28 settembre, 2017

28 settembre 1985 – Torna Kate Bush, la donna del mistero

Il 28 settembre 1985 l’album Hounds of love riporta Kate Bush al vertice della classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Ci resterà per più di un mese. Il disco ripropone la “donna del mistero” della musica britannica dopo tre anni d’assenza e di silenzio. Nata il 30 luglio 1958 a Bexleyheat, nel Kent, Catherine “Kate” Bush viene descritta dalle biografie ufficiali come una sorta di bambina prodigio che passa il suo tempo tra il pianoforte e i libri. In realtà, come dice lei con ironia, ascolta anche i dischi dei T. Rex di Marc Bolan ma «non si può dire, altrimenti crolla il mito». Ha solo quindici anni quando invia una cassetta con alcune sue canzoni a David Gilmour, il chitarrista dei Pink Floyd, che la fa ascoltare ai talent scout della sua casa discografica. Nonostante la giovane età ottiene il suo primo contratto discografico che la costringe a frequentare lezioni di piano e di canto, oltre che i corsi di danza di Lindsay Kemp. Nel 1977 tutto è pronto per il suo debutto. La ragazza, non sopporta però di sentirsi un pollo d’allevamento e rifiuta le imposizioni. «Sono una donna, non uno stupido disco. Canto solo ciò che mi convince!» Più volte il rapporto tra lei e i discografici arriva al limite della rottura e il suo primo disco vede la luce solo nel gennaio del 1978. Valeva la pena di aspettare tanto! In piena epoca punk infatti la sua interpretazione della romantica Wuthering heights conquista il vertice della classifica. Il ruolo della popstar però non fa per lei. Dopo un faticoso tour nel 1979 decide di non fare più concerti alimentando la leggenda della “donna del mistero” dal carattere chiuso e scontroso. Il rapporto con il pubblico è delegato a una serie di splendidi video-clip di cui spesso firma sceneggiatura e regia. Straordinari esempi della sua genialità creativa sono Babooshka nel 1980 e di Running up that hill nel 1985, che vede la partecipazione dell’attore Donald Sutherland. L’album Hounds of love segna una svolta nella sua carriera artistica. Nel tentativo di soddisfare una perenne irrequietezza artistica e l’ansia di percorrere strade nuove la sua voce si comporta come se fosse uno strumento sonoro e nelle atmosfere ritmate e aggressive dei brani il timbro non esita a farsi cupo per dare corpo a foschi e ossessivi deliri. Sono parti dell’evoluzione di un genere molto personale che verrà definito “lirismo rock” da critici senza fantasia.

24 settembre, 2017

25 settembre 1965 – L’exploit dei Walker Brothers

Il 25 settembre 1965 i Walker Brothers arrivano al vertice della classifica britannica dei dischi più venduti con la loro versione di Make it easy on yourself, un brano composto nel 1962 da Burt Bacharach ed Hal David. Il trio statunitense formato l’anno prima da Scott Engel, John Maus e Gary Leeds ribattezzatisi per reggere la finzione dei “fratelli Walker” con i nomi d’arte di Scott Walker, John Walker e Gary Walker mostra ancora una volta che nessuno è profeta in patria. Lasciati gli States per cercare fortuna oltreoceano ottengono un successo quasi immediato. Pochi mesi dopo l’exploit di Make it easy on yourself si ripetono con My ship is coming in e, soprattutto, The sun ain' gonna shine anymore pubblicata nel 1966 e considerata ancora oggi la loro miglior canzone, oltre che uno dei migliori dischi degli anni Sessanta. Nonostante i risultati i Walker Brothers poco dopo aver pubblicato l'album Images decideranno nel 1967 di separarsi per continuare ciascuno per proprio conto, mettendo così fine a un gruppo destinato probabilmente a durare ancora per molto tempo con successo. Nessuno dei tre componenti riuscirà a ripetere da solo i risultati della band e sull'onda della nostalgia si riuniranno più volte a partire dal 1975.

