09 luglio, 2020

9 luglio 2006 - Campioni del mondo!

Il 9 luglio 2006 l'Italia vince per la quarta volta il campionato del mondo di calcio. La finale, che si gioca all'Olympiastadion di Berlino, vede di fronte le rappresentative nazionali di Italia e Francia. Proprio i transalpini vanno in vantaggio a soli sei minuti dall’inizio con Zidane che mette a segno un calcio di rigore concesso per un fallo di Materazzi su Malouda. È poi lo stesso Materazzi a pareggiare il conto al 19' con un gran colpo di testa su corner di Pirlo. La partita si chiude sull'1-1. Si va ai tempi supplementari durante i quali Zidane viene espulso per aver colpito con testata al petto il difensore italiano Materazzi. Alla fine dei supplementari il risultato non cambia pertanto il titolo deve essere assegnato ai calci di rigore. Tocca all’Italia cominciare. Per primo calcia Pirlo e segna. Poi per la Francia c'è Wiltord che non sbaglia. Va a segno anche Materazzi con un sinistro rasoterra, mentre il francese Trezeguet calcia sulla traversa. Dopo quelli messi a segno da De Rossi e Del Piero per l’Italia e da Abidal e Sagnol per la Francia il rigore decisivo per gli azzurri è affidato ai piedi di Grosso che segna e consacra la vittoria della nazionale italiana. Al terzo posto si classifica la Germania battendo al Gottlieb-Daimler-Stadion di Stoccarda il Portogallo per 3-1.

07 luglio, 2020

8 luglio 1965 - Willie Dennis, tra melodia e violenza espressiva

L’8 luglio 1965 muore in un incidente stradale il trombonista Willie Dennis. William De Berardinis, questo è il suo vero nome, nasce a Philadelphia, in Pennsylvania, il 10 gennaio 1926 e i suoi primi passi con la musica li muove più seguendo l’istinto che le lezioni degli insegnanti. Per tutta la vita racconterà di aver imparato da solo i segreti del trombone. Negli anni Quaranta suona nelle orchestre di Elliott Lawrence, Claude Thornhill e Sam Donahue prima di suonare passare in quella di Benny Goodman per la tournée europea del 1958. Nello stesso anno se ne va anche in America Latina con Woody Herman. Insofferente ai legami troppo lunghi si diverte a suonare in piccole formazioni con gran parte dei grandi protagonisti del jazz di quel periodo, da Howard McGhee a Charlie Ventura, da Coleman Hawkins a Lennie Tristano a Kai Winding. Proprio con Winding dà vita al gruppo di quattro trombonisti (gli altri due sono J. J. Johnson e Benny Green) ideato da Charlie Mingus. Nel 1959 entra nel quintetto di Buddy Rich, con Phil Woods al sassofono contralto. All'inizio degli anni Sessanta fa parte della Concert Jazz Band di Gerry Mulligan. La morte improvvisa ne chiude la carriera. In possesso di una tecnica eccezionale, Dennis riusciva a fondere una grande sensibilità melodica con la violenza espressiva ricavata dal lungo contatto con Mingus.

06 luglio, 2020

7 luglio 1967 - Alle figlie della rivoluzione non piace Hendrix

Il 7 luglio 1967 è un venerdì. Jimi Hendrix è in viaggio verso Jacksonville, in Florida, con i suoi Experience, dove il giorno dopo l’attende, al Coliseum, il primo concerto di una lunga tournée con i Monkees, i freschi e puliti idoli dei teen-ager locali. È il suo primo tour nella nazione dove è nato, quell’America che non lo ama troppo, che detesta la sua musica nervosa e la mescola di razze che porta nel sangue, metà nero e metà pellerossa. Non è un caso che siano stati gli europei a scoprirlo e a dargli la possibilità di farsi conoscere in tutto il mondo. Il suo manager è un inglese, il ruvido Chas Chandler, già bassista degli Animals, che ha creduto in lui e lo ha aiutato anche economicamente nei momenti duri. In Europa ha colto i suoi primi successi e ora, con l’aureola della gloria, torna nel suo paese per una lunga serie di concerti. Non lo convince l’idea di essere accoppiato ai Monkees, un gruppo dolciastro nato a tavolino come risposta americana ai Beatles, ma i contratti sono contratti e lui è uno di parola. Nel tardo pomeriggio di quel 7 luglio 1967, al suo arrivo a Jacksonville trova, però, la città tappezzata da manifesti che lo contestano. Sono firmati da un gruppo di destra chiamato “Associazione delle figlie della rivoluzione americana” e chiedono ai “veri americani” di mobilitarsi contro le sue esibizioni, considerate “oltraggiose” e “pornografiche”. Non sono minacce vuote. I luoghi dove si deve esibire vengono presidiati da gruppi di manifestanti che danno alle fiamme i suoi manifesti. La contestazione spaventa gli organizzatori della tournée che, dopo aver tentato qualche formale resistenza in nome della “libertà d’espressione”, danno il benservito al buon Jimi e lo rimandano a casa.

