del mattino per una devastante serie di attacchi cardiaci. Alle 11,20 del 17 Aprile 1967 la salma è trasportata nella chiesa di Sant'Eugenio in Viale delle Belle Arti. Sulla bara ci sono la sua bombetta e un garofano rosso. La cerimonia ufficiale è limitata ad una semplice benedizione perché le autorità religiose non possono accettare la suo convivenza con la Faldini senza matrimonio. Nel pomeriggio la salma arriva a Napoli accolta, già all'uscita dell'autostrada e alla Basilica del Carmine, da una folla enorme. Totò viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, il cimitero di Capodichino sulle alture di Napoli. Finisce qui la storia di uno dei più importanti personaggi dello spettacolo italiano. Totò nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità, a Napoli, al n. 109 di via Santa Maria Antesaecula. Figlio di Anna Clemente, viene registrato con il nome di Antonio Clemente perché il padre naturale, Giuseppe De Curtis, figlio di un marchese e costretto a dipendere dalle finanze del genitore perché senza lavoro, non può riconoscerlo pena la perdita del sostegno finanziario indispensabile a sopravvivere. Totò cresce tra i vicoli di Napoli, e per i compagni delle avventure d’infanzia il suo nome è già quello che poi diverrà quello artistico. Finite le elementari se ne va in collegio dove un insegnante boxando per scherzo con lui gli rompe il setto nasale definendo inconsapevolmente quella che sarà una linea caratteristica della sua maschera comica. Quando sale sul palcoscenico porta ancora i calzoni corti. A quindici anni debutta in uno dei piccoli teatri di Napoli. Con il nome d’arte di Clerment, derivato dalla storpiatura del suo cognome. Dopo l’interruzione dovuta alla Prima Guerra Mondiale, cui partecipa come fante, torna al teatro e nel 1928 finalmente può fregiarsi del cognome del padre diventando Antonio De Curtis visto che il suo genitore è diventato agente teatrale e si è reso economicamente indipendente dalla famiglia. Trasferitosi con la famiglia a Roma diventa uno dei protagonisti del teatro di varietà allargando pian piano a tutta Italia la popolarità del suo personaggio: una marionetta disarticolata, con la bombetta, il tight fuori misura, le scarpe basse e le calze colorate. Alle soddisfazioni della vita artistica fanno da contraltare le tragedie sentimentali come il suicidio per amore suo di Liliana Castagnola, una famosa cantante di café-chantant che si uccide nella notte del 3 dicembre del 1931 ingerendo barbiturici dopo una lite. Il drammatico episodio segnerà per sempre la vita di Totò che, oltre a far seppellire Liliana nella tomba di famiglia dei De Curtis imporrà il suo nome anche alla figlia avuta nel 1933 da Diana Bandini Lucchesi Rogliani. Nello stesso anno Antonio De Curtis viene adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, che gli concede il suo nome, in cambio di un vitalizio. In quel periodo forma anche una propria compagnia attraversando da dominatore gli anni d'oro dell'avanspettacolo. Anche il cinema si accorge di lui e nel 1937 lo chiama a interpretare "Fermo con le mani!", il suo primo film cui segue due anni dopo "Animali pazzi". Non ottengono un grande successo, ma segnano l’inizio di una carriera destinata a dargli nuove soddisfazioni a partire dal 1947 con "I due orfanelli". La carriera cinematografica segna tutta la seconda parte della sua vita d’attore, che lo porterà ad essere protagonista di centodue film, trascurando definitivamente il teatro. Anche dal punto di vista sentimentale si apre una nuova epoca, segnata dalla felicità e dall’amore per la giovanissima Franca Faldini, che non sposerà mai ma l’accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. La vita di Totò si chiude sul lavoro.


