30 maggio, 2017

31 maggio 1969 – Un letto, alcuni amici e una canzone che resterà nella storia


Il 31 maggio 1969 John Lennon e la sua compagna Yoko Ono sono impegnati nell'ennesimo "bed-in" per protestare contro la guerra nel Vietnam. Cosa sono i "bed-in"? Nell'impostazione di Lennon rappresentano una sorta di "pacifismo integrale". In genere funziona così: lui e la sua compagna si rinchiudono in una stanza d'albergo e stanno a letto per tutta la durata del "bed-in". Non è, ovviamente, un fatto privato, ma pubblico in cui non c'è niente di ozioso. John Lennon e Yoko convocano conferenze stampa, diffondono documenti, tengono riunioni, incontrano amici e giornalisti, con il solo limite di… non scendere mai dal letto. Nonostante gli scetticismi questo modo di manifestare per la pace e per il ritiro delle truppe statunitensi dal Vietnam ha una sua peculiare efficacia. Non può essere esteso perché non tutti sono in grado di attirare l'attenzione dei media come un componente dei Beatles, ma in questo caso funziona. Il 31 maggio 1969 i due sono rinchiusi da qualche giorno nella camera 1742 dell’Hotel La Reine di Montreal, in Canada. Il programma della giornata prevede la consueta conferenza stampa e vari incontri con alcuni esponenti dei movimenti pacifisti statunitensi e canadesi. Nonostante gli impegni John Lennon ha cercato di lasciare un'oretta libera, totalmente a sua disposizione. Vuole verificare la fattibilità di un'idea che gli frulla da qualche tempo nella testa. Convoca alcuni amici e fa portare nella camera un normalissimo registratore portatile. Uno dopo l'altro arrivano Tommy Smothers, Petula Clark, Timothy Leary e Allen Ginsberg. A tutti John consegna un foglio sul quale ha scritto alcuni versi di una canzone da lui composta. Impugna quindi la chitarra e con calma ne fa ascoltare la musica. Per fissare meglio l'andamento della melodia, che sembra un po' ostico a Leary e Ginsberg, canticchia il motivo scandendo bene le parole. Spiega poi a tutti che è sua intenzione registrare la canzone seduta stante con la loro collaborazione diretta. Ciascuno, oltre a cantare a squarciagola sul ritornello, può scandire il tempo con il battito della mani, con un tamburello o anche picchiando con le nocche su una sedia. Quando tutti sono pronti accende il registratore e lascia sul nastro una canzone destinata a restare nella storia della musica e a diventare uno degli inni della lotta per la pace: Give peace a chance.


30 maggio 1987 – L’arresto di King Ad-Rock dei Beastie Boys


Il 30 maggio 1987 il tour del gruppo rap bianco statunitense dei Beastie Boys fa tappa a Liverpool. Reduci dal grande successo ottenuto con l'esibizione eurovisiva a Montreux, in Svizzera, stanno vivendo uno dei momenti migliori della loro carriera e il loro brano (You gotta) Fight for you right veleggia nelle prime posizioni dei dischi più venduti nel Regno Unito. I tre rappers mostrano di non dare peso ai detrattori che li accusano di essere un gruppo "di plastica" nato da una attenta e indovinata operazione di marketing. Lontani anni luce dalla caustica e violenta carica eversiva dei principali gruppi neri, hanno il loro punto di forza nella capacità di saldare un linguaggio giovanile ricco d'eccessi e di provocazioni verbali con una musica molto ritmata, a volte violenta, ma priva delle asprezze dei rapper più radicali. Il loro discorso politico si riduce a slogan di carattere generale blandamente "rivoluzionari", accompagnati da frasi d'effetto, ma sostenuti da una ritmica incalzante e decisamente in grado di trascinare ed emozionare. La contestazione del sistema da parte dei loro fans si limita alla rimozione del logo della Volkswagen e della Mercedes dalle auto in sosta. Nonostante tutto i loro concerti catalizzano migliaia di giovani che, adeguatamente provocati dal palco, scatenano spesso gigantesche risse destinate a lasciare sul terreno decine di feriti e contusi. A Liverpool è ancora vivo il ricordo di una precedente esibizione del trio al Royal Court Theatre nel mese di novembre e terminato con un violento e ripetuto scambio di lattine di birra tra palco e platea. Per questo il 30 maggio quando i Beastie Boys arrivano nel loro albergo non si stupiscono della presenza della polizia nella hall. L'atteggiamento della forza pubblica non è, però, protettivo. Dopo aver proceduto alla loro identificazione gli agenti arrestano King Ad-Rock, all'anagrafe Adam Horovitz, accusandolo di lesioni colpose. A suo carico c'è la denuncia di una ragazza, Jo-Anne Clarke, la quale sostiene che il rapper le avrebbe scaraventato addosso con violenza una lattina di birra durante gli incidenti scoppiati nel concerto di novembre. Rilasciato dietro il pagamento della cauzione King Ad-Rock potrà continuare il tour ma verrà condannato a risarcire lautamente i danni fisici e morali alla ragazza.

28 maggio, 2017

29 maggio 1989 – Tace la chitarra di Cipollina

Il 29 maggio 1989 un enfisema polmonare si porta via il chitarrista John Cipollina, uno dei più rappresentativi personaggi dell'underground californiano. Due mesi dopo avrebbe compiuto quarantasei anni. Il suo nome è legato a filo doppio alla breve, ma intensa, storia dei Quicksilver Messenger Service, una delle band tra le più rappresentative del movimento sviluppatosi nella seconda metà degli anni Sessanta in una San Francisco divenuta crogiolo di esperienze musicali diverse. John Cipollina è figlio d'arte. Sua madre, pianista classica di grande fama, gli insegna i segreti della tastiera fin da piccolo e, volendo fare di lui un grande musicista, lo affida alle cure del pianista spagnolo José Iturbi. Il ragazzo fa tesoro dell'esperienza, ma preferisce liberare la sua creatività attraverso un altro strumento: la chitarra. Musicista vero, sperimenta sulle corde del suo strumento preferito le differenti tecniche, dal flamenco al country blues. In breve tempo diventa uno dei chitarristi più innovativi del periodo. Nella burrascosa vicenda dei Quicksilver, falcidiati da droga, carcere e frequenti cambiamenti, è, forse, quello che maggiormente difende il progetto musicale iniziale, anche a dispetto della realtà dei fatti. Tra lui e la band c'è un rapporto di amore e odio che durerà ben oltre la fine del movimento hippie e della vita stessa del gruppo. È Cipollina a pensare per primo ai Quicksilver come gruppo aperto alle più varie collaborazioni, ma quando le contaminazioni ne mettono in dubbio l'ispirazione originale se ne va. Le sue non sono mai, però, rotture definitive. Nel 1970, già in polemica con il gruppo, ma senza lasciare i suoi compagni, dà vita all'esperienza dei Copperhead, una band parallela ai Quicksilver. Sono le prime avvisaglie di una crisi che finirà con lo scioglimento. Lui non si arrenderà. Tenterà di proseguire sulla stessa strada formando vari gruppi di breve durata tra i quali i più significativi saranno i Man.

27 maggio, 2017

28 maggio 1965 - Geronimo se ne va

«È morto Alfredo. S’è schiantato con la macchina mentre tornava a casa dopo una serata» Il 28 maggio 1965 uno schianto nella notte chiude la carriera artistica di Alfredo Mazzini, in arte Geronimo, il fratellino adorato da Mina. La cantante è sconvolta dalla notizia, perché la colpisce in un periodo in cui tutto sembra andare male. La morte di Alfredo la segnerà per sempre. Tra i due fratelli c’era un legame profondo. Quando lui aveva deciso di tentare la carriera musicale lei gli era stata accanto, l’aveva spronato, incoraggiato e aiutato a orientarsi nell’ambiente. Anche il suo nome d’arte, Geronimo, l’aveva scelto Mina dopo aver fatto notare una curiosa somiglianza tra il naso del fratello e quello del grande capo indiano. Discreto cantante e buon chitarrista era riuscito a costruirsi uno spazio fuori dall’ingombrante ombra della sorella. Dinoccolato e con l’aria svagata aveva conquistato il pubblico con uno stile chitarristico in cui si notavano le influenze degli interpreti statunitensi del rock and roll più morbido come Duane Eddy. Quando muore ha ventitré anni. Da poco aveva ripreso a esibirsi dopo la forzata interruzione dovuta al servizio militare.