6 luglio 1940 – Gianfranca Montedoro, una catanese tra jazz e pop

Il 6 luglio 1940 nasce a Catania la cantante Gianfranca Montedoro, una delle più interessanti voci femminili degli anni Sessanta e Settanta. Sempre divisa tra jazz e musica leggera, muove i primi passi in varie formazioni dixieland romane. Nel 1961 partecipa al Festival Jazz di Saint Vincent con la band di Franco Ambrosetti e Gianfranco Tommaso, ma sviluppa anche un'interessante carriera parallela nella musica leggera, vincendo nel 1963, con la squadra della Sicilia, "Gran Premio", la trasmissione televisiva abbinata alla lotteria di Capodanno. Fra il 1964 e il 1965 gira l'Italia con jazzisti come Carlo Loffredo, Nunzio Rotondo, Gato Barbieri e molti altri. Quando nel nostro paese sbarca la bossa nova forma i Valiom 5, un gruppo composto da musicisti brasiliani. Nello stesso periodo presta la sua voce a varie colonne sonore cinematografiche. Alla fine degli anni Sessanta entra nella formazione dei Braintjchet, un gruppo di jazz-rock guidato dal tastierista belga Joe Vandrogenbroeck, con i quali partecipa al Festival Pop di Caracalla del 1971. Instancabile vagabonda nel 1972 partecipa alla formazione dei Living Music, un gruppo sperimentale di cui fanno parte, tra gli altri, Umberto Santucci, Andrea Carpi e Nino De Rose. Con questa band pubblica l'album To Allen Ginsberg e partecipa al Festival d'Avanguardia e Nuove Tendenze. Affascinata dalle esperienze di confine tra jazz, musica sperimentale e pop, non si risparmia. Il suo approccio non è freddo e distaccato. Non si fa problemi. Presta la sua voce a numerosissime opere di ricerca musicale, ma non disdegna di accompagnare in tour un personaggio di punta del pop come Mal, l'ex cantante dei Primitives. Nel 1975 realizza insieme ai Murple l'album Donna Circo, un'opera a metà tra teatro e musica con i testi di Paola Pallottino. Negli anni successivi, di fronte all'evoluzione del pop italiano e all'affermarsi di nuovi generi e tendenze, finirà per rifugiarsi sempre di più verso il jazz.

05 luglio, 2020

5 luglio 1946 - La prima volta del bikini

È il 5 luglio 1946 quando alla piscina Molitor di Parigi viene mostrato in pubblico un costume a due pezzi: una mutanda che lascia scoperto l’ombelico e un reggiseno che valorizza in modo prepotente il petto. L’ideatore è un designer svizzero che si chiama Louis Réard e i modelli sono stati realizzati dal couturier Jacques Heim. I due hanno faticato un po’ a trovare le modelle disposte a indossare quel costume nel defilé della “prima”. Nessuna professionista della moda, infatti, se la sente di mostrarsi in pubblico con un costume così succinto. Alla fine gli organizzatori hanno un improvviso colpo di genio reclutando elementi adatti alla parte nel meno altezzoso mondo delle spogliarelliste. Le ragazze sfilano di fronte agli occhi sorpresi di un pubblico scelto per l’occasione ed entrano nella storia. Una in particolare colpisce la fantasia dei presenti e anche degli assenti che l’ammirano in fotografia sui rotocalchi di mezzo mondo. Si chiama Micheline Bernardini, diventa la prima star del costume a due pezzi e nei mesi successivi alla sfilata riceve ben cinquantamila proposte di matrimonio. Al momento della sua nascita ufficiale il costume a due pezzi che i suoi ideatori inizialmente avevano pensato di chiamare Atome viene ribattezzato con il nome di Bikini, preso in prestito dall’omonimo atollo della Micronesia. La scelta nasce dalla suggestione e dalla preoccupazione suscitata nel mondo intero dalla scelta degli Stati Uniti di far esplodere in via sperimentale due bombe all’idrogeno sugli isolotti di quell’atollo. Mai nome è stato più azzeccato. L’effetto che il costume a due pezzi avrà sul costume dell’epoca si rivelerà davvero esplosivo.

04 luglio, 2020

4 luglio 2002 – Il patrocinio dell’Unesco al Folkest

Il 4 luglio 2002 inizia il Folkest, più che un Festival musicale la manifestazione è un luogo dove John Trudell, il cantore dell'epopea e dei drammi dei nativi americani e le musiche zingare del serbo Goran Bragovic si prendono per mano mentre la fisarmonica diatonica del basco Kepa Junkera fa da controcanto a un tappeto di note israeliane e palestinesi. In questo mondo di barriere e ingiustizie planetarie fa bene al cuore sapere che non esiste davvero in un triangolo di terra compreso tra Friuli, Veneto e Istria. Assomiglia all'Isola che non c'è di Peter Pan, ma non è frutto della fantasia. Occidente e Oriente, Nord e Sud del mondo, infatti, si incontrano al Folkest 2002, considerato il più importante festival folk dell'Europa meridionale, dedicato in particolare alle culture etnicamente minoritarie. Dopo più di vent’anni di storia nel 2002 ottiene anche il patrocinio dell'Unesco. Oltre trenta comuni del Friuli Venezia Giulia, del Veneto e dell'Istria ex Yugoslava fanno da scenario agli eventi in programma. L'apertura avviene il 4 luglio con due concerti, quasi in contemporanea, degli irlandesi Niall O'Callanain & S. T. Band a San Quirino e della European Youth Folk Orchestra a Crevatini, in terra istriana. Alla faccia delle frontiere tracciate dagli uomini la musica fin dall'inizio si libra alta, in nome dell'incontro tra i popoli e le loro culture. Tra le ragioni del successo di questo appuntamento, oltre alla capacità di operare scelte artistiche senza compromessi, c'è da considerare anche lo straordinario scenario in cui si svolge. Il suo girovagare tra ville, castelli e antiche piazze ne fa una sorta di festival "zingaro" che si srotola, giorno dopo giorno, abbinando itinerari inconsueti ai suoni di tradizioni spesso dimenticate. Vent'anni di storia hanno consentito al Folkest di diventare adulto e gli interpreti meno noti godono della stessa accoglienza riservata ai grandi nomi, perché ormai del Folkest "ci si fida", e si sa che la qualità dell'offerta è sempre all'altezza. Le proposte del 2002 spaziano come sempre in tutto il mondo e fin dalle prime battute offrono più di una sorpresa con molte perle da conservare, in particolare quella European Youth Folk Orchestra, un gruppo formato da dodici tra i migliori giovani talenti del folk europeo, che ha fatto da apripista. Ogni artista porta il suo bagaglio e lo regala volentieri. Tanta Europa, nei primi giorni, con escursioni tra le atmosfere scozzesi e irlandesi e la presenza del "cavaliere elettrico" Massimo Bubola, seguito dagli spagnoli Azarbe. La serie degli ospiti è infinita: da Vinicio Capossela ai messicani Los de Abajo, dai leggendari cubani Los Van Van agli ottoni della Wedding & Funeral Band, al canto dell'israeliana Noa, alle suggestioni palestinesi dei Radiodervish e a tanti altri momenti di grande emozione. Piccolo esempio della globalizzazione solidale, il Folkest mescola le culture e la sapienza dei popoli in un'unica colonna sonora. Ogni diversità, lungi dall'essere nemica, è apprezzata e, insieme, costituisce l'humus che alimenta la vita stessa della manifestazione.

03 luglio, 2020

3 luglio 1925 - Ted Van Dongen, l’olandese autodidatta

Il 3 luglio 1925 nasce ad Amsterdam, in Olanda, il chitarrista Ted Van Dongen. Autodidatta, nel 1942 collabora con Red Debroy e Harry de Groot, e nel 1943 con Carel Alberts sr. Tra il 1944 e il 1945 suona con Johnny Meyer ed Enno Stam, mentre nel 1946 è al fianco di Jack Louis, che lascia nel 1947 per aggregarsi al gruppo di Mat Mathews. Tra il 1947 e il 1952 se ne va in Lussemburgo per suonare con Jean Roderes, e successivamente collabora con Jenny Arlton. Nel 1953 suona con Don Byas, Jam Corduwener, Frans Poptie e Cor Steijn. Nel 1954 è con Eddy Sanchez nella sua tournée in Svezia e nel 1955 suona con Ted Powder e lo Swiss Air Trio. Nel 1956 è al fianco di John Faber, e l'anno dopo torna con Ted Powder, per accompagnarlo in una tournée svedese. Nel 1959 lascia Powder e torna a collaborare con Harry de Groot e Frans Popsie, esibendosi soprattutto in concerti radiofonici. Tra il 1959 e il 1964 lavora con The Four Lads, un’orchestra svizzera che gode di notevole popolarità in Olanda, Germania e Finlandia. A partire dal 1965 preferisce evitare impegni lunghi e inizia a lavorare soprattutto come freelance.


02 luglio, 2020

2 luglio 1928 - Line Renaud, la ragazza del music hall

Il 2 luglio 1928 a Pont de Nieppe nasce Line Renaud. «Dalle brume del Nord della Francia alle luci di Hollywood e di Las Vegas». Così è stata sintetizzata la straordinaria avventura di Line Renaud, l’applaudita vedette dei music-hall parigini che negli anni Cinquanta porta le atmosfere e le canzoni degli chansonniers francesi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Bionda “come un angelo” brucia le tappe e arriva presto al grande successo internazionale dopo aver precocemente conquistato il pubblico parigino del music-hall. Per la sua storia artistica Line Renaud ha finito per diventare un po’ l’elemento di contatto, il ponte attraverso il quale due mondi dello spettacolo apparentemente lontani come quella francese e quello angloamericano si incontrano. La sua voce regala al pubblico d’oltremanica e d’oltreoceano i brani migliori della canzone d’autore della sua terra e, in una sorta di ideale compensazione, porta in Francia le versioni nella lingua di casa dei grandi successi internazionali. Quando prima il cinema e poi la televisione la chiamano, lei non si tira indietro. Si impegna con la costanza e l’instancabile voglia di migliorarsi che da sempre l’hanno caratterizzata finendo per allargare la sua popolarità anche a un pubblico diverso da quello che l’ha scoperta attraverso le canzoni. Proprio il cinema e la televisione le consentono di superare indenne il passare del tempo e la morte del grande amore della sua vita affacciandosi al nuovo millennio con una ritrovata voglia di nuove avventure artistiche.Il 2 luglio 1928 a Pont de Nieppe, un borgo del Nord della Francia vicino alla città d’Armentières, nasce una bambina. Si chiama Jacqueline Enté e, come i personaggi delle favole, ha i capelli d’oro e le guance rosse e vellutate come i petali di rosa. La madre è una stenodattilografa, mentre suo padre fa il camionista e nel poco tempo che gli resta suona la tromba nella banda municipale. La musica incanta la piccola Jacqueline e i genitori la incoraggiano. A sette anni vince il suo primo concorso canoro. Sono anni difficili per tutti. Sull’Europa aleggiano nuove nubi di guerra e suo padre, come gran parte degli uomini in grado di portare un’arma, viene richiamato. Finirà prigioniero e la sua assenza da casa durerà cinque anni. A prendersi cura di Jacqueline restano tre donne: sua madre e le due nonne, una delle quali possiede un caffè ad Armentières nel quale la biondissima ragazzina spesso si esibisce cantando per gli avventori. Nelle intenzioni della famiglia la musica dovrebbe restare poco più di un hobby per la sempre meno piccola Jacqueline, ma come spesso succede il destino ha in serbo qualche sorpresa. Nel 1942 la ragazza legge su un giornale l’annuncio dell’apertura delle audizioni per entrare al Conservatorio di Lille. Nella sua beata ingenuità non fa caso al fatto che l’ammissione al Conservatorio è prevista soltanto per le interpreti di canto classico. Si presenta davanti alla commissione e canta Sainte-Madeleine e Mon âme au diable, due canzoni scritte da Loulou Gasté, uno dei più popolari compositori di quel periodo. Nonostante le premesse l’audizione sortisce comunque un effetto. Al termine dell’esibizione Jacqueline viene avvicinata dal direttore di Radio Lille che vorrebbe scritturarla. Superate le resistenze di mamma e nonne a quattordici anni firma un contratto biennale per interpretare sulle onde della radio le canzoni di Loulou Gasté. Sceglie anche un nome d’arte. Jacqueline Enté diventa così Jacqueline Ray. Come Dio vuole anche la guerra finisce e gli occupanti nazisti lasciano finalmente la Francia. Nell’entusiasmo del dopoguerra Radio Lille finisce per essere un orizzonte troppo limitato per le ambizioni di Jacqueline che decide di tentare la fortuna a Parigi. Nel 1945 ottiene la sua prima scrittura alle Folies Belleville, uno dei più prestigiosi music-hall di quel periodo. Josette Daydé, la vedette dello spettacolo, la rende in simpatia e quasi per farle un regalo decide di presentarle quel Loulou Gasté che è da sempre il suo idolo e del quale interpreta ogni sera le canzoni. L’incontro è fatale per entrambi. Jacqueline ha sedici anni, il compositore ne ha trentasette, ventuno in più, ma tra i due è amore a prima vista. Gasté decide anche di seguirla sul piano artistico. Le impone un cambiamento radicale dell’impostazione scenica, uno stile nuovo, vestiti diversi e, ciliegina sulla torta, anche un nome d’arte più facile da ricordare. Jacqueline, troppo lungo, si accorcia in Line mentre il cognome della nonna materna, Renaud, sembra fatto apposta per restare nella memoria. Scritturata da Radio Luxembourg fa il suo debutto in un programma musicale della domenica che arriva in tutte le case di Francia. Dopo aver registrato qualche brano con la Pacific, in breve tempo si ritrova con un buon contratto discografico con la Pathé Marconi. Tutto scorre così veloce che la ragazza fatica a raccapezzarsi. La prima canzone pubblicata con la prestigiosa etichetta è Ma cabane au Canada, un brano scritto per lei da Loulou Gasté che vince il premio destinato al miglior debutto del 1949 al Gran Prix du Disque. Nello stesso anno canta al Théâtre de l’Etoile aprendo un concerto di Yves Montand e parte per la sua prima tournée fuori dai confini francesi. Il 1950 la vede collezionare un successo dopo l’altro con brani come Ma petite folie o Etoile de neiges, versioni francesi di grandi successi statunitensi di quegli anni. L’anno vede anche il suo trionfo come vedette all’ABC, uno dei music-hall più importanti di Parigi e il matrimonio con Loulou Gasté. Molto apprezzata anche dal pubblico britannico la ragazza comincia ad catturare anche le attenzioni del cinema. Nel 1951 gira il suo primo film. È “Ils sont dans les vignes” di Robert Vernay cui seguono, l’anno dopo, “Paris chante toujours” di Pierre Montazel e nel 1953 “La route du bonheur” di Maurice Labro. Nel 1954 Line Renaud viene scritturata dal Moulin Rouge. La sua popolarità è tale che il celebre locale si garantisce il tutto esaurito per tutti e quattro i mesi in cui il suo nome resta in cartellone. Proprio al Moulin Rouge la vede per la prima volta il comico e intrattenitore Bob Hope che l’invita a partecipare ben cinque puntate del suo show televisivo, forse il più popolare della televisione statunitense di quel periodo. Il successo è immediato. Line canta nei locali più prestigiosi d’oltreoceano e registra anche un brano in duo con Dean Martin intitolato Relaxed-vous. Per tutti gli anni Cinquanta farà la spola tra la Francia e gli Stati Uniti passando anche un lungo periodo a Las Vegas dove il suo nome in cartellone affianca quelli di personaggi come Frank Sinatra o Louis Armstrong. Continua a mietere successi anche nel cinema e, a partire dalla fine degli anni Sessanta, in televisione dove si fa apprezzare per la sua capacità di intrattenitrice e showgirl. Proprio alla televisione francese conduce nel 1973 il varietà “Line direct”. Gli anni passano ma Line sembra non accorgersene e nel 1980 festeggia i trent’anni di carriera al Casino con una serata cui partecipa tutta Parigi. La ventenne principessa del music-hall ha lasciato il posto a una matura e consapevole donna di spettacolo che non disdegna di spendere il suo nome e impegnarsi per cause come la battaglia contro la diffusione dell’AIDS in Africa e nei paesi poveri del mondo. Il lavoro e l’amore del pubblico sono due alleati preziosi che le consentono di superare anche la più brutta sorpresa che il destino potesse farle. L’8 gennaio 1995 alle otto del mattino nella loro casa di Rueil Malmaison, si porta via Loulou Gasté, l’uomo della sua vita. La scomparsa lascia un vuoto immenso e più di mille canzoni. Negli ultimi anni il cinema e la televisione tendono a prevalere sull’attività canora di Line Renaud anche se, di tanto in tanto non disdegna di tornare in sala di registrazione come accade nel 2002 quando, insieme a Charles Aznavour, Nana Mouskouri, Garou e tanti altri registra l’album Feelings, un dolcissimo omaggio al marito scomparso.

30 giugno, 2020

30 giugno 1953 – La Corvette, l’auto della Route 66

Il 30 giugno 1953 esce dalla fabbrica di Flint, nel Michigan, una località non lontana da Detroit, il primo esemplare della Corvette. Lo guida Tony Kleiber, un dipendente della Chevrolet che passa alla storia come la prima persona che abbia guidato una Corvette di serie. Alla fine dell’anno saranno trecento le vetture prodotte, tutte di colore bianco latte. Nel dicembre del 1953 inizia il trasloco della produzione, destinata a essere trasferita nello stabilimento di St. Louis nel Missouri. In pochi immaginano che quel modello finirà per superare di molto il milione di esemplari venduti, mantenendo intatto il suo fascino fino alla nascita del nuovo millennio. Con la Corvette il sogno americano inizia a viaggiare su quattro ruote. Nell’immaginario collettivo questa vettura evoca Hollywood, le corse lungo la Route 66, i viaggi on the road, l’illusione di una potenza infinita accompagnata da una tecnologia innovativa che supera i confini del tempo. La sua storia inizia in quello stesso 1953 che vede la fine della Guerra di Corea e l’uscita del primo numero di Playboy. Sono gli anni che seguono il grande conflitto mondiale e molti soldati americani che avevano vissuto in Gran Bretagna in attesa del D-Day che avrebbe portato alla resa finale della Germania, sono tornati in patria accompagnati dal fascino veloce dei modelli sportivi inglesi: MG su tutti, ma anche Triumph, Austin-Healey e Jaguar. Il successo delle auto sportive d’oltreoceano stimola l’idea di una risposta americana. La sfida viene raccolta da due uomini, Harley Earl, responsabile dello Style Center della GM, oltre che l’ideatore delle enormi pinne della Cadillac, e Ed Cole, ingegnere capo della Chevrolet, appassionato di vetture sportive. In poche settimane i due costruiscono un modellino tridimensionale che nel giugno 1952 viene presentato alla direzione della General Motors. Il debutto in pubblico della Corvette avviene il 17 gennaio 1953 nel lussuoso salone da ballo del famoso Waldorf Astoria Hotel di New York, che ospitava il General Motors Motorama con vari modelli del gruppo, diretto da Charles Wilson. Il prototipo ottiene un grande successo e, sei mesi più tardi, il 30 giugno, il primo esemplare esce dalla fabbrica di Flint. Inizia così l’avventura della Corvette.

29 giugno, 2020

29 giugno 2000 – Germaine Montéro, l’interprete di Garcia Lorca

Il 29 giugno 2000 muore Germaine Montéro, uno dei personaggi chiave della nuova canzone popolare francese del Novecento. Un po’ spagnola, un po’ francese, ma soprattutto cittadina del mondo non ama troppo le distinzioni assolute né nella vita né nell’arte. Come molti altri personaggi di spicco del periodo d’oro degli chansonniers preferisce non farsi rinchiudere in un ruolo o in un ambito artistico troppo specifico. Non è un’eccezione, ma in sintonia con il periodo artistico nel quale vive. L’elemento centrale dell’epoca nella quale crescono e si affermano le mille sfaccettature della nuova canzone popolare francese del Novecento, infatti, è la sua interdisciplinarità. Teatro, cinema, canzone, poesia, letteratura e perfino la pittura e la scultura si mescolano in un mélange magico e prezioso che rende unico e irripetibile quel periodo. Sono anni nei quali nessun artista fa una cosa sola e tutti sono animati dalla convinzione che soltanto dalla contaminazione tra le varie forme d’arte possano nascere ed evolversi idee nuove. L’Ottocento delle specializzazioni e della separazione artistica figlia della separazione sociale viene superato da un nuovo secolo nel quale, come accadeva nel Rinascimento italiano, la curiosità vale più dello studio e la sperimentazione diventa una forma d’apprendimento per chiunque voglia incamminarsi sui sentieri dell’arte. Negli anni di quella che forse un po’ impropriamente viene chiamata “epopea degli chansonniers”, i poeti scrivono canzoni e film come Jacques Prévert o si sperimentano in qualità di registi teatrali come accade a Garcia Lorca. È un periodo speciale nel quale anche i pittori come Pierre Dumarchey, scrivono canzoni con il nome d’arte di Pierre Mac Orlan. I loro brani vengono poi cantanti da attori e attrici cui la prosa e la poesia sembrano più povere se non vanno a braccetto con la melodia. Germaine Montéro è figlia di questi tempi speciali. Attrice teatrale e cinematografica di grande talento si innamora perdutamente della canzone e quando serve non esita a tradire le altre sue passioni per seguirne le lusinghe e le suggestioni. Nasce il 22 ottobre 1909. Il nome con il quale viene registrata all’anagrafe è Germaine Berthe Caroline Heygel. Suo padre è originario dell’Alsazia, una regione tormentata e contesa per molto tempo tra Francia e Germania. Fin da piccola coltiva una grande passione per il teatro che la famiglia incoraggia. «Questa ragazza sembra nata nella Grecia classica! Nelle sue vene scorre lo stesso furore artistico dei grandi protagonisti della teatro ellenico...». Pronunciata da una delle tante insegnanti che ne accompagnano la crescita artistica la frase convince la famiglia della giovane Germaine che i sacrifici fatti per quella figlia folgorata dal teatro non sono vani. Serve allo scopo anche se è fondamentalmente falsa visto che nel teatro della Grecia classica le donne non avevano alcuno spazio. La sua prima esperienza da protagonista sul palcoscenico di un teatro vero con un pubblico altrettanto vero avviene alla fine degli anni Venti quando all’età di diciotto anni esordisce a Madrid in un lavoro scritto e diretto dal poeta Federico Garcia Lorca che stravede per quella giovane attrice dall’accento così singolare. Nella capitale iberica trova anche il nome d’arte spagnoleggiante di Germaine Montéro che per qualche anno utilizza in modo saltuario. A volte è Germaine Heygel, altre Germaine Montéro. Tornata in Francia si sente investita della missione di far conoscere i lavori teatrali di Federico Garcia Lorca. È lei la prima a rappresentare “Bodas de sangre”, “Yerma” e “La casa de Bernarda Alba”, le opere che compongono la famosa “trilogia” del poeta spagnolo che nella versione francese diventano, rispettivamente, “Noces de sang”, “Yerma” e “La maison de Bernarda Alba”. Pian piano Germaine Montéro diventa uno dei personaggi di spicco della tumultuosa scena artistica della Francia degli anni Trenta attraversata da grandi pulsioni intellettuali, dal sogno dell’interdisciplinarità e dall’idea ricorrente di togliere di mezzo i confini tra i popoli, causa non secondaria delle guerre. Per i suoi amici più impegnati lei rappresenta un po’ il simbolo vivente dell’eliminazione delle barriere tra i popoli con quel nome d’arte spagnolo, la nazionalità francese e il cognome che denuncia la provenienza alsaziana della sua famiglia. Nella stimolante Parigi degli anni Trenta l’attrice Germaine Montéro si lascia sedurre dalla musica. Non è un fugace amore a prima vista ma il frutto di una lunga e intensa frequentazione con gli ambienti più aperti dell’avanguardia parigina. Un ruolo decisivo nella sua maturazione hanno le esperienze vissute con la sua amica cantante e attrice Agnès Capri, fondatrice e protagonista insieme a Paul Nizan, Louis Aragon e Marx Ernst dell’Association des Artistes et Écrivains Révolutionnaires (Associazione degli Artisti e Scrittori Rivoluzionari). Agnès è una delle poche donne di spettacolo che possa vantarsi di essere riuscita nel difficile compito di scandalizzare la tollerante capitale francese. È accaduto in un giorno di Pasqua quando ha celebrato la ricorrenza religiosa con la recita sul palcoscenico dell’ABC del rabbioso Padre Nostro di Jacques Prévert («Padre nostro che sei nel cieli, restaci...»). Instancabile propugnatrice di una costante contaminazione tra le varie arti, nel 1938 apre un proprio locale in Rue Molière, Le Capricorne, che diventa rapidamente il punto d’incontro della composita schiera di artisti che compongono il Gruppo Ottobre, da Jacques Prévert a Michel Vaucaire a Joseph Kosma. Nel locale c’è un palcoscenico dove chiunque può salire e fare quello che gli frulla in testa: cantare, suonare, ballare, recitare o esibirsi in intriganti esercizi di destrezza. Proprio su quel palcoscenico Agnès Capri presenta per la prima volta al pubblico canzoni come Deux éscargots s’en vont à l’enterrement o La pêche à la baleine i cui testi, nati dalla geniale follia poetica di Jacques Prévert, scorrono sinuosi sulle melodie un po’ visionarie di Joseph Kosma. Qui una sera anche Germaine Montéro cede alla seduzione della musica e si esibisce per la prima volta come cantante lanciandosi in una personalissima interpretazione di un brano di Prévert. Ben presto le sue esibizioni diventano un appuntamento fisso mentre il repertorio comincia ad allargarsi anche al di fuori della limitata schiera di brani composti dalla coppia Prévert-Kosma per abbracciare versi e musiche di altri protagonisti del periodo, a partire da Aristide Bruant. Nelle serate al Capricorne di Rue Molière Germaine Montéro ha incontrato la canzone. È sbocciato un amore destinato a non spegnersi più e a lasciare segni importanti. Cantante poco disposta a cedere alle suggestioni commerciali predilige quei brani nei quali la poesia si mescola con la musica. Oltre ai già citati Prévert e Bruant, nella sua lunghissima discografia figurano canzoni di François Béranger, Léon Xanrof, Pierre Mac Orlan, Boris Vian, Léo Ferré, Mouloudji e tanti altri poeti-chansonniers. Sfruttando la perfetta conoscenza della lingua spagnola incide anche una serie di album dedicati alla canzone iberica popolare e colta dei primi anni del Novecento. Nonostante l’impegno e i successi in campo musicale Germaine Montéro, convinta che le passioni esclusive finiscano per impoverire la qualità artistica, non dimentica di essere un’attrice teatrale e nel corsoi della sua lunga carriera, oltre alle opere di Garcia Lorca, porta sui palcoscenici di Francia lavori di Paul Claudel, Luigi Pirandello e, soprattutto Bertold Brecht (indimenticabile è la sua interpretazione in “Madre coraggio” nel 1967 al fianco di Jean Villard). Non rinuncia neppure a sperimentarsi nel cinema dove debutta nel 1934 in una parte minore e con il suo vero nome nel film “Sapho” di Léonce Perret. Nel 1940 è la protagonista de “Il peccato di Rogelia Sanchez” di Carlo Borghesi e Roberto de Ribòn. Da quel momento anche nell’ambiente cinematografico il suo nome è uno dei pochi capaci di mettere d’accordo pubblico e critica. Nonostante il passare degli anni non abbandona la scena fino alla morte che la sorprende il 29 giugno 2000 a Saint-Romain-en-Viennois.

28 giugno, 2020

28 giugno 1888 - Chicken Henry, dal pianoforte al trombone per necessità

Il 28 giugno 1888 nasