Il 3 ottobre 1976 muore a settant’anni in un ospedale di Brooklyn la cantante blues Victoria Spivey, da tutti soprannominata "Queen" (regina). Nata a Houston, nel Texas per più di cinquant'anni ha attraversato da protagonista la scena blues statunitense. È ancora bambina quando comincia a girare cantando e a recitando negli spettacoli ambulanti che percorrono il classico circuito dei teatri neri del Sud degli Stati Uniti in città come St. Louis, Memphis e la natìa Houston. Nel 1926, a soli sedici anni, compone un brano che le dà la popolarità. È Black Snake Moan, oggi divenuto un classico del blues di tutti i tempi. Quando la crisi del 1929 e la conseguente depressione colpiscono pesantemente la popolazione nera del suo paese lei, che in quel periodo ha diciannove anni, cerca di interpretarne i sentimenti, la rabbia e la voglia di riscatto. Il suo stile fa più aggressivo e si libera delle influenze gioiose del vaudeville, che fino a quel momento l'avevano caratterizzato. Il risultato è sorprendente e al suo fianco si schierano alcuni dei migliori jazzisti di quel periodo, da Louis Armstrong, a Henry Allen, a Lonnie Johnson, a Tampa Red. Scrive e interpreta canzoni che parlano al cuore della sua gente. I suoi testi sono crudi e immediati. La voce acida, tagliente, sarcastica, amara e disincantata narra storie di suicidi, di malattie, d'emarginazione, di sesso disperato, di violenze razziali, di stanze umide e sottoscala in cui vive un'umanità consolata soltanto dall'alcol e dalla droga. A partire dagli anni Cinquanta riduce la sua attività musicale per dedicarsi quasi a tempo pieno a una delle tante strutture di assistenza per i poveri e gli emarginati messe in piedi da una comunità ecclesiale. Saltuariamente torna in concerto o in sala d'incisione per regalare gli ultimi gioielli di una carriera intensa e ricca di tensione. Negli ultimi anni di vita le sue capacità vocali si riducono con l'affievolirsi della limpidezza sui toni alti.
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