27 maggio 1971 – Avanguardia e nuove tendenze in Versilia contro i "padroni della musica"

Il 27 maggio 1971 nella pineta di Lagomare, a Torre del Lago, vicino a Viareggio, inizia il Primo Festival della Musica d’Avanguardia e delle Nuove Tendenze, che resterà nella storia del pop italiano come il primo grande raduno giovanile di massa. Organizzato da Massimo Bernardi dura sette giorni e presenta una eccezionale rassegna di gruppi e artisti emergenti, molti dei quali sono destinati a diventare protagonisti della musica italiana degli anni Settanta. Il Festival che originariamente si doveva tenere a Viareggio, si svolge a Torre del Lago perché l’amministrazione comunale di Viareggio, temendo incidenti, ha revocato nelle ultime settimane l’autorizzazione a utilizzare il Palazzo dello Sport. Nella pineta del Lungomare di Torre del lago convergono decine di migliaia di giovani che suppliscono con la buona volontà all'assenza di strutture d'accoglienza. Per una settimana si esibiscono i migliori talenti del panorama rock e pop italiano. C’è anche una gara, e non poteva mancare, affidata a una sorta di "giuria di qualità" che comprende, tra gli altri, il d. j. Renzo Arbore e il giornalista Armando Gallo. I riconoscimenti principali vanno alla Premiata Forneria Marconi, a Mia Martini & la Macchina e agli Osanna. Premi speciali vengono assegnati ai Fholks, alla Nuova Idea e ai Delirium. L'elenco dei gruppi che nei sette giorni del Festival si esibiscono a Torre del Lago è nutritissimo. Ci sono il Rovescio della Medaglia, gli Stormy Six, gli italo-inglesi Godfathers, i Circus 2000, Le Madri, gli Alluminogeni, i Flea On The Honey e molti altri. Nel ruolo di ospiti d’onore fuori concorso arriva anche la Formula Tre, mentre il pop internazionale è rappresentato da due gruppi britannici: i Jerico Jones e i Medicine Head. Il programma prevedeva anche l’esibizione degli Strawbs, ma le potenzialità dell'impianto audio sono insufficienti per la band di Rick Wakeman che è costretta a rinunciare. Non mancheranno momenti di tensione legati alla carenza di strutture, di cibo e acqua e nella giornata di chiusura la parte più politicizzata dei gruppi di giovani presenti al Festival improvviserà una manifestazione contro i “padroni della musica” e contro gli inviati delle televisioni, delle radio e dei giornali, accusati di essere “servi dei padroni” e di occuparsi dei giovani solo "quando fanno colore”.

25 maggio, 2017

26 maggio 1960 – Little Tony, un italiano a Londra

Il 26 maggio 1960 il settimanale di musica e spettacolo “Il Musichiere” racconta di un giovane cantante italiano di rock and roll che sta conquistando il pubblico della Gran Bretagna. Il suo singolo Too good ha venduto oltre mezzo milione di copie in un mese e il ragazzo è risultato tra i personaggi più votati nel programma televisivo “Wham!”, insieme ad altri tre idoli degli adolescenti: Adam Faith, Cliff Richard e Craig Douglas. Ha diciannove anni e si chiama Antonio Ciacci, ma per i fans britannici ha assunto il nome d’arte di Little Tony. Le scarne note biografiche raccontano la storia di un figlio d'arte, che ha iniziato fin da piccolo ad accompagnare il padre, fisarmonicista e cantante, nelle feste di piazza e nei locali alla moda. Da qualche disco regalatogli da turisti americani scopre il rock and roll e se ne innamora. Ha quindici anni quando, nel 1956, nel corso di una serata in un ristorante di Grottaferrata, trova il coraggio di proporre insieme ai fratelli, uno di questi scatenati brani dal ritmo nero che arrivano d'oltreoceano. Il pubblico, composto prevalentemente da turisti americani, lo applaude entusiasta e lo incoraggia a continuare su quella strada. Poco tempo dopo pubblica un disco contenente quattro classici del periodo: Believe what you say, Lara lovin', I'm walking e Take me nice. Il prodotto è destinato a essere venduto direttamente al pubblico che assiste alle sue esibizioni. Sono proprio quelle incisioni ad attirare l'interesse del conduttore del programma televisivo britannico "Boys meet girls" che lo scrittura. È l'inizio della fortunata avventura di Little Tony. Il successo ottenuto in Gran Bretagna gli aprirà le porte della scena musicale italiana. Alla fine del 1960 tornerà in Italia e, in coppia con l'altro astro nascente Adriano Celentano, porterà il rock and roll al Festival di Sanremo con 24.000 baci. La sua carriera non si interromperà più e sarà costellata da milioni di dischi venduti.


25 maggio 1968 – Orrore! Al Brancaccio c'è un tale che si chiama Jimi Hendrix

Il 25 maggio 1968 il Teatro Brancaccio di Roma ha in cartellone un concerto di Jimi Hendrix. È il secondo e ultimo della breve permanenza romana del chitarrista la cui popolarità si sta diffondendo anche in Italia dopo il successo ottenuto al Festival di Monterey. Nonostante la buona campagna promozionale i giovani della capitale non fanno la fila per essere presenti all’appuntamento ed Hendrix si esibisce in un teatro che presenta numerosi posti vuoti. Non si tratta di disinteresse. I prezzi dei biglietti sono troppo alti per le tasche del pubblico giovanile, l'unico consumatore di questo tipo di musica e un destino analogo tocca anche ai Soft Machine, ai Pink Floyd, a Donovan e Julie Driscoll. Nemmeno il tour degli Who raccoglie i risultati sperati in termini d'incasso, nonostante l'affollamento di ragazzi fuori dai luoghi dove si svolgono i concerti. Qualche tempo dopo il problema del costo dei biglietti ai concerti, legato a quello della reale fruibilità della musica da parte dei giovani, diventerà esplosivo e provocherà grandi mobilitazioni di massa. Nonostante la non entusiasmante partecipazione di pubblico l'esibizione di Hendrix al Brancaccio è all'altezza della fama del chitarrista. Sugli spettatori si riversano le note acide della sua chitarra, ricche di distorsioni armoniche e di suoni elettronici puri, su un tessuto ritmico solido e aggressivo. Un'ovazione accoglie le note di Hey Joe, il brano del suo repertorio più conosciuto dal pubblico italiano, mentre il chitarrista canta con un accento americano molto marcato mangiandosi le parole del testo. Il risultato è una cadenza suggestiva e allucinata che contribuisce all'espressività dell'esibizione. Nei giorni successivi una parte dei critici italiani ignorerà l'evento, ma non mancheranno i commenti entusiastici. Tra tutti, però, quello che passerà alla storia sarà il giudizio dell'inviato del "Messaggero” di Roma, presentatosi all'appuntamento senza conoscere niente dell'artista. Alcune righe del suo articolo gli regaleranno l'immortalità tanto da essere ancora oggi citate come uno dei più clamorosi infortuni del giornalismo musicale italiano. Sono quelle in cui, volendo forse sintetizzare le sensazioni provate, così descrive l'esibizione del chitarrista: «Orrore al Brancaccio... la bruttezza di Jimi Hendrix è tale da superare i comuni concetti estetici».

23 maggio, 2017

24 maggio 1986 – È di nuovo Monkeemania!

Il 24 maggio 1986 si riformano i Monkees o ciò che resta di loro. Forse è meglio andare per ordine. In occasione del ventesimo anniversario della nascita dei Monkees, una delle band statunitensi più amate dagli adolescenti della fine degli anni Sessanta, la rete televisiva MTV manda in onda, per un giorno intero, i loro vecchi telefilm. Il risultato è incredibile e sorprendente. Senza che nessuno possa prevederlo riesplode la "Monkeemania". Sette vecchi album del gruppo, praticamente tutta la loro produzione di vent'anni prima, entrano prepotentemente in classifica, quasi che il tempo si fosse fermato. Di fronte a quest'ondata di nostalgia nasce la proposta di una riunione della band. L'idea trova l'entusiastica adesione di tre dei quattro componenti dei vecchi Monkees, Davy Jones, Mickey Dolenz e Peter Tork, mentre il quarto, Mike Nesmith, fa sapere di non avere nessuna voglia di «fare un salto nel passato». I tre non si arrendono. Per qualche tempo cercano un quarto elemento sottoponendo a selezione, come già era accaduto ai primi Monkees, vari candidati, tra i quali Jason, figlio dello stesso Nesmith e Dodd, figlio di Bobby Darin. Nessuno però si rivela all'altezza del ruolo, per cui alla fine decidono di continuare in tre. Il 24 maggio 1986, quindi, al Concord Hotel di Kiamesha Lake, nello stato di New York, si esibiscono nel primo di una lunga serie di concerti destinati ad accompagnare la breve, ma intensa, esplosione della "Monkeemania di ritorno". Il tour è concepito per trasformarsi in un inno alla nostalgia. I Monkees, infatti, sono supportati dalla reunion di altre band degli anni Sessanta come gli Herman’s Hermits, i Grass Roots e Gary Puckett & The Union Gap. L'ondata finirà per esaurirsi ma servirà alla promozione di due album vendutissimi: Missing links con vecchie registrazioni e Live con le esibizioni dal vivo. Verrà prodotto anche Pool it! con nuovi brani, ma avrà meno fortuna perché, si sa, la nostalgia non si nutre di novità