21 settembre, 2017

21 settembre 1963 - Il velluto blu di Bobby Vinton

Il 21 settembre 1963 arriva al vertice della classifica statunitense dei dischi più venduti il brano Blue velvet interpretato da Bobby Vinton, uno dei tanti ragazzotti bellocci dalla voce calda inventati dai discografici per la gioia delle ragazze e degli editori di rotocalchi giovanili. I tempi però stanno cambiando e l'arrivo del beat sta per spazzare via dalla scena musicale, oltre che dai cuori delle teen-ager, i personaggi come lui. Il robusto rock che arriva dall'Inghilterra fa passare in secondo piano Bobby Vinton che deve ricominciare da capo prima ancora di aver compiuto vent'anni. Da idolo delle adolescenti si ritrova così a cantare standard nei club di Las Vegas per la gioia di signore attempate e ricche. Da questa sorta di paradiso per vecchie glorie riemergerà negli anni Ottanta grazie al cinema. Il primo a riportarlo alla luce è John Landis che inserisce la sua versione di Blue moon nel film "Un lupo mannaro americano a Londra". Sull'onda del successo del lungometraggio vengono ristampati i suoi vecchi dischi e l'ex ragazzo dal sorriso un po' ebete si ritrova a cavalcare di nuovo le onde del successo. Il periodo migliore deve, però, ancora venire. Il merito è proprio di quella Blue velvet che per lungo tempo era stata considerata il suo canto del cigno. Nel 1986, infatti, David Lynch realizza il film "Velluto blu", il cui titolo è tratto direttamente dalla canzone, inserita anche nella colonna sonora. La fortuna o, più probabilmente, la geniale ispirazione di Lynch trasformano la pellicola in uno dei successi dell'anno grazie anche allo scandalo suscitato dalla decisione di Gian Luigi Rondi di escluderlo dalla programmazione del Festival di Venezia per quelli che lui ritiene gli eccessi di nudo, sangue e violenza. Il buon Bobby Vinton, meno patinato di un tempo, decide di non bruciare l'occasione che gli è stata concessa. Centellina le presenze televisive e mette a frutto l'esperienza di più di vent'anni passati a fare da sottofondo musicale alle chiacchiere di ricchi annoiati. Un altro suo vecchio brano tornerà prepotentemente al successo all'inizio degli anni Novanta. Si tratta di Sealed with a kiss che nell'interpretazione di Jason Donovan arriverà al primo posto della classifica britannica dei dischi più venduti. Ma il suo vero cavallo di battaglia resta sempre Blue velvet, destinato a salire nel 1991 per l'ennesima volta ai vertici delle classifiche discografiche dopo essere stato utilizzato come colonna sonora di uno spot pubblicitario.


19 settembre, 2017

19 settembre 1973 - Le ultime volontà di Gram Parsons

Il 19 settembre 1973 muore in California Gram Parsons, l'ex chitarrista dei Byrds e dei Flying Burrito Brothers, considerato uno dei migliori talenti del country rock. Le circostanze della sua morte non sono chiare. Inizialmente viene attribuita a cause naturali, ma la successiva autopsia rileva tracce consistenti di droga e alcool nel sangue e il certificato definitivo di morte parla esplicitamente di “overdose”. La sua scomparsa dà luogo a uno degli episodi più emblematici della storia della generazione hippie. Il corpo del musicista dopo l'autopsia viene messo a disposizione della famiglia con la quale aveva rotto i rapporti da molti anni. Quest'ultima dà precise disposizioni perché la bara di Parsons venga trasferita in Florida per essere tumulata nella tomba di famiglia con una cerimonia religiosa solenne che possa «riconciliare l'anima di Gram con Dio». La notizia getta nello sconforto gli amici hippie con i quali il chitarrista ha diviso gli ultimi anni della sua vita. Egli infatti ha lasciato loro un messaggio in cui chiede che il suo corpo venga cremato su una grande pira all'interno dello splendido scenario di un'oasi naturale e le sue ceneri disperse ai piedi del Joshua Tree National Monument. A nulla serve il tentativo di convincere la famiglia di Parsons. I suoi parenti, ritenendo gli amici responsabili della "corruzione spirituale" di Gram, rifiutano di ascoltarli e non sono disponibili a dare il loro assenso a una cerimonia "pagana". Ritenendosi depositari delle ultime vere volontà del chitarrista gli amici non demordono. Visti inutili i tentativi di comunicare decidono di passare all'azione. Sotto la guida di Phil Kaufman, il vecchio manager dell'artista, viene mobilitata l'intera comunità hippie di Los Angeles. L'operazione scatta all'aeroporto della città quando un gruppetto riesce a impadronirsi della bara e a portarla fuori eludendo la sorveglianza. Mentre altri gruppi creano situazioni diversive nella zona circostante il furgone che porta a bordo il corpo del chitarrista vola veloce verso la sua destinazione. Verrà cremato nel corso di una cerimonia suggestiva e ricca di emozione alla presenza degli amici e di tutti i membri della comunità hippie di Los Angeles. Due giorni durerà questa sorta di veglia funebre scandita da canti e da poesie. Soddisfatte le ultime volontà dell'amico inizieranno i problemi perché le autorità incrimineranno gli esecutori materiali di una mezza dozzina d'imputazioni, compreso il furto e la distruzione di cadavere.

17 settembre, 2017

18 settembre 1970 – Per Jimi Hendrix la vita è come l'amore, rinchiusa tra ciao e addio

