
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
14 giugno, 2025
14 giugno 1972 – L'ultimo concerto di Simon & Garfunkel, anzi no

13 giugno, 2025
13 giugno 1979 – La leucemia si porta via Demetrio Stratos

12 giugno, 2025
12 giugno 1963 – Addio a Bob Scobey

Il 12 giugno 1963 a Montréal in Canada, il cancro si porta via per sempre il trombettista Bob Scobey. Nato il 9 dicembre 1916 a Tucumcari, nel New Mexico, a soli due anni il piccolo Robert Alexander Scobey, come è registrato all’anagrafe, si trasferisce con la famiglia a Stockton in California. Proprio in questa cittadina Bob comincia a suonare la cornetta all'età di nove anni, passando poi alla tromba verso i quattordici. Per non lasciare niente al caso affianca le sue doti naturali con lo studio frequentando il Berklee College. La tromba diventa un mestiere a partire dal 1936 quando si fa professionista esibendosi con orchestre da ballo in vari club e teatri di San Francisco. Nel 1938 conosce Lu Watters che gli fa conoscere il jazz. Bob se ne innamora e in brave tempo diventa uno dei principali rappresentanti del cosiddetto San Francisco Style. Insieme a Lu Watters e a Turk Murphy partecipa alla costituzione della Yerba Buena Jazz Band, con la quale suona per molti anni consecutivi, prendendo parte anche alla registrazione della nutrita serie di dischi di successo per la Good Time Jazz. Il segreto delle fortune della Yerba Buena è in una sorta di revival aggiornato dei brani classici. In pratica la band riprende i pezzi di Oliver e di Morton e li ripropone arrangiandoli in modo spettacolare senza tradirne lo spirito e rispettandone, per quanto possibile, l'arcaicità del suono. Nel 1947 forma una sua jazz band nella quale in anni diversi si avvicenderanno personaggi di spicco come Jack Buck, Wally Rose, Burt Bales, Clancy Hayes, Bob Mielke, Bill Napier, Bob Short, Ralph Sutton, Abe Lincoln, Warren Smith. Alla testa del suo gruppo si esibisce nei più eleganti ritrovi di Oakland, Los Angeles e San Francisco, registrando parecchi dischi per la Good Time Jazz, la Victor e la Verve. In questi anni si afferma anche come valente solista dimostrando di aver bene assimilato la lezione di Armstrong. Verso la fine degli anni Cinquanta se ne va prima a New York e poi a Chicago dove suona e incide alla testa di una nuova formazione di cui fanno parte Jim Beebem, Gene Schroeder, Art Hodes, George Duvivier e Clancy Hayes. Un anno prima di morire attraversa tutta l’Europa con un lungo tour.
11 giugno, 2025
11 giugno 1948 - Apre il Club Saint-Germain

L'11 giugno 1948 a Parigi apre i battenti il Club Saint-Germain, forse il più noto circolo di jazz della capitale francese negli anni dell’immediato dopoguerra. Aperto in rue St. Benoit in un periodo che ancora oggi viene definito “il grande momento di Saint-Germain-des-Prés” per la straordinaria vivacità culturale che attraversa le vie del quartiere, il locale è destinato a ospitare uno dopo l'altro tutti i grandi nomi del jazz mondiale di passaggio a Parigi, sia quelli di stile mainstream che i protagonisti delle evoluzioni più moderne. Alla fine degli anni Sessanta entra in un declino che appare inarrestabile e, complici una serie di problemi relativi alla proprietà e alla gestione, finisce per chiudere i battenti. Non sarà per sempre perché dopo un’interruzione dell’attività durata qualche anno, riaprirà le porte ai musicisti jazz a partire dal 1979.
10 giugno, 2025
10 giugno 1940 – C’è la guerra, niente musica americana!

09 giugno, 2025
9 giugno 1934 - Nasce Paperino
È nato il 9 giugno 1934. In quel giorno infatti nel cortometraggio animato The Wise Little Hen, conosciuto in Italia con il titolo La gallinella saggia fa la sua prima apparizione un nuovo componente della famiglia delle creazioni di Walt Disney. È un buffo papero che indossa blusa e cappello da marinaio. Il suo nome è Donald Duck, anzi, per la precisione Donald Fauntleroy Duck. Nella versione italiana diventa Paperino. Nei primi cartoni animati fa da spalla al personaggio principale di casa Disney, Mickey Mouse alias Topolino, ma già nel 1936 diventa protagonista, prima con Donald & Pluto e poi con Don Donald, ambientato in Messico, il primo interamente dedicato a lui. In occasione dei festeggiamenti per il sessantacinquesimo compleanno di Paperino viene anche stato indetto un concorso mondiale per il migliore disegno di Donald Duck del XXI secolo. L’opera vincitrice è esposta ad Anaheim, nel California Convention Center, accanto a Disneyland.
08 giugno, 2025
8 giugno 1948 - La prima Porsche 356
L’8 giugno 1948 nasce la prima Porsche 356. Tutto inizia nell’agosto del 1947 quando Ferdinand Porsche, il geniale progettista del primo Maggiolino, lasciata la prigione francese nella quale era stato rinchiuso con l’infamante accusa di collaborazionismo con i nazisti, torna a Gmünd in Carinzia. Qui scopre che il figlio Ferry, nonostante la sua assenza forzata, non ha gettato la spugna, ma insieme a Karl Rabe e Erwin Kamenada, i suoi più stretti e fedeli collaboratori d’un tempo, ha continuato a lavorare. I tre hanno aperto una modesta officina per la costruzione e la manutenzione di macchinari agricoli e autovetture. Il trio è molto popolare nella zona per la sua abilità nel riparare le vecchie Volkswagen militari riconvertite a uso agricolo da parte dei coltivatori austriaci. La scoperta più sorprendente e lieta che attende Ferdinand Porsche gli arriva, però, da suo figlio che ha salvato dalla distruzione degli stabilimenti Volkswagen i vecchi progetti di una versione coupé sportiva del futuro “maggiolino”. L’idea nata negli anni Trenta era quella di utilizzare gran parte degli organi meccanici della berlina per un modello dotato di un motore più potente che avrebbe dovuto partecipare al Rally Berlino-Roma del 1939. I responsabili della produzione della Volkswagen, più occupati a preparare le forniture belliche che a seguire i sogni di Ferdinand Porsche, non avevano ritenuto il progetto interessante mentre il Rally era stato annullato per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Un mese prima della liberazione di Ferdinand il suo sogno aveva cominciato a essere sviluppato nel concreto. Il 17 luglio, infatti, aveva rivisto la luce la progettazione per un modello sportivo a due posti derivato dalla meccanica Volkswagen. Il numero di riferimento del progetto è 356.00.015, lo stesso che contrassegnava i disegni dell’auto ideata da Ferdinand Porsche prima della guerra. 356 diviene così il nome della vettura che, pian piano, vede la luce. Il prototipo costruito a Gmünd è quello di un’auto sportiva aperta a due posti. È una soluzione quasi obbligata perché il trio non ha le risorse per costruire una carrozzeria chiusa. Il telaio tubolare d’acciaio e il motore sono presi pari pari dal Maggiolino mentre il cambio viene collocato a sbalzo dietro l’asse posteriore. Anche le sospensioni, lo sterzo e i freni sono gli stessi della Volkswagen. Le modifiche, piccole ma essenziali, servono soltanto a migliorare la potenza e la tenuta di strada. Per esempio le testate del motore da 1131 cc vengono modificate con valvole un po’ più grandi e un rapporto di compressione aumentato dall’originale 5,8:1 a 7:1 portando così la potenza da 25 a 35 cv. Successivamente viene aggiunto un secondo carburatore a corrente d’aria discendente e si arriva così a 40 cv. Le linee aerodinamiche della carrozzeria in alluminio della prima 356, progettate da Erwin Komenda prima della guerra, vengono fabbricate a mano dall’artigiano Friedrich Weber. L’8 giugno 1948 la prima vettura è pronta. Un mese dopo Herbert Kaes, cugino di Ferry e suo collaboratore tecnico, porta la 356 alla prima vittoria in una corsa su strada a Innsbruck. Il primo acquirente di una 356 è il signor Von Seeger, proprietario di un’agenzia pubblicitaria di Zurigo. La partecipazione ufficiale della 356 al Salone di Ginevra e le richieste conseguenti rischiano però di mettere in crisi sul nascere il sogno di Ferdinand Porsche. Mentre fioccano le prenotazioni, infatti Porsche padre e figlio devono affrontare i problemi relativi alla produzione, visto che le loro officine di Stoccarda sono ancora occupate dalle truppe statunitensi. Ripiegano allora sul garage della loro villa di Feuerbach dove si iniziano a produrre otto-dieci vetture al mese. Contemporaneamente per evitare conflitti con la Volkswagen Ferry Porsche stipula un accordo in cui si impegna a non costruire vetture che possano entrare in concorrenza diretta con il Maggiolino in cambio dell’utilizzo della componentistica e della rete commerciale della stessa Volkswagen. Alla fine del 1949 un contratto con il carrozziere Neuter di Stoccarda risolverà il problema. Quest’ultimo costruirà tutte le carrozzerie della 356. Le vetture interamente costruite a Gmünd sono quarantasei. Due anni dopo i Porsche rientreranno in possesso dei loro vecchi stabilimenti e trasferiranno l’intera produzione a Stoccarda.
07 giugno, 2025
7 giugno 1971 – Il suicidio di Ben Pollack