21 maggio, 2017

22 maggio 1959 – Don Cherry e Ornette Coleman, una tromba e un sassofono per l'Atlantic

Il 22 maggio 1959 due jazzisti ricchi di speranze e di idee ma non di successo entrano per la prima volta negli studi di Los Angeles dell'Atlantic. Uno si chiama Don Cherry e suona la tromba, il suo amico risponde al nome di Ornette Coleman ed è un fenomeno con il sassofono. Entrambi hanno alle spalle la solita trafila di concerti in vari club frequentati da appassionati di jazz. Da poco sono tornati a Los Angeles dopo un anno passato a New York a cercare fortuna senza trovarla. L'ambiente jazzistico li accusa di essere velleitari e presuntuosi. Fino a quel momento gli unici incoraggiamenti sono arrivati da un paio di abili improvvisatori come Cecil Taylor e Sunny Murray. È la seconda volta che varcano insieme le porte di una sala di registrazione per incidere un disco. La prima esperienza risale all'anno precedente quando, con la Contemporary, hanno inciso Something Else rivelatasi un fiasco. Nonostante le premesse l'Atlantic ha deciso di puntare su quei due squinternati strumentisti. Don Cherry e Ornette Coleman nella lunga seduta del 22 maggio registrano The shape of jazz to come e, al termine della registrazione vengono trattenuti da un funzionario della casa discografica per una "comunicazione ufficiale". In sostanza, l'Atlantic ha deciso che entrambi debbano andare alla scuola musicale di Lennox, nel Massachusetts, dove insegnano alcuni tra i migliori jazzisti di quel periodo come Max Roach, Milt Jackson, John Lewis e Bill Russo tra gli altri. Per le spese non devono preoccuparsi: pagherà tutto la casa discografica. La scelta rappresenterà l'inizio della scalata al successo e alla popolarità di entrambi. Proprio alla scuola di Lennox troveranno in John Lewis un entusiasta estimatore delle loro qualità, che li aiuterà a definire meglio uno stile destinato a rivoluzionare il jazz. La portata innovatrice delle loro concezioni musicali troverà, nel mese di ottobre dello stesso anno, la prima conferma nell'album Change the century.

20 maggio, 2017

21 maggio 1948 – Leo Sayer, clown triste per necessità

Il 21 maggio 1948 a Shoreham nel Sussex nasce Leo Sayer, un personaggio destinato a lasciare un segno nella musica pop britannica e non solo. Il pubblico si accorge di lui per la prima volta nel 1973 quando arriva improvvisamente al successo sia come autore che come cantante. Come autore scrive, in coppia con Dave Courtney, Giving it all away e le altre canzoni di Daltrey, il primo album da solista del cantante degli Who Roger Daltrey mentre come cantante scala le classifiche con l'album Silverbird e il singolo The show must go on, registrati nello studio personale dello stesso Daltrey. Sono gli anni del “glam”, un periodo in cui ogni interprete deve caratterizzarsi attraverso un personaggio fantastico da proporre, spesso con rutilanti travestimenti, all’immaginazione del pubblico. A questa regola non riesce a sfuggire neppure Leo che essendo piccolo di statura, esile e con una voce acuta, sceglie di presentarsi al pubblico travestito da clown triste. Il suo successo, ben sostenuto dalle canzoni composte in coppia con David Courtney e dall'abile guida di un manager come Adam Faith, continua con gli album Just a boy e Another year e con i singoli One man band, Long tall glasses e Moonlighting che, tra il 1974 e il 1975, ne fanno uno degli artisti più acclamati. Dopo la rottura con Dave Courtney, sostituito dall'ex Supertramp Frank Farrell, Sayer concentra la sua attenzione sul mercato statunitense portando al successo il singolo You make me feel like dancing e l'album Endless flight, prodotto da Richard Perry. Nel 1977 When I need you, un altro singolo estratto da quest'album, arriva al primo posto in classifica sia negli Stati Uniti che in Inghilterra. All'apice della sua carriera, Leo conferma il successo statunitense con gli album Thunder in my heart e Leo Sayer, entrambi prodotti da Richard Perry, e con i singoli Thunder in my heart, I can't stop lovin' you e Raining in my heart. Nel 1979, oltre all'antologico The very best, pubblica l'album Here, prodotto da David Courtney, che sembra preludere al suo declino. Proprio in quel periodo, però, Leo trova un nuovo partner in Alan Tarney, il leader della Tarney-Spencer Band, un eccellente autore, arrangiatore e produttore, che contribuisce a rinnovare il suo stile e il suo repertorio. Una nuova fase nella sua carriera viene aperta agli inizi degli anni Ottanta dall'album Living in a fantasy realizzato con Alan Tarney al basso e alle tastiere e Trevor Spencer alla batteria e dai singoli More than I can say e World radio che segnano il suo ritorno al successo. I tempi d’oro, però, sono lontani. Nel 1983 Leo Sayer debutta con un suo show televisivo e abbandona progressivamente la scena musicale, preferendo coltivare altri interessi.

19 maggio, 2017

20 maggio 1960 – Silver Beetles, gli anonimi scarafaggi d'argento

Il 20 maggio 1960 i futuri Beatles John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e il loro amico Stu Sutcliffe sono in Scozia e possono finalmente tirare un sospiro di sollievo. Per qualche tempo hanno temuto di non trovare più nessuno disposto a pagarli per suonare. Solo un paio di settimane prima si aggiravano per le strade di Liverpool con il morale a pezzi e le tasche vuote, dopo essere stati scartati dalla commissione incaricata di selezionare i componenti della nuova band del cantante di rock and roll Billy Fury. Eppure, quando ormai non lo speravano più, la ruota della fortuna ha ripreso a girare. La fortuna ha il volto e il nome del cantante Johnny Gentle, uno dei protagonisti minori della musica leggera britannica di quel periodo che, rimasto senza strumentisti e non disponendo di una grande cifra per pagarli, ha ingaggiato i quattro ragazzi di Liverpool. John, Paul, George e Stu non hanno avuto nemmeno il coraggio di discutere il prezzo, nel timore che il management del cantante si tirasse indietro. Anzi, hanno accettato una condizione aggiuntiva: «È ovvio che voi quattro non potete bastare. Vi manca un batterista. Quindi nel prezzo pattuito è compreso anche un quinto elemento che suoni la batteria...» Nessun problema. Fanno un fischio a Tommy Moore, un loro amico che se la cavicchia con tamburi, piatti, rullante, bacchette e spazzole e il gruppo è completato. Il 20 maggio 1960 sono, quindi, in Scozia per il concerto che segna l'inizio del tour. Le canzoni di Johnny Gentle non piacciono ai ragazzotti di Liverpool che, pur avendo sempre utilizzato il nome di Quarrymen, decidono di dare all'improvvisato gruppo il nome di Silver Beetles, scarafaggi d'argento. Il cambiamento di nome non è casuale. I cinque si vergognano un po' di suonare ogni sera le canzoncine del repertorio del cantante e temono i lazzi dei loro amici di Liverpool. McCartney, Sutcliffe e Harrison temono in modo particolare il momento in cui Johnny Gentle presenterà agli spettatori i musicisti che l'accompagnano e il loro nome risuonerà nella sala. Decidono pertanto di darsi uno pseudonimo. Così la sera del 20 maggio in Scozia Gentle non pronuncerà il nome di Paul McCartney ma quello di Paul Ramone, mentre Stu Sutcliffe diventerà Stuart da Stäel e George resterà Harrison ma cambierà nome nel più anonimo Carl.

