30 maggio, 2017

31 maggio 1969 – Un letto, alcuni amici e una canzone che resterà nella storia


Il 31 maggio 1969 John Lennon e la sua compagna Yoko Ono sono impegnati nell'ennesimo "bed-in" per protestare contro la guerra nel Vietnam. Cosa sono i "bed-in"? Nell'impostazione di Lennon rappresentano una sorta di "pacifismo integrale". In genere funziona così: lui e la sua compagna si rinchiudono in una stanza d'albergo e stanno a letto per tutta la durata del "bed-in". Non è, ovviamente, un fatto privato, ma pubblico in cui non c'è niente di ozioso. John Lennon e Yoko convocano conferenze stampa, diffondono documenti, tengono riunioni, incontrano amici e giornalisti, con il solo limite di… non scendere mai dal letto. Nonostante gli scetticismi questo modo di manifestare per la pace e per il ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam ha una sua peculiare efficacia. Non può essere esteso perché non tutti sono in grado di attirare l'attenzione dei media come un componente dei Beatles, ma in questo caso funziona. Il 31 maggio 1969 i due sono rinchiusi da qualche giorno nella camera 1742 dell’Hotel La Reine di Montreal, in Canada. Il programma della giornata prevede la consueta conferenza stampa e vari incontri con alcuni esponenti dei movimenti pacifisti statunitensi e canadesi. Nonostante gli impegni John Lennon ha cercato di lasciare un'oretta libera, totalmente a sua disposizione. Vuole verificare la fattibilità di un'idea che gli frulla da qualche tempo nella testa. Convoca alcuni amici e fa portare nella camera un normalissimo registratore portatile. Uno dopo l'altro arrivano Tommy Smothers, Petula Clark, Timothy Leary e Allen Ginsberg. A tutti John consegna un foglio sul quale ha scritto alcuni versi di una canzone da lui composta. Impugna quindi la chitarra e con calma ne fa ascoltare la musica. Per fissare meglio l'andamento della melodia, che sembra un po' ostico a Leary e Ginsberg, canticchia il motivo scandendo bene le parole. Spiega poi a tutti che è sua intenzione registrare la canzone seduta stante con la loro collaborazione diretta. Ciascuno, oltre a cantare a squarciagola sul ritornello, può scandire il tempo con il battito della mani, con un tamburello o anche picchiando con le nocche su una sedia. Quando tutti sono pronti accende il registratore e lascia sul nastro una canzone destinata a restare nella storia della musica e a diventare uno degli inni della lotta per la pace: Give peace a chance.