Il 7 giugno 1971 a Palm Springs, in California, viene ritrovato il corpo del sessantasettenne batterista, cantante e direttore d’orchestra Ben Pollack. Si è impiccato. Le ragioni della tragica decisione sono sconosciute. C’è chi ipotizza dissesti finanziari e chi invece tenta di scavare nella sua travagliata vita sentimentale. Al di là delle motivazioni, se ne va per sempre uno dei protagonisti del jazz orchestrale, abile batterista dixieland e leader dalle grandi capacità. Nato a Chicago, nell'Illinois, inizia da ragazzo a suonare la batteria in vari gruppi studenteschi. Non ha ancora compiuto diciott'anni quando ottiene il suo primo ingaggio importante da Dick Shoenberg che lo scrittura per suonare con il suo gruppo al Navy Pier di Chicago. È l'inizio di un periodo frenetico in cui Ben vagabonda per gli Stati Uniti passando dalla band del pianista Izzy Wagner ai New Orleans Rhythm Kings, dal gruppo del clarinettista Larry Shields a quello di Harry Bastin. Nel 1924 entra in crisi. Stanco di quella vita torna alla sua Chicago, deciso ad abbandonare l'attività musicale e a dedicarsi, insieme con i familiari, al commercio delle pellicce. Dopo pochi mesi cambia idea e se ne va a New York in cerca di lavoro. Qui diventa per la prima volta leader rilevando per quasi un anno l'orchestra di Harry Bastin. Chiusa la parentesi torna a Chicago per suonare nella band di Art Kassel, ma l'esperienza come leader gli è piaciuta. Nel 1926 forma la sua prima vera orchestra. Da quel momento il suo nome diventa una garanzia sulla qualità della band. Per quasi vent'anni organizza e dirige varie formazioni mentre la sua popolarità si allarga a macchia d'olio. Nel 1943 diventa anche impresario e due anni dopo fonda anche una propria etichetta discografica: la Jewel Company. Negli anni Sessanta abbandona l'ambiente musicale per dedicarsi alla gestione di un ristorante a Palm Springs, in California. Non si muove più fino al disperato e mai completamente chiarito suicidio.
06 giugno, 2025
6 giugno 1960 – L'irrequieto Steve Vai

Il 6 giugno 1960 nasce a Long Island, New York, Steve Vai, uno dei chitarristi più versatili e tecnici del rock degli anni Ottanta e dei primi anni novanta. A tredici anni suona per la prima volta in pubblico con i Rayge, una band formata insieme a un gruppo di compagni di scuola. Proprio nella stagione degli studi ha la fortuna di avere per maestro un chitarrista leggendario come Joe Satriani, impegnato nell'insegnamento per risolvere i suoi problemi finanziari. L'incontro con Satriani lascia il segno sullo stile del giovane Steve che, per completare la sua formazione, frequenta anche i corsi di jazz e musica classica al Berklee College di Boston. Nel 1979 si trasferisce a Los Angeles dove la sua tecnica e la sua versatilità colpiscono un musicista attento come Frank Zappa. A diciannove anni non ancora compiuti si ritrova così a ricoprire l'impegnativo ruolo di chitarra solista nella band di uno dei più geniali personaggi del rock. L'esperienza lo irrobustisce e lo stimola a sviluppare un progetto solistico che, dopo varie difficoltà, si concretizza nel 1984 con la pubblicazione dell'album Flex-able. Il disco, nonostante qualche inevitabile ingenuità, propone un'interessante miscela stilistica nella quale sono evidenti i richiami al rock, al jazz e alla musica classica che in qualche brano sfiora anche l'avanguardia sperimentale. L'esperienza solistica non riesce a trovare continuità, se si eccettua la pubblicazione di Flex-able leftovers, una sorta di seconda versione rivista e corretta dell'album del debutto. Due anni dopo, perciò, Steve si unirà per un breve periodo agli Alcatrazz, entrando poi a far parte della band di David Lee Roth, con cui resterà fino al 1988. Nel 1989 si entrerà a far parte degli Whitesnake. Ormai considerato anche dagli stessi musicisti come uno dei migliori chitarristi in circolazione, ritenterà con maggior fortuna l'esperienza solistica negli anni Novanta, pubblicando album Passion & warfare e Sex & religion.
05 giugno, 2025
5 giugno 1977 – Il blues di Sleepy John Estes
Il 5 giugno 1977 muore a Brownsville, nel Tennessee il bluesman Sleepy John Estes. Nato a Estes Ripley, Tennessee, 25 gennaio 1904, John Adams, questo è il suo vero nome, è uno degli esponenti più significativi del blues di campagna, che trova in lui un interprete molto particolare e sensibile, Sleepy John Estes ha avuto una carriera musicale che può nettamente dividersi in due parti, con un muro costituito da quei dieci anni di totale silenzio che vanno dal 1952 al 1961. Nella prima come nella seconda fase della sua fervida attività invece, egli ha modo di porre in evidenza capacità musicali e sostegni ispirativi che fanno dei suoi testi poetico-musicali alcuni tra i documenti umani più interessanti della storia del blues. Inizia a dedicarsi a questa attività poco dopo il suo trasferimento a Brownsville dalla natia Ripley, ma la vera e propria carriera ha inizio dopo la morte del padre nel 1920, e dopo che in seguito a una ferita riportata durante una partita di football, perde l'uso dell'occhio sinistro. Da qui quella sua immagine un po' dimessa, con larghi occhiali neri a coprire il difetto, con cui è stata tramandata la sua leggenda. Sleepy John Estes comincia ad avere successo dopo l'incontro con il giovanissimo Hammie Nixon, armonicista di buona levatura con cui inizia a percorrere in lungo e in largo le regioni del sud fino al 1934, quando si uniscono a un “medicine show”. Alla coppia si aggiunge anche Yank Rochelle. Negli anni '40 il maggior successo è costituito dal brano Someday Baby Blues, mentre il bluesman va progressivamente perdendo anche l'altro occhio fino a divenire del tutto cieco nel 1949. Si stabilisce allora a Memphis sopravvivendo con una magra pensione offertagli dallo stato del Tennessee, e smette di suonare e di esibirsi. Il suo nome cade nel più completo silenzio fino al 1961 quando il regista David Blummenthal lo chiama a Chicago e lo convince a tornare a esibirsi. Inizia così la sua seconda carriera durante la quale incide parecchi dischi e partecipa a vari festival. All’inizio degli anni Settanta arriva anche in Europa.
04 giugno, 2025
4 giugno 1990 – La prima volta di "Beautiful"