19 maggio 1953 – Grace Jones tra dance e cinema

Il 19 maggio 1953 nasce a Spanish Town, in Giamaica, Grace Jones. A dodici anni si trasferisce con i suoi genitori a Syracuse, negli Stati Uniti. Quando ancora frequenta il college inizia a lavorare come modella per la Wilhelmina Modeling Agency di New York. Si trasferisce poi a Parigi dove il suo fascino molto aggressivo colpisce il fotografo Jean Paul Gode, il primo a ritenere che le sue potenzialità artistiche non possano essere sprecate sulle passerelle di moda. Divenuto suo manager le procura le prime scritture cinematografiche in film non destinati a entrare nella storia del cinema, se si eccettua una comparsata nello splendido "La guerra di Gordon" del 1973. Dotata di una voce roca e sensuale debutta come cantante nel 1977 con Windstorm, cui seguono vari singoli tra cui una personale e decadente versione de La vie en rose. In breve tempo si afferma come uno dei personaggi più convincenti della Dance. Il suo stile e la sua personalità appassionano il pubblico e affascinano gli intellettuali. Il successo non le toglie la voglia di rinnovare la propria immagine e di sperimentarsi. Nel 1980 si chiude nei Compass Point Studios di Nassau per registrare con un gruppo di musicisti come Michael "Mao" Chung, Wally Badarou, Sly Dunbar e Robbie Shakespeare, l'album Warm leatherette, prodotto da Chris Blackwell e Alex Sadkin. Il disco convince anche la critica più esigente. Da quel momento Grace si allontana definitivamente dal logoro cliché della discomusic e s'inerpica in una sorta di mix tra vari generi, fondendo la Dance e il reggae con ritmi di derivazione jazzistica. Tra i brani più significativi di questo periodo ci sono Nightclubbing, composto per lei dalla coppia formata da Iggy Pop e David Bowie e I've seen that face before, un'originale versione di Libertango di Astor Piazzolla. Il cambiamento d'immagine è accompagnato dal ritorno sullo schermo in film di cassetta come "Conan il distruttore" e "007 Bersaglio mobile". A partire dal 1986 la sua stella inizia ad appannarsi e il declino è accelerato dal sostanziale disinteresse dell'ambiente. Problemi personali e notevoli difficoltà economiche caratterizzeranno la sua attività alla fine degli anni Ottanta più della produzione di un paio di album di scarso successo e film da dimenticare come "Vamp" o "Boomerang".

18 maggio, 2017

18 maggio 1980 – Si uccide Ian Curtis, il fragile cuore dei Joy Division

Il 18 maggio 1980, alla vigilia del primo tour statunitense della sua band, Ian Curtis, il cantante dei Joy Division, si impicca nella sua abitazione di Manchester. La crisi del suo matrimonio e, soprattutto, i primi chiari ed evidenti sintomi di un’epilessia progressiva hanno minato la sua voglia di vivere. In casa viene ritrovato un biglietto scritto qualche giorno prima sul quale il cantante ha vergato di suo pugno una frase che assume il valore di un addio: «In questo momento desidero essere morto. Non ce la faccio più». Con la fine del "leader dal cuore fragile", come viene definito Ian Curtis in uno dei tanti articoli postumi scritti su di lui, si chiude la storia dei Joy Division, una delle band simbolo del post punk inglese degli anni Settanta. L'avventura inizia a Manchester nel 1976, quando tre compagni di scuola, il chitarrista Bernard Dickin detto anche Bernard Albrecht o Bernard Sumner, il bassista Peter Hook e il batterista Terry Mason formano gli Stiff Kittens. Dopo il debutto all'Electric Circuit di Manchester ai tre si aggiunge Ian Curtis, un giovane assistente sociale di Macclesfield. Il suo stile vocale e i suoi testi saranno fondamentali per il salto di qualità della band. Dopo aver cambiato nome in Warsaw, sostituiscono Terry Mason con il batterista Steve Morris, concittadino di Ian Curtis e, alla fine, accettano la proposta dello stesso Curtis e assumono il nome definitivo di Joy Division. La scelta non è casuale, visto il loro impegno antifascista. Il nome infatti è lo stesso dato dai nazisti agli spazi dei campi di concentramento destinati alla prostituzione delle detenute. Un paio di dischi prodotti dalle etichette indipendenti precedono il debutto radiofonico della band nella popolarissima "John Peel session" su Radio One il 31 gennaio 1979. Nell'estate dello stesso anno, l'album Unknown pleasures arriva al primo posto delle classifiche indipendenti inglesi. Il 1979 si conclude con la seconda "John Peel session" e con la pubblicazione del singolo Transmission. Il suicidio di Curtis trasforma la band in un mito. Nonostante le offerte i tre membri superstiti non ne prolungheranno la storia per rispetto della memoria del loro leader e, con l'aggiunta del tastierista e cantante Gillian Gilbert, ne continueranno il discorso assumendo la denominazione di New Order.

17 maggio, 2017

17 maggio 1959 – Elena Ledda, tra jazz e Sardegna

Il 17 maggio 1959 nasce a Selargius, in provincia di Cagliari, la cantante Elena Ledda. Il suo debutto nel mondo dello spettacolo avviene nel 1968 quando, con l'incoscienza dei suoi nove anni sale sul palco in una festa di piazza a Quartucciu, in provincia di Cagliari. L'esperienza improvvisata segna il suo destino. A dodici anni si unisce al gruppo folk di Quartucciu con cui resta fino al 1975. Negli stessi anni studia oboe e canto al Conservatorio di Cagliari e, insieme al fratello, il chitarrista Marcello Ledda, gira per le piazze della sua isola proponendo brani della tradizione sarda. Tra il 1977 e il 1978 lavora anche in teatro con la Cooperativa Teatrale Sardegna. Il suo debutto discografico avviene nel 1979 con la pubblicazione dell'album Ammentos. Nello stesso periodo entra a far parte del gruppo Suonofficina con cui si esibisce in una lunga serie di concerti. Due anni dopo forma insieme a vari musicisti di scuola classica Quelli dell'Orco Nuovo, una formazione impegnata nel recupero della musica antica italiana ed europea. In contemporanea con la pubblicazione del suo secondo album Is arrosas collabora anche alla realizzazione dell'album White winds di Andreas Vollenweider, che l'ha notata nella sua esibizione al Festival di Maur, in Svizzera, e l'ha voluta al suo fianco. Quest'esperienza le apre le porte della grande musica internazionale, in particolare le dà la possibilità di confrontarsi con i protagonisti della scena jazz. Nel 1987, chiusa l'esperienza di Suonofficina, fonda con Mauro Palmas i Sonos, una band che tenta di fondere la musica tradizionale sarda con il jazz e l'anno dopo scrive, con lo stesso Palmas e Alberto Balìa, il musical "Far away wave", rappresentato durante i festeggiamenti del bicentenario della fondazione dell'Australia. Conosciuta e stimata dagli addetti ai lavori collabora con moltissimi jazzisti come, tra gli altri, Don Cherry, Nana Vasconcelos, Lester Bowie, Fodè Joulè ed Enrico Rava.

16 maggio, 2017

16 maggio 1969 - Gli Who malmenano un poliziotto


Il 16 maggio 1969 gli Who si esibiscono al Fillmore East di New York. Lo scenario è quello che da qualche tempo accompagna i concerti della band, soprattutto nelle esibizioni statunitensi: una folla impressionante di ragazze e ragazzi che si accalca urlante sotto il palco mentre il servizio d'ordine è impegnato con molta fatica a contenere l'entusiasmo dei più agitati. Ogni tanto qualcuno riesce a passare il primo cordone di sicurezza e ad avvicinarsi pericolosamente al palco prima di essere riacciuffato e ributtato indietro di peso dagli addetti al servizio d'ordine. È un gioco pericoloso, ma sembra che i fans lo trovino divertente al punto che fa ormai parte del tradizionale scenario dei concerti degli Who. In quel 16 maggio però avviene un evento imprevedibile. Nel palazzo vicino al luogo del concerto scoppia un incendio. L'assordante volume dell'amplificazione e la quasi completa insonorizzazione del locale impediscono agli spettatori chiusi nel Fillmore East di accorgersi che all'esterno c'è una situazione d'emergenza. In realtà non c'è alcun pericolo diretto perché le fiamme sono a una distanza tale da non poter minacciare direttamente né tantomeno raggiungere il locale che ospita il concerto degli Who. I responsabili dell'ordine pubblico temono però che al termine dell'esibizione della band l'uscita massiccia di centinaia di persone e l'inevitabile confusione possano creare problemi ai vigili del fuoco impegnati nello spegnimento. Dopo un breve consulto viene presa la decisione di avvertire gli spettatori del concerto di quanto sta succedendo all'esterno, spiegando che non ci sono rischi ma invitandoli a defluire con calma e attenzione. Via radio vengono informati della decisione gli agenti in borghese all'interno del Fillmore East con la raccomandazione di evitare panico inutile. L'ordine è quello di avvertire al pubblico alla fine del concerto, chiedendo magari la collaborazione dei musicisti del gruppo per ottenere l'attenzione necessaria. Uno dei poliziotti in servizio però, a dispetto degli ordini ricevuti, decide di fare da solo senza aspettare la conclusione del concerto. Mentre Roger Daltrey il cantante degli Who sta presentando al pubblico un brano. L'agente, che è in borghese, balza sul palco e tenta di impossessarsi del microfono. Il chitarrista Pete Townshend, pensando di trovarsi di fronte a uno squilibrato sfuggito al servizio d'ordine si lancia verso di lui  e prima che l'uomo riesca a qualificarsi lo colpisce con un tremendo calcio. Gli Who di quel periodo sono tipetti tosti e abituati a menar le mani. E così mentre il malcapitato cade a terra il bassista John Entwistle, prima ancora di verificare chi sia il disturbatore, gli fracassa lo strumento sulla schiena. Vedendo il collega malmenato i poliziotti presenti nel locale si muovono velocemente verso il palco tentando di intervenire ma non ce la fanno a oltrepassare un servizio d'ordine allenato a reggere l'urto dei fans esagitati e vengono respinti. Nel parapiglia che segue anche il pubblico fa la sua parte e per alcuni minuti il concerto si trasforma in una gigantesca rissa. Pian piano ci si rende conto della serie di equivoci da cui tutto è nato e, sia pur con qualche difficoltà, torna la calma. Il concerto però non può più riprendere perché il responsabile delle forze dell'ordine interne al locale decide di arrestare Pete Townshend per aggressione nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Il chitarrista passerà la notte in carcere e soltanto il giorno dopo riuscirà a dimostrare la sua buona fede.