14 aprile 1969 – La stunt girl Fiorella Mannoia si dà al canto

Il 14 aprile 1969 con Gente qua e gente là fa il suo debutto discografico Fiorella, una quindicenne dai capelli rosso fuoco che ha grinta da vendere. La ragazzina due anni prima si era presentata al concorso per voci nuove di Castrocaro barando un po' sui suoi tredici anni per cantare Un bimbo sul leone di Celentano. Con Gente qua e gente là partecipa al Disco per l'Estate, ma nessuno sembra prenderla sul serio. Lei non se la prende. Abbozza e ai giornalisti dichiara di considerare la musica come un hobby. A suo dire il lavoro che la soddisfa di più è l'attività di stuntgirl cinematografica dove peraltro è molto brava. Abilissima sui cavalli è una delle più giovani e coraggiose cascatrici della stagione dei western all'italiana. È lei che nel 1970 sostituisce Candice Bergen nelle scene pericolose del film "The hunting party" (Il giorno dei lunghi fucili) ed è sempre lei la donna che prende gli schiaffoni di Alberto Sordi nel film "Amore mio aiutami" al posto di Monica Vitti. Sul fatto che la musica non la interessi molto, però, non la racconta giusta. Periodicamente, infatti, torna a farsi viva nell'ambiente musicale realizzando vari dischi destinati a passare sostanzialmente inosservati. La vera svolta nella sua carriera musicale è legata all'incontro con Antonio Coggio e Roberto Davini. I lavoro dei due dà i primi risultati nel 1981 quando Fiorella recupera il suo cognome, diventa Fiorella Mannoia e presenta al Festival di Sanremo un brano grintoso come Caffè nero bollente che le vale la partecipazione alla serata finale. La sua vocalità aggressiva e venata d'ironia fa colpo su pubblico e critica. In quell'anno finisce per sempre la carriera di una famosa stunt-girl e nasce una delle voci più significative della canzone italiana, la cui storia si intersecherà sempre di più con quella della canzone d'autore. La sua duttilità vocale, le sue sfumature espressive entusiasmano i cantautori che le affidano volentieri i loro brani. Ben presto nel repertorio di Fiorella entreranno canzoni scritte da quasi tutti i personaggi più autorevoli della canzone d'autore: da De Andrè a Bertoli, da Fossati e Ruggeri, da Bindi a Dalla a Cocciante a molti altri ancora, compreso quel Chico Buarque de Hollanda che si complimenta con lei dopo averla ascoltata eseguire la sua Che sarà. Alla fine degli anni Ottanta e nei primi Novanta arriveranno i riconoscimenti ufficiali con un paio di Premi Tenco e varie tournée in Europa.


13 aprile, 2017

13 aprile 1987 – Lo studio mobile dei Rolling Stones

«Quando abbiamo iniziato a suonare non c'era nessuno disposto a spendere un soldo per noi ma, soprattutto, non sapevamo a chi rivolgerci, come si realizzava un disco. Non sapevamo niente di niente e non conoscevamo nessuno. Oggi i ragazzi sono più svegli, ma la situazione non è poi tanto diversa da allora…». Con queste parole Bill Wyman, il bassista dei Rolling Stones, inizia il 13 aprile 1987 una lunga conferenza stampa per presentare un suo originale progetto. L'idea è quella di mettere a disposizione delle giovani band sconosciute una struttura professionale di registrazione. Non si tratta di uno studiolo anonimo, ma addirittura il famoso studio mobile che accompagna i Rolling Stones nel loro vagabondare creativo e che consente a Mick Jagger e soci di trasferire su nastro qualunque idea in qualunque luogo con una perfezione pressoché assoluta. Alla faccia dell'inaccessibilità e delle leggende che ne costellano la storia quello che da sempre è considerato il sancta sanctorum della band si apre all'esterno. Lo fa girando per le strade della Gran Bretagna come una sorta di messaggero per dare ospitalità a chiunque abbia qualcosa da dire e da far ascoltare. Bill Wyman spiega il progetto come un modo per evitare «che idee nuove e artisti importanti non vedano la luce perché non inseriti nel giro giusto». Sollecitato dai giornalisti presenti aggiunge che anche i suoi compagni sono d'accordo, pur non occupandosene personalmente. Non potrebbe essere altro che così visto che il bassista non potrebbe disporre dello studio mobile senza il preventivo assenso dei compagni. Non manca chi polemizza con lui sostenendo che l'iniziativa sia più che altro una trovata pubblicitaria visto che la scarsità di spazi per nuovi talenti è determinata anche dal permanere di vecchi dinosauri del rock come la band di cui fa parte. «Perché i Rolling Stones dovrebbero favorire la nascita di gruppi in grado di cancellarli dalla scena musicale?» Wyman non si scompone. Ricorda come nel rock non esiste l'idea della concorrenza e cita esempi per dimostrare che da sempre la forza delle rock band nasce dall'evoluzione e dalla contaminazione degli stili, non dalla conservazione di uno stato di fatto. Gli stessi Rolling Stones hanno accompagnato nella loro storia l'emergere e l'affermarsi di numerosi interpreti e band. «Dio solo sa quanto ci sia bisogno di nuove idee nel nostro ambiente!» conclude laconico Wyman.