Alle 14.30 del 4 giugno 1990 Raidue trasmette la prima puntata di “Beautiful”, una soap-opera destinata a ottenere un successo del tutto inaspettato che arriverà a toccare la punta di ben sette milioni di fedeli telespettatori a puntata. Destinate dai programmisti RAI a coprire lo spazio estivo lasciato libero da un’altra soap-opera, “Quando si ama”, le avventure della famiglia Forrester, contro ogni previsione, appassioneranno gli italiani e alimenteranno un business ricchissimo di gadget, riviste e poster. È l’ennesima conferma della fortuna delle soap opera nel nostro paese iniziata sull'onda del successo di “Dallas” tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. I campioni sono “Capitol”, “Quando si ama” e, soprattutto “Beautiful”. Lunghissimi e ripetitivi nella loro struttura nella cultura popolare occupano uno spazio simile a quello del fotoromanzo degli anni Cinquanta e Sessanta. La loro capacità attrattiva deriva dall’abilità con la quale nella narrazione vengono mescolati gli ingredienti in modo da assecondare il gusto del pubblico. Sono saghe famigliari che raccontano di intrighi, tradimenti e inganni. Nel caso di “Capitol” le famiglie dei Clegg e dei McCandless lottano tra loro per la conquista della Casa Bianca, cioè del potere, sul cui altare vengono sacrificati sentimenti, emozioni e passioni. Gli stessi ingredienti sono rovesciati in “Quando si ama” dove le vicende d’amore diventano il centro d’interesse della narrazione, mentre le carriere, le ambizioni, gli affari ne costituiscono l’elemento di disturbo. È una sorta di remake di “Giulietta e Romeo” dove il ruolo dei Capuleti e Montecchi è assunto dalle famiglie Alden e Donovan. “Beautiful”, invece, rappresenta un po’ la sintesi di entrambe le strutture narrative. Gli intrighi incrociati di tre famiglie di Los Angeles tengono in piedi una storia ambientata nel mondo degli stilisti ricca di intrighi sentimentali e affaristici. “Capitol” è la meno fortunata delle tre e finirà per essere cancellata dalla stessa CBS, la sua casa produttrice, quando esploderà la febbre di “Beautiful”.
03 giugno, 2025
3 giugno 1987 – La chitarra di Segovia

Dopo una carriera leggendaria e costellata da trionfi mai tributati ad alcun chitarrista prima di lui, muore a Madrid il 3 giugno 1987, ucciso da un attacco cardiaco Andrès Segovia considerato da parte della critica come il più grande chitarrista del Novecento. Stilare in questo campo delle classifiche non è mai facile, ma senza dubbio il suo apporto stilistico, teorico e in qualche caso i consigli tecnico-costruttivi, hanno contribuito in maniera decisiva a rivoluzionare l’utilizzo della chitarra cosiddetta “classica” come strumento solista da concerto. Alla sua cultura dell’innovazione non è estranea la sua stessa storia che lo vede dapprima misurarsi con il violoncello e solo successivamente con la chitarra, seguendo un percorso in cui lo studio continuo e costante è la base fondamentale per poter raggiungere risultati importanti, ma l'originalità è un elemento aggiuntivo che solo l’intelligenza e l’istinto applicati alla tecnica possono dare. Proverbiale resta la sua indicazione della “cultura dello studio” come base fondamentale per poter eccellere. Una testimonianza esemplare in questo senso arriva dall’aneddoto che circola da decenni in cui si racconta che alla domanda «Scusi, ma perché lei si esercita otto ore al giorno?» egli, già celebrato e famoso, abbia risposto «…perché, se non lo faccio, il primo giorno me ne accorgo io, il secondo se ne accorgono i critici e il terzo se ne accorge anche lei». Per lui, però, lo studio è solo la base da cui partire, non il mezzo attraverso il quale arrivare ai risultati. Oltre allo studio c’è quell’insieme di disciplina interiore, curiosità e genialità che fa di un bravo strumentista un grande e, in qualche caso, un grandissimo concertista. In questo senso si può dire che il suo insegnamento, e le conseguenze rivoluzionarie che esso ha avuto sulla tecnica chitarristica moderna non derivano da alcuna scuola. Segovia stesso ha sostenuto in più d’un occasione di essere stato il maestro e l'allievo di se stesso. Con il gusto del paradosso ha giocato anche con i termini definendosi un “autodidatta” della musica classica. Al di là del senso dell’umorismo con il quale tende ad accompagnare la sua avventura musicale oggi in molti ritengono che nella storia della chitarra il fenomeno di Segovia sia paragonabile a quello di Paganini nella storia del violino. Oltre alle indiscutibili qualità tecniche gli va riconosciuto il grande merito di avere ridato nuova vita a un’infinita lista di partiture antiche come la famosa trascrizione per chitarra della Ciaccona per violino solo di Bach, che meravigliò pubblico e critica nella sua prima esecuzione a Parigi nel 1935. Al suo lavoro si devono altre meraviglie come, per esempio, l'adattamento di musiche dei liutisti rinascimentali, la rivalutazione di autori classici della chitarra come Giuliani e Sor, il recupero di quelli legati alla tradizione ottocentesca o impressionista e le trascrizioni di brani pianistici dei suoi conterranei Albeniz e Granados Segovia nasce a Linares, in Andalusia, il 18 febbraio 1893. A partire dall’età di quattro anni si dedica alla musica studiando prima il violoncello e poi la chitarra. Proprio con quest’ultimo strumento fa la sua prima breve esibizione in pubblico nel 1909 a Granada. Ha sedici anni e qualche anno dopo tiene a Madrid il suo primo concerto nel quale interpreta alcune trascrizioni per chitarra di Francisco Tárrega insieme a vari brani di Johann Sebastian Bach che lui stesso ha provveduto a sviluppare e trascrivere per il suo strumento. Da quel momento e per tutta la sua carriera il suo lavoro è finalizzato a qualificare sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista strettamente musicale la chitarra classica, che ancora agli inizi del Novecento era sostanzialmente ignorato, quando non disprezzato perché "troppo popolare". È lui che, lavorando gomito a gomito con un gruppo di liutai di fiducia, crea la chitarra classica"moderna", utilizzando le corde in nylon in grado di produrre un timbro più consistente e un volume più alto di quelle precedentemente adottate. Grazie a lui in qualche decennio si è finalmente ottenuto il recupero e la strutturazione di un vero repertorio classico per questo strumento sia attraverso le numerose trascrizioni operate in proprio, sia per le nuove composizioni scritte appositamente per lui da molti compositori stimolati dal suo successo. Dopo il primo concerto parigino del 1924 la sua popolarità inizia ad allargarsi prima all’Europa e poi al mondo. Nel 1928 una famosissima tournée statunitense lo consacra come il “più grande chitarrista classico” del mondo e davanti alla sua porta si allunga la fila di musicisti che disposti a scrivere brani per il suo repertorio. Per lui scrivono compositori come gli spagnoli Joaquin Turina, Joaquin Rodrigo e Manuel de Falla, il brasiliano Heitor Villa-Lobos, l’italiano Mario Castelnuovo-Tedesco e il messicano Manuel M. Ponce destinati a diventare il primo e più popolare nucleo di quella generazione di autori cui ancora oggi viene dato il nome di “Compositori segoviani”.
02 giugno, 2025
2 giugno 1969 – Stinson se ne va nel sonno