25 maggio, 2017

25 maggio 1968 – Orrore! Al Brancaccio c'è un tale che si chiama Jimi Hendrix

Il 25 maggio 1968 il Teatro Brancaccio di Roma ha in cartellone un concerto di Jimi Hendrix. È il secondo e ultimo della breve permanenza romana del chitarrista la cui popolarità si sta diffondendo anche in Italia dopo il successo ottenuto al Festival di Monterey. Nonostante la buona campagna promozionale i giovani della capitale non fanno la fila per essere presenti all’appuntamento ed Hendrix si esibisce in un teatro che presenta numerosi posti vuoti. Non si tratta di disinteresse. I prezzi dei biglietti sono troppo alti per le tasche del pubblico giovanile, l'unico consumatore di questo tipo di musica e un destino analogo tocca anche ai Soft Machine, ai Pink Floyd, a Donovan e Julie Driscoll. Nemmeno il tour degli Who raccoglie i risultati sperati in termini d'incasso, nonostante l'affollamento di ragazzi fuori dai luoghi dove si svolgono i concerti. Qualche tempo dopo il problema del costo dei biglietti ai concerti, legato a quello della reale fruibilità della musica da parte dei giovani, diventerà esplosivo e provocherà grandi mobilitazioni di massa. Nonostante la non entusiasmante partecipazione di pubblico l'esibizione di Hendrix al Brancaccio è all'altezza della fama del chitarrista. Sugli spettatori si riversano le note acide della sua chitarra, ricche di distorsioni armoniche e di suoni elettronici puri, su un tessuto ritmico solido e aggressivo. Un'ovazione accoglie le note di Hey Joe, il brano del suo repertorio più conosciuto dal pubblico italiano, mentre il chitarrista canta con un accento americano molto marcato mangiandosi le parole del testo. Il risultato è una cadenza suggestiva e allucinata che contribuisce all'espressività dell'esibizione. Nei giorni successivi una parte dei critici italiani ignorerà l'evento, ma non mancheranno i commenti entusiastici. Tra tutti, però, quello che passerà alla storia sarà il giudizio dell'inviato del "Messaggero” di Roma, presentatosi all'appuntamento senza conoscere niente dell'artista. Alcune righe del suo articolo gli regaleranno l'immortalità tanto da essere ancora oggi citate come uno dei più clamorosi infortuni del giornalismo musicale italiano. Sono quelle in cui, volendo forse sintetizzare le sensazioni provate, così descrive l'esibizione del chitarrista: «Orrore al Brancaccio... la bruttezza di Jimi Hendrix è tale da superare i comuni concetti estetici».

21 maggio, 2017

22 maggio 1959 – Don Cherry e Ornette Coleman, una tromba e un sassofono per l'Atlantic

Il 22 maggio 1959 due jazzisti ricchi di speranze e di idee ma non di successo entrano per la prima volta negli studi di Los Angeles dell'Atlantic. Uno si chiama Don Cherry e suona la tromba, il suo amico risponde al nome di Ornette Coleman ed è un fenomeno con il sassofono. Entrambi hanno alle spalle la solita trafila di concerti in vari club frequentati da appassionati di jazz. Da poco sono tornati a Los Angeles dopo un anno passato a New York a cercare fortuna senza trovarla. L'ambiente jazzistico li accusa di essere velleitari e presuntuosi. Fino a quel momento gli unici incoraggiamenti sono arrivati da un paio di abili improvvisatori come Cecil Taylor e Sunny Murray. È la seconda volta che varcano insieme le porte di una sala di registrazione per incidere un disco. La prima esperienza risale all'anno precedente quando, con la Contemporary, hanno inciso Something Else rivelatasi un fiasco. Nonostante le premesse l'Atlantic ha deciso di puntare su quei due squinternati strumentisti. Don Cherry e Ornette Coleman nella lunga seduta del 22 maggio registrano The shape of jazz to come e, al termine della registrazione vengono trattenuti da un funzionario della casa discografica per una "comunicazione ufficiale". In sostanza, l'Atlantic ha deciso che entrambi debbano andare alla scuola musicale di Lennox, nel Massachusetts, dove insegnano alcuni tra i migliori jazzisti di quel periodo come Max Roach, Milt Jackson, John Lewis e Bill Russo tra gli altri. Per le spese non devono preoccuparsi: pagherà tutto la casa discografica. La scelta rappresenterà l'inizio della scalata al successo e alla popolarità di entrambi. Proprio alla scuola di Lennox troveranno in John Lewis un entusiasta estimatore delle loro qualità, che li aiuterà a definire meglio uno stile destinato a rivoluzionare il jazz. La portata innovatrice delle loro concezioni musicali troverà, nel mese di ottobre dello stesso anno, la prima conferma nell'album Change the century.