15 maggio, 2017

15 maggio 1965 – Roger Miller, King of the road

Il 15 maggio 1965 arriva al vertice della classifica britannica dei dischi più venduti il brano King of the road. La patria dei Beatles, centro della rivoluzione musicale della nuova generazione di adolescenti d'assalto, incorona sorprendentemente uno dei grandi personaggi del country statunitense, il ventinovenne Roger Miller. Il brano è in sintonia con il suo interprete, un po' spaccone e un po' vagabondo, come si addice a un cow boy fuori tempo. Il suo debutto come cantante risale agli anni Cinquanta quando dalla natia Forth Worth si trasferisce nella mitica Nashville per cercare fortuna. Qui sbarca il lunario componendo canzoni e accettando vari ruoli nei gruppi country. Preferisce cantare e suonare la chitarra, ma non disdegna di cimentarsi anche con altri strumenti, purché qualcuno lo paghi. In questo periodo accetta persino di suonare la batteria con Faron Young. Il suo fisico da "americano bianco" fa il resto, tanto che nei primi anni Sessanta trova modo di lavorare anche come attore. Nonostante l'apparenza, dietro la scorza da ragazzone c'è stoffa. Per molto tempo si accontenta di pubblicare canzoncine senza pretese, ma la storia cambia dopo l'esplosione del beat e l'invasione del mercato statunitense da parte dei gruppi britannici. Le case discografiche, in difficoltà, accettano di correre qualche rischio in più. Ormai ventottenne il ragazzone riesce così a centrare un paio di successi nel 1964 con i singoli Dang me e Chug a lug. L'anno dopo fa meglio e vince sette Grammy: cinque per King of the road e due per l'album The return of Roger Miller. L'elemento più straordinario del suo exploit resta, però, la capacità di conquistare il mercato del "nemico" britannico. Un paio d'anni dopo è già tornato nella normalità, anche se la sua carriera continuerà per anni nel circuito country. Nel 1985 il suo musical "Big River", ispirato a "Huckleberry Finn" di Mark Twain, vincerà il Tony Award per il miglior musical dell'anno.

13 maggio, 2017

13 maggio 1939 – Neil Sedaka, un uomo tranquillo e imperturbabile

Il 13 maggio 1939 nasce a Brooklyn il cantante e autore Neil Sedaka. Figlio di un tassista appassionato di pianoforte viene costretto fin da piccolo a passare gran parte delle giornate davanti alla tastiera. A quattordici anni frequenta l'Abraham Lincoln High School, dove stupisce i suoi compagni cantando le sue prime composizioni. Tra gli ascoltatori c'è anche un altro quattordicenne, si chiama Howard Greenfield ed è uno dei più brillanti nelle prove di composizione letteraria. I due si integrano alla perfezione: Neil scrive la musica e Howard le parole. Proprio all'Abraham nasce così, con un amicizia adolescenziale, una della coppie d'autori più prolifiche della storia della musica pop cui si deve la composizione di oltre cinquecento canzoni. Dopo il liceo Sedaka supera brillantemente la prova d'accesso alla prestigiosa Juilliard School che si svolge davanti a una giuria presieduta dal famoso compositore e direttore d'orchestra Arthur Rubinstein. Nel 1956, a diciassette anni, forma la sua prima band: i Tokens. Due anni dopo firma, insieme all'inseparabile Greenfield, un contratto editoriale con la Aldon Music e inizia a produrre brani di successo come I waited too long per LaVerne Baker, Since you've been gone per Clyde McPhatter e la famosissima Stupid cupid per Connie Francis. Il successo come autore non gli toglie la voglia di cantare. Nel 1958 centra il suo primo successo come cantante con The diary, una canzone inizialmente composta per Little Anthony & The Imperials. Visti i risultati ci prende gusto e pubblica una lunga serie di brani destinati a scalare le classifiche di tutto il mondo come la splendida Oh Carol, dedicata a Carole King. L'avvento del beat non lo sorprende e non cambia la sua carriera. Fedele alla sua immagine di uomo tranquillo e imperturbabile riduce la produzione discografica e le esibizioni come cantante scegliendo di dedicarsi quasi esclusivamente alla composizione con il fido Greenfield. Alla genialità compositiva del duo devono parte del loro successo alcuni protagonisti della scena musicale degli anni Sessanta e Settanta come i Monkees, Andy Williams, Fifth Dimension, Tom Jones e altri. Vivrà un nuovo breve momento di popolarità come interprete nel 1975 quando Elton John lo convincerà a tornare in sala di registrazione per la sua etichetta Rocket Record.

12 maggio, 2017

12 maggio 1942 – Italo Janne, il socio della Strambelli

Il 12 aprile 1942 nasce a Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, il cantautore Italo Janne. Studia svogliatamente la chitarra e quando nei primi anni Sessanta la famiglia si trasferisce a Venezia inizia a frequentare i primi locali alternativi. Qui costituisce un duo con una certa Nicoletta Strambelli, destinata a diventare famosa con il nome di Patty Pravo. Stanco del ruolo di "socio della Strambelli", si imbarca su una nave che gironzola tra il Mar Rosso e l'Oceano Pacifico e intrattiene i passeggeri con le canzoni. Probabilmente il suo destino sarebbe lo stesso di tanti suonatori vagabondi dell'epoca, se il caso non gli avesse fatto incontrare Gianni Meccia e Bruno Zambrini che lo convincono a fermarsi a Milano. Dotato di una voce estesa e robusta, nel 1970 ottiene uno straordinario exploit commerciale con Centomila violoncelli, una sua canzone che fa da sigla a una serie televisiva de "Le avventure del tenente Sheridan". Da quel momento continua a lavorare in proprio e per altri, anche se non riesce più a ripetersi al livello del suo primo successo. No Lucky no e Lavora ragazzo sono gli unici brani degni di nota di questo periodo. Nel 1971 centra un nuovo successo commerciale con Supersonic band, un brano leggero leggero che fa da sigla a un programma radiofonico. I tempi sono, ormai cambiati, come del resto i gusti del pubblico e il buon Italo tenta di riciclarsi con un'operazione di restyling cambiando immagine e nome. Nasce così il personaggio di Jerry Mantron, destinato a finire ben presto tra le tante stranezze prodotte dall'ambiente musicale italiano. Lui per un po' se la prende con il destino, ma poi alza le spalle e se ne va. Torna a suonare nei piano bar e continua a scrivere nuovi brani sperando di trovare qualcuno disposto a interpretarli, come accade nel 1987 quando il vecchio amico Fausto Leali porta la sua Io amo al Festival di Sanremo.