12 aprile, 2017

12 aprile 1967 - Il clarinetto di Buster Bailey

Il 12 aprile 1967 muore a New York il clarinettista Buster Bailey, uno dei primi grandi virtuosi di clarinetto della storia del jazz. Ha sessantacinque anni. Nato a Memphis, nel Tennessee, è ancora un bambino quando inizia a studiare musica sotto la guida di Franz Schoepp, clarinettista dell'orchestra sinfonica di Chicago. Quando il leggendario direttore d'orchestra W. C. Handy lo scrittura per il suo ensemble il ragazzo non ha ancora compiuto quindici anni. A diciassette è a Chicago con l'orchestra di Erskine Tate e nel 1923 se ne va a New York. La sua tecnica prodigiosa e la straordinaria abilità di fraseggio entusiasmano l'ambiente newyorkese e Bailey, per non scontentare nessuno, suona con tutti quelli che lo cercano. In questi anni, infatti, passa da un'orchestra all'altra con estrema disinvoltura. A lui fondamentalmente piace suonare. Non importa con chi, purché si suoni. Alterna così concerti e lavoro di studio con quasi tutti i migliori gruppi di quel periodo: dai Blue Five di Clarenee Williams alla Creole di King Ohvier, dalle band che accompagnano le grandi signore del blues Ma Rainey, Bessie Smith e Alberta Hunter alla grande orchestra di Fletcher Henderson. Negli anni Trenta qualcuno comincia a considerarlo ormai superato e lui vive momenti difficili. Quello che sembra l'inizio del declino si rivela invece l'anticamera di un colossale rilancio. Con l'esplosione dello swing Bailey riemerge prepotentemente. Conteso dalle migliori formazioni nere della "swing era" ricomincia a darsi da fare passando, come sempre, da un gruppo all'altro: dalla Mills Blue Rhythm Band alle orchestre di Lucky Millinder, Stuff Smith e John Kirby. Proprio con quest'ultima ottiene anche il suo primo grande successo commerciale. Non smetterà più fino alla morte e nel 1958 registrerà per l'etichetta Felsted a New York una personalissima versione di due brani simbolo come Memphis blues e Beale street blues, oggi considerata il suo testamento artistico.

11 aprile, 2017

11 aprile 1966 – Lisa Stanfield, la signorina di Razzmatazz


L'11 aprile 1966 nasce a Rochdale, in Gran Bretagna, la cantante Lisa Stanfield, una delle migliori voci femminili affermatesi alla fine degli anni Ottanta. Il suo debutto in pubblico avviene a quattordici anni quando partecipa a un concorso di voci nuove. Qualche anno dopo il suo volto diventa famoso in tutta la Gran Bretagna perché è la presentatrice del programma televisivo per bambini "Razzmatazz". La musica resta però il suo sogno nel cassetto. Approfittando della popolarità tenta di farsi prendere sul serio come interprete, ma con scarsissimi risultati. Nessuno è disposto a investire su quella ragazza dal volto che richiama alla memoria giochi per l'infanzia. Negli anni Ottanta forma i Blue Zone con due polistrumentisti, Andy Morris e Ian Dewaney, e arriva anche a registrare un album Big thing che però non viene neppure distribuito perché giudicato scarsamente commerciale dalla sua casa discografica. I tre, delusi finiscono per aggregarsi ai Coldcut, un duo formato da Matt Black e Jonathan Moore come musicisti d'accompagnamento e voci di supporto. Per Lisa sembra la fine dei sogni, ma invece, nel 1989, la sua voce diventa l'elemento centrale di People hold on, il terzo successo in singolo dei Coldcut. Nell'estate del 1989 la ragazza debutta, quindi, come solista, contando sulla collaborazione dei fedeli amici Andy Morris e Ian Dewaney che, oltre ad affiancarla nella composizione dei brani, si occupano anche della sua produzione discografica. La sua voce calda e "nera" che fa quasi da contrappunto all'immagine fresca e giovanile, catturano l'attenzione del pubblico fin dal primo singolo This is the right time che prepara il terreno all'exploit di All around the world e dell'album Affection, dominatori delle classifiche. Proprio quando non se l'aspettava più Lisa si ritrova così catapultata al vertice del successo e il 1989 si conclude con il titolo di "miglior cantante britannica". Gli anni Novanta si aprono con una lunga fila di varie nomination per i Grammy Awards e numerosi premi, ma lei, consapevole della fragilità del successo, cerca di gestire con oculatezza la sua produzione. Riduce al minimo i concerti e le esibizioni, ma non lesina il suo aiuto alle iniziative benefiche, come quando, nel 1990, partecipa alla registrazione di Red, Hot & Blue, un doppio album destinato a raccogliere fondi per la ricerca contro l'AIDS, cantando Down in the dephs, un vecchio brano di Cole Porter. Continua per tutti gli anni Novanta poi, progressivamente riduce il suo impegno musicale cimentandosi nel cinema e nella TV.


