30 settembre, 2017

30 settembre 1978 – Per Beryl Booker il cuore vale di più del rigo musicale

Il 30 settembre 1978 muore d’infarto a Berkeley, in California, la pianista Beryl Booker. Ha cinquantasei anni ed è nata a Philadelphia, in Pennsylvania. Personaggio di spicco dell'ambiente jazzistico statunitense non ha mai imparato né a leggere, né tantomeno a scrivere la musica. Di questa sua "ignoranza" musicale ha fatto quasi una bandiera e a chi gli domandava perché non si fosse mai applicata a studiare rispondeva: «Per suonare ci vuole il cuore, non il rigo musicale. Vale di più e il pubblico se ne accorge». Quando inizia le donne strumentiste che suonino al di fuori dalla musica classica sono una rarità negli Stati Uniti, figurarsi quelle che si dedicano al jazz. Con il suo piglio deciso suona a lungo nelle varie band della sua città fino a quando decide che per poter suonare quello che le piace è necessario liberarsi dei capi-orchestra maschi. Detto e fatto, un bel giorno forma una band tutta sua recuperando vari musicisti rimasti disoccupati. La Beryl Booker Band resiste fino al 1946 quando, lusingata dall'offerta, accetta di trasferirsi a New York per entrare a far parte del trio di Slam Stewart. Nonostante il suo caratteraccio rimane fedele a Stewart, sia pur con qualche parentesi solista, fino al 1951 quando può eliminare del tutto gli uomini dalla sua vita artistica diventando la pianista della grande Dinah Washington che segue fino nella lontana Europa. Nel 1953, consapevole di dover più dimostrare niente a nessuno, lascia anche la sua amica Dinah e realizza il sogno di formare un trio jazz interamente composto da donne con la batterista Elaine Leighton e la contrabbassista Bonnie Wetzel. L'anno dopo le tre jazziste lasciano gli Stati Uniti e si trasferiscono in Europa al seguito del Jazz Club USA, una compagnia d musicisti che si esibisce in quasi tutte le principali piazze del Vecchio Continente. Quando il trio si scioglie Beryl rallenta l'attività senza rinunciare a qualche concerto e a registrare alcuni dischi. Sostiene che l'ambiente non la stimola più e rifiuta interessanti proposte da alcuni tra i migliori jazzisti di quel periodo. Recede da questo suo atteggiamento soltanto quando a chiamarla è il suo vecchio amico Don Byas, con il quale negli anni Sessanta registra molte pagine interessanti, dimostrando che il suo talento non si è appannato con il passare del tempo. La morte la sorprende in California dove s'è trasferita all'inizio degli anni Settanta quando proprio il cuore ha cominciato a darle i primi problemi.

29 settembre, 2017

29 settembre 1947 - Chano Pozo incanta Dizzy

Il 29 settembre 1947 l'orchestra di Dizzy Gillespie suona alla Carnegie Hall di New York. Per l'occasione schiera in formazione un nuovo percussionista. È il cubano Chano Pozo, un tipo di cui si dice un gran bene, da poco arrivato a New York. Il grande Gillespie ha scelto proprio la serata alla Carnegie Hall per provarlo e Pozo non delude le attese: quando l'orchestra lancia l'assolo di percussioni la sua conga diventa una magica macchina da ritmo capace di incollare gli spettatori alle sedie per ben trenta minuti. Un applauso scrosciante festeggia la nascita di un nuovo idolo del difficile pubblico newyorkese. Al termine del concerto lo stesso Dizzy, uno che se ne intende e non si lascia facilmente entusiasmare non può trattenersi dal dichiarare che Chano Pozo «È il più grande batterista che abbia mai ascoltato». Chi è in realtà questo strano personaggio e da dove arriva? Chano Pozo, all'anagrafe Luciano Pozo y Gonzales, nasce all'Avana, Cuba, nel 1915. Di lui non si sa molto, a parte la sua passione per la ritmica di derivazione africana. Animatore sulla sua isola dei lunghi e fantastici festeggiamenti del "mardi gras", non nasconde la sua appartenenza alla corrente religiosa Abakwa in cui l'animismo africano si mescola alle suggestioni magiche di un cristianesimo nero. In più studia a fondo la musica africana e i suoi ritmi trasferendo le esperienze nel jazz e nella musica orchestrale in genere. Sregolato protagonista delle notti cubane diventa ricco componendo due brani di successo, El pin pin e Nague, ma non cambia stile di vita. Quando, proprio nel 1947, lascia l'Avana per New York, è reduce da una lunga degenza in ospedale dopo una misterioso aggressione a colpi di pistola. Se ne va per paura, ma anche perché lo attraggono le influenze afro-cubane che stanno dando nuovi colori al bop. New York non gli salverà la vita. Cinque mesi dopo il concerto alla Carnegie Hall verrà ferito mortalmente a revolverate nel Rio Cafè di Harlem.

28 settembre, 2017

28 settembre 1985 – Torna Kate Bush, la donna del mistero

Il 28 settembre 1985 l’album Hounds of love riporta Kate Bush al vertice della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Ci resterà per più di un mese. Il disco ripropone la “donna del mistero” della musica britannica dopo tre anni d’assenza e di silenzio. Nata il 30 luglio 1958 a Bexleyheat, nel Kent, Catherine “Kate” Bush viene descritta dalle biografie ufficiali come una sorta di bambina prodigio che passa il suo tempo tra il pianoforte e i libri. In realtà, come dice lei con ironia, ascolta anche i dischi dei T. Rex di Marc Bolan ma «non si può dire, altrimenti crolla il mito». Ha solo quindici anni quando invia una cassetta con alcune sue canzoni a David Gilmour, il chitarrista dei Pink Floyd, che la fa ascoltare ai talent scout della sua casa discografica. Nonostante la giovane età ottiene il suo primo contratto discografico che la costringe a frequentare lezioni di piano e di canto, oltre che i corsi di danza di Lindsay Kemp. Nel 1977 tutto è pronto per il suo debutto. La ragazza, non sopporta però di sentirsi un pollo d’allevamento e rifiuta le imposizioni. «Sono una donna, non uno stupido disco. Canto solo ciò che mi convince!» Più volte il rapporto tra lei e i discografici arriva al limite della rottura e il suo primo disco vede la luce solo nel gennaio del 1978. Valeva la pena di aspettare tanto! In piena epoca punk infatti la sua interpretazione della romantica Wuthering heights conquista il vertice della classifica. Il ruolo della popstar però non fa per lei. Dopo un faticoso tour nel 1979 decide di non fare più concerti alimentando la leggenda della “donna del mistero” dal carattere chiuso e scontroso. Il rapporto con il pubblico è delegato a una serie di splendidi video-clip di cui spesso firma sceneggiatura e regia. Straordinari esempi della sua genialità creativa sono Babooshka nel 1980 e di Running up that hill nel 1985, che vede la partecipazione dell’attore Donald Sutherland. L’album Hounds of love segna una svolta nella sua carriera artistica. Nel tentativo di soddisfare una perenne irrequietezza artistica e l’ansia di percorrere strade nuove la sua voce si comporta come se fosse uno strumento sonoro e nelle atmosfere ritmate e aggressive dei brani il timbro non esita a farsi cupo per dare corpo a foschi e ossessivi deliri. Sono parti dell’evoluzione di un genere molto personale che verrà definito “lirismo rock” da critici senza fantasia.

26 settembre, 2017

27 settembre 1965 - Harry Reser, protagonista del Novelty

Il 27 settembre 1965 muore a sessantacinque anni Harry Reser. Da tempo il suo nome non compare più neppure nelle note minori delle riviste dedicate al jazz. Dagli anni Quaranta si è ritirato abbandonando una scena musicale che l'aveva visto spesso protagonista. Per lui i generi musicali non hanno mai avuto senso. Gli interessa soltanto poter suonare, sempre e comunque. Virtuoso di banjo e chitarra finisce per diventare popolarissimo in quello stile della musica popolare e da ballo affermatosi negli anni Venti e passato alla storia con il nome di "novelty ragtime". Sono brani allegri, spesso caotici e volutamente comici la cui struttura deriva dal ragtime classico. I loro accordi bizzarri e dissonanti sono scanditi su tempi che spesso diventano rapidissimi nel corso dell'esecuzione. Hanno un solo scopo dichiarato: quello di divertire il pubblico e farlo ballare senza pensieri. Scritti per band piccolissime prevedono a volte l'utilizzo di suoni "spuri" come clacson, spari, ecc. È facile immaginarsi perché Reser con le sue mani che corrono velocissime sulle corde degli strumenti finisca per diventarne un esponente-simbolo. La leggerezza resta una caratteristica delle sue esecuzioni anche quando si trova a dirigere il Clicquot Club Eskimos, una band di stile semi-hot che ottiene uno strepitoso successo con i suoi concerti radiofonici. Negli anni Trenta proprio come direttore d'orchestra alleva amorosamente il talento di un gran numero di musicisti destinati a lasciare un segno nella storia del jazz come Joe Venuti, Earl Oliver, Red Nichols e Joe Tarto. Nel 1935 ha anche il privilegio di poter disporre di uno show radiofonico che porta il suo nome. Nel dopoguerra i primi acciacchi e i mutamenti veloci nella scena musicale lo convincono a gettare la spugna e ritirarsi. Di lui resta un'imponente discografia composta, oltre che dai dischi a suo nome, anche da un numero impressionante di lavori pubblicati sotto pseudonimi come The Bostonians, The Jazz Pilots, Okeh Syncopators, Seven Little Polar Bears, ecc.