11 maggio, 2017

11 maggio 1985 - Morire a diciannove anni in Vietnam

L'11 maggio 1985 arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti 19 (Nineteen), un brano di Paul Hardcastle che ha avuto più di qualche problema per poter essere pubblicato negli Stati Uniti. Si tratta, infatti, di una composizione antimilitarista, scritta a quattro mani dallo stesso interprete insieme a Mike Oldfield, il cui titolo è un esplicito richiamo all'età media (diciannove anni) dei ragazzi mandati dagli Stati Uniti a morire nella "sporca guerra" del Vietnam. A trentadue anni il produttore, solista e "mago" del synth Paul Hardcastle firma in proprio il suo primo successo commerciale. Considerato uno dei più abili creatori di atmosfere sonore di un periodo in cui la New Age è soltanto uno stile musicale, non ama presentare direttamente le sue composizioni, mentre i suoi arrangiamenti e la sua capacità di remixare fanno la fortuna di un numero incredibile di artisti. Dopo anni di oscuro lavoro in studio nel 1981 si unisce ai Direct Drive, gruppo che lascia nel 1983 insieme a Derek Green per formare i First Lights. In quel periodo si fa convincere anche a pubblicare due canzonette pop Explain the reason e Wish you where here che ottengono scarsi risultati. L'anno dopo decide di mettersi in proprio. Fonda una propria casa discografica, la Total Control, con la quale pubblica il singolo You're the one for me che precede il grande successo di 19 (Nineteen). Visti i risultati ci prende gusto e continua sulla stessa strada con una serie di brani tra i quali spicca, nel 1986, il nuovo successo discografico di Don't waste my time affidato alla voce di Carol Kenion. Nuove polemiche suscita il brano Just for money nel quale utilizza, tra le varie voci, anche quella di Ronald Biggs, uno degli autori della rapina del treno postale Glasgow Londra. Parallelamente all'attività in proprio si diverte anche a produrre dischi di genere più scanzonato come Papa's got a brand new pigbag con lo pseudonimo di Silent Underdog.

10 maggio, 2017

10 maggio 1969 – I Turtles hanno "sniffato" sul tavolo di Lincoln?

Il 10 maggio 1969 due gruppi particolarmente significativi vengono invitati a esibirsi alla White House, la Casa Bianca, di Washington in occasione di una delle tante feste che si svolgono nella residenza del Presidente degli Stati Uniti d'America. L'occasione è offerta da una sorta di "gala" in onore dei giornalisti accreditati. Gli "intrattenitori" d'eccezione sono il gruppo vocale dei Temptations e i Turtles. Proprio la presenza di questi ultimi, alfieri dell'ala più ironica e dissacrante del movimento hippie, sono un po' la novità della serata. Quando si era diffusa la notizia dell'invito in molti avevano scommesso sul loro forfait, ma nonostante le pessimistiche previsioni la band si presenta regolarmente sulla pedana allestita per l'occasione presentando una rassegna dei suoi brani più conosciuti, compresi quelli contenuti nell'album Turtle soup, fresco di sala di registrazione. L'austerità del luogo non li impressiona e gli intervenuti vengono trascinati nella consueta sarabanda di suoni, ritmi, battute e paradossi che caratterizza i loro concerti, compreso un appello a «lasciar perdere» la guerra del Vietnam. L'anima della band è rappresentata, come sempre, dai due imprevedibili istrioni Howard Kaylan e Mark Volman. Quando i Turtles chiudono, con un goffo ed esagerato inchino, la loro esibizione gli addetti al protocollo possono finalmente rilassarsi: non è successo niente. Non è così. Nei giorni successivi, infatti, i giornali riferiscono che proprio Kaylan e Volman, prima dell'esibizione avrebbero “sniffato” coca appoggiandosi all'antico e storico tavolo di Abramo Lincoln. Lo scandaloso comportamento, perfettamente in sintonia con lo spirito dissacrante della band, non verrà mai né confermato né smentito dai diretti interessati. L'esibizione alla Casa Bianca non porta troppa fortuna. Di lì a poco infatti inizierà della dissoluzione della band. Il primo ad andarsene è il chitarrista Jim Tucker e poi il batterista John Barbata, sostituito da John Seiter, già con gli Spanky & Our Gang. Il gruppo sembra ritrovare equilibrio ma la fine è solo rinviata di un anno. Nel 1970, dopo l'album Woodenhead, i Turtles si separeranno. Le due "pietre dello scandalo" Kaylan e Volman si uniranno ai Mothers of Inventions di Frank Zappa partecipando alla registrazione degli album Chunga's Revenge, 200 motels, At the Fillmore East e Just another band from L.A. Non sarà l'ultima tappa della carriera perché qualche anno dopo daranno vita all'eccentrico duo Flo & Eddie o, per citare la denominazione intera, The Phlorescent Leech & Eddie.

09 maggio, 2017

9 maggio 1974 – Ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen

Il 9 maggio 1974 il Charley's di Harvard Square a Cambridge, nel Massachusetts ospita un concerto di Bonnie Raitt. La rockstar ha chiamato a farle da spalla un giovane artista con il compito di "scaldare il pubblico". Si chiama Bruce Springsteen e, tra i giovani della zona, è già una mezza celebrità. Confuso tra il pubblico c'è Jon Landau uno dei critici rock più influenti degli Stati Uniti, titolare di seguitissime rubriche sul prestigiose riviste musicali come Rolling Stone e Real Paper. Quella sera non è in servizio. Ha deciso di andare al concerto di Bonnie Raitt per rilassarsi un po' e per festeggiare il suo ventisettesimo compleanno. Quando sale sul palco Bruce Springsteen resta fulminato dalla sua carica e dal suo carisma. Dopo due ore ininterrotte di musica torna a casa in preda all'eccitazione. Si rigira a lungo nel letto aspettando di prendere sonno, ma non gli riesce. Per questo nelle prime ore del mattino, si siede dietro alla macchina da scrivere e butta giù di getto un articolo per Real Paper: «Sono le quattro del mattino e piove. Ho appena compiuto ventisette anni e mi sento vecchio ascoltando i miei dischi e ricordando come erano diverse le cose soltanto dieci anni fa. Ma stanotte c'è qualcuno di cui posso scrivere nel modo in cui scrivevo dieci anni fa, senza riserve di nessun tipo. Ieri all’Harvard Square ho visto il passato del rock and roll balenarmi davanti agli occhi. E ho visto anche qualcos’altro: ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen. E in una notte in cui ho avuto bisogno di sentirmi giovane, mi ha fatto sentire come se stessi ascoltando musica per la prima volta». Quelle poche righe segnano il futuro di Bruce Springsteen e sono destinate a entrare nella storia del rock. In poche settimane l'etichetta "il futuro del rock and roll" fa il giro del mondo. Il cantante si ritrova sottoposto a enormi pressioni da parte della casa discografica CBS intenzionata a realizzare al più presto un album all'altezza delle sue performance dal vivo. Alcuni mesi dopo verrà pubblicato Born to run, una sorta di ponte stilistico tra passato e futuro che diventerà un classico fin dal primo giorno di distribuzione. Toccherà a un altro critico statunitense, Greg Marcus, scriverne l'apologia: «Chiunque ami il rock and roll è costretto a confrontarsi con questo lavoro, con il suo catalogo di stili, con la sua musica ruvida e forte, con le liriche che fondono insieme le speranze più luminose e alcuni aspetti più oscuri del sogno del rock and roll».

08 maggio, 2017

8 maggio 1964 – La prima volta di Mayall

L'8 maggio 1964 arriva nei negozi britannici il primo singolo di John Mayall & The Bluesbreakers. Contiene i brani Crawling up a hill e Mr. James. Il leader della band non è un giovanissimo. Con i suoi trent'anni suonati John Mayall segna un'inversione di tendenza nella moda "giovanilistica" del periodo. In più è un disco che propone un blues sanguigno, decisamente nero e con nessuna concessione alle esigenze di mercato. Bluesman per passione, il ragazzone bianco si guadagna da vivere lavorando come vetrinista e grafico. Avrebbe continuato così per sempre se pochi mesi prima non l'avesse ascoltato per caso Alexis Korner, uno dei più appassionati divulgatori del blues in Gran Bretagna. È lui che gli trova un contratto discografico e gli dà una mano per formare la band. Pochi giorni prima di incidere il disco nascono così i Bluesbreakers con il chitarrista Bernie Watson, il bassista John McVie, tra i futuri fondatori dei Fleetwood Mac, e il batterista Peter Ward, sostituito nello studio di registrazione dal più sicuro sessionman Martin Hart. Il singolo segna l'inizio della lunga carriera di Mayall e della sua band considerata una fucina di talenti. Da quel momento aver suonato con lui diventerà una sorta di attestato di qualità, una patente di buon musicista. Negli anni Sessanta la "scuola Mayall" sfornerà un numero incredibile di personaggi destinati a entrare nella storia del rock. Nelle oltre trenta formazioni della band passeranno, tra gli altri, chitarristi come Eric Clapton, Peter Green, Mick Taylor, Jerry McGee e Harvey Mandel, bassisti come John McVie, Jack Bruce, Rocky Brown e Steve Thompson e batteristi come Sam Stone, Keith Robertson, Ginger Baker, Peter Ward, Aynsley Dumbar, Mike Fleetwood, Keef Hartley e Jon Hiseman. Dall'esperienza nasceranno band fondamentali come i Cream, i Blind Faith, i Fleetwood Mac, i Family, i Juicy Lucy, i McGuinnes-Flint, l'Aynsley Dumbar Band, la Keef Harley Band, i Free, i Colosseum e molti altri.