09 aprile, 2017

10 aprile 1962 – Se ne va Stu, il quinto Beatle

Il 10 aprile 1962 muore a Amburgo, in Germania, per un aneurisma cerebrale il chitarrista Stuart Sutcliffe, detto "Stu". La sua scomparsa passa del tutto inosservata, visto che il ragazzo è praticamente uno sconosciuto, eppure trent'anni dopo la sua sfortunata vicenda ispirerà addirittura un film. Sutcliffe, infatti, entrerà nella storia del rock mondiale come uno dei soci fondatori dei Beatles. Amico e compare di bisbocce di John Lennon, inizia a suonare con lui e con Paul McCartney quando il gruppo si chiama ancora Johnny & The Moondogs. È il più folle della compagnia, allievo dell'Art College si veste con improbabili camicie rosa e jeans aderenti e scimmiotta il suo idolo James Dean. A lui la leggenda attribuisce addirittura la primogenitura del nome. Secondo questa versione quando Larry Parnes scrittura i tre per fare da supporto a Billy Fury è proprio Stu il primo a proporre il nome di Beetles, poi storpiato da Lennon in Beatles. Leggende a parte, l'allampanato casinista è come un fratello per l'intrattabile e umorale John Lennon. Quando i Beatles partono con un pulmino Austin tutto ammaccato e se ne vanno in Germania in cerca di fortuna, emigranti senza permesso di lavoro, lui è felice come un ragazzino. Il destino ha in serbo molte sorprese per i componenti del gruppo e sembra divertirsi a utilizzare Stu per segnarne i momenti di svolta. Il ragazzo, infatti, si innamora di Asdrid Kirchner, una fotografa esistenzialista che proprio su di lui inventa per la prima volta quella pettinatura a caschetto che caratterizzerà per sempre l'immagine della band. Quando, nel 1961, le azioni dei Beatles iniziano progressivamente a lievitare, Stu decide di fermarsi ad Amburgo. La musica e l'amicizia dei suoi compagni sono importanti, ma l'amore per Asdrid è più forte. Ne parla a lungo con il suo amico John Lennon e chiede di essere compreso. Non se la sente di sprecare neppure un momento della sua vita per inseguire la gloria. Oggi anche questa fretta di vivere intensamente quelli che saranno gli ultimi giorni della sua vita sembra frutto di un'intuizione dolorosa. La separazione avviene senza drammi, anche perché il ritorno in Inghilterra dei Beatles è provvisorio. La band ha ancora impegni contrattuali con i locali amburghesi e John è sicuro di poterlo recuperare di lì a poco. Non succederà. La notizia della sua morte segnerà profondamente John Lennon, suo inseparabile compagno di pazzie.

9 aprile 1920 – Gianni Ravera, già Lenin, il padrone dei festival

Il 9 aprile 1920 nasce a Chiaravalle, in provincia di Ancona Gianni Ravera, forse il più importante organizzatore di eventi musicali dell’Italia della seconda metà del Novecento. Registrato originariamente all'anagrafe con il nome di Lenin si trova poi con l'avvento del fascismo a fare i conti con un nome diverso da quello assegnatogli dai suoi genitori. Debutta come cantante di musica leggera in un concorso dell’Eiar nel 1943 e nel dopoguerra si esibisce con le orchestre di Angelini, Barzizza, Trovajoli e Savina. Tipico esponente della canzone all’italiana, partecipa, senza particolare successo a tre Festival di Sanremo: nel 1954 con Gioia di vivere, nel 1955 con Non penserò che a te, in coppia con Tullio Pane e nel 1957 con Un certo sorriso, insieme a Natalino Otto. Negli anni Cinquanta chiude la carriera di cantante e inizia a darsi da fare come impresario, organizzando manifestazioni musicali in varie città d’Italia. Nel 1962 ottiene l’organizzazione del Festival di Sanremo, la prima di una lunga serie che lo vede portare sul palcoscenico della rassegna sanremese personaggi come Louis Armstrong, Stevie Wonder, Dionne Warwick, Paul Anka e Wilson Pickett e lanciare cantanti come Iva Zanicchi, Bobby Solo, Gigliola Cinquetti, Vasco Rossi e Zucchero. Negli anni Sessanta e Settanta è uno dei personaggi più potenti del mondo della musica leggera italiana. Quasi tutte le manifestazioni più importanti portano la sua firma, dal Concorso per voci nuove di Castrocaro alla Mostra Internazionale della musica leggera di Venezia, dalla Vela d’oro di Riva del Garda al Disco per l’estate di Saint Vincent. Più volte viene accusato di essere un “padrone senza scrupoli” della canzone italiana e nelle polemiche di quegli anni viene addirittura definito come «uno dei principali responsabili della diseducazione musicale del pubblico italiano». In realtà le doti che contraddistinguono il suo lavoro sono soprattutto la competenza e la tenacia. A chi si lamenta del livello musicale delle sue manifestazioni risponde: «Io sono soltanto un cuoco, se i discografici mi danno ingredienti di prima scelta faccio un pranzo di gala, ma se sono modesti viene fuori solo una discreta cena casereccia». Muore a Roma il 14 maggio 1986.

08 aprile, 2017

8 aprile 1989 – Roxette, svedesi e inaspettati

L'8 aprile 1989 al primo posto della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti c'è The look, una canzone interpretata da un duo di cui pochi hanno sentito parlare fino a poco tempo prima. Sono i Roxette, un chitarrista e una cantante svedesi che da tre anni si esibiscono insieme. Nessuno dei due è alla sua prima esperienza. La cantante, Marie Fredriksson, ha alle spalle una lunga militanza nelle Mama's Barn, mentre il chitarrista Per Gessle è stato il leader della band dei Gyilene Tider. Entrambi, prima di unire le forze, hanno tentato la fortuna come solisti senza particolari risultati. Quando, nel 1986, si mettono insieme prendono a prestito il nome dalla canzone Roxette dei Dr. Feelgood. Pieni d'entusiasmo debuttano nello stesso anno con l'album Pearls of passion che lascia indifferenti sia il pubblico che la critica. Il brutto inizio sembra chiudere prematuramente il progetto artistico. Nel 1987 Marie tenta di nuovo l'avventura solistica con un nuovo disco destinato a non lasciare traccia. Proprio la deludente esperienza della cantante ridà fiato all'idea di recuperare il progetto del duo. Questa volta si impegnano seriamente e in pochi mesi ottengono un nuovo contratto discografico. Dopo una lunga e puntigliosa serie di sedute di registrazione sostenute da un intelligente lavoro sulla qualità del suono alla fine del 1988 viene immesso sul mercato internazionale il loro album Look sharp, sostenuto dalla pubblicazione in singolo del brano estratto The look. Proprio lo straordinario successo di quest'ultimo traina nelle prime posizioni delle classifiche di tutto il mondo l'album del duo svedese. Amati dal pubblico e considerati dalla critica come gli eredi naturali degli Abba, il più illustre gruppo svedese prima di loro, i Roxette centrano nel 1990 il loro terzo primo posto nella classifica dei singoli degli Stati Uniti con It must have been love, un successo mondiale inserito nella milionaria colonna sonora del film "Pretty woman". Gli anni Novanta sembrano iniziare sotto i migliori auspici per il duo che pubblica nel 1991 un nuovo album destinato al successo come Joyrider e arriva con l'omonimo singolo per quarta volta al primo posto della classifica statunitense, un exploit mai riuscito agli Abba. Il pubblico, però, comincia a dare segni di stanchezza. Dopo il doppio album Tourism, una sorta di "pastiche" con canzoni, brani inediti e varie curiosità registrate durante il tour mondiale del 1991/1992, non riusciranno più a ripetersi ai livelli del loro miglior periodo.

07 aprile, 2017

7 aprile 1994 – Addio a Cobain, fragile e timido profeta del Grunge

Il 7 aprile 1994, un elettricista entrato casualmente nella villa di Kurt Cobain a Seattle, scopre il cadavere del leader dei Nirvana. Le indagini appurano che il musicista si è ucciso nella notte tra il 5 e il 6 aprile sparandosi alla testa con un fucile da caccia comprato da pochi giorni. Accanto al suo corpo viene ritrovata una lettera indirizzata alla moglie Courtney Love e al figlio Frances Bean nella quale dice, tra l’altro, «Frances Bean, Courtney, vi amo, vi amo con tutto il mio cuore, ma odio me stesso e odio la vita. Desidero solo di morire. Ho bisogno di staccarmi dalla realtà per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Perdonatemi». La morte di Kurt segna anche la fine dei Nirvana, fino a quel momento considerati uno dei fenomeni musicali degli anni Novanta. Arrivata al successo improvvisamente nel 1991 anche grazie alla massiccia programmazione dei loro brani da parte di MTV la band sperimenta sulla propria pelle gli aspetti negativi della popolarità improvvisa. La vita di Cobain viene scandagliata fin nei più minuti dettagli e diventa uno degli argomenti preferiti dalle riviste scandalistiche, soprattutto dopo il suo matrimonio con Courtney Love, l'eccentrica cantante delle Hole, avvenuto il 24 febbraio 1992. Nell'estate dello stesso anno la rivista Vanity Fair pubblica un lungo servizio sulla ragazza sostenendo che i suoi problemi di tossicodipendenza la costringono ad assumere regolarmente eroina anche durante la gravidanza. Non è un'accusa da poco perché le leggi della California, stato di residenza della coppia, prevedono la possibilità di sottrarre un figlio alla madre qualora la stessa abbia assunto droghe durante la gravidanza. Cobain costringe i compagni ad annullare alcuni concerti per poter rintracciare l'autore dell'articolo e convincerlo a correggere quanto ha scritto. Da quel momento vive nel terrore dei media che ne fanno una sorta di diabolico profeta del rock. Poche settimane prima di uccidersi, aveva già tentato il suicidio in un albergo romano. La notizia della sua morte fa il giro del mondo mentre centinaia di fans si raccolgono sotto la sua casa per la veglia funebre. Il biondo chitarrista e cantante, il timido e fragile esponente di un genere, come il Grunge, in gran parte inventato dai media degli anni Novanta, finisce per diventare, suo malgrado, uno dei tanti miti tragici che hanno costellato la storia del rock.

06 aprile, 2017

6 aprile 1983 – Reagan contro i Beach Boys

Il 6 aprile 1983 la principale emittente radiofonica di Washington è subissata da telefonate che invitano l'amministrazione Reagan ad andare… a quel paese. Un'intera generazione sembra scuotersi dall'ovattato torpore dell'era reaganiana e si mobilita contro «l'ottusa e reazionaria concezione della cultura di un'intera classe dirigente». Che cosa è successo? Il giorno prima James Watt, Segretario agli Interni del governo statunitense, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti sul rapporto tra cultura e mondo giovanile, si è lasciato andare a giudizi pesanti nei confronti del rock, visto come una sorta di corruttore degli ideali sui quali si fonda la civile convivenza negli Stati Uniti. Accortosi di essersi spinto troppo in là, ha poi modificato il giudizio sostenendo di non voler mettere sotto accusa un genere musicale, ma soltanto alcuni esponenti rei, a suo parere, di catalizzare "vibrazioni negative". Ha quindi candidamente annunciato che alcune rock band «come i Beach Boys e i Grass Roots» dovranno essere escluse dal programma dell’annuale celebrazione a Washington del 4 luglio, festa dell’Indipendenza degli Stati Uniti perché hanno la caratteristica di «attirare ai loro concerti i peggiori elementi della società». Diffuse dalle agenzie le dichiarazioni di Watt fanno il giro del paese e suscitano reazioni indignate. Le dichiarazioni delle sue band interessate sono laconiche. I Beach Boys le giudicano «incredibili», mentre Rob Grill dei Grass Roots dichiara di essere stato «gravemente offeso». Meno diplomatiche le risposte delle riviste specializzate e del pubblico che parlano di "nuovo maccartismo". Travolta dall'ondata di sdegno, l'amministrazione Reagan cerca di correre ai ripari. Il Vice Presidente George Bush e Nancy, la moglie del presidente, si affrettano a dichiarare alla stampa che loro sono «ammiratori dei Beach Boys» e che si sentono «irritati» per le dichiarazioni di Watt. Il giorno dopo, 7 aprile, scenderà in campo addirittura il presidente Reagan in persona invitando i Beach Boys a suonare a Washington in occasione dei festeggiamenti per il 4 luglio. Prima ancora che l'invito ufficiale venga inviato formalmente, la band fa sapere di avere già un impegno per quel giorno. La mobilitazione non finisce qui. Il 4 luglio i Beach Boys festeggeranno a modo loro la festa dell'indipendenza con un concerto contro l'oscurantismo culturale ad Atlantic City di fronte a oltre duecentomila persone.

05 aprile, 2017

5 aprile 1968 – James Brown: «È morto Martin Luther King ma nessuno ci potrà fermare»

«Hanno ucciso Martin Luther King!» Nella notte tra il 4 e il 5 aprile 1968 il popolo nero degli Stati Uniti grida la sua ribellione e la sua rabbia contro l'assassino che ha colpito a Memphis l'apostolo della non-violenza leader del movimento per i diritti civili. La rivolta è generale. A nulla servono gli inviti alla calma rivolti attraverso tutte le stazioni radiofoniche e televisive del paese da parte dei più stretti collaboratori di Martin Luther King. Trenta città degli States sono in fiamme e nelle prime ore del 5 aprile sono già trentanove le vittime cadute negli scontri con la polizia. La disperazione e la rabbia cieca della popolazione nera stanno fornendo all'apparato repressivo statunitense l'occasione per una generale resa dei conti. I leader del movimento per i diritti civili sono consapevoli della necessità di fermare quello che rischia di trasformarsi in un massacro ma non hanno né la forza né la capacità di persuasione necessarie. La scomparsa di un capo carismatico come Martin Luther King ha lasciato un pericoloso vuoto. I giovani coloured delle periferie urbane danno l'assalto ai quartieri residenziali delle città solo per gridare la loro rabbia al cielo. Si muovono in piccoli gruppi, senza organizzazione e senza alcun obiettivo finendo travolti dagli apparati repressivi. La situazione è disperata quando sugli schermi televisivi di tutti gli Stati Uniti appare la faccia tesa di James Brown, l'esplosivo interprete di rhythm and blues idolatrato dai giovani della comunità nera. La sua voce è calma e tesa: «Fratelli. Ieri hanno ucciso un uomo che ci stava guidando alla conquista dei nostri diritti e aveva fatto della non violenza la sua bandiera. Ora sperano che l'immenso fiume che lo seguiva si disperda in mille rivoli, magari più turbolenti, ma privi della forza che solo la calma e implacabile massa d'acqua del fiume possiede. Abbiamo il dovere di continuare la battaglia di Martin Luther King. Lo faremo se non cadremo nel tranello di vuole scegliere il terreno della violenza. Io vi invito alla calma e alla resistenza passiva. Siamo un grande fiume e nessuno ci potrà fermare…». L'appello, rilanciato anche dalle emittenti radiofoniche, riesce a produrre il miracolo: gli scontri cessano in quasi tutte le città. Non è l'unico artista rock a mobilitarsi. A New York, infatti, Jimi Hendrix, B.B. King e Buddy Guy raccolgono fondi da destinare al movimento, mentre i bianchi Beach Boys, Buffalo Springfield e Strawberry Alarm Clock cancellano, in segno di lutto i loro concerti.