18 maggio, 2017

18 maggio 1980 – Si uccide Ian Curtis, il fragile cuore dei Joy Division

Il 18 maggio 1980, alla vigilia del primo tour statunitense della sua band, Ian Curtis, il cantante dei Joy Division, si impicca nella sua abitazione di Manchester. La crisi del suo matrimonio e, soprattutto, i primi chiari ed evidenti sintomi di un’epilessia progressiva hanno minato la sua voglia di vivere. In casa viene ritrovato un biglietto scritto qualche giorno prima sul quale il cantante ha vergato di suo pugno una frase che assume il valore di un addio: «In questo momento desidero essere morto. Non ce la faccio più». Con la fine del "leader dal cuore fragile", come viene definito Ian Curtis in uno dei tanti articoli postumi scritti su di lui, si chiude la storia dei Joy Division, una delle band simbolo del post punk inglese degli anni Settanta. L'avventura inizia a Manchester nel 1976, quando tre compagni di scuola, il chitarrista Bernard Dickin detto anche Bernard Albrecht o Bernard Sumner, il bassista Peter Hook e il batterista Terry Mason formano gli Stiff Kittens. Dopo il debutto all'Electric Circuit di Manchester ai tre si aggiunge Ian Curtis, un giovane assistente sociale di Macclesfield. Il suo stile vocale e i suoi testi saranno fondamentali per il salto di qualità della band. Dopo aver cambiato nome in Warsaw, sostituiscono Terry Mason con il batterista Steve Morris, concittadino di Ian Curtis e, alla fine, accettano la proposta dello stesso Curtis e assumono il nome definitivo di Joy Division. La scelta non è casuale, visto il loro impegno antifascista. Il nome infatti è lo stesso dato dai nazisti agli spazi dei campi di concentramento destinati alla prostituzione delle detenute. Un paio di dischi prodotti dalle etichette indipendenti precedono il debutto radiofonico della band nella popolarissima "John Peel session" su Radio One il 31 gennaio 1979. Nell'estate dello stesso anno, l'album Unknown pleasures arriva al primo posto delle classifiche indipendenti inglesi. Il 1979 si conclude con la seconda "John Peel session" e con la pubblicazione del singolo Transmission. Il suicidio di Curtis trasforma la band in un mito. Nonostante le offerte i tre membri superstiti non ne prolungheranno la storia per rispetto della memoria del loro leader e, con l'aggiunta del tastierista e cantante Gillian Gilbert, ne continueranno il discorso assumendo la denominazione di New Order.

16 maggio, 2017

16 maggio 1969 - Gli Who malmenano un poliziotto


Il 16 maggio 1969 gli Who si esibiscono al Fillmore East di New York. Lo scenario è quello che da qualche tempo accompagna i concerti della band, soprattutto nelle esibizioni statunitensi: una folla impressionante di ragazze e ragazzi che si accalca urlante sotto il palco mentre il servizio d'ordine è impegnato con molta fatica a contenere l'entusiasmo dei più agitati. Ogni tanto qualcuno riesce a passare il primo cordone di sicurezza e ad avvicinarsi pericolosamente al palco prima di essere riacciuffato e ributtato indietro di peso dagli addetti al servizio d'ordine. È un gioco pericoloso, ma sembra che i fans lo trovino divertente al punto che fa ormai parte del tradizionale scenario dei concerti degli Who. In quel 16 maggio però avviene un evento imprevedibile. Nel palazzo vicino al luogo del concerto scoppia un incendio. L'assordante volume dell'amplificazione e la quasi completa insonorizzazione del locale impediscono agli spettatori chiusi nel Fillmore East di accorgersi che all'esterno c'è una situazione d'emergenza. In realtà non c'è alcun pericolo diretto perché le fiamme sono a una distanza tale da non poter minacciare direttamente né tantomeno raggiungere il locale che ospita il concerto degli Who. I responsabili dell'ordine pubblico temono però che al termine dell'esibizione della band l'uscita massiccia di centinaia di persone e l'inevitabile confusione possano creare problemi ai vigili del fuoco impegnati nello spegnimento. Dopo un breve consulto viene presa la decisione di avvertire gli spettatori del concerto di quanto sta succedendo all'esterno, spiegando che non ci sono rischi ma invitandoli a defluire con calma e attenzione. Via radio vengono informati della decisione gli agenti in borghese all'interno del Fillmore East con la raccomandazione di evitare panico inutile. L'ordine è quello di avvertire al pubblico alla fine del concerto, chiedendo magari la collaborazione dei musicisti del gruppo per ottenere l'attenzione necessaria. Uno dei poliziotti in servizio però, a dispetto degli ordini ricevuti, decide di fare da solo senza aspettare la conclusione del concerto. Mentre Roger Daltrey il cantante degli Who sta presentando al pubblico un brano. L'agente, che è in borghese, balza sul palco e tenta di impossessarsi del microfono. Il chitarrista Pete Townshend, pensando di trovarsi di fronte a uno squilibrato sfuggito al servizio d'ordine si lancia verso di lui  e prima che l'uomo riesca a qualificarsi lo colpisce con un tremendo calcio. Gli Who di quel periodo sono tipetti tosti e abituati a menar le mani. E così mentre il malcapitato cade a terra il bassista John Entwistle, prima ancora di verificare chi sia il disturbatore, gli fracassa lo strumento sulla schiena. Vedendo il collega malmenato i poliziotti presenti nel locale si muovono velocemente verso il palco tentando di intervenire ma non ce la fanno a oltrepassare un servizio d'ordine allenato a reggere l'urto dei fans esagitati e vengono respinti. Nel parapiglia che segue anche il pubblico fa la sua parte e per alcuni minuti il concerto si trasforma in una gigantesca rissa. Pian piano ci si rende conto della serie di equivoci da cui tutto è nato e, sia pur con qualche difficoltà, torna la calma. Il concerto però non può più riprendere perché il responsabile delle forze dell'ordine interne al locale decide di arrestare Pete Townshend per aggressione nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Il chitarrista passerà la notte in carcere e soltanto il giorno dopo riuscirà a dimostrare la sua buona fede.

10 maggio, 2017

10 maggio 1969 – I Turtles hanno "sniffato" sul tavolo di Lincoln?

Il 10 maggio 1969 due gruppi particolarmente significativi vengono invitati a esibirsi alla White House, la Casa Bianca, di Washington in occasione di una delle tante feste che si svolgono nella residenza del Presidente degli Stati Uniti d'America. L'occasione è offerta da una sorta di "gala" in onore dei giornalisti accreditati. Gli "intrattenitori" d'eccezione sono il gruppo vocale dei Temptations e i Turtles. Proprio la presenza di questi ultimi, alfieri dell'ala più ironica e dissacrante del movimento hippie, sono un po' la novità della serata. Quando si era diffusa la notizia dell'invito in molti avevano scommesso sul loro forfait, ma nonostante le pessimistiche previsioni la band si presenta regolarmente sulla pedana allestita per l'occasione presentando una rassegna dei suoi brani più conosciuti, compresi quelli contenuti nell'album Turtle soup, fresco di sala di registrazione. L'austerità del luogo non li impressiona e gli intervenuti vengono trascinati nella consueta sarabanda di suoni, ritmi, battute e paradossi che caratterizza i loro concerti, compreso un appello a «lasciar perdere» la guerra del Vietnam. L'anima della band è rappresentata, come sempre, dai due imprevedibili istrioni Howard Kaylan e Mark Volman. Quando i Turtles chiudono, con un goffo ed esagerato inchino, la loro esibizione gli addetti al protocollo possono finalmente rilassarsi: non è successo niente. Non è così. Nei giorni successivi, infatti, i giornali riferiscono che proprio Kaylan e Volman, prima dell'esibizione avrebbero “sniffato” coca appoggiandosi all'antico e storico tavolo di Abramo Lincoln. Lo scandaloso comportamento, perfettamente in sintonia con lo spirito dissacrante della band, non verrà mai né confermato né smentito dai diretti interessati. L'esibizione alla Casa Bianca non porta troppa fortuna. Di lì a poco infatti inizierà della dissoluzione della band. Il primo ad andarsene è il chitarrista Jim Tucker e poi il batterista John Barbata, sostituito da John Seiter, già con gli Spanky & Our Gang. Il gruppo sembra ritrovare equilibrio ma la fine è solo rinviata di un anno. Nel 1970, dopo l'album Woodenhead, i Turtles si separeranno. Le due "pietre dello scandalo" Kaylan e Volman si uniranno ai Mothers of Inventions di Frank Zappa partecipando alla registrazione degli album Chunga's Revenge, 200 motels, At the Fillmore East e Just another band from L.A. Non sarà l'ultima tappa della carriera perché qualche anno dopo daranno vita all'eccentrico duo Flo & Eddie o, per citare la denominazione intera, The Phlorescent Leech & Eddie.