25 settembre, 2017

26 settembre 1938 - Gianni Siviero, un cantautore senza schemi

Il 26 settembre 1938 nasce a Torino il cantautore Gianni Siviero, registrato all'anagrafe con il nome di Mario. All'inizio degli anni Sessanta si esibisce in pubblico cantando le sue canzoni dai testi fortemente politicizzati. Non è l'unico cantautore politico di quel periodo, ma certamente è uno dei più singolari. Insofferente, poco disposto alla mediazione, percorre l'intero decennio senza trovare nessuno disposto a pubblicare su disco le sue canzoni. L'assenza di produzione discografica non ne pregiudica la popolarità in anni in cui le feste politiche fioriscono come i "cento fiori" di tsedonghiana memoria. Di lui approfittano a piene mani tutti gli organizzatori di manifestazioni musicali "alternative". Non c'è festa, festival o raduno di lotta improvvisato cui non venga invitato a esibirsi "a prezzo politico". Lui accetta per una scelta di militanza e perché deve anche sopravvivere. Quando le logiche organizzative migliorano e i criteri si fanno più razionali, cioè quando finalmente si possono pagare un po' di più gli artisti, lui viene scartato. È una trappola implacabile che, per la verità, non colpisce solo Siviero ma moltissimi artisti militanti: se ci sono soldi si pagano gli altri non i compagni. Lui abbozza e tira avanti. Diventa uno dei primi soci del Club Tenco e nel 1970 pubblica un singolo che anticipa di due anni il suo primo, vero, album Gianni Siviero volume primo, insignito del Premio dalla critica discografica. Le sue storie di vita aspre e dure sono arrivate finalmente su disco. Nel 1974 anche il suo secondo lavoro Son sempre io la donna riceverà il Premio della critica discografica. Altri due album segneranno negli anni Settanta la sua presenza, tutt'altro che marginale, nella canzone politica italiana. All'alba del decennio seguente la situazione tornerà al punto di partenza: basta dischi perché la canzone politica non interessa più. Questa volta Siviero pur abituato alle ripartenze preferirà lasciar perdere. Pubblica vari libri e sceglie come unico punto di riferimento il suo sito ufficiale.

24 settembre, 2017

25 settembre 1965 – L’exploit dei Walker Brothers

Il 25 settembre 1965 i Walker Brothers arrivano al vertice della classifica britannica dei dischi più venduti con la loro versione di Make it easy on yourself, un brano composto nel 1962 da Burt Bacharach ed Hal David. Il trio statunitense formato l’anno prima da Scott Engel, John Maus e Gary Leeds ribattezzatisi per reggere la finzione dei “fratelli Walker” con i nomi d’arte di Scott Walker, John Walker e Gary Walker mostra ancora una volta che nessuno è profeta in patria. Lasciati gli States per cercare fortuna oltreoceano ottengono un successo quasi immediato. Pochi mesi dopo l’exploit di Make it easy on yourself si ripetono con My ship is coming in e, soprattutto, The sun ain' gonna shine anymore pubblicata nel 1966 e considerata ancora oggi la loro miglior canzone, oltre che uno dei migliori dischi degli anni Sessanta. Nonostante i risultati i Walker Brothers poco dopo aver pubblicato l'album Images decideranno nel 1967 di separarsi per continuare ciascuno per proprio conto, mettendo così fine a un gruppo destinato probabilmente a durare ancora per molto tempo con successo. Nessuno dei tre componenti riuscirà a ripetere da solo i risultati della band e sull'onda della nostalgia si riuniranno più volte a partire dal 1975.

24 settembre 1989 – Il battesimo del vento per i Groovers

La sera di mercoledì 24 settembre 1989 a Samarate, in provincia di Varese, sull’area dove si sta svolgendo l’annuale festa di Democrazia Proletaria tira un vento teso e freddo che spazza via l’odore dei cibi e non incoraggia l’afflusso della gente. L’aria crea problemi anche al gruppo che dovrebbe suonare, provocando strane vibrazioni nei microfoni e un fastidioso rumore di fondo. Sono quattro ragazzi al primo concerto, non hanno tecnici al loro servizio e devono arrangiarsi da soli. Il vento non li aiuta a trovare le giuste sonorità e ne ritarda il debutto. Poco importa, tanto non ci sono code di auto, né prevendite e nemmeno venditori di gadget per la giovane band formata dall’ex Stolen Cars Michele Anelli alla chitarra e alla voce dal chitarrista Leandro Spennacchi, dal bassista Francesco Bordin e dal batterista Marino Piombi. Sono stati invitati un po’ perché hanno insistito un po’ perché sono compagni ma soprattutto perché non costano quasi niente. Quando finalmente iniziano a suonare, in ritardo sull’orario previsto, davanti al palco ci sono un centinaio di spettatori infreddoliti, in gran parte amici, che applaudono con calore le note ispirate al classico blue-collar rock americano. «Sono bravini», è il commento dei più esperti. Nessuno dei presenti, né i ragazzi del gruppo, né gli spettatori ha l’impressione di vivere un evento particolare. Eppure proprio in quella fredda serata di Samarate inizia la storia dei Groovers, la band che otto anni dopo, nel 1997, verrà indicata da vari giornalisti come il miglior gruppo italiano in assoluto. Ai quattro strumentisti del debutto si aggiunge di lì a poco il tastierista Paolo “Dom” Montanari, che insieme a Michele Anelli sopravviverà ai numerosi cambiamenti di formazione del gruppo salvo far finta di andarsene (almeno negli spettacoli dal vivo) con il nuovo millennio. I testi dei loro brani, in inglese, contribuiscono ad allargarne la popolarità anche al di fuori dell’Italia, in Spagna, in Belgio e, soprattutto, negli Stati Uniti, dove nel 1995 mixano Soul street, il loro secondo album. Realizzato in gran parte ad Austin, in Texas, il disco contiene anche la cruda Another song for America, una poesia di Lance Henderson musicata da Anelli che compare in copertina indossando una t-shirt con i colori della bandiera del Vietnam. La band continua con numerosi cambi di formazione fino al 2009, anno in cui chiude (per sempre?) la sua storia.




22 settembre, 2017

22 settembre 1984 - Chi si rivede! John Waite

Dopo lo scioglimento dei Babies non erano molti quelli che giuravano sul successo della carriera solistica di John Waite. A smentire tutti i corvacci il 22 settembre 1984 il singolo Missing you, estratto dall'album No brakes arriva al primo posto della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti e pochi mesi dopo fa lo stesso in mezzo mondo. Ragazzo tosto Waite, con un passato da bassista e armonicista in gruppi jazz, dopo lo scioglimento della band che gli ha dato la notorietà, ha giurato a se stesso di chiudere con le formazioni fisse. Il successo di Missing you arriva, inaspettato, due anni dopo la pubblicazione del modesto Ignition, che molti pensavano fosse la sua prima e ultima esperienza solistica. Il brano e l'album in cui è inserito sembrano smentire gli scettici e non manca chi sostiene di aver sempre scommesso sulle qualità solistiche di Waite. I più saggi prendono tempo aspettando qualche conferma prima di azzardare giudizi definitivi. Fanno bene perché gli album successivi, Mask of smiles e Rover's return, lungi dal rappresentare la conferma del suo buon momento solistico finiranno per convincere lo stesso Waite a lasciar perdere. Non sarà una disgrazia visto che proprio i deludenti risultati lo indurranno rimangiarsi la decisione di non far mai più parte di una band a struttura fissa. Alla fine degli anni Novanta sarà proprio lui insieme a due dei suoi vecchi compagni dei Babies, il tastierista Jonathan Cain e il bassista Rick Phillips a dar vita ai Bad English con il chitarrista Neal Shon, già dei Santana e dei Journey e il batterista Dean Castronovo. Nonostante tutto però non abbandonerà i progetti solistici. Nel 1990, in parallelo con l'attività nella band, canterà da solo Deal for life nella colonna sonora del film "Giorni di tuono". Quando anche l'avventura dei Bad English finirà per esaurirsi riprenderà la carriera da solista prestando la sua voce alla canzone In dreams nella colonna sonora del film "Una vita al massimo".