Il 18 settembre del 1970 è un venerdì, per molti una giornata normale. Per Jimi Hendrix quella del suo appuntamento con la morte. La vecchia signora si nasconde tra le ombre delle case che costeggiano le vie trafficate di Notthing Hill dove corre senza troppa fretta l’ambulanza che lo sta trasportando all’ospedale St. Mary Abbott di Kensington. Tutto inizia quando cinque o sei ore prima il musicista si addormenta nell’appartamento della sua amica Monika Danneman dopo una lunga chiacchierata e qualche pillola di sonnifero. Alle 10.30 la ragazza si sveglia e Jimi dorme ancora. Senza disturbarlo esce a comperare le sigarette. Al suo rientro si accorge che c’è qualcosa che non va nel sonno innaturale dell'amico. Tenta di svegliarlo, ma non ci riesce e non si fida troppo a chiamare l’ospedale perché «…se la cosa non si fosse rivelata grave, se la sarebbe presa con me». Indecisa sul da farsi telefona a Eric Burdon, l’ex cantante degli Animals che fa da manager a Jimi, per un consiglio e soprattutto per farsi dare il numero di telefono del medico del chitarrista. Eric le suggerisce di chiamare il pronto soccorso. Venti minuti dopo la sirena ulula davanti all’appartamento di Notting Hill. Il personale dell’ambulanza non appare particolarmente preoccupato. Prendono di peso il musicista e lo mettono seduto. Jimi vomita più volte e la sua testa si muove avanti e indietro seguendo le evoluzioni del mezzo. All’arrivo all’ospedale nessuno si preoccupa di sottoporlo a terapie di rianimazione. Disteso su un lettino mezz’ora dopo spira soffocato dal suo vomito. Le indagini scopriranno poi che era sufficiente distenderlo su un lato per salvarlo ma nessuno l’ha fatto. In questo modo stupido scompare uno dei più eccezionali chitarristi di tutti i tempi, artefice di innovazioni tecniche che hanno allargato le capacità espressive dello strumento portando la chitarra elettrica a sperimentare sentieri mai percorsi da nessuno prima di lui. La sua vena creativa sperimenta oltre i limiti conosciuti fino a quel momento le possibilità dell'elettrificazione e dell'amplificazione, rimescolando blues, jazz e rock, sfruttando tutti gli effetti possibili. Nella sua tecnica anche il corpo si mette al servizio della chitarra nella ricerca di nuove sonorità (suona con il palmo della mano, con il gomito e con i denti). La critica dell'epoca (con qualche eccezione) prende una cantonata storica quando snobba e definisce "eccessi da gigione" quella che è l'essenza stessa delle sue innovazioni. Jimi Hendrix regala una nuova dimensione alla chitarra elettrica che, con lui, cessa di essere un semplice strumento per diventare una macchina da suoni. La sua morte sorprende tutti. Emblematico resta il testo di The story of life, scritto poco prima di addormentarsi per l’ultima volta: «La storia della vita/è più rapida/di un battito di ciglia/la storia di un amore/è ciao e addio/finché non ci ritroveremo». Quelle poche righe buttate giù di getto in un periodo in cui Jimi sta lavorando a un nuovo disco alimenteranno per anni l’idea di un suicidio, di una morte cercata. Difficile sapere la verità anche se gli amici non crederanno mai che il chitarrista si sia ucciso. Quel che tutti sappiamo invece è che la sua scomparsa ha arricchito ancor di più il music business che fino a quel momento aveva faticato a gestire il personaggio. La sua carriera è stata una continua lotta con uno stuolo di manager e consiglieri impegnati a smussare gli angoli più “neri” del personaggio, nel timore di perdere le simpatie del pubblico bianco. Le sue simpatie per il Black Panthers sono state "censurate e uno stretto cordone di riserbo ha coperto fino alla sua morte i frequenti contatti con gli esponenti del movimento stesso. Il successo di Jimi Hendrix è stato una sorta di lungo calvario per discografici e faccendieri impegnati a depotenziarne la potenzialità eversiva. Contrariamente a quanto si sostiene Chi non si accontenta delle favole sa che non è mai stata la sua carica sensuale l’aspetto più pericoloso della popolarità («tenete a casa le vostre sorelline»), ma il suo essere un nero di successo, con saldissime radici nella musica nera, in uno showbusinnes dominato da bianchi e in un sistema preoccupato per il numero crescente di musicisti che scelgono di diventare testimonial e finanziatori dei gruppi che organizzano la mobilitazione nera. È la sua simpatia per il Black Panthers Party unita alla decisione di formare il primo complesso rock di soli neri, la Band Of Gypsys, con Buddy Miles alla batteria e Billy Cox al basso a creare "disordine" in un ambiente in cui si incoraggia il ribellismo d’accatto, buono per vendere dischi ma si teme la presa di coscienza. Non è un segreto per nessuno che a partire dal 1969 il suo management abbia dedicato gli sforzi maggiori a smussare gli angoli più "neri" del personaggio piuttosto che a valorizzarne l'estro creativo e le potenzialità. Un episodio tra i tanti è quello di Mark Jeffrey che "consigliava" i percussionisti di colore ingaggiati per l'esibizione a Woodstock di rimanere sullo sfondo del palcoscenico per non caratterizzare in senso "razziale" l'esibizione. Il risultato di quella geniale trovata è che ancora oggi le percussioni sono quasi inascoltabili nella registrazione dal vivo del concerto. Hendrix non è un eroe e neanche un’attivista, è solo un grande e geniale musicista che cerca di non perdere contatto con le sue radici e che ha scoperto una causa cui dedicare simpatia e qualche risorsa finanziaria. Le pressioni che gli arrivano dall’ambiente sono inaspettate. Non è attrezzato a questo tipo di tensioni, non le capisce e finisce per trovarle insopportabili. Tutti abbiamo ancora fisso in mente un Jimi provato che, tre mesi prima di morire, abbandona il palco del festival dell'Isola di Wight stanco e deluso da un pubblico che vuole da lui solo la ripetizione dei vecchi successi e poco più. Pochi giorni prima di morire affida al taccuino di un cronista alcune considerazioni premonitrici: «È strano come la gente sembra essere più affascinata dai morti che dai vivi. Quando sei vivo la tua carriera è una lotta continua per non farti dimenticare. Una volta morto ti sei assicurato l’immortalità. Sembra quasi che devi morire prima che si convincano che forse valevi qualcosa».