04 aprile, 2017

4 aprile 1992 – La confusione dei Mr. Big

Il 4 aprile 1992 al vertice della classifica britannica dei singoli più venduti arriva il brano To be with you, già dominatore delle classifiche statunitensi. Lo interpreta un gruppo il cui nome, Mr. Big, non è nuovo per il pubblico inglese. C'è chi pensa a uno straordinario ritorno. Negli anni Settanta, infatti, una band omonima aveva conquistato il titolo di "gruppo rivelazione dell'anno" con l'album Mr. Big e il singolo Romeo. La componevano i bassisti e chitarristi Jeff Dicken e Peter Growther, il batterista Vince Chaulky, l'altro batterista e tastierista John Burnip e il cantante, chitarrista e tastierista Edward Carter. Del gruppo, dopo l'exploit, si erano progressivamente perse le tracce. È facile immaginare la sorpresa con la quale l'ambiente musicale britannico accoglie l'arrivo in classifica, più di un decennio dopo, dei Mr. Big. Si ripescano vecchie foto del gruppo e, sull'onda del successo di To be with you, vedono la luce i primi due album del gruppo: Sweet silence del 1975 e il già citato Mr. Big del 1977. Non manca chi obietta che dal punto di vista musicale non c'è alcun punto di contatto tra la band degli anni Settanta e il disco che domina le classifiche. Gli antichi fans dei Mr. Big sono in prima fila tra quelli che sostengono di trovarsi di fronte a una sorta di truffa. «Dove sono finiti i veri Mr. Big? Questi chi sono?» La questione agita per un po' le acque del mondo musicale britannico ma, come quasi sempre accade, finisce poi per trovare una soluzione. Non c'è alcun plagio. I Mr. Big degli anni Novanta non hanno nulla a che fare con la band che ha conquistato il cuore degli appassionati britannici negli anni Settanta, anche se il loro primo album, pubblicato nel 1989, ha per titolo il nome del gruppo come l'ultimo album di successo dei loro predecessori. Non sono neppure britannici e non hanno mai sentito parlare di un gruppo omonimo. Nascono negli Stati Uniti e hanno scelto il nome per caso, ispirandosi a una striscia di cartoons. I componenti hanno quasi tutti alle spalle una lunga gavetta nelle band di heavy metal. Quello che può vantare il passato più illustre è il bassista Billy Sheehan, già con i Talas e con la band di David Lee Roth. Gli altri sono il cantante Eric Martin, il chitarrista Paul Gilbert e il batterista Pat Torpey. Il successo del singolo To be with you trascina in classifica anche l'album Lean into it. Passata la baraonda l'ombra dei vecchi Mr. Big sfumerà mentre i loro omonimi pubblicheranno altri dischi con discreto successo.

02 aprile, 2017

3 aprile 1975 – Emmylou Harris continua da sola

Il 3 aprile 1975 alla Boarding House di San Francisco Emmylou Harris torna a esibirsi in pubblico a quasi due anni dalla morte del suo compagno Gram Parsons. Per stare al suo fianco aveva abbandonato le scene del country dove, alla fine degli anni Sessanta, era considerata una delle più promettenti nuove voci femminili. L'incontro, avvenuto quando i discografici l'avevano convinta a lasciare Nashville per New York aveva sconvolto la sua vita, sacrificando una promettente carriera al carisma del suo compagno, il geniale ex componente della Flying Burrito Brothers Band e dei Byrds. La star nascente del country aveva finito così per prestargli la sua voce, sia nelle sale di registrazione che dal vivo. La morte di Gram l'annichilisce. Per qualche tempo gli amici temono che la sua mente abbia preso il volo per sempre. In preda a una profonda depressione ritrova a poco a poco se stessa. Paradossalmente l'evento che ha sconvolto e segnato la sua vita finisce per liberare la sua creatività artistica. A Washington, dove si è rifugiata per sfuggire ai ricordi dolorosi, riprende a suonare con un gruppo di amici. Il passo successivo è la formazione di un gruppo fisso, la Angel Band, di cui fanno parte anche il virtuoso di pedal steel Hank De Vito e due componenti della band di Elvis Presley: il chitarrista James Burton e il tastierista Glen H. Hardin. È con loro che, dopo vari ripensamenti, accetta di tornare davanti al pubblico. Il concerto del 3 aprile alla Boarding House di San Francisco non resterà un episodio isolato. Pochi giorni dopo verrà scritturata dalla Reprise, un'etichetta del gruppo Warner Brothers e pubblicherà l'album Pieces of the sky destinato a scalare le classifiche dei dischi più venduti. Non si fermerà più. Accanto all'attività in proprio svilupperà un numero infinito di collaborazioni con artisti come Bob Dylan, Linda Ronstadt e John B. Sebastian. Nel 1980 parteciperà all'opera country "The legend of Jesse James" di Paul Kennerly, insieme a una schiera di personaggi come Levon Helm, Charlie Daniels della Charlie Daniels Band e Johnny Cash. Nel 1987 con Dolly Parton e Linda Ronstadt darà vita a un provvisorio quanto straordinario gruppo vocale femminile il cui album Trio otterrà un grandissimo successo commerciale e di critica vincendo anche un Grammy. Nonostante il successo ottenuto dalle collaborazioni non rinuncerà mai alla voglia di continuare a volare da sola.