21 settembre, 2017

21 settembre 1963 - Il velluto blu di Bobby Vinton

Il 21 settembre 1963 arriva al vertice della classifica statunitense dei dischi più venduti il brano Blue velvet interpretato da Bobby Vinton, uno dei tanti ragazzotti bellocci dalla voce calda inventati dai discografici per la gioia delle ragazze e degli editori di rotocalchi giovanili. I tempi però stanno cambiando e l'arrivo del beat sta per spazzare via dalla scena musicale, oltre che dai cuori delle teen-ager, i personaggi come lui. Il robusto rock che arriva dall'Inghilterra fa passare in secondo piano Bobby Vinton che deve ricominciare da capo prima ancora di aver compiuto vent'anni. Da idolo delle adolescenti si ritrova così a cantare standard nei club di Las Vegas per la gioia di signore attempate e ricche. Da questa sorta di paradiso per vecchie glorie riemergerà negli anni Ottanta grazie al cinema. Il primo a riportarlo alla luce è John Landis che inserisce la sua versione di Blue moon nel film "Un lupo mannaro americano a Londra". Sull'onda del successo del lungometraggio vengono ristampati i suoi vecchi dischi e l'ex ragazzo dal sorriso un po' ebete si ritrova a cavalcare di nuovo le onde del successo. Il periodo migliore deve, però, ancora venire. Il merito è proprio di quella Blue velvet che per lungo tempo era stata considerata il suo canto del cigno. Nel 1986, infatti, David Lynch realizza il film "Velluto blu", il cui titolo è tratto direttamente dalla canzone, inserita anche nella colonna sonora. La fortuna o, più probabilmente, la geniale ispirazione di Lynch trasformano la pellicola in uno dei successi dell'anno grazie anche allo scandalo suscitato dalla decisione di Gian Luigi Rondi di escluderlo dalla programmazione del Festival di Venezia per quelli che lui ritiene gli eccessi di nudo, sangue e violenza. Il buon Bobby Vinton, meno patinato di un tempo, decide di non bruciare l'occasione che gli è stata concessa. Centellina le presenze televisive e mette a frutto l'esperienza di più di vent'anni passati a fare da sottofondo musicale alle chiacchiere di ricchi annoiati. Un altro suo vecchio brano tornerà prepotentemente al successo all'inizio degli anni Novanta. Si tratta di Sealed with a kiss che nell'interpretazione di Jason Donovan arriverà al primo posto della classifica britannica dei dischi più venduti. Ma il suo vero cavallo di battaglia resta sempre Blue velvet, destinato a salire nel 1991 per l'ennesima volta ai vertici delle classifiche discografiche dopo essere stato utilizzato come colonna sonora di uno spot pubblicitario.


20 settembre, 2017

20 settembre 1913 - John Collins, il figlio chitarrista di Georgia Corham

Il 20 settembre 1913 nasce a Montgomery, in Alabama, il chitarrista John Collins. Sua madre è la pianista Georgia Corham, una delle pochissime direttrici d'orchestra dell'epoca. La sua infanzia trascorre al seguito del gruppo diretto dalla madre che nelle ore libere lo inizia al mistero delle note. Nelle intenzioni di Georgia il piccolo John Elbert dovrebbe divenire un apprezzato clarinettista, capace di entusiasmare il pubblico con i suoi trascinanti assoli. Le speranze della donna sono destinate a essere frustrate. Il ragazzo abbandona ben presto il clarinetto per la chitarra e di fronte alle perplessità della madre decide di rompere anche con lei. Se ne va a Chicago dove perfeziona gli studi sul nuovo strumento con Frank Langham. Ha appena diciannove anni quando, nella stessa città, ottiene il suo primo ingaggio professionale nell'orchestra del trombettista Elbert B. Topp. I buoni giudizi dell'ambiente sul suo conto arrivano alle orecchie della madre che gli propone di unirsi al suo gruppo. Il giovane chitarrista accetta e la band di Georgia Corham lo schiera in formazione fino al 1935, anno in cui decide di tentare nuove strade. Per un po' suona al Three Deuces di Chicago a fianco di personaggi di primo piano come Art Tatum e Zutty Singleton, poi accetta l'offerta di Roy Eldridge con la cui orchestra lavora per diversi anni. Con questa band incide anche i suoi primi dischi che gli valgono l'apprezzamento della critica. Eldridge, infatti, che ne apprezza la genialità istintiva, non si limita a utilizzarlo come chitarrista ritmico ma lo lascia libero di spaziare come solista. In questo periodo si afferma come uno dei migliori chitarristi swing. Negli anni Quaranta suona tra gli altri con Art Tatum (un tipo che in fatto di ritmo è piuttosto esigente), Lester Young, Fletcher Henderson, Benny Carter, Coleman Hawkins ed Errol Garner. Nel decennio successivo, dopo una fugace apparizione nell’orchestra di Artie Shaw e nel gruppo del solito Art Tatum, entra a far parte del trio di Nat "King" Cole. Qui trova finalmente il suo punto d'arrivo. La sua chitarra partecipa così da protagonista alla costruzione del grandissimo successo mondiale di Nat. In molti ritengono che questa scelta gli abbia precluso la possibilità di ritagliarsi uno spazio importante come solista, ma, a lui va bene così. Non è fatto per seguire le orme della madre e l'idea di diventare un leader non l'ha mai sfiorato. Fino alla morte di Nat King Cole gli resterà accanto come un'ombra. Muore il 4 ottobre 2001.


19 settembre, 2017

23 settembre 1977 – I Clash e lo stregone

Il 23 settembre 1977 la CBS pubblica il singolo Complete control dei Clash. Il disco consolida il rapporto tra la major discografica e il gruppo di punta del punk più politicizzato, non senza qualche contraddizione che lo stesso testo del brano evidenzia. Emerge, infatti, la paura della band di essere fagocitata dal music business e di non riuscire a salvaguardare la propria autonomia artistica. Il brano, registrato a Kingston, in Giamaica, è destinato a restare nella storia del gruppo non tanto per il testo quanto perché segna l’incontro dei Clash con un singolare personaggio dal grande fiuto musicale, un po’ stregone e un po’ bandito. Si tratta di Lee “Scratch” Perry, un personaggio chiave del mondo musicale giamaicano. Nato a Kingston nel 1939, ha iniziato a lavorare nell’ambiente musicale selezionando brani per un Sound System e facendo il fattorino in uno dei tanti studi di registrazione della sua città natale. Nei primi anni Sessanta fonda la Upsetter Records: più che una casa discografica è uno studio di registrazione con annesso un negozio in cui vende solo i dischi di sua produzione. Sembra destinato a divenire uno dei tanti personaggi pittoreschi del sottobosco musicale dei Sound System giamaicani quando decide di inventarsi manager del gruppo dei fratelli Barrett (futuri compagni d’avventura di Bob Marley), gli Hippy Boys, da lui ribattezzati Upsetters. Grazie al suo lavoro in breve tempo la band scala le classifiche di vendita in Gran Bretagna con il brano Return of Django. Considerato dai giamaicani “l’inventore del reggae” Perry ama atteggiarsi a personaggio carismatico e non si sottrae al ruolo neppure quando deve lavorare con i Clash, uno dei più indisciplinati ed esplosivi gruppi di quel periodo. Non cerca di domarli. Li lascia liberi di lavorare come meglio credono, ma li invita a prestare maggior attenzione al fluire del ritmo. «Hey ragazzi, non mi interessa che sappiate suonare o no, chi se ne frega della musica! Quello che importa è il ritmo: lasciatevi attraversare dal ritmo e la musica verrà da sola…» Sono le solite frasi che dice a tutti, ma funzionano, anche con un gruppo difficile come i Clash. La dura Complete control diventa una geniale mescola di energia e ritmo confermando le tesi di chi vede in Lee “Scratch” Perry un genio ma non smentendo quelle di chi lo considera solo un abile mestierante capace di vendere nel migliore dei modi la sua merce.

19 settembre 1973 - Le ultime volontà di Gram Parsons

Il 19 settembre 1973 muore in California Gram Parsons, l'ex chitarrista dei Byrds e dei Flying Burrito Brothers, considerato uno dei migliori talenti del country rock. Le circostanze della sua morte non sono chiare. Inizialmente viene attribuita a cause naturali, ma la successiva autopsia rileva tracce consistenti di droga e alcool nel sangue e il certificato definitivo di morte parla esplicitamente di “overdose”. La sua scomparsa dà luogo a uno degli episodi più emblematici della storia della generazione hippie. Il corpo del musicista dopo l'autopsia viene messo a disposizione della famiglia con la quale aveva rotto i rapporti da molti anni. Quest'ultima dà precise disposizioni perché la bara di Parsons venga trasferita in Florida per essere tumulata nella tomba di famiglia con una cerimonia religiosa solenne che possa «riconciliare l'anima di Gram con Dio». La notizia getta nello sconforto gli amici hippie con i quali il chitarrista ha diviso gli ultimi anni della sua vita. Egli infatti ha lasciato loro un messaggio in cui chiede che il suo corpo venga cremato su una grande pira all'interno dello splendido scenario di un'oasi naturale e le sue ceneri disperse ai piedi del Joshua Tree National Monument. A nulla serve il tentativo di convincere la famiglia di Parsons. I suoi parenti, ritenendo gli amici responsabili della "corruzione spirituale" di Gram, rifiutano di ascoltarli e non sono disponibili a dare il loro assenso a una cerimonia "pagana". Ritenendosi depositari delle ultime vere volontà del chitarrista gli amici non demordono. Visti inutili i tentativi di comunicare decidono di passare all'azione. Sotto la guida di Phil Kaufman, il vecchio manager dell'artista, viene mobilitata l'intera comunità hippie di Los Angeles. L'operazione scatta all'aeroporto della città quando un gruppetto riesce a impadronirsi della bara e a portarla fuori eludendo la sorveglianza. Mentre altri gruppi creano situazioni diversive nella zona circostante il furgone che porta a bordo il corpo del chitarrista vola veloce verso la sua destinazione. Verrà cremato nel corso di una cerimonia suggestiva e ricca di emozione alla presenza degli amici e di tutti i membri della comunità hippie di Los Angeles. Due giorni durerà questa sorta di veglia funebre scandita da canti e da poesie. Soddisfatte le ultime volontà dell'amico inizieranno i problemi perché le autorità incrimineranno gli esecutori materiali di una mezza dozzina d'imputazioni, compreso il furto e la distruzione di cadavere.