Il 2 giugno 1969 a Boston, nel Massachusetts, muore durante il sonno il ventiquattrenne Albert Forrest Stinson jr, uno dei migliori contrabbassisti della scena jazz degli anni Sessanta. Nato a Cleveland, nell'Ohio, si nutre di musica già nei primi anni di vita. Sua madre, infatti, è una cantante lirica specializzatasi in musica sacra. È lei a curare che il piccolo Albert si avvicini alla musica senza il rigido rispetto dei vincoli tecnici che limitano gli orizzonti di chi studia un solo strumento. Il ragazzo cresce con varie esperienze strumentali, studia pianoforte, sassofono, trombone e tuba. All'età di quattordici anni scopre il contrabbasso e se ne innamora. Senza smettere di approfondirne le tecniche inizia a esibirsi in pubblico in varie band della sua zona. Nel 1961, appena sedicenne, viene notato da Terry Gibbs che gli offre di unirsi a lui. È la prima scrittura importante della sua carriera. Nei primi mesi dell'anno successivo accetta le proposte di Frankie Rosolino e si unisce al suo gruppo, ma ci resta per poco. Nell'estate, infatti, entra a far parte della band diretta da Chico Hamilton, con la quale resta a lungo, pur non disdegnando periodiche esperienze con altri strumentisti, come quella, breve ma intensa, al fianco di Marian McPartland. Nell'ottobre 1965 Charles Lloyd, che ha da poco lasciato la band di Chico Hamilton, gli propone di unirsi a lui. Stinson accetta e per un po' fa parte di un quartetto che ha in Lloyd l'elemento unificante. Quando la morte mette precocemente fine alla sua carriera è in tournée con il gruppo di Larry Coryell ed è ormai considerato uno dei migliori e più promettenti contrabbassisti di quel periodo. In particolare la critica apprezza di lui, oltre all'eccellente tecnica, la capacità di muoversi su un progetto musicale che si colloca decisamente all'avanguardia per la sua epoca. Nonostante le molte e fantasiose ipotesi contenute nelle varie biografie, le cause vere della morte resteranno sconosciute.
01 giugno, 2025
1 giugno 1940 – Yolande Bavan, la cingalese dalla voce stregata

Il 1° giugno 1940 nasce a Ceylon, in quell'isola che oggi si chiama Sri Lanka, la cantante Yolande Bavan e il nome con cui viene registrata all'anagrafe dell'isola è quello di Yolande Mari Wolffe. Suo padre è un pianista professionista che fin dal primo giorno di vita della piccola immagina per lei un grande futuro da concertista. Non ha ancora compiuto tre anni quando inizia a studiare il pianoforte. Più che una bambina prodigio è una sorta di "forzata della tastiera", tanto che, verso i dieci anni, stanca di passare le ore davanti alla lunga serie di tasti bianchi e neri non abbandona gli studi musicali, ma passa al violoncello. La musica strumentale, soprattutto quella classica e sinfonica, e la ripetitività dei concerti l'annoiano. In più vorrebbe coltivare meglio la sua voce perché, dopo anni passati a suonare si accorge che le piacerebbe fare la cantante. All'inizio degli anni Cinquanta è ancora una bambinetta quando scopre il jazz e se ne innamora. Con l'aiuto determinante del direttore d'orchestra australiano Graeme Bell e, soprattutto, della pianista giapponese Toshiko Akiyoshi diventa una piccola celebrità, non solo nel suo paese, ma anche in Australia. Quando, nel 1955, compie quindici anni ha già all'attivo un paio di tournée australiane e può contare su un programma settimanale interamente dedicato a lei dalla radio cingalese. L'anno dopo decide di trasferirsi nella vecchia Europa. Anche a Londra la sua voce "stregata", ricca di sonorità estranee alla tradizione jazzistica occidentale, affascina l'ambiente del jazz. Per qualche anno passa da un gruppo all'altro, senza soluzione di continuità. Tra gli artisti che, in momenti diversi, la vogliono al loro fianco, ci sono Joe Harriott, Vic Ash e Humphrey Lyttelton. Nel 1962 quando Annie Ross è costretta per motivi di salute a lasciare il trio vocale Lambert, Hendricks & Ross, famoso in tutto il mondo per le sue vocalizzazioni di temi famosi, Dave Lambert e John Hendricks chiedono proprio alla ventiduenne Yolande Bavan di prendere il suo posto. L'avventura è consacrata da un notevole successo discografico ma quando, nel 1964, il trio si scioglie definitivamente, Yolande ha già nuovi progetti. Come accaduto con il pianoforte e il violoncello, si lascia alle spalle anche i concerti canori. Si dedicherà al teatro attraversando l'oceano per entrare a far parte della New York Shakespeare Company.
31 maggio, 2025
31 maggio 1980 – "Funkytown" e i misteriosi Lipps Inc.