2 aprile 1958 – Con Miles Davis una formazione da leggenda

Il 2 aprile del 1958 Miles Davis dà vita a una formazione destinata a restare nella storia del jazz. Oltre a lui ne fanno parte Julian "Cannonball" Adderley, John Coltrane, Red Garland e Philly Joe Jones. Si tratta di un gruppo che, contrariamente alle abitudini di Miles Davis e dei jazzisti in genere, resterà stabile per qualche anno, con la sola sostituzione del pianista (Bill Evans prima e Wynton Kelly poi al posto di Garland) e del batterista (Jimmy Cobb invece di Jones). L'ensemble lascerà tracce importanti in dischi di grande qualità che restano nella storia di Miles Davis come la testimonianza di un periodo particolarmente felice. Negli stessi anni il trombettista non si limita a curare la sua band, ma accetta esperimenti di vario genere come le incisioni del giugno 1958 sotto la guida dell'arrangiatore Michel Legrand e quelle con Evans dalle quali nasce Porgy and Bess. Fino al 1963 Davis conserverà intatta la sezione ritmica rinnovando continuamente il sassofonista, scelto comunque tra i più interessanti del momento, da John Coltrane ad Hank Mobley, da Cannonball a Sonny Stitt. Nel 1963 la formazione viene cambiata radicalmente con il sax tenore di George Coleman, un uomo nuovo sostituito poco dopo da Wayne Shorter, il piano di Herbie Hancock, il basso di Ron Carter e la batteria di Tony Williams, un giovanissimo che si rivelerà straordinariamente dotato. La musica è la stessa di prima, ma è già iniziata un’altra storia.



01 aprile, 2017

1° aprile 1984 – Il padre uccide Marvin Gaye

La sera del 1° aprile del 1984, un'ambulanza arriva a sirene spiegate al 2101 South Grammercy di Los Angeles, dove c'è la casa del vecchio reverendo Gaye, un pastore evangelico famoso nel quartiere, oltre che per le sue prediche, per il fatto di essere il padre del cantante e compositore Marvin Gaye. Il personale dell'ambulanza entra correndo in casa e si trova di fronte a una scena agghiacciante. Steso a terra c'è Marvin Gaye immerso in una pozza di sangue, mentre seduto su una sedia con la testa tra le mani il padre ripete come un automa: «Mi voleva uccidere, mi sono solo difeso…». All'arrivo della polizia si lascia ammanettare senza opporre resistenza. Ha ucciso il figlio con un colpo solo al cuore sparato da una pistola che gli era stata regalata pochi giorni prima dallo stesso Marvin. Sostiene di non aver avuto alternative perché il figlio, in preda alla droga, avrebbe tentato d'ucciderlo. I giudici accoglieranno parzialmente la tesi della legittima difesa e lo condanneranno a cinque anni di carcere. Finiscono così la vita e la straordinaria carriera di Marvin Gaye alla vigilia del suo quarantacinquesimo compleanno. Da tempo in preda a frequenti crisi depressive non aveva mai completamente riassorbito lo shock della morte di Tammi Terrell, la compagna artistica svenuta in scena tra le sue braccia nel 1969. Non a caso dopo la scomparsa le sue canzoni erano divenute più problematiche e profonde. Considerato negli anni Settanta uno dei più grandi solisti neri della storia del rock aveva saputo rinnovarsi e mantenere inalterata la sua popolarità anche all'inizio del decennio successivo pur dando l'impressione di non riuscire più a liberarsi dai problemi derivati dall'eccessivo uso di stupefacenti e da una vita privata costellata da delusioni. Pochi mesi prima della sua morte si era trasferito nella casa dei genitori in cerca di aiuto, ma i vicini raccontano di frequenti liti con il padre, rigoroso predicatore, che lo accusava di essere un cattivo esempio per i giovani. Pochi giorni prima di morire aveva regalato lui all'austero genitore la pistola che l'avrebbe ucciso. C'è chi ipotizza che la sua morte sia stato un atto deciso a freddo, come David Ritz, l’autore una biografia molto dettagliata del cantante che scrive: «Credo che quel regalo fosse del tutto intenzionale... Marvin sapeva quello che faceva: voleva morire. Solo quattro giorni prima di essere ucciso si era buttato fuori da una macchina che viaggiava a novanta chilometri all’ora su una Freeway di Los Angeles».