17 settembre, 2017

18 settembre 1970 – Per Jimi Hendrix la vita è come l'amore, rinchiusa tra ciao e addio

Il 18 settembre del 1970 è un venerdì, per molti una giornata normale. Per Jimi Hendrix quella del suo appuntamento con la morte. La vecchia signora si nasconde tra le ombre delle case che costeggiano le vie trafficate di Notthing Hill dove corre senza troppa fretta l’ambulanza che lo sta trasportando all’ospedale St. Mary Abbott di Kensington. Tutto inizia quando cinque o sei ore prima il musicista si addormenta nell’appartamento della sua amica Monika Danneman dopo una lunga chiacchierata e qualche pillola di sonnifero. Alle 10.30 la ragazza si sveglia e Jimi dorme ancora. Senza disturbarlo esce a comperare le sigarette. Al suo rientro si accorge che c’è qualcosa che non va nel sonno innaturale dell'amico. Tenta di svegliarlo, ma non ci riesce e non si fida troppo a chiamare l’ospedale perché «…se la cosa non si fosse rivelata grave, se la sarebbe presa con me». Indecisa sul da farsi telefona a Eric Burdon, l’ex cantante degli Animals che fa da manager a Jimi, per un consiglio e soprattutto per farsi dare il numero di telefono del medico del chitarrista. Eric le suggerisce di chiamare il pronto soccorso. Venti minuti dopo la sirena ulula davanti all’appartamento di Notting Hill. Il personale dell’ambulanza non appare particolarmente preoccupato. Prendono di peso il musicista e lo mettono seduto. Jimi vomita più volte e la sua testa si muove avanti e indietro seguendo le evoluzioni del mezzo. All’arrivo all’ospedale nessuno si preoccupa di sottoporlo a terapie di rianimazione. Disteso su un lettino mezz’ora dopo spira soffocato dal suo vomito. Le indagini scopriranno poi che era sufficiente distenderlo su un lato per salvarlo ma nessuno l’ha fatto. In questo modo stupido scompare uno dei più eccezionali chitarristi di tutti i tempi, artefice di innovazioni tecniche che hanno allargato le capacità espressive dello strumento portando la chitarra elettrica a sperimentare sentieri mai percorsi da nessuno prima di lui. La sua vena creativa sperimenta oltre i limiti conosciuti fino a quel momento le possibilità dell'elettrificazione e dell'amplificazione, rimescolando blues, jazz e rock, sfruttando tutti gli effetti possibili. Nella sua tecnica anche il corpo si mette al servizio della chitarra nella ricerca di nuove sonorità (suona con il palmo della mano, con il gomito e con i denti). La critica dell'epoca (con qualche eccezione) prende una cantonata storica quando snobba e definisce "eccessi da gigione" quella che è l'essenza stessa delle sue innovazioni. Jimi Hendrix regala una nuova dimensione alla chitarra elettrica che, con lui, cessa di essere un semplice strumento per diventare una macchina da suoni. La sua morte sorprende tutti. Emblematico resta il testo di The story of life, scritto poco prima di addormentarsi per l’ultima volta: «La storia della vita/è più rapida/di un battito di ciglia/la storia di un amore/è ciao e addio/finché non ci ritroveremo». Quelle poche righe buttate giù di getto in un periodo in cui Jimi sta lavorando a un nuovo disco alimenteranno per anni l’idea di un suicidio, di una morte cercata. Difficile sapere la verità anche se gli amici non crederanno mai che il chitarrista si sia ucciso. Quel che tutti sappiamo invece è che la sua scomparsa ha arricchito ancor di più il music business che fino a quel momento aveva faticato a gestire il personaggio. La sua carriera è stata una continua lotta con uno stuolo di manager e consiglieri impegnati a smussare gli angoli più “neri” del personaggio, nel timore di perdere le simpatie del pubblico bianco. Le sue simpatie per il Black Panthers sono state "censurate e uno stretto cordone di riserbo ha coperto fino alla sua morte i frequenti contatti con gli esponenti del movimento stesso. Il successo di Jimi Hendrix è stato una sorta di lungo calvario per discografici e faccendieri impegnati a depotenziarne la potenzialità eversiva. Contrariamente a quanto si sostiene Chi non si accontenta delle favole sa che non è mai stata la sua carica sensuale l’aspetto più pericoloso della popolarità («tenete a casa le vostre sorelline»), ma il suo essere un nero di successo, con saldissime radici nella musica nera, in uno showbusinnes dominato da bianchi e in un sistema preoccupato per il numero crescente di musicisti che scelgono di diventare testimonial e finanziatori dei gruppi che organizzano la mobilitazione nera. È la sua simpatia per il Black Panthers Party unita alla decisione di formare il primo complesso rock di soli neri, la Band Of Gypsys, con Buddy Miles alla batteria e Billy Cox al basso a creare "disordine" in un ambiente in cui si incoraggia il ribellismo d’accatto, buono per vendere dischi ma si teme la presa di coscienza. Non è un segreto per nessuno che a partire dal 1969 il suo management abbia dedicato gli sforzi maggiori a smussare gli angoli più "neri" del personaggio piuttosto che a valorizzarne l'estro creativo e le potenzialità. Un episodio tra i tanti è quello di Mark Jeffrey che "consigliava" i percussionisti di colore ingaggiati per l'esibizione a Woodstock di rimanere sullo sfondo del palcoscenico per non caratterizzare in senso "razziale" l'esibizione. Il risultato di quella geniale trovata è che ancora oggi le percussioni sono quasi inascoltabili nella registrazione dal vivo del concerto. Hendrix non è un eroe e neanche un’attivista, è solo un grande e geniale musicista che cerca di non perdere contatto con le sue radici e che ha scoperto una causa cui dedicare simpatia e qualche risorsa finanziaria. Le pressioni che gli arrivano dall’ambiente sono inaspettate. Non è attrezzato a questo tipo di tensioni, non le capisce e finisce per trovarle insopportabili. Tutti abbiamo ancora fisso in mente un Jimi provato che, tre mesi prima di morire, abbandona il palco del festival dell'Isola di Wight stanco e deluso da un pubblico che vuole da lui solo la ripetizione dei vecchi successi e poco più. Pochi giorni prima di morire affida al taccuino di un cronista alcune considerazioni premonitrici: «È strano come la gente sembra essere più affascinata dai morti che dai vivi. Quando sei vivo la tua carriera è una lotta continua per non farti dimenticare. Una volta morto ti sei assicurato l’immortalità. Sembra quasi che devi morire prima che si convincano che forse valevi qualcosa».

16 settembre, 2017

17 settembre 1925 - Pina Lamara, dal palcoscenico al convento e ritorno

Il 17 settembre 1925 nasce a Napoli Pina Lamara o, come è registrata all’anagrafe, Giuseppina Lamara. Maestra elementare viene notata per caso mentre canta con un posteggiatore in una trattoria durante una gita fuori porta con la sua scolaresca. La ragazza, convinta di avere delle potenzialità, prende lezioni di canto e nel 1947 partecipa al concorso radiofonico "L'ora del dilettante” classificandosi al primo posto. Qualche tempo dopo debutta ai microfoni della radio con l’orchestra di Gino Campese, passando poi a quelle di Giuseppe Anepeta, Nello Segurini e Mario Vinci. Nel 1956, al culmine della popolarità, partecipa al Festival di Napoli e parte per una lunga tournée in giro per il mondo ottenendo notevoli consensi soprattutto negli Stati Uniti. Sorprendendo tutti l'anno seguente, colta da una crisi mistica, lascia le scene e si ritira in convento. Non ci resterà a lungo. Otto anni dopo, nel 1965, convinta dai suoi estimatori a riprendere l’attività, torna al Festival di Napoli con Notte senza fine in coppia con l'Equipe 84. Pur senza ripetersi ai livelli dei primi anni della sua carriera continuerà a cantare fino ai primi anni Settanta.



16 settembre 1974 – Bob Dylan torna all’ovile

Il 16 settembre 1974 Bob Dylan entra negli studi della CBS per registrare un nuovo album. L’avvenimento attira l’attenzione dei media non solo per l’attesa che si crea ogni volta che il cantautore inizia a registrare un nuovo disco, ma perché segna, contro ogni previsione, il ritorno di Dylan alla casa discografica che l’ha lanciato. È passato poco più di un anno da quando se n’era andato sbattendo la porta e aveva giurato di non voler avere più niente a che fare con «quei disonesti». La causa scatenante del conflitto era stata la pubblicazione, da parte della CBS, di Dylan un modesto album antologico realizzato assemblando materiale scartato in occasione di precedenti registrazioni. «Me ne vado per sempre. D’ora in poi pubblicherò da solo i miei dischi». L’episodio riesce anche a strapparlo dall’apatia creativa in cui sembrava piombato all’inizio degli anni Settanta. È un Dylan di nuovo “in palla” quello che nell’autunno del 1973 annuncia la sua intenzione di tornare a esibirsi il suo primo tour statunitense dopo otto anni. All’inizio del 1974 sono oltre sei milioni le richieste di biglietti per i trentanove concerti annunciati. L’impossibilità di soddisfarle tutte rende necessario un sorteggio che si tramuta in un’altra grande occasione pubblicitaria. Si calcola in oltre novanta milioni di dollari la cifra che finisce nelle sue tasche ancor prima di iniziare a suonare una sola nota. Partito da Chicago il 3 gennaio 1974 il tour ottiene un successo senza precedenti e stabilisce il record assoluto d’incassi in occasione del doppio concerto al Madison Square Garden di New York. In contemporanea con il suo ritorno alle esibizioni dal vivo pubblica il mediocre album Planet waves che vola alto nelle classifiche di vendita più per la ritrovata popolarità del cantautore che per meriti propri. La tournée viene registrata e il materiale migliore finisce nel doppio album Before the flood, grintoso e nostalgico al punto giusto, ma poco curato per quel che riguarda la fase della post-produzione. Dylan ritrova la sua freschezza creativa e la voglia di lavorare, ma si rende conto che quello del discografico non è il suo mestiere. Riannoda i vecchi legami, mette da parte il suo onore ferito e ritorna all’ovile della CBS. Non più obbligato a fare i conti con il proprio bilancio ritroverà anche l’antica mania perfezionistica e chiederà di poter rimettere mano al materiale registrato prima della sua pubblicazione nell’album Blood on the tracks.