03 maggio, 2017

4 maggio 1956 – Be-bop-a-lula? Non è un granché…

Il 4 maggio 1956, negli studi della Capitol a Nashville entrano cinque strani ragazzi che, sulla base di un fresco contratto, dovrebbero registrare il loro primo disco. Li guida un arruffato ventunenne dall'andatura zoppicante per i postumi di un incidente stradale avvenuto un anno prima. Si chiama Eugene Vincent Craddock e si fa chiamare, per brevità, Gene Vincent. Non ha un lavoro fisso, ma si diletta a comporre canzoni e a suonarle nei locali della zona di Norfolk, in Virginia, dove abita. I suoi compagni sono i Blue Caps, una band formata dall'idraulico Cliff Gallup e dal disoccupato Willie Williams alla chitarra, dal bracciante Jack Neal al basso e dal quindicenne studente Dickie Harrell alla batteria. Mentre i due occupati hanno potuto chiedere un paio di giorni di permesso per andare a Nashville, il giovanissimo batterista ha dovuto marinare la scuola per essere della partita. La Capitol li ha scoperti grazie al fiuto di un produttore aperto alle innovazioni come Ken Nelson. Insomma, quella che il 4 maggio entra negli studi di registrazione di Nashville, più che un gruppo musicale è una compagnia di ragazzi animati da tanta buona volontà. Li attende il loro scopritore, quel Nelson che, per metterli a loro agio, li invita a scaldarsi con il brano che preferiscono. Gene Vincent e la sua band eseguono Be-bop-a-lula, un brano firmato dallo stesso Vincent. Nelson li ascolta e scuote la testa. «Non è un granché. Va bene per il lato B del disco… fortunatamente ho in serbo un brano di ben altro spessore…». Sulla facciata principale del disco figura così Woman love, mentre a Be-bop-a-lula è riservato il compito di riempire l'altro lato. Questa volta, però, il fiuto e la consumata esperienza di Nelson fanno cilecca. La canzone da lui ritenuta "minore" entrerà nella storia del rock and roll mondiale. Tre settimane dopo la registrazione, un disc jockey di Baltimora inizierà a trasmetterla a tappeto e, in poche settimane il disco scalerà la classifica statunitense, vendendo ben due milioni di copie soltanto nei primi cinque mesi. Sarà anche l'inizio della contrastata carriera di Gene Vincent, un rocker poco amato dall'establishment del suo paese. La violenza dei suoi concerti, la durezza dei testi, la carica provocatoria dei movimenti sul palco e la conclamata dipendenza dall'alcool gli alieneranno di lì a poco la simpatia del pubblico più conservatore e di parte della stampa, aprendo la strada a nuovi eroi dalla faccia perbene come Frankie Avalon e Ricky Nelson.


