L’8 febbraio 1973 muore a cinquantatré anni per una crisi cardiaca Max Yasgur, il proprietario della fattoria sui cui terreni nel 1969 si è svolto il Festival di Woodstock. Sono rimaste famose le sue parole, pronunciate dal palco al termine del Festival nelle quali è riassunta la filosofia hippy: «Questo è il più grande gruppo di persone che si sia mai radunato in un unico posto... Credo che tutti voi abbiate dimostrato qualcosa al mondo, e cioè che mezzo milione di giovani possano stare insieme e divertirsi ad ascoltare musica, nient’altro che divertimento e musica. Che Dio vi benedica per questo!». Da tre anni era alle prese con i guai legali derivati da quell'evento. Era stato infatti citato in tribunale dai proprietari dei terreni confinanti che chiedono trentacinquemila dollari di risarcimento per i danni provocati dal pubblico alle loro proprietà. Quando era stata notificata la citazione non aveva fatto commenti limitandosi a chiarire la sua posizione: «Non ho tutti i soldi che mi chiedono. Andrò davanti ai giudici e glielo dirò...». Pratico più che rassegnato, per lui il mondo era più semplice di come volevano farlo apparire gli altri. Nella battaglia legale non poteva contare sul sostegno di nessuno. Anche i protagonisti del Festival di Woodstock, divenuti improvvisamente delle star, erano lontani, impegnati a far fruttare l’inaspettata popolarità. La causa si trascina per molto tempo, ma non approda a niente, anche perché il buon Max con la sua semplicità troverà un modo originale per uscirne morendo d'infarto e lasciando tutti con un palmo di naso...
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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