15 settembre, 2017

15 settembre 1964 - L’intraprendente ispettore Bear vuole spegnere i Beatles

Nel 1964 i Beatles, impegnati nel loro secondo tour statunitense vengono accolti ovunque da scene d’isteria collettiva. Il 15 settembre 1964 sono sul palco della Public Hall di Cleveland, nell’Ohio, gremita all’inverosimile da una massa di corpi urlanti. Un modesto e inesperto cordone di sicurezza allestito dalla polizia locale tenta disperatamente di tenere lontane dal palco centinaia di ragazzine desiderose di sfiorare anche solo per un momento i propri idoli. Quando inizia il concerto la massa degli spettatori avanza verso il palco aumentando la pressione sul fragile cordone di tutori dell’ordine. Qua e là ci sono degli sfondamenti: un paio di ragazze non ancora quattordicenni riescono a salire sul palco, baciano Paul McCartney e vengono ributtate, felici, nella mischia della platea dalle guardie del corpo della band. I Beatles, in un primo momento preoccupati per la loro incolumità, quando vedono che si tratta di un gioco innocuo e ben controllato dal loro servizio d’ordine, lasciano fare. Non così la polizia che tenta con metodi sempre più energici d’interrompere l’andirivieni. Il responsabile dell’ordine pubblico è l’Ispettore Carl Bear del Juvenile Bureau della polizia di Cleveland. Uomo tutto d’un pezzo non sa darsi pace di fronte all’impotenza dei suoi uomini, sbeffeggiati e regolarmente “saltati” dalle prime file del pubblico. A una ventina di minuti dall’inizio del concerto decide di intervenire personalmente. Tesserino alla mano chiede ai tecnici di staccare la corrente. Sale, quindi sul palco e annuncia solenne: «Vista l’impossibilità di mantenere l’ordine pubblico il concerto finisce qui!» Una salva di fischi e ululati accoglie la dichiarazione. «Chi è questo pazzo?» Chiede George Harrison. La risposta è pronta: «Sono l’Ispettore Carl Bear e voi potete rientrare nei camerini». Sotto gli occhi del pubblico e gli obiettivi dei fotografi inizia così una febbrile discussione tra i due, mentre in platea sta succedendo di tutto. Nonostante le premesse, alla fine prevale la logica. I tecnici ridanno corrente agli strumenti e, dopo quindici minuti, il concerto può continuare. L’Ispettore Carl Bear entra così nella storia del rock

14 settembre, 2017

14 settembre 1989 - Addio a Perez Prado, il re del mambo

Il 14 settembre 1989 a Colonia del Valle in Messico muore il direttore d'orchestra Pérez Prado, il Re del mambo, principale artefice della diffusione nel mondo del più popolare ritmo afrocubano degli anni Cinquanta. Al momento della sua morte i giornali sorvolano sull'età. L'unica certezza è che ha più di settant'anni ma la sua vera età resta un mistero dato che diverse sono le date di nascita che di volta in volta vengono diffuse. Stando alle biografie più o meno ufficiali Damaso Pérez Prado, questo è il suo nome completo, sarebbe nato in Cuba, a Matanzas, in un periodo compreso tra il 23 novembre 1918 e l'11 dicembre 1916. La prima vera scrittura l'ottiene negli anni Trenta dall'Orchestra del Casinò de la Playa a Cuba, dove resta per qualche anno. Lavora anche come arrangiatore e, in segreto, coltiva il sogno di mettersi in proprio. In quel periodo uno dei balli dell'isola, il Mambo, inizia a diffondersi come danza di sala grazie al compositore e direttore d’orchestra Arsenio Rodríguez, che ne codifica e ne definisce le strutture ritmiche e armoniche, realizzando una simbiosi tra i ritmi sincopati del jazz orchestrale nordamericano e quelli afro-cubani della sua terra d’origine. Pérez Prado resta affascinato da questa musica che reca in sé il fascino della contraddizione. Nel 1948 trova le risorse e il coraggio necessario a dare vita alla sua prima grande orchestra, mentre il Mambo sta per trovare la sua definitiva consacrazione nel più grande mercato musicale del mondo: gli Stati Uniti. Complici e protagoniste della sua diffusione sono le comunità ispaniche, soprattutto quelle delle grandi metropoli, che si trasformano in una sorta di gigantesca e capillare cassa di risonanza. Il ritmo e la sensualità del mambo si diffondono così a macchia d’olio fino contagiare prima gli Stati Uniti e poi il mondo. Nel 1954 Perez Prado, ormai divenuto il "Re del mambo", è uno dei direttori d'orchestra più richiesti grazie anche allo straordinario successo della sua Cherry pink and apple blossom white. Negli anni successivi la sua popolarità resta intatta nonostante il declino della musica orchestrale e, in parte, del mambo. Come gli antichi nocchieri continua a guidare la sua orchestra e lavora praticamente fino a quando la salute lo regge. Incurante del tempo che passa fino agli ultimi giorni della sua vita si dedica alla composizione e all'arrangiamento. Nel 1981 torna anche in sala di registrazione per occuparsi della ripubblicazione dei suoi vecchi successi.

13 settembre, 2017

13 settembre 1955 - Due giorni per costruire il mito di Little Richard

Il 13 settembre 1955 Little Richard entra negli studi di registrazione J&M di New Orleans, accompagnato dal produttore Robert A. "Bumps" Blackwell. Da tempo alla ricerca di una precisa collocazione nel panorama musicale statunitense il cantante sembra destinato a un ruolo di secondo piano. L'unico a credere nelle possibilità di questo ragazzo nero nato a Macon in Georgia è proprio Blackwell, convinto che fino a quel momento non sia mai stato messo nella condizione di esprimersi al meglio. «Richard è un artista spontaneo ed emotivo. Non può essere ingabbiato. Devi saperlo se vuoi lavorare con lui». Per questa ragione ha scelto gli studi di New Orleans, famosi nell'ambiente musicale perché il tecnico del suono, l'italoamericano Cosimo Matassa, odia qualunque aggeggio elettronico che non sia l'effetto eco. Ha poi voluto in studio gran parte dei musicisti che già hanno lavorato con Fats Domino, tra cui il batterista Earl Palmer e il sassofonista Lee Allen. Prima di iniziare le raccomandazioni di Blackwell al giovane Richard sono improntate a un unico concetto: «Lasciati andare. La musica nei dischi non può essere artificiale. Tutto ciò che farai verrà registrato direttamente, come se fossi in concerto. Il rock and roll è energia, non può essere ingabbiato, altrimenti è plastica, immondizia che l'artista non vive». Negli studi J & M in due giorni di sedute Little Richard registrerà nove brani. Otto scompariranno nel nulla. Uno, però, entrerà nella leggenda. È Tutti frutti una sorta di esplosivo nonsense con un testo costruito da Dorothy La Bostrie con un occhio al be-bop e l'altro alla lezione del movimento dadaista. Ci sarà anche chi, con molta fantasia e qualche problema psicologico irrisolto, citerà per oscenità questa canzone che resta fondamentalmente una lunga filastrocca senza alcun senso compiuto. Una cosa è certa: rispetto alla generalità dei brani di quel periodo appare decisamente innovativo e non solo per il testo. Anche dal punto di vista musicale non si può dire che rispetti i codici canonici di un brano di rock and roll dell'epoca. Non c'è la chitarra, relegata in un ruolo di accompagnamento ritmico, e tutto il peso della struttura strumentale ricade sul pianoforte. Il riff martellante, sottolineato dalla tastiera percossa da Richard in maniera distruttiva, e l'impeto vocale travolgente del cantante sulla oscura frase «awopbopaloobop alop bam boom» faranno entrare questo brano nella storia del rock e consegneranno la figura di Little Richard al mito.


11 settembre, 2017

12 settembre 1943 - Nasce Maria Muldaur, l'italiana del Village

Il 12 settembre 1943 nasce in Greenwich Village, New York, Maria Muldaur, una delle voci bianche femminili più significative del folk blues degli anni Sessanta e Settanta. La ragazza è figlia di italiani. All'anagrafe, infatti, è registrata con il lunghissimo nome di Maria Grazia Rosa Domenica D'Amato. Fin dai primi anni di vita respira l'atmosfera febbrile e creativa dei locali del Village dove si mescolano folk, blues e rock and roll. È ancora adolescente quando presta la sua voce al gruppo folk della Even Dozen Jug Band, di cui fanno parte John Sebastian, Steve Katz, Joshua Rifkin e Stefan Grossman. Non ci resta per molto perché sul suo cammino incontra la Jim Kweskin Jug Band che ha come chitarrista e cantante Geoff Muldaur, un tipo piuttosto famoso nell'ambiente che ha pubblicato il primo album quando lei aveva dieci anni. L'incontro segna una svolta nel suo destino. Si innamora di Geoff, lo sposa e gli ruba il cognome diventando per sempre Maria Muldaur. Per qualche tempo si fa ingaggiare dalla band di Kweskin, ma poi convince anche il suo fedele compagno a percorrere altre strade. Insieme formano il duo Geoff e Maria Muldaur che ottiene un buon successo all'inizio degli anni Settanta con gli album Pottery pie e Sweet potatoes, ma la ragazza ha altro per la testa. Ben presto scioglie la ditta e debutta in proprio con l'album Mud acres. Le strade dei due si dividono. Con Paul Butterfield, Mike Bloomfield e Nick Gravenites Maria lavora alla colonna sonora del film "Una squillo per quattro svitati" con Jane Fonda e Donald Sutherland e nel 1973 entusiasma pubblico e critica con l'album Maria Muldaur e con il singolo Midnight at the oasis. Da quel momento la sua strada è in discesa. Poco interessata al successo commerciale, continuerà a produrre album di qualità come Waitress in a donut shop, Sweet harmony, Open your eyes, Gospel nights, Sweet and low, On the sunny side e lo splendido Live in London.