02 maggio, 2017

2 maggio 2002 – In 30.000 ai funerali di Lisa "Left Eye" Lopes

«Sei un angelo e noi siamo qui per vederti spiccare il volo». La frase è soltanto una delle tante colte al volo sui piccoli e spiegazzati fogli di carta regalati dai fans a Lisa "Left Eye" Lopes delle TLC per il suo ultimo viaggio. Si calcola che almeno trentamila persone siano arrivate il 2 maggio a Lithonia, un sobborgo di Atlanta, per assistere ai funerali dell'artista svoltisi nella New Birth Missionary Baptist Church. Lisa è morta il 25 aprile in Honduras, un paese dove da tempo era impegnata in un universo di varie attività umanitarie e culturali e che le era entrato dentro. Proprio lì viveva anche Snow, la bambina che aveva adottato nove anni prima quando era ancora neonata . Le circostanze della morte sono state mai del tutto chiarite. Nella versione uggiciale la cantante sarebbe rimasta imprigionata dalle lamiere della sua auto uscita di strada. Altre otto persone coinvolte nell'incidente, però, non avrebbero riportato alcun danno. Una fine inquietante per una donna dalla vita avventurosa. Lei era la ribelle delle TLC e aveva anche conosciuto il carcere per le sue intemperanze. Ai suoi funerali, insieme alle migliaia di fans sono presenti anche artisti come Usher, Janet Jackson, Jermaine Dupri, Babyface, Whitney Houston, Bobby Brown, Timbaland, Mack 10, Da Brat, Raphael Saadiq e Monica. Nel corso della cerimonia funebre le Mary Mary intonano la sua Crazy. Stava vivendo un periodo di passaggio nel suo lavoro. Da tempo, infatti, Lisa aveva lasciato intendere che l'esperienza delle TLC le andava ormai troppo stretta e che il gruppo non era più nel suo futuro. Come spesso accade, invece, la sua morte finisce per rilanciare le azioni del gruppo. Non è un caso che poche ore dopo la sua sepoltura il produttore del gruppo, Dallas Austin, abbia annunciato la pubblicazione di un disco nuovo «pressoché pronto». Lo spettacolo, dunque, deve continuare e anche la morte di una ribelle può essere utile a far soldi. Tra le dichiarazioni non manca neppure quella, davvero poco opportuna, dell'ex manager delle TLC, la cantante Pebbles, più volte presa a pesci in faccia proprio da Lisa: «Negli anni che abbiamo passato insieme, Lisa era per me come una figlia. Se ripenso ora alle nostre divergenze nel lavoro, tutto mi appare così insignificante, di fronte al dolore della sua morte». Potenza del business!


01 maggio, 2017

1° maggio 1906 – Mario Schisa, il maestro che veniva legato al pianoforte

Mario Schisa, l’uomo divenuto famoso per aver convinto Luciano Tajoli a «modulare la voce come se avesse il raffreddore» nasce in una famiglia di immigrati italiani a Montevideo, in Uruguay, il 1° maggio 1906. Sono i genitori a costringerlo, fin da piccolo a studiare pianoforte, convinti che solo la musica possa regalare al figlio un futuro migliore del loro. Il padre, in particolare, lo lega letteralmente allo sgabello dello strumento quando lo vede svogliato o distratto. Successivamente torna in Italia e si diploma in pianoforte e composizione presso il conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nei primi anni Trenta debutta come direttore d’orchestra riscuotendo notevoli consensi in spettacoli di varietà e nelle sale da ballo. Nel 1936 ottiene la prima affermazione come compositore con il brano Conosco una fontana. La sua poliedrica vena compositiva, capace di non farsi imprigionare dai generi e aperta alle nuove influenze, sforna un gran numero di canzoni di successo come Appuntamento con la luna, Bellezza mia, Carolina bella, Francescamaria, La gelosia non è più di moda, Luna sincera, Mamma non vuole (rielaborazione del tema del “Capriccio italiano” di Ciaikovskij), Mamma Rosa, Melodie del fiume, Quando mi guardi, Quel fiorellin d’amore, Stornello a pungolo, Valzer dell’altalena, Una notte a Sorrento, Zampognaro e tante altre. Negli anni Sessanta abbandona di fatto la produzione musicale, salvo qualche sporadica eccezione, e s’impegna attivamente nella tutela dei diritti d’autore. Muore a Roma l’11 luglio 1980.