15 settembre, 2017

15 settembre 1964 - L’intraprendente ispettore Bear vuole spegnere i Beatles

Nel 1964 i Beatles, impegnati nel loro secondo tour statunitense vengono accolti ovunque da scene d’isteria collettiva. Il 15 settembre 1964 sono sul palco della Public Hall di Cleveland, nell’Ohio, gremita all’inverosimile da una massa di corpi urlanti. Un modesto e inesperto cordone di sicurezza allestito dalla polizia locale tenta disperatamente di tenere lontane dal palco centinaia di ragazzine desiderose di sfiorare anche solo per un momento i propri idoli. Quando inizia il concerto la massa degli spettatori avanza verso il palco aumentando la pressione sul fragile cordone di tutori dell’ordine. Qua e là ci sono degli sfondamenti: un paio di ragazze non ancora quattordicenni riescono a salire sul palco, baciano Paul McCartney e vengono ributtate, felici, nella mischia della platea dalle guardie del corpo della band. I Beatles, in un primo momento preoccupati per la loro incolumità, quando vedono che si tratta di un gioco innocuo e ben controllato dal loro servizio d’ordine, lasciano fare. Non così la polizia che tenta con metodi sempre più energici d’interrompere l’andirivieni. Il responsabile dell’ordine pubblico è l’Ispettore Carl Bear del Juvenile Bureau della polizia di Cleveland. Uomo tutto d’un pezzo non sa darsi pace di fronte all’impotenza dei suoi uomini, sbeffeggiati e regolarmente “saltati” dalle prime file del pubblico. A una ventina di minuti dall’inizio del concerto decide di intervenire personalmente. Tesserino alla mano chiede ai tecnici di staccare la corrente. Sale, quindi sul palco e annuncia solenne: «Vista l’impossibilità di mantenere l’ordine pubblico il concerto finisce qui!» Una salva di fischi e ululati accoglie la dichiarazione. «Chi è questo pazzo?» Chiede George Harrison. La risposta è pronta: «Sono l’Ispettore Carl Bear e voi potete rientrare nei camerini». Sotto gli occhi del pubblico e gli obiettivi dei fotografi inizia così una febbrile discussione tra i due, mentre in platea sta succedendo di tutto. Nonostante le premesse, alla fine prevale la logica. I tecnici ridanno corrente agli strumenti e, dopo quindici minuti, il concerto può continuare. L’Ispettore Carl Bear entra così nella storia del rock

14 settembre, 2017

14 settembre 1989 - Addio a Perez Prado, il re del mambo

Il 14 settembre 1989 a Colonia del Valle in Messico muore il direttore d'orchestra Pérez Prado, il Re del mambo, principale artefice della diffusione nel mondo del più popolare ritmo afrocubano degli anni Cinquanta. Al momento della sua morte i giornali sorvolano sull'età. L'unica certezza è che ha più di settant'anni ma la sua vera età resta un mistero dato che diverse sono le date di nascita che di volta in volta vengono diffuse. Stando alle biografie più o meno ufficiali Damaso Pérez Prado, questo è il suo nome completo, sarebbe nato in Cuba, a Matanzas, in un periodo compreso tra il 23 novembre 1918 e l'11 dicembre 1916. La prima vera scrittura l'ottiene negli anni Trenta dall'Orchestra del Casinò de la Playa a Cuba, dove resta per qualche anno. Lavora anche come arrangiatore e, in segreto, coltiva il sogno di mettersi in proprio. In quel periodo uno dei balli dell'isola, il Mambo, inizia a diffondersi come danza di sala grazie al compositore e direttore d’orchestra Arsenio Rodríguez, che ne codifica e ne definisce le strutture ritmiche e armoniche, realizzando una simbiosi tra i ritmi sincopati del jazz orchestrale nordamericano e quelli afro-cubani della sua terra d’origine. Pérez Prado resta affascinato da questa musica che reca in sé il fascino della contraddizione. Nel 1948 trova le risorse e il coraggio necessario a dare vita alla sua prima grande orchestra, mentre il Mambo sta per trovare la sua definitiva consacrazione nel più grande mercato musicale del mondo: gli Stati Uniti. Complici e protagoniste della sua diffusione sono le comunità ispaniche, soprattutto quelle delle grandi metropoli, che si trasformano in una sorta di gigantesca e capillare cassa di risonanza. Il ritmo e la sensualità del mambo si diffondono così a macchia d’olio fino contagiare prima gli Stati Uniti e poi il mondo. Nel 1954 Perez Prado, ormai divenuto il "Re del mambo", è uno dei direttori d'orchestra più richiesti grazie anche allo straordinario successo della sua Cherry pink and apple blossom white. Negli anni successivi la sua popolarità resta intatta nonostante il declino della musica orchestrale e, in parte, del mambo. Come gli antichi nocchieri continua a guidare la sua orchestra e lavora praticamente fino a quando la salute lo regge. Incurante del tempo che passa fino agli ultimi giorni della sua vita si dedica alla composizione e all'arrangiamento. Nel 1981 torna anche in sala di registrazione per occuparsi della ripubblicazione dei suoi vecchi successi.

11 settembre, 2017

12 settembre 1943 - Nasce Maria Muldaur, l'italiana del Village

Il 12 settembre 1943 nasce in Greenwich Village, New York, Maria Muldaur, una delle voci bianche femminili più significative del folk blues degli anni Sessanta e Settanta. La ragazza è figlia di italiani. All'anagrafe, infatti, è registrata con il lunghissimo nome di Maria Grazia Rosa Domenica D'Amato. Fin dai primi anni di vita respira l'atmosfera febbrile e creativa dei locali del Village dove si mescolano folk, blues e rock and roll. È ancora adolescente quando presta la sua voce al gruppo folk della Even Dozen Jug Band, di cui fanno parte John Sebastian, Steve Katz, Joshua Rifkin e Stefan Grossman. Non ci resta per molto perché sul suo cammino incontra la Jim Kweskin Jug Band che ha come chitarrista e cantante Geoff Muldaur, un tipo piuttosto famoso nell'ambiente che ha pubblicato il primo album quando lei aveva dieci anni. L'incontro segna una svolta nel suo destino. Si innamora di Geoff, lo sposa e gli ruba il cognome diventando per sempre Maria Muldaur. Per qualche tempo si fa ingaggiare dalla band di Kweskin, ma poi convince anche il suo fedele compagno a percorrere altre strade. Insieme formano il duo Geoff e Maria Muldaur che ottiene un buon successo all'inizio degli anni Settanta con gli album Pottery pie e Sweet potatoes, ma la ragazza ha altro per la testa. Ben presto scioglie la ditta e debutta in proprio con l'album Mud acres. Le strade dei due si dividono. Con Paul Butterfield, Mike Bloomfield e Nick Gravenites Maria lavora alla colonna sonora del film "Una squillo per quattro svitati" con Jane Fonda e Donald Sutherland e nel 1973 entusiasma pubblico e critica con l'album Maria Muldaur e con il singolo Midnight at the oasis. Da quel momento la sua strada è in discesa. Poco interessata al successo commerciale, continuerà a produrre album di qualità come Waitress in a donut shop, Sweet harmony, Open your eyes, Gospel nights, Sweet and low, On the sunny side e lo splendido Live in London.