10 settembre, 2017

11 settembre 1968 - La marijuana al posto giusto per incastrare Sly

L'11 settembre 1968 gli Sly & the Family Stone, arrivati a Londra dagli Stati Uniti per un breve tour, trovano un insolito comitato d'accoglienza. Non ci sono fans accaldati che si spingono e li applaudono, ma alcuni compassati agenti di polizia debitamente forniti di cane antidroga. Con ferma gentilezza tutti e sette i componenti del band multirazziale vengono accuratamente perquisiti. Il trattamento più meticoloso viene applicato a Sly Stone che, però, risulta pulito. Tanta solerzia da parte delle forze dell'ordine non può finire in niente. Chi cerca trova. Addosso al bassista Larry Graham gli agenti trovano finalmente alcuni grammi di marijuana. Il ragazzo sostiene di non essere così stupido da portare addosso qualcosa di cui avrebbe potuto facilmente liberarsi ma non 'c'è nulla da fare. La legge di Sua Maestà non ammette deroghe e per lui scattano le manette. Alla BBC tirano un sospiro di sollievo. La già programmata partecipazione della band ai suoi programmi può essere cancellata e anche l'albergo che avrebbe dovuto ospitare i sette musicisti e il loro seguito annulla la prenotazione. Soltanto la solidarietà di vari musicisti inglesi evita a Sly & the Family Stone il fastidio di dover dormire sotto i ponti del Tamigi. La marijuana ha fatto il miracolo di togliere le castagne dal fuoco agli organizzatori della tournée del gruppo. Nei giorni precedenti all'arrivo di Sly e dei suoi compagni, infatti, vari tabloid avevano criticato la decisione di aprire le porte della Gran Bretagna a una band multirazziale troppo amica delle comunità hippie, apertamente schierata su posizioni antiproibizioniste e il cui leader è sospettato di essere un fiancheggiatore dei gruppi dell'estrema sinistra nera, in particolare del Black Panther Party. Il "fortunato" ritrovamento di marijuana chiude lì il tour. Una settimana dopo, ottenuta la scarcerazione di Graham, i sette ripartiranno per gli States senza aver suonato neppure una volta sul suolo britannico.

10 settembre 1968 – Si sciolgono i Giganti, anzi no…

Per il 10 settembre 1968 è annunciato lo scioglimento ufficiale dei Giganti, una delle più originali band del beat italiano. Chi l’ha annunciato? Gli stessi componenti della band che qualche giorno prima hanno inviato al loro impresario Moschini un telegramma che recita «Dal 10 settembre prossimo venturo preghiamoti non prendere più impegni per le nostre esibizioni». Eleganti, musicalmente preparati, con un repertorio intelligente e colto, i Giganti si sono conquistati una solida popolarità in soli quattro anni di vita. La loro nascita, infatti, risale al 1964 quando iniziano a esibirsi facendosi annunciare da un manifesto ironico che recita: «Per fare un Gigante ci voglio dieci Beatles». La prima formazione è composta dal chitarrista Giacomo "Mino" De Martino, dal bassista Sergio De Martino, dal batterista Enrico Maria Papes e da Paolo Vallone, sostituito poco tempo dopo dal tastierista Francesco "Checco" Marsella. Dopo un disco con il nome del solo Sergio Di Martino, fanno il loro debutto discografico nel 1965 con Morirai senza lei, la versione italiana di Crying in the rain degli Everly Brothers e Fuori dal mondo, versione italiana di Keep searching di Del Shannon. Puntando sulla pulizia degli impasti vocali che alternano toni baritonali e coretti alla Mamas & Papas, dopo Una ragazza in due arrivano al grande successo nel 1966 con Tema, un brano concepito come un tema scolastico sull'amore, svolto a turno dai vari elementi del gruppo. Nel 1966 partecipano al Festival di Napoli con Ce vo' tiempo e l’anno dopo sono al Festival di Sanremo con Proposta, una canzone pacifista sull'onda del "flower power" californiano. Il 1968 è l’anno dello “scandalo” provocato dalla canzone Io e il presidente, un brano censurato dalla RAI per il verso «oggi non sono nessuno, domani sono Presidente della Repubblica». Scossi da discussioni interne fissano per il 10 settembre 1968 la fine del sodalizio. In realtà lo scioglimento non ci sarà. La baracca sta in piedi ancora qualche anno. Nel 1971 i Giganti pubblicheranno il concept album Terra in bocca sul problema della mafia, realizzato con la collaborazione del futuro Area Ares Tavolazzi, Marcello Della Casa dei Latte e Miele, Vince Tempera ed Ellade Bandini. Crescono però i dissidi interni e, dopo il singolo Sono nel sogno verde di un vegetale, il gruppo si scioglierà definitivamente nel 1972. Negli ultimi anni i Giganti si sono riuniti varie volte più sull'onda della nostalgia che per una reale necessità artistica

08 settembre, 2017

9 settembre 1979 - Cat Stevens diventa Yusuf Islam


Il 9 settembre 1979 nella moschea di Kesington il cantautore inglese Cat Stevens, che da quando ha abbracciato la religione islamica ha cambiato nome in Yusuf Islam, sposa la sua compagna Fouzia Ali nella moschea di Kesington. È l'atto che segna quella che dovrebbe essere la definitiva rottura di Cat Stevens con il music business e con il mondo dello spettacolo, perché il cantautore non si è limitato ad abbandonare le scene musicali, ma ha anche rinunciato legalmente a tutti i diritti sulle sue canzoni e sui suoi dischi per non avere più fonti di lucro. Il rispetto per le scelte personali non cancella il rammarico per l'uscita di scena di quella che, insieme a Donovan, era stata considerata la figura più rappresentativa della canzone d'autore britannica. Nasce a Londra nel quartiere di Soho il 21 luglio 1947 e all'anagrafe è registrato con il nome di Steven Georgiou. Sua madre è svedese e suo padre un restauratore greco. Le sue prime esperienze musicali risalgono al 1965, quando si è da poco iscritto all'Hammersmith College. L'anno dopo pubblica il suo primo disco, la leggera I love my dog, prodotto da Mike Hurst, che fa una timida apparizione nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Mentre le sue canzonette garbate conquistano il pubblico dei ragazzi d'oltremanica, lui comincia a sentirsi stretto nel ruolo di idolo dei teen-ager. Ad accelerare la sua svolta personale e artistica arriva anche la terribile parentesi della tubercolosi, la malattia che lo tiene lontano dalle scene musicali per quasi due anni, dal 1968 al 1970. Quando ricompare è un artista profondamente diverso dal passato. La sua produzione cambia sia nei testi, che diventano più maturi e consapevoli, che nell'impostazione musicale, con il pianoforte che prende il posto della tradizionale chitarra acustica. Appartiene a questo periodo la famosa Lady D’Arbanville, un brano che attinge al folk tradizionale inglese con un approccio moderno ma rispettoso delle atmosfere del passato. A ben guardare sono già presenti tutti gli elementi di quella che diventerà poi la sua scelta di vita definitiva, cioè l'abbandono dell'ambiente musicale e la conversione. La guerra in Iraq e gli sviluppi delle vicende mediorientali lo convinceranno poi a riprendere strumenti e impegno per una nuova battaglia a favore della pace, della comprensione e della tolleranza. Nel 2014 ha pubblicato l'album Tell 'em I'm gone.