Il 31 maggio 1980 arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti un brano intitolato Funkytown. Si tratta di musica di facile ascolto, dalla chiara impronta dance, ma che non nasconde alcune originali soluzioni sonore di derivazione jazz. Lo interpreta una band sconosciuta che risponde al nome di Lipps Inc. Sull'onda del successo del singolo il gruppo entra in classifica anche con l'album Mouth to mouth. Parallelamente al successo cresce anche la curiosità su quale sia l'identità degli esecutori. Nessuno tra gli addetti ai lavori ha, infatti, sentito mai parlare dei Lipps Inc. C'è chi ipotizza che si tratti dell'escursione commerciale di un gruppetto di artisti jazz. Una vaga biografia del gruppo diffusa frettolosamente dall'ufficio stampa della loro etichetta non fuga i dubbi di chi sospetta che si tratti dell'ennesimo "gruppo fantasma" costruito a tavolino. Alla fine il mistero viene svelato. I Lipps Inc. non esistono. Dietro quella sigla si nasconde un progetto musicale ideato dell'autore e produttore Steven Greenberg. Lui è tutto il gruppo. Ha scritto di suo pugno Funkytown e gran parte dei brani dell'album ma non si è fermato lì. Con una serie di accurate sovraincisioni ha partecipato direttamente alla realizzazione del disco cantando, suonando il sintetizzatore, la batteria e il basso. Il resto delle parti musicali è stato eseguito da vari musicisti di studio di formazione jazz e la voce solista è stata prestata dalla cantante Cynthia Johnson che ha anche provveduto a registrare su tonalità diverse quasi tutti i cori delle canzoni. La rivelazione finisce per accrescere l'interesse e la curiosità intorno al lavoro del Lipps Inc. Steven Greenberg pubblicherà altri due album con quella sigla e centrerà ancora un paio di successi con brani come una personalissima e originale versione di Howlong, una canzone di Paul Carrack degli Ace e Designer music. Poi, stanco del giocattolo, passerà ad altri progetti.
30 maggio, 2025
30 maggio 1983 - Woodstock è morta

Il 30 maggio 1983 a San Bernardino, in California, si chiude uno dei più devastanti e discussi raduni musicali dei primi anni Ottanta: l'US ‘83 Festival. Il bilancio di quella che era stata presentata come la "nuova Woodstock" è impressionante: tre morti, centotrentacinque feriti e centoquarantacinque arresti. I commenti dei mass media, quasi tutti tendenti a dimostrare come questo tipo di raduni siano ormai fuori tempo, danno un risalto amplissimo agli aspetti negativi. C'è chi parla di «Tre giorni di musica e sangue» parafrasando il «pace, amore e musica» di Woodstock e chi auspica, senza mezzi termini, l'abolizione definitiva di questi «raduni di droga, violenza e musica assordante e insulsa». Una vera e propria ondata di melma, in sintonia con il cambiamento del clima culturale, si rovescia sulla cultura rock. Una fragile diga di resistenza viene eretta dai giornali della cultura underground che, proprio partendo dagli stessi dati del bilancio finale, rovesciano l'impostazione di chi vorrebbe cancellare i grandi raduni. Nella sostanza la controcultura alternativa punta il dito sulla eccessiva commercializzazione di questo tipo di manifestazioni che, per soddisfare le esigenze delle case discografiche, non esitano a far esibire sullo stesso palco gruppi, artisti e stili musicali diversi, talvolta contrastanti. La tesi è chiara: «Sono le major che provocano incidenti». Come si fa, sostengono questi fogli, a far convivere i fans degli Stray Cats o dei Mötley Crüe, bianchi che più bianchi non si può e talvolta un po' razzisti (non sempre per colpa delle band) con il punk militante e radicale dei Clash? Un raduno non è un catalogo e le mescole possono diventare esplosive. In ogni caso dopo qualche settimana più nessuno si ricorderà più dei morti e, tantomeno, degli incidenti. I grandi raduni supersponsorizzati continueranno, lasciando però ai margini le band più impegnate. Lo spirito di Woodstock è finito da tempo, seppellito dal mercato.
29 maggio, 2025
29 maggio 1985 - Heysel, trentasei morti per una coppa

La sera del 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, dove sta per avere inizio la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, i tifosi inglesi più esagitati, finiti in un settore contiguo a quello occupato dai supporter bianconeri, tra spinte e cariche travolgono il sottile sbarramento che divide le due zone e finiscono in quella occupata dagli italiani. Sotto la spinta delle persone che tentano di fuggire in preda al panico cede una delle strutture dello stadio. Muoiono trentotto persone, in gran parte tifosi italiani. Per ripristinare una parvenza di ordine e per soccorrere i feriti occorrono alcune ore, al termine della quali l’UEFA decide di far svolgere ugualmente la partita in un clima teso, allucinato e innaturale. La decisione susciterà aspre polemiche. Negli occhi dei telespettatori che assistono all’evento resta la drammatica immagine finale della telecronaca su Raidue, con i giocatori della Juventus che alzano la coppa appena conquistata mentre sul video scorrono i numeri telefonici ai quali le famiglie possono telefonare per verificare se qualche loro congiunto è tra le vittime.
28 maggio, 2025
28 maggio 1891 – La prima volta di Nicola Maldacea

Il 28 maggio 1891 al Salone Margherita di Napoli fa il suo debutto Nicola Maldacea. Emozionato l'artista propone al pubblico un paio di macchiette che ottengono un buon successo. Inizia così la storia artistica di uno dei personaggi più popolari del café chantant italiano. Nato a Napoli il 29 ottobre 1870 frequenta, giovanissimo la “scuola di declamazione e recitazione” di Carmelo Marroccelli con scarsi risultati. Nonostante lo scetticismo dei suoi insegnanti il ragazzo ha talento e molta voglia di arrivare. Immediatamente dopo il debutto vagabonda per i locali italiani dove pian piano la sua popolarità cresce fino a farne una delle più pagate star del cafè-chantant. Ottiene uno straordinario successo anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti dove si esibisce nel 1922 in una leggendaria tournée con Ria Rosa. Anche il cinema si accorge di lui e gli affida ruoli significativi in film come "Kean" nel 1940 e "Miseria e nobiltà" nel 1941. Le dispendiose passioni per il gioco e per le belle donne lo costringono a lavorare fino al giorno della sua morte, che avviene a Roma il 5 marzo 1945.
27 maggio, 2025
27 maggio 1950 - Dee Dee Bridgewater, una voce per tutti i generi
Il 27 maggio 1950 nasce a Memphis, nel Tennessee, la cantante Dee Dee Bridgewater. All’anagrafe è registrata come Denise Eileen Garrett. Pur essendo figlia di un trombettista inizia a studiare musica relativamente tardi e i suoi primi ingaggi arrivano dalla band del padre e da vari gruppi scolastici. Nel 1968 entra alla Michigan State University. L'anno dopo ottiene un ingaggio con il sassofonista Andy Goodrich con il quale si esibisce nel 1969 al Festival dell’Università dell'Illinois. Proprio con la big band di quella università partecipa a una tournee in Unione Sovietica. Dell’orchestra fa parte il trombettista Cecil Vernon Bridgewater che più tardi diventerà suo marito. Trasferitasi a New York nel 1972 insieme al marito entra nell’organico della big band di Thad Jones e Mel Lewis con la quale resta fino al 1974. Nonostante l’intensa attività continua anche gli studi musicali con il pianista Roland Hanna. Nel 1975 partecipa al musical di Broadway “The Wiz”, vincendo un Tony Award per la sua brillante interpretazione. Passa poi con indifferenza dal jazz ad altri generi musicali senza alcun pregiudizio nemmeno nei confronti di quelli più commerciali ottenendo grandi successi. I critici di scuole jazzistica rilevano come nel suo canto si noti la profonda influenza di Nina Simone e Lena Horne.
26 maggio, 2025
26 maggio 1920 – Peggy Lee, la Norma Jean del North Dakota