07 maggio, 2017

7 maggio 1951 – Janis Ian star del folk a quindici anni

Il 7 maggio 1951 nasce a New York la folk singer Janis Ian. Ragazza prodigio, nel 1966, a soli quindici anni, diventa famosa negli ambienti folk americani con la canzone antirazzista Society's child, la storia di un amore impossibile tra una ragazza bianca e un ragazzo nero. Questo brano, se da una lato le consente di essere rapidamente inserita nell'élite del folk americano, dall'altro contribuisce a suscitare esagerate aspettative nei suoi confronti, quasi che Janis possa essere la nuova Joan Baez. Il risultato inevitabile di questa eccessiva forzatura è che i suoi primi album Janis Ian (1967), For all the season of the mind (1968) e The secret miles (1969) vengono sottovalutati perché considerati inferiori alle attese. La stessa Janis Ian, travolta dagli eventi e avvilita dalle critiche matura la decisione di lasciare la musica. È un peccato perchè la ragazza non è Joan Baez ma è tutt'altro che una delusione. La prova è che i suoi album, liberati dal clima d’attesa della loro pubblicazione, qualche anno dopo verranno recuperati dalla critica che ne riconoscerà l'originalità e la forte espressività. Appena maggiorenne si sposa e si trasferisce a Philadelphia con il marito Peter. Per la verità pubblica ancora più per obblighi contrattuali che per reale convinzione gli album Who really cares (1969) e Present company (1971). La sua decisione di farla finita con l'ambiente musicale durerà fino al 1974 quando la CBS riescirà a convincerla a lavorare a un nuovo album. Nello stesso anno verrà pubblicato Stars (1974), che farà da preludio allo splendido Between the lines (1975), il cui brano At seventeen, pubblicato in singolo arriverà al primo posto delle classifiche statunitensi. Nello stesso anno Joan Baez le farà un pubblico omaggio includendo alcuni suoi brani nel suo album Diamonds at rust (1975).

06 maggio, 2017

6 maggio 1945 – Bob Seger, l'operaio della musica

Il 6 maggio 1945 nasce ad Ann Arbor, nel Michigan, Bob Seger, uno dei più grandi talenti del rock statunitense. La città nella quale vede la luce è una sorta di "dormitorio" per gli operai che lavorano nella vicina "città dei motori" di Detroit. Anche suo padre, dopo essere stato il leader di una big band, fa l'operaio nell'industria automobilistica. Quando si stanca e se ne va lasciando la madre con il peso di due figli da crescere, per il piccolo Bob la musica si trasforma in una valvola di sfogo per dimenticare la realtà. Dopo le esperienze con alcune garage-bands come i Town ed i Decibel, diventa il tastierista degli Omens di Doug Brown. Il debutto discografico avviene con la pacifista e ironica presa in giro della Ballad of the green berets, la canzone del "marine" Barry Sadler. La vera svolta nella sua carriera arriva però nel 1967 quando, con i Last Heard, pubblica 2+2, un brano che prende apertamente posizione contro la guerra del Vietnam, cui segue un album militante come Ramblin' gamblin' man. All'inizio degli anni Settanta qualche problema di droga e il continuo boicottaggio da parte del music business gli fanno annunciare l'abbandono dalle scene. La decisione dura lo spazio di un mattino. Convinto dagli amici torna sui suoi passi. Nel 1975 pubblica lo splendido Beautiful loser, seguito l'anno dopo da Live Bullet, un doppio album registrato dal vivo con la Silver Bullet Band. Da quel momento vive un momento magico, anche se i problemi non mancano. Sembra quasi che il destino, invidioso e classista, non possa permettere a un figlio della classe operaia di godersi fino in fondo il successo. Un esempio? Nel 1978, in concomitanza con la pubblicazione di Stranger in the town, il suo più grande successo commerciale, l'amico al quale è più legato, il confidente dei momenti difficili, il batterista Charlie Allen Martin, resta paralizzato in seguito a un incidente stradale e non potrà più affiancarlo sul palco. Lui, come al solito, piega le ginocchia, ma poi si rimette in piedi. A chi gli chiede se si senta più vicino al soul o al rock risponde di essersi sempre considerato una sorta di «operaio della musica, figlio di tante culture e della rabbia di chi è costretto a scambiare i propri sogni con un lavoro in fabbrica». Negli anni Ottanta la sua stella sembra appannarsi definitivamente e in molti ipotizzano il definitivo ritiro. Ci penserà Bruce Springsteen, che si considera un po' il suo erede, a togliere la polvere dai suoi dischi e a convincerlo a tornare in concerto.

05 maggio, 2017

5 maggio 1972 – Basta con i bombardamenti sul Vietnam! Hollywood sta con McGovern

I più ferventi maccartisti, all'epoca della "caccia al rosso", avevano più d'un sospetto che il cuore di Hollywood, e più in generale del mondo dello spettacolo statunitense battesse a sinistra. Non a caso si erano dati da fare per incarcerare e mettere fuori gioco decine e decine di artisti, sceneggiatori, soggettisti, musicisti e così via. La loro intenzione era sicuramente quella di rendere permanente la campagna, ma con il trascorrere degli anni anche lo zelo anticomunista dell'FBI e delle varie associazioni "patriottiche" si era progressivamente arrugginito. Alla fine degli anni Sessanta l'esplosione del movimento contro la guerra del Vietnam aveva fatto il resto. Nonostante tutto, però, la conferenza stampa convocata da un gruppo di artisti guidato dall’attore Warren Beatty sembra una pugnalata al cuore dell'America più legata alla tradizione e alla bandiera. Si svolge il 5 maggio 1972. Warren Beatty, a nome di un nutrito gruppo di personaggi del mondo dello spettacolo annuncia la sua decisione di tenere dodici spettacoli per raccogliere fondi a sostegno della campagna presidenziale di George McGovern, esponente dell'ala pacifista del Partito Democratico e sostenuto dai movimenti per i diritti civili. Tra gli attivi promotori di questa iniziativa ci sono Judy Collins, Mama Cass Elliot e Michelle Gillian dei Mama's & Papa's, Goldie Hawn e Jack Nicholson. La popolarità dei personaggi è da sola sufficiente ad attirare l'attenzione dei media sulla conferenza stampa del 5 maggio, ma i componenti del gruppo hanno in serbo una sorpresa più eclatante. Il primo a parlare è Warren Beatty che spiega la decisione di sostenere McGovern con l'intenzione di far cessare al più presto la guerra nel Vietnam. «Il nostro paese deve sospendere immediatamente i bombardamenti sul Vietnam del Nord. Adesso, subito! McGovern si è impegnato a prendere immediatamente questa decisione e noi lo sosteniamo. Utilizzeremo gli spazi che ci verranno concessi in tutto il periodo della campagna elettorale per mobilitare l'opinione pubblica contro la guerra che il nostro paese sta conducendo nel Vietnam». Alcuni giornalisti fanno notare come, forse, la loro determinazione rischi di essere più un problema che un aiuto per McGovern perché potrebbe allontanare il voto dell'elettorato più moderato. Per tutti risponde Judy Collins: «Volete sapere la verità? Non ci interessa poi tanto che McGovern arrivi primo. Quel che ci interessa è far finire i bombardamenti sul Vietnam».

03 maggio, 2017

4 maggio 1956 – Be-bop-a-lula? Non è un granché…

Il 4 maggio 1956, negli studi della Capitol a Nashville entrano cinque strani ragazzi che, sulla base di un fresco contratto, dovrebbero registrare il loro primo disco. Li guida un arruffato ventunenne dall'andatura zoppicante per i postumi di un incidente stradale avvenuto un anno prima. Si chiama Eugene Vincent Craddock e si fa chiamare, per brevità, Gene Vincent. Non ha un lavoro fisso, ma si diletta a comporre canzoni e a suonarle nei locali della zona di Norfolk, in Virginia, dove abita. I suoi compagni sono i Blue Caps, una band formata dall'idraulico Cliff Gallup e dal disoccupato Willie Williams alla chitarra, dal bracciante Jack Neal al basso e dal quindicenne studente Dickie Harrell alla batteria. Mentre i due occupati hanno potuto chiedere un paio di giorni di permesso per andare a Nashville, il giovanissimo batterista ha dovuto marinare la scuola per essere della partita. La Capitol li ha scoperti grazie al fiuto di un produttore aperto alle innovazioni come Ken Nelson. Insomma, quella che il 4 maggio entra negli studi di registrazione di Nashville, più che un gruppo musicale è una compagnia di ragazzi animati da tanta buona volontà. Li attende il loro scopritore, quel Nelson che, per metterli a loro agio, li invita a scaldarsi con il brano che preferiscono. Gene Vincent e la sua band eseguono Be-bop-a-lula, un brano firmato dallo stesso Vincent. Nelson li ascolta e scuote la testa. «Non è un granché. Va bene per il lato B del disco… fortunatamente ho in serbo un brano di ben altro spessore…». Sulla facciata principale del disco figura così Woman love, mentre a Be-bop-a-lula è riservato il compito di riempire l'altro lato. Questa volta, però, il fiuto e la consumata esperienza di Nelson fanno cilecca. La canzone da lui ritenuta "minore" entrerà nella storia del rock and roll mondiale. Tre settimane dopo la registrazione, un disc jockey di Baltimora inizierà a trasmetterla a tappeto e, in poche settimane il disco scalerà la classifica statunitense, vendendo ben due milioni di copie soltanto nei primi cinque mesi. Sarà anche l'inizio della contrastata carriera di Gene Vincent, un rocker poco amato dall'establishment del suo paese. La violenza dei suoi concerti, la durezza dei testi, la carica provocatoria dei movimenti sul palco e la conclamata dipendenza dall'alcool gli alieneranno di lì a poco la simpatia del pubblico più conservatore e di parte della stampa, aprendo la strada a nuovi eroi dalla faccia perbene come Frankie Avalon e Ricky Nelson.


3 maggio 1972 – Una scarica mortale ferma gli Stone The Crows

Il 3 maggio 1972 all'Università di Swansea, nel Galles, si dovrebbe tenere un atteso concerto degli Stone The Crows, una delle grandi formazioni del rock blues britannico. L'avvenimento è stato organizzato con un po' di superficialità. Quando mancano poche ore all'inizio del concerto non tutto funziona come previsto. Il palco sembra un grande cantiere con collegamenti che saltano, tubi che ingombrano il passaggio, fili elettrici che penzolano in ogni dove, mentre i tecnici e i componenti della band, animati da buona volontà, tentano di mettere a punto l'impianto di amplificazione. In situazioni analoghe altri gruppi si rifiuterebbero di lavorare, ma non gli Stone The Crows. Stanno vivendo il momento migliore della loro carriera, ma non dimenticano i tempi duri. Non sono divi e non si considerano rockstar. A loro piace soprattutto suonare. Non è un caso che il leader della band, il chitarrista Les Harvey, sia indistinguibile dai tecnici e dagli operai che affollano l'angusto spazio del palco. Qualche saldatura qua, un ponte provvisorio là, l'impianto d'amplificazione smette di fare le bizze e inizia a produrre suoni accettabili. Uno dopo l'altro vengono regolati sia i volumi che i colori del suono di tutti gli strumenti. Le verifiche sono quasi finite. Resta da compiere la prova dei microfoni. Les Harvey si avvicina a quello centrale e, improvvisamente, s'accascia al suolo, colpito da una violentissima scarica elettrica. I soccorsi scattano immediati. Il chitarrista viene rapidamente ricoverato nel reparto di terapia intensiva, ma ogni tentativo di rianimarlo è vano. Poche ore dopo arriva l'annuncio ufficiale: Les Harvey è morto. Nel frattempo circolano notizie allarmanti anche sullo stato di salute di Maggie Bell, la cantante del gruppo, compagna di vita del chitarrista. Annichilita dal terribile episodio è stata colta da collasso e ricoverata d’urgenza nello stesso ospedale in cui è morto Harvey. Il concerto viene cancellato. Nonostante la rapida ripresa di Maggie Bell, per qualche tempo la storia degli Stone The Crows sembra chiudersi lì. Non sarà così, anche perché la stessa cantante convincerà i compagni a proseguire. Sostituito Harvey con il chitarrista Jimmy McCulloch, proveniente dai Thunderclap Newman, la band terminerà l'album 'Ontinuous performance, già in parte registrato con Harvey. Perso il loro leader, però, gli Stone The Crows perdono gran parte del mordente che li aveva caratterizzati. Si scioglieranno nel giugno dell'anno dopo.

02 maggio, 2017

2 maggio 2002 – In 30.000 ai funerali di Lisa "Left Eye" Lopes

«Sei un angelo e noi siamo qui per vederti spiccare il volo». La frase è soltanto una delle tante colte al volo sui piccoli e spiegazzati fogli di carta regalati dai fans a Lisa "Left Eye" Lopes delle TLC per il suo ultimo viaggio. Si calcola che almeno trentamila persone siano arrivate il 2 maggio a Lithonia, un sobborgo di Atlanta, per assistere ai funerali dell'artista svoltisi nella New Birth Missionary Baptist Church. Lisa è morta il 25 aprile in Honduras, un paese dove da tempo era impegnata in un universo di varie attività umanitarie e culturali e che le era entrato dentro. Proprio lì viveva anche Snow, la bambina che aveva adottato nove anni prima quando era ancora neonata . Le circostanze della morte sono state mai del tutto chiarite. Nella versione uggiciale la cantante sarebbe rimasta imprigionata dalle lamiere della sua auto uscita di strada. Altre otto persone coinvolte nell'incidente, però, non avrebbero riportato alcun danno. Una fine inquietante per una donna dalla vita avventurosa. Lei era la ribelle delle TLC e aveva anche conosciuto il carcere per le sue intemperanze. Ai suoi funerali, insieme alle migliaia di fans sono presenti anche artisti come Usher, Janet Jackson, Jermaine Dupri, Babyface, Whitney Houston, Bobby Brown, Timbaland, Mack 10, Da Brat, Raphael Saadiq e Monica. Nel corso della cerimonia funebre le Mary Mary intonano la sua Crazy. Stava vivendo un periodo di passaggio nel suo lavoro. Da tempo, infatti, Lisa aveva lasciato intendere che l'esperienza delle TLC le andava ormai troppo stretta e che il gruppo non era più nel suo futuro. Come spesso accade, invece, la sua morte finisce per rilanciare le azioni del gruppo. Non è un caso che poche ore dopo la sua sepoltura il produttore del gruppo, Dallas Austin, abbia annunciato la pubblicazione di un disco nuovo «pressoché pronto». Lo spettacolo, dunque, deve continuare e anche la morte di una ribelle può essere utile a far soldi. Tra le dichiarazioni non manca neppure quella, davvero poco opportuna, dell'ex manager delle TLC, la cantante Pebbles, più volte presa a pesci in faccia proprio da Lisa: «Negli anni che abbiamo passato insieme, Lisa era per me come una figlia. Se ripenso ora alle nostre divergenze nel lavoro, tutto mi appare così insignificante, di fronte al dolore della sua morte». Potenza del business!


01 maggio, 2017

1° maggio 1906 – Mario Schisa, il maestro che veniva legato al pianoforte

Mario Schisa, l’uomo divenuto famoso per aver convinto Luciano Tajoli a «modulare la voce come se avesse il raffreddore» nasce in una famiglia di immigrati italiani a Montevideo, in Uruguay, il 1° maggio 1906. Sono i genitori a costringerlo, fin da piccolo a studiare pianoforte, convinti che solo la musica possa regalare al figlio un futuro migliore del loro. Il padre, in particolare, lo lega letteralmente allo sgabello dello strumento quando lo vede svogliato o distratto. Successivamente torna in Italia e si diploma in pianoforte e composizione presso il conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nei primi anni Trenta debutta come direttore d’orchestra riscuotendo notevoli consensi in spettacoli di varietà e nelle sale da ballo. Nel 1936 ottiene la prima affermazione come compositore con il brano Conosco una fontana. La sua poliedrica vena compositiva, capace di non farsi imprigionare dai generi e aperta alle nuove influenze, sforna un gran numero di canzoni di successo come Appuntamento con la luna, Bellezza mia, Carolina bella, Francescamaria, La gelosia non è più di moda, Luna sincera, Mamma non vuole (rielaborazione del tema del “Capriccio italiano” di Ciaikovskij), Mamma Rosa, Melodie del fiume, Quando mi guardi, Quel fiorellin d’amore, Stornello a pungolo, Valzer dell’altalena, Una notte a Sorrento, Zampognaro e tante altre. Negli anni Sessanta abbandona di fatto la produzione musicale, salvo qualche sporadica eccezione, e s’impegna attivamente nella tutela dei diritti d’autore. Muore a Roma l’11 luglio 1980.