07 settembre, 2017

8 settembre 1978 - PIL, Public Image Ltd, più del punk, oltre il punk

L'8 settembre 1978 i PIL (Public Image Limited) pubblicano il loro singolo d'esordio Public Image. È il primo vagito della nuova creatura inventata dall'ex cantante dei Sex Pistols Johnny Rotten dopo lo scioglimento della band e dopo una breve esperienza con l'ex Sham 69 Jimmy Pursey. Quello che era stato uno dei più appariscenti simboli del punk si presenta ora con il suo vero nome, cioè Johnny Lydon, e con un nuovo progetto. La formazione dei PIL è completata dal batterista Jim Walker, dal bassista Jah Wobble e da una vecchia (si fa per dire) conoscenza degli appassionati del punk: il chitarrista Keith Levine già con i Flowers of Romance, la prima band del più stralunato dei Pistols, Sid Vicious. Il disco rompe il mistero che circonda il progetto e anticipa, almeno sul piano dell'impostazione musicale, i contenuti dell'album Public Image Ltd. Da tempo Rotten, o Lydon che dir si voglia, sostiene che il punk è morto e che occorre andare oltre, superare un limite espressivo che, a suo dire, si è fatto noioso e mortifero. I primi brani della sua nuova band confermano la svolta. Caratterizzati da una musica ipnotica, lucida e tagliente come una lama, ma priva delle sbavature e delle ruvidezze del punk, segnano una netta rottura con il sound dei Sex Pistols, ma ne raccolgono l'eredità nell'aggressività dei testi di brani come Religion attack. Nonostante la buona accoglienza del pubblico i PIL faranno fatica ad assumere i contorni di una vera band, anche perché schiacciati dalla personalità del loro leader. Fin dai primi mesi di vita daranno l'impressione di non essere destinati a durare nel tempo. Dopo il tour statunitense del 1980 decideranno di non suonare più dal vivo, mentre Jah Wobble se ne andrà. Il gruppo perderà via via tutti i pezzi lungo la strada e nel 1983, a cinque anni dalla sua prima uscita ufficiale sarà ormai ridotto al solo Johnny Lydon accompagnato, di volta in volta, da musicisti diversi. Per trovare un nuovo tentativo di ridare alla band una formazione stabile bisogna arrivare fino al 1988 quando lo stesso Lydon chiamerà a farne parte il chitarrista John Mc Geogh, il bassista Alan Dias, il batterista Bruce Smith e l'altro chitarrista Lu Edmonds che dovrà lasciare poco tempo dopo il suo posto a Ted Cha perché colpito da sordità improvvisa. In realtà il tentativo durerà solo lo spazio di un album. A partire dalla fine del 1989 i PIL torneranno a essere una sigla al servizio della creatività di Johnny Lydon.




7 settembre 1985 - "St. Elmo's fire" porta in alto John Parr

Il 7 settembre 1985 al vertice della classifica discografica statunitense c'è St Elmo's fire (Man in motion), un brano estratto di peso dalla colonna sonora del film "St. Elmo's fire" di Joel Schumacher che sta facendo impazzire il pubblico nordamericano. Il lungometraggio non avrà la stessa fortuna nel resto del mondo, ma servirà da trampolino di lancio per gran parte dei suoi interpreti, da Demi Moore a Emilio Estevez, ad Andie MacDowell. La canzone che spopola sul mercato discografico è interpretata da un cantante e chitarrista pressoché sconosciuto al grande pubblico. Si chiama John Parr e ha alle spalle una lunga trafila in gruppi come i Silence, i Three For All e i Ponders End. Visto lo scarso successo riscosso, nel 1983 accetta un contratto fisso come compositore e chitarrista di studio. Il ragazzo ci sa fare e lavora sodo. Tra i dischi cui presta la sua opera c'è, per esempio, Bad attitude di Meat Loaf. Non rinuncia però all'idea di tentare la fortuna in proprio. I discografici lo lasciano fare a patto che non rinunci al prezioso lavoro di compositore e strumentista a contratto. Nel 1984 pubblica il suo primo album John Parr da cui viene estratto in singolo il brano Naughty naughty. L'accoglienza è tiepida. Inaspettatamente, però, arriva il successo di St. Elmo's fire (man in motion). Da quel momento la sua gallina dalle uova d'oro diventano le musiche per il cinema, che compone in gran numero e di cui canta spesso i brani più significativi, come The minute I saw you in "Tre uomini e una culla" o Restless heart in "The running man". Fortune interpretative a parte il suo talento di compositore è indiscutibile e molti artisti devono a lui il loro successo. Sono opera sua, infatti, canzoni come Under a raging moon di Roger Daltrey, Night moves di Marilyn Martin, Do it again dei Monkees e Killer moon the sheets di Tom Jones. All'inizio degli anni Novanta scoprirà il teatro e si farà un buon nome come interprete di vari musical.



06 settembre, 2017

6 settembre 1975 - Rod "The Mod" lascia i Faces

Il 6 settembre 1975 Rod Stewart, il cantante dei Faces da tempo impegnato come solista in una carriera parallela a quella del gruppo di cui fa parte, arriva al primo posto della classifica dei singoli più venduti in Gran Bretagna con Sailing. Il brano, lontanissimo dallo stile che ha fatto del cantante uno degli emblemi del movimento Mod, è il suo primo grande successo internazionale da solista, ma segna la fine dell'esperienza dei Faces. Qualche tempo prima Rod "The Mod" ha chiesto ai compagni di inserire nei concerti dal vivo, accanto alla tradizionale formazione della band, anche una sezione di fiati, per proporsi al pubblico in una versione più vicina a quella dei suoi dischi da solista. I Faces, forse dimenticando di essere gli eredi degli Small Faces, secondi solo agli Who tra le band mod, dopo un primo rifiuto accettano. Snaturati in un ruolo non loro vengono ridotti a far da supporto al loro ex cantante lanciato in una avventura solistica dai contorni decisamente commerciali. In più Stewart sveste i panni proletari del ruvido rocker scozzese in cerca di fortuna e si trasforma in una sorta di dandy patinato più gradito al pubblico americano. Si trasferisce poi negli Stati Uniti per sfuggire al fisco britannico. Il seme della dissoluzione è già nell'aria quando Ron Wood lascia la band per sostituire Mick Taylor nel tour mondiale dei Rolling Stones. I suoi compagni l'accusano di tradimento e fanno valere gli impegni contrattuali. Le minacce di sanzioni legali convincono Ron Wood a tornare sui suoi passi, costringendo gli Stones a rinunciare ai già previsti concerti in Messico, Brasile e Venezuela, ma il clima nei Faces è diventato invivibile. Legato più dai contratti che dalla voglia di continuare, il gruppo parte per un lungo tour in trentacinque città statunitensi che, nei fatti, serve a Rod Stewart per rodare il suo nuovo album da solista Atlantic crossing, registrato a Memphis con gli MGs. Insomma, i Faces ribelli di un tempo sono ormai divenuti dei pavidi accompagnatori del leader nella sua metamorfosi commerciale. Nel mese di dicembre, in un sussulto di dignità decideranno di separarsi dal loro ex leader per continuare da soli, ma di fronte al disinteresse della loro casa discografica per qualunque progetto senza Stewart, si scioglieranno. Il chitarrista Ron Wood tornerà con gli Stones mentre il tastierista Ian McLagan e il batterista Kenny Jones tenteranno di dar vita al progetto della ricostituzione dei leggendari Small Faces.

05 settembre, 2017

5 settembre 1924 – Gli Wolverines nella Grande Mela

La sera del 5 settembre 1924 la Wolverine Orchestra, conosciuta anche con il nome di Wolverines, suona al “Cinderella Ballroom” di New York, un locale situato nei pressi di Times Square. Il concerto, il primo del gruppo nella Grande Mela, è destinato a restare nella storia, non solo per ragioni specificamente riferite alla musica. La critica musicale newyorkese, infatti, colleziona una delle più clamorose “magre” di tutti i tempi, snobbando e liquidando con sufficienza uno dei concerti maggiormente ispirati di quella che è considerata la più leggendaria white band del jazz pionieristico. Ancora oggi alcuni ritagli dei giornali dell’epoca rappresentano una efficace dimostrazione del significato concreto del termine “infortunio giornalistico” nel campo della critica musicale. Gli articoli che raccontano l’esibizione si assomigliano un po’ tutti e lasciano pensare che i pochi presenti abbiano poi cortesemente passato ai colleghi assenti le proprie superficiali opinioni sulla serata. I giudizi provocano la reazione dei musicisti presenti al concerto, primo fra tutti Red Nichols, che subissano di lettere di protesta le redazioni dei giornali. Le reazioni sono sacrosante e fondate, visto che la Wolverine Orchestra ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del dixieland, anticipando quello che più tardi verrà definito “Chicago style”. Fin dal suo primo apparire introduce un cambiamento rivoluzionario nella struttura classica della scuola dixieland di New Orleans perché sostituisce al trombone il sassofono tenore. La band nasce nel 1923 per iniziativa del clarinettista Jimmy Hartwell, che chiama a farne parte il batterista Bob Conselman, il cornettista Bix Beiderbecke, il banjoista Bob Gillette e il pianista Dick Voynow. La formazione si completa con il sassofono tenore di George Johnson e la tuba di Ole Vangsness. Successivamente Conselman e Vangsness se ne vanno e vengono sostituiti da Bill Moore e Wilford “Min” Leibrook. Formata da giovani musicisti bianchi innamorati della musica nera, in gran parte studenti nati e cresciuti nel Middle West, la Wolverine Orchestra nasce senza particolari ambizioni e inizia a svolgere la sua attività prevalentemente nei campus. Ben presto l’ambiente musicale, più attento dei critici di New York, si accorge che il lavoro del gruppo è qualcosa di più che un semplice modo per divertirsi con la musica. Il primo ad accorgersene è il compositore Hoagy Carmichael, futuro autore di musical e di brani come Stardust o Georgia on my mind che, particolarmente impressionato da una loro esibizione, così descrive l’apporto della cornetta di Beiderbecke all’insieme: «Le note non erano soffiate, erano colpite, come un martello colpisce un gruppo di campane. Il tono aveva una ricchezza che sembrava sgorgare direttamente dal cuore… Avevo ascoltato la musica di Wagner e di altri compositori che amavo, ma le quattro note suonate da Bix mi aprirono la mente più di quanto avessi imparato sui testi». Decide anche di scrivere in collaborazione con Beiderbecke un brano per i Wolverines, Free wheeling, che in seguito viene ribattezzato Riverboat shuffle. La band ottiene la sua prima scrittura discografica dalla Gennett Records, una piccola etichetta di Richmond, nell’Indiana. Nel febbraio 1924 entra così per la prima volta in una sala di registrazione dove esegue Jazz me blues. Nell’ottobre del 1924, a poco più di un mese dalla discussa esibizione newyorkese Bix Beiderbecke lascia i compagni e se ne va per continuare con altri gruppi la sua straordinaria carriera. La formazione entra in un periodo turbolento, caratterizzato da molti cambiamenti e da qualche litigio che si conclude con la decisione di sciogliersi definitivamente nel 1925. Negli anni successivi alcuni dei numerosi musicisti che, soprattutto nell’ultimo periodo, hanno fatto parte della band tenteranno più volte di rilanciarla, costituendo band chiamate Original Wolverines, ma saranno sempre operazioni di breve durata e di scarso interesse musicale.