25 maggio, 2025
25 maggio 1972 – Horse with no name

Il 25 maggio 1972 il singolo Horse with no name degli America arriva al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti. Il successo del trio che trascina in alto anche l'album America coglie tutti di sorpresa, a partire dalla loro casa discografica, la Warner Brothers, decisamente scettica nei confronti della band. Formatisi a Londra sull'onda del successo di Crosby, Stills, Nash & Young, gli America sono composti dall'inglese Dewey Bunnell e dagli statunitensi Dan Peek e Gerry Beckley. Cantanti e chitarristi di buon mestiere, i tre decidono di fare sul serio nel 1969 quando iniziano a girare per locali esibendosi in una lunga serie di cover intervallate da qualche raro pezzo di produzione propria. Quando la Warner pubblica Horse with no name la critica lo stronca sulla base di due sostanziali argomenti: la struttura della canzone è troppo semplice e la voce di Dewey Bunnell è identica a quella di Neil Young. Il giudizio è talmente negativo che anche la casa discografica non si fa grandi illusioni. Quando, a pochi giorni dall'uscita del disco, arrivano i primi dati delle vendite, alla Warner pensano a un errore di calcolo: 600.000 copie vendute! I giovani orfani delle melodie dei Beatles e dei provvisoriamente disciolti Crosby, Stills, Nash & Young fanno di loro i nuovi idoli del momento. Alfieri di un country rock morbido e del più totale disimpegno politico e sociale non riusciranno a durare a lungo. Ben presto la carenza di idee innovative, considerata all'inizio uno dei pregi della loro musica, si rivelerà un limite insormontabile. Costretti a ripetersi all'infinito nel ruolo di cantori di un mito californiano patinato e del tutto sganciato dalla realtà finiranno per annoiare anche i loro più affezionati sostenitori. Nel 1977 Dan Peek sceglie la vita mistica e gli America diventano due. La loro storia continuerà tra abbandoni e ritorni improvvisi sull'onda della nostalgia, senza però lasciare tracce importanti.
24 maggio, 2025
24 maggio 1974 – Il giorno che se ne andò Duke Ellington

Il 24 maggio 1974, dopo una lunga malattia, muore al Columbia Presbyterian Medical Center di New York il settantacinquenne Duke Ellington, all'anagrafe Edward Kennedy, uno dei più importanti direttori d'orchestra, pianisti e autori della storia del jazz. La sua vena creativa e la sua abilità nella direzione influenzano in modo determinante la musica della prima metà del Novecento e successivamente non mancano di esercitare un notevole fascino anche sulle nuove generazioni di artisti rock. Figlio di un maggiordomo della Casa Bianca, nasce a Washington e, nonostante il colore della sua pelle, vive un'infanzia privilegiata e riceve un'educazione raffinata e borghese che gli varrà l'appellativo di Duke (Duca). Pianista dall'età di sette anni, a diciotto è già un apprezzato professionista. Nel 1924 se ne va a New York per dirigere un quintetto da ballo. L'anno dopo è il protagonista in assoluto delle serate al Cotton Club, il locale jazz più famoso ed esclusivo della città dove resta fino al 1931. In questo periodo compone i suoi primi capolavori come Creole love call ed East St. Louis toodle-oo. Tenta anche di cimentarsi, senza molta fortuna, in un'opera di più largo respiro dalle profonde radici nere come "Creole rhapsody", stroncata e poi rivalutata dalla critica perché in anticipo sui tempi. Negli anni Trenta compone una serie di brani destinati a restare nella storia della musica del Novecento come In a sentimental mood, Sophisticated lady e Prelude to a kiss, ma lo spazio di un brano gli sta stretto. Il suo sogno è quello di musicare una sorta di poema epico sulla lunga marcia dei neri negli Stati Uniti dalla schiavitù alla definitiva affrancazione. Ci riesce nel 1943 quando alla Carnegie Hall esegue per la prima volta la suite Black brown and beige. Da quel momento, pur senza rinunciare a comporre brani di breve durata, privilegia opere di più vasto respiro: dalle suite ai poemi sinfonici, ai balletti alle grandi pagine corali. Considerato uno dei più grandi geni della musica afroamericana non si fa travolgere dalle mode e si guadagna il rispetto delle giovani generazioni degli anni Sessanta e Settanta. Prima che la malattia lo immobilizzasse aveva composto tre "Concerti sacri" che rappresentano un po' il suo testamento musicale. Alla sua morte l'orchestra che ne porta il nome passa nelle mani del figlio Mercer.
23 maggio, 2025
23 maggio 1974 – Chiude “Il Rischiatutto”

22 maggio, 2025
22 maggio 1987 - La prima di "Ishtar" dopo mille vicissitudini
Il 22 maggio 1987 arriva finalmente nelle sale Ishtar, un film dalla storia tormentata. È il 1985 quando Elaine May propone per la prima volta a Warren Beatty l’idea di un film d’azione ispirato ad Avventura al Marocco, (Road to Morocco), il terzo di sette lungometraggi comici d’avventura interpretati dalla coppia formata da Bob Hope e Bing Crosby. La May pensa che il film possa fare da traino a una lunga serie imperniata su una coppia di improbabili e poco dotati cantautori la cui principale caratteristica è quella di mettersi nei guai. L’ipotesi è quella di affidare a Beatty la parte che nella serie originale era di Bob Hope, quella del pasticcione, ingenuo e confusionario. L’idea entusiasma l’attore e conquista anche il suo agente Bert Fields presente al colloquio. Per vestire i panni dell’altro componente della coppia, quello più disincantato e donnaiolo in origine interpretato da Bing Crosby sia la May che Beatty decidono di coinvolgere Dustin Hoffman. Quando la sceneggiatura è pronta tocca a Bert Fields il compito di convincere la Columbia Pictures a produrre il film. Il compito non è semplice. L’idea di avere sullo stesso set tre maniaci perfezionisti come la May , Beatty e Hoffman suscita notevoli perplessità sulla riuscita dell’impresa. La più discussa è la regia di Elaine May, conosciuta nell’ambiente per la sua indifferenza nei confronti dei problemi finanziari, per non rispettare i tempi di lavorazione, per la volubilità nell’organizzazione del set e soprattutto per la caratteristica di “sforare” con una certa facilità i limiti di budget. Alla fine di una lunga ed estenuante trattativa la determinazione di Warren Beatty vince le resistenza della Columbia. Nel mese di ottobre del 1985 si inizia a girare e cominciano i guai. Elaine May, colta da un parziale ripensamento, decide di riscrivere alcune parti e sospende la lavorazione per tre mesi. Il ritardo provoca l’abbandono del set da parte del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, costretto a mantenere altri impegni. Al suo posto arriva Vittorio Storaro. Non mancano poi altre costose scelte di regia come quando la May rifà per una cinquantina di volte la scena in cui Beatty e Hoffman cantano Since we left ‘nam o fa spianare due chilometri quadrati di dune del deserto per ottenere l’orizzonte di ripresa che lei ritiene più adatto. Terminate le riprese anche la fase di post-produzione si rivela complicata e lunga. Il materiale girato è moltissimo, circa 108 ore di riprese, più del triplo di quanto normalmente accade per una commedia. Inizia così un lungo e controverso lavoro di montaggio complicato dai continui interventi, previsti dal contratto, dei due attori, oltre che della regista. Dopo vari rinvii Ishtar, la cui uscita era prevista per il periodo natalizio del 1986, arriva soltanto il 22 maggio 1987, cioè due anni dopo il primo ciak. È costato cinquanta milioni di dollari e si conquista il non invidiabile primato di “commedia più costosa della storia del cinema”. Trattato male dalla critica al momento della sua uscita nel corso degli anni si è trasformato in un cult amatissimo da registi come Quentin Trantino ed Edgar Wright.
21 maggio, 2025
21 maggio 1944 - Carmen Villani una voce blues protagonista del cinema sexy
Il 21 maggio 1944 nasce a a Ravarino, in provincia di Modena, Carmen Villani, uno dei personaggi più singolari della storia dello spettacolo italiano, passata dal successo come cantante con una straordinaria voce nera al ruolo di bomba erotica in una serie di pellicole di grande successo nella commedia sexy all’italiana . La sua carriera inizia nel 1959 quando a soli quindici anni vince il Concorso per voci nuove di Castrocaro. In possesso di una voce dai toni blues viene invitata, unica cantante di musica leggera, al Festival Jazz di Sanremo e nel 1962 è a fianco di Gian Maria Volontè nel film dei Fratelli Taviani "Un uomo da bruciare" nel quale canta il brano Un domani per noi. Con l'esplosione del beat ottiene un buon successo con canzoni come La verità, Passa il tempo, Bada Caterina e Chitarre contro la guerra, con la quale vince il premio della critica al Festival delle Rose. Nel 1967 partecipa al Festival di Sanremo con Io per amore insieme a Pino Donaggio e a "Un disco per l'estate" con Ho perduto te. Torna sul palcoscenico sanremese nel 1969 con Piccola piccola in coppia con Alessandra Casaccia, nel 1970 con Hippy, insieme a Fausto Leali e nel 1971 in coppia con Domenico Modugno con Come stai. Nel 1975 debutta nel filone della commedia sexy con il film “La supplente” di Guido Leoni ottenendo un rapido e inaspettato successo. Da quel momento la canzone diventa un hobby e il cinema sexy una professione.
20 maggio, 2025
20 maggio 1937 – L'ultima registrazione di Robert Johnson

19 maggio, 2025
19 maggio 1971 – Il nuovo jazz dei C.C.C.

Il 19 maggio 1971 i C.C.C. (Creative Construction Company), un sorta di gruppo cooperativo di jazz formato dal violinista Leroy Jenkins, dal sassofonista Anthony Braxton, dal trombettista Leo Smith e dal batterista Steve McCall si esibiscono a New York. Nati l'anno prima in quella straordinaria fucina che è l'area di Chicago, sono considerati un'anomalia nella scena jazz di quel periodo. La loro musica fa storcere il naso ai puristi e ai tradizionalisti perché, pur essendo basata su una logica strutturale quasi geometrica che punta, però, la sua attenzione sui diversi piani del colore sonoro. Le assonanze e le dissonanze sono il gioco attorno al quale ruota la loro creatività che affonda le sue radici nel lavoro iniziato qualche anno prima dai singoli componenti. Non è un caso che nel 1968 Anthony Braxton abbia inciso un album intitolato Three composition of new jazz avvalendosi dell'apporto di Jenkins e Smith, gli stessi che condividono con lui l'esperienza dei C.C.C.. Il concerto newyorkese è un po' una sorta di esame di maturità per la band, il cui stile non è ancora stato classificato, ma di lì a poco verrà definito "musica creativa". Nei giorni precedenti le pagine dedicate al jazz dei giornali cittadini hanno "pompato" l'avvenimento con un dibattito i cui toni sono andati anche al di là degli aspetti banalmente musicali. Sostenitori e detrattori aspettano, dunque, al varco la band per riprendere ad accapigliarsi. I quattro musicisti sono un po' perplessi, ma abbozzano. Si presentano sul palco con un organico rinforzato dal pianista Muhal Richard Abrams e dal contrabbassista Richard Davis. Iniziano a suonare in sordina, un po' legati dalla strana atmosfera che aleggia in sala. Poi si scaldano e pian piano sciolgono anche il pubblico. Il concerto newyorkese del 19 maggio resterà nella storia della band come uno dei più significativi della band e con il materiale registrato verrà prodotto il miglior disco in assoluto targato C.C.C.
18 maggio, 2025
18 maggio 1928 - Rabbit entra nella band del Duca
Il 18 maggio 1928 Duke Ellington propone a Johnny Hodges di entrare nella sua orchestra per sostituire Otto Hardwicke al sassofono alto. Nasce così un sodalizio destinata a durare fino alla morte del sassofonista, con un intervallo di soli quattro anni, dal 1951 al 1955, quando Hodges tenta di mettersi in proprio senza risultati apprezzabili. Una volta inserito nel congegno ellingtoniano, Johnny Hodges si scatena al punto da guadagnare il nomignolo di "Rabbit”, coniglio per i suoi improvvisi guizzi. Ellington gli affida i compiti più suggestivi, cioè quelli in cui occorre dare anima all'insieme della musica. Rabbitt è quel che ci vuole. Il suo impiego della nota prolungata fino al momento esaustivo sui tempi lenti come su quelli più veloci diventa uno degli elementi caratteristici dell'ensemble ellingtoniano. Hodges ha una straordinaria sicurezza tecnica che gli consente ritardi e riprese, inflessioni e fulminei recuperi di alta classe. Tra i suoi assoli destinati a restare nella storia sono da ricordare quelli in The Mooche del 1928, Saratoga Swing, Cotton Club Stomp del 1929, Dear Old Southland del 1933, Moonglow e Saddest Tale del 1934, Merry-Go-Round dell'anno successivo, The Gal from Joe's e A Gipsy Without a Song del 1938, Warm Valley del 1940, Esquire Swank, Magenta Haze del 1946, The Jeep Is Jumpin' del 1956, Things Ain't What They Used To Be e All of Me del 1959. A questi andrebbero aggiunti i contributi di Hodges ai poemi sinfonici ellingtoniani.
17 maggio, 2025
17 maggio 1980 – Echo & The Bunnymen in classifica

Il 17 maggio 1980 gli Echo & The Bunnymen entrano per la prima volta nella classifica britannica dei dischi più venduti con il singolo Rescue. È il primo consistente risultato di una delle formazioni più attive della new wawe d'oltremanica. La band nasce attorno alla carismatica personalità del cantante Ian McCulloch, protagonista, nella seconda metà degli anni Settanta, della scena musicale della zona di Liverpool prima come solista e poi come componente dei Crucial Three, una band che comprende, oltre a lui, Pete Wyllie e Julian Cope. Dopo una brevissima esperienza con gli A Shallow Madness, nel 1978 dà vita agli Echo & The Bunnymen con il chitarrista Will Sergeant e il bassista Les Pattinson. Il nuovo gruppo fa il suo debutto su vinile con il singolo autoprodotto Pictures on my wall che attira l'attenzione dei talent scout della WEA Records. Il loro primo contratto discografico coincide con l'arrivo del batterista Pete de Freitas. Il buon successo del singolo Rescue fa da traino all'album Crocodiles e in breve tempo li impone tra i maggiori protagonisti della nuova avanguardia psichedelica britannica che, sia pur con varie differenze, si ritrova nella generica definizione di new wawe. Tra il 1983 e il 1984 toccano l'apice del successo con singoli come The cutter o The killing moon e album come Porcupine o Ocean rain. Parallelamente all'attività del gruppo ciascun componente sviluppa progetti personali. Nel 1983 il chitarrista Will Sergeant pubblica l'album Themes for grind e l'anno dopo McCulloch entusiasma la critica con una versione di The september song di Kurt Weill. Verso la metà degli anni Ottanta si avvertono i primi segni di stanchezza nella vita della band. All'inizio del 1986 Pete de Freitas se ne va sbattendo la porta e viene sostituito per qualche mese da Mark Fox, ex batterista degli Haircut One Hundred. Il ritorno di Freitas e la pubblicazione dell'album Echo and The Bunnymen non sciolgono gli interrogativi sul destino del gruppo che nel 1988 si produce in una versione di People are strange dei Doors, inserito nella colonna sonora del film "Ragazzi perduti". L'uscita di Ian McCulloch e la morte di Freitas in un incidente stradale chiudono, di fatto, la storia della band, anche se i componenti superstiti continueranno a tenerne in vita il nome.
16 maggio, 2025
16 maggio 1969 - Gli Who malmenano un poliziotto