04 settembre, 2017

4 settembre 1972 - Francesco Caruso, un problema per gli Wishbone Ash

Il 4 settembre 1972 durante un concerto dei britannici Wishbone Ash in Texas scoppia una rissa tra il pubblico per motivi banali che si allarga e finisce per coinvolgere qualche centinaio di spettatori. Quando l'intervento del servizio d'ordine con molta fatica riesce a riportare la calma sul terreno resta il corpo di un giovane. È italoamericano e si chiama Francesco Caruso. I ragazzi della band, che hanno seguito con sgomento l'esplosione di violenza, restano sconvolti dalla notizia. Il giorno dopo i giornali conservatori partono all'attacco: la responsabilità è della violenza della musica degli Wishbone Ash e della loro carica aggressiva sul palco. L'occasione della morte del ragazzo offre l'inaspettata occasione agli ambienti reazionari statunitensi per regolare i conti con un gruppo di cui fa parte il chitarrista Ted Turner, sospettato di simpatie estremistiche per la sua amicizia con John Lennon che l'ha voluto al suo fianco nella registrazione di Imagine. Poco amati dallo show-businnes americano e un po' snobbati in patria, nonostante i discreti, ma non eccezionali, risultati commerciali, gli Wishbone Ash registrano sempre una grande partecipazione di pubblico ai loro concerti. In quel periodo la band formata dal batterista Steve Upton, dal bassista Martin Turner e dai chitarristi Andy Powell e Ted Turner sta vivendo un momento magico con la pubblicazione di Argus, che vincerà il premio della critica per il miglior album dell'anno. La morte di Caruso e le accuse di «istigazione alla violenza» finiranno per lasciare il segno sul gruppo. Il buon successo di Wishbone four, l'album successivo non basterà a normalizzare i rapporti tra i componenti, non sufficientemente strutturati per vivere sotto la pressione continua dei media. Il primo a gettare la spugna sarà proprio "l'estremista" Ted Turner che nel giugno del 1974 lascerà i compagni. La storia della band non finirà con la sua defezione, ma niente più sarà uguale a prima.

03 settembre, 2017

3 settembre 1887 – Frank Christian, una delle grandi trombe di New Orleans

Il 3 settembre 1887 nasce a New Orleans, in Louisiana il trombettista Frank Christian, uno dei trombettisti più interessanti del jazz delle origini. Fratello degli altri due Christian, Charles ed Emile, comincia a suonare professionalmente nel 1908 con la celebre Reliance Brass Band diretta da Jack "Papa" Laine, la più prestigiosa tra le prime brass bands "bianche", che tiene a battesimo quasi tutti i più noti dixielanders di New Orleans da Nick La Rocca a Johnny De Droit, da Tom Brown a George Brunis, da Larry Shields a Leon Roppolo, da Yellow Nuñez a Tony Sbarbaro. Entra poi a far parte della Fischer's Brass Band di Johnny Fischer. In entrambi i gruppi Frank Christian ha come partner i due fratelli. Nel 1910 forma la Ragtime Band, un'orchestra che rimarrà in attività sino al 1918 e della quale faranno parte musicisti come Nuñez, Achille Baquet, Tony Giardina, Manuel Gomez, oltre a i soliti Emile e Charles Christian. Nel 1918, su invito di Johnny Stein, il batterista-manager della Original Dixieland Jazz Band, si trasferisce a Chicago per entrare a far parte della New Orleans Jazz Band con il pianista Jimmy Durante, il trombonista Frank Lhotag, il clarinettista Achille Baquet e lo stesso Stein alla batteria. Nello stesso anno la New Orleans Jazz Band si trasferisce a New York dove registra alcuni dischi. Christian resta con questa orchestra fino al 1922 poi se ne va per vagabondare nel giro del vaudeville lavorando con vari gruppi e soprattutto con quello di Gilda Gray. Rientrato a New Orleans nel corso degli anni Trenta suona con la Durfee’s Band. Della sua attività posteriore non ci sono molte notizie, a parte la registrazione delle quote versate al sindacato dei musicisti.

02 settembre, 2017

2 settembre 1973 - Jack Wilton Marshall lavora per il futuro

Il 2 settembre 1973 a Huntington Beach in California, un infarto stronca la vita e la carriera del chitarrista jazz cinquantunenne Jack Wilton Marshall, un musicista che da tempo dedica gran parte delle sue risorse ad aiutare i giovani talenti della chitarra. La sua morte inaspettata coglie di sorpresa l'ambiente musicale californiano che vorrebbe onorarne in qualche modo la memoria. Alla fine un'idea mette tutti d'accordo: istituire una fondazione a lui dedicata che abbia lo scopo di fornire aiuto e assistenza finanziaria agli studi dei giovani chitarristi. In questo modo gli amici perpetuano il ricordo di Marshall regalandogli un pezzetto d'immortalità. È un riconoscimento singolare per un artista poco conosciuto dal grande pubblico ma molto apprezzato dai colleghi. Inizia a suonare l’ukulele a dieci anni e a tredici scopre la chitarra attraverso le abili geometrie sonore di Django Reinhardt. Nel 1938, diciassettenne, lascia il natìo Kansas per spostarsi in California con la famiglia. Qui acquista la prima chitarra elettrica e inizia a suonare con l’orchestra della sua scuola. La sua abilità tecnica non sfugge agli addetti ai lavori che lo mettono spesso alla prova. Sostituisce occasionalmente Oscar Moore nel trio di Nat King Cole e suona al fianco di Art Tatum. Dal 1940 al 1942 viene scritturato dagli studi MGM, ma la seconda guerra mondiale rivendica la sua partecipazione. Alla passione musicale affianca gli studi in Ingegneria e nel 1946, chiusa la parentesi bellica, riprende gli studi di ingegneria presso l’università del sud California. Fino alla laurea la musica è solo un divertimento. La sua posizione è destinata ben presto a cambiare. Terminati gli studi ingegneristici passa a quelli musicali. Studia orchestrazione e armonia con Albert Harris e riprende il suo vecchio posto negli studi della MGM. Lavora anche per la televisione e il cinema firmando oltre trecento tra colonne sonore e commenti musicali. Nonostante la giovane età ricopre il ruolo di direttore musicale nella sala di registrazione della Capitol e produce dischi di un gran numero di artisti. La sua attività concertistica diventa quasi un hobby, anche se si esibisce con regolarità a San Francisco ogni fine settimana. Il suo amore per la chitarra diventa una ragione di vita. Si dedica alla valorizzazione dei giovani e nel 1967 riesce a convincere i proprietari di un club di Burbank, il Dontes, a organizzare una settimana di jazz interamente dedicata al suo strumento cui partecipano i più famosi chitarristi d’America.

01 settembre, 2017

1° settembre 1962 - Tommy Roe, il clone di Buddy Holly

Il 1° settembre 1962 arriva al vertice della classifica statunitense Sheila, un brano che molti giurano sia una pubblicazione postuma di Buddy Holly, lo sfortunato rocker scomparso nel mese di febbraio di tre anni prima. La somiglianza della voce è davvero sorprendente, ma non è lui. L'interprete di Sheila è Tommy Roe, un ventenne sconosciuto al grande pubblico. Il brano non è nuovo. Il ragazzo infatti l'ha già pubblicato nel 1960 con la sua band, Tommy Roe & The Satins, per una piccola etichetta di provincia. Nessuno si è accorto allora del disco tranne un talent scout della ABC Paramount, una casa discografica sempre alla ricerca di giovani cantanti da far consumare rapidamente al pubblico degli adolescenti. Gli esperti dell'etichetta ascoltano il disco e si accorgono che quel ragazzo ha qualcosa in più rispetto ai soliti cantanti adolescenti di rock and roll: «La voce! Ha la stessa voce di Buddy Holly». Lo scritturano e gli fanno registrare di nuovo il brano. La sua voce, già naturalmente simile a quella di Holly, viene ulteriormente elaborata dai tecnici e l'arrangiamento fa il resto. Il risultato è quello voluto. La faccia pulita da adolescente un po' cresciuto cattura il pubblico giovanile e la somiglianza della sua voce con quella di Buddy Holly suscita nostalgie mai sopite. In breve tempo il disco vola alto nelle classiche. Il successo ottenuto viene poi consolidato da una serie di canzoncine come Susie darlin', The folk singer ed Everybody. Quando, nel mese di marzo del 1963, partecipa a un tour con i Beatles capisce che i tempi stanno cambiando. A differenza di molti artisti di quel periodo, torna nell'anonimato in attesa che l'ondata del beat esaurisca la sua spinta propulsiva e si dedica prevalentemente alla composizione. Nel 1969, passata la bufera, decide che è tempo di riemergere e torna al successo con Dizzy mantenendosi a galla anche negli anni Settanta con brani pop di buona fattura ma senza particolari pretese.