Il 16 maggio 1969 gli Who si esibiscono al Fillmore East di
New York. Lo scenario è quello che da qualche tempo accompagna i concerti della
band, soprattutto nelle esibizioni statunitensi: una folla impressionante di
ragazze e ragazzi che si accalca urlante sotto il palco mentre il servizio
d'ordine è impegnato con molta fatica a contenere l'entusiasmo dei più agitati.
Ogni tanto qualcuno riesce a passare il primo cordone di sicurezza e ad
avvicinarsi pericolosamente al palco prima di essere riacciuffato e ributtato
indietro di peso dagli addetti al servizio d'ordine. È un gioco pericoloso, ma sembra
che i fans lo trovino divertente al punto che fa ormai parte del tradizionale
scenario dei concerti degli Who. In quel 16 maggio però avviene un evento
imprevedibile. Nel palazzo vicino al luogo del concerto scoppia un incendio. L'assordante
volume dell'amplificazione e la quasi completa insonorizzazione del locale
impediscono agli spettatori chiusi nel Fillmore East di accorgersi che
all'esterno c'è una situazione d'emergenza. In realtà non c'è alcun pericolo diretto
perché le fiamme sono a una distanza tale da non poter minacciare direttamente
né tantomeno raggiungere il locale che ospita il concerto degli Who. I
responsabili dell'ordine pubblico temono però che al termine dell'esibizione
della band l'uscita massiccia di centinaia di persone e l'inevitabile
confusione possano creare problemi ai vigili del fuoco impegnati nello
spegnimento. Dopo un breve consulto viene presa la decisione di avvertire gli
spettatori del concerto di quanto sta succedendo all'esterno, spiegando che non
ci sono rischi ma invitandoli a defluire con calma e attenzione. Via radio
vengono informati della decisione gli agenti in borghese all'interno del
Fillmore East con la raccomandazione di evitare panico inutile. L'ordine è
quello di avvertire al pubblico alla fine del concerto, chiedendo magari la
collaborazione dei musicisti del gruppo per ottenere l'attenzione necessaria. Uno
dei poliziotti in servizio però, a dispetto degli ordini ricevuti, decide di
fare da solo senza aspettare la conclusione del concerto. Mentre Roger Daltrey
il cantante degli Who sta presentando al pubblico un brano. L'agente, che è in
borghese, balza sul palco e tenta di impossessarsi del microfono. Il
chitarrista Pete Townshend, pensando di trovarsi di fronte a uno squilibrato
sfuggito al servizio d'ordine si lancia verso di lui e prima che l'uomo riesca a qualificarsi lo
colpisce con un tremendo calcio. Gli Who di quel periodo sono tipetti tosti e
abituati a menar le mani. E così mentre il malcapitato cade a terra il bassista
John Entwistle, prima ancora di verificare chi sia il disturbatore, gli
fracassa lo strumento sulla schiena. Vedendo il collega malmenato i poliziotti
presenti nel locale si muovono velocemente verso il palco tentando di
intervenire ma non ce la fanno a oltrepassare un servizio d'ordine allenato a
reggere l'urto dei fans esagitati e vengono respinti. Nel parapiglia che segue
anche il pubblico fa la sua parte e per alcuni minuti il concerto si trasforma
in una gigantesca rissa. Pian piano ci si rende conto della serie di equivoci
da cui tutto è nato e, sia pur con qualche difficoltà, torna la calma. Il
concerto però non può più riprendere perché il responsabile delle forze
dell'ordine interne al locale decide di arrestare Pete Townshend per
aggressione nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue
funzioni. Il chitarrista passerà la notte in carcere e soltanto il giorno dopo
riuscirà a dimostrare la sua buona fede.
15 maggio, 2025
15 maggio 1998 – L’ultimo viaggio di Frank Sinatra

Il 15 maggio 1998 si spegne a Los Angeles, all’età di ottantadue anni, per un attacco di cuore, Frank Sinatra, soprannominato “The voice”, la voce e considerato il più popolare cantante statunitense del secolo. Nella sua lunga e strepitosa carriera ha inciso oltre duemila canzoni raccolte in centosessantasei album, ha girato una sessantina di film e il suo patrimonio personale è valutato in circa trecentosessanta miliardi di lire. Ha avuto quattro mogli, tre figli e una mai smentita passione per l’alcool, il fumo, le belle donne. Alla cerimonia funebre, che si svolge nella Chiesa del Buon Pastore di Beverly Hills, partecipano mogli, figli e oltre quattrocento invitati. Francis Albert Sinatra, questo è il vero nome di Frank, nasce il 12 dicembre 1915 a Hoboken nel New Jersey in una famiglia di origine italiana. La sua carriera inizia nel 1933 quando forma il gruppo degli Hoboken Four. Nel 1939 entra a far parte, come vocalist, dell'orchestra di Harry James e l'anno successivo è il nuovo cantante dell'orchestra di Tommy Dorsey nella quale sostituisce Jack Leonard. Nel 1941 un referendum indetto dalla rivista Billboard lo indica come miglior cantante dell’anno e l’anno dopo decide di continuare come solista diventando in breve tempo l'idolo della gioventù americana che gli appiccica due soprannomi: 'The voice” e “Swoonatra” (per gli svenimenti delle ragazze alla fine dei concerti). In quel periodo si accorge di lui anche il cinema che inizialmente lo utilizza soltanto in qualche film musicale, ma successivamente ne fa un attore a tutto campo, bravo anche nei ruoli drammatici, tanto da vincere anche un Oscar per la sua interpretazione in "Da qui all'eternità". La sua popolarità ha un momento di crisi negli anni Cinquanta con l’esplodere del rock and roll, ma, dopo aver fondato una propria casa discografica, la Reprise Records, Frank inizia a recuperare posizioni fino a ottenere, nel 1966, uno straordinario successo mondiale con Stranger in the night. Pur avendo più volte annunciato il suo ritiro, non ha mai abbandonato la scena musicale fino all’ultimo, confermandosi uno degli interpreti più inossidabili e capace di attraversare da protagonista oltre sessant'anni della storia della musica leggera.
14 maggio, 2025
14 maggio 2004 - L’Art Ensemble of Chicago in tour ricordando Lester Bowie e Malachi Favors

Iscriviti a:
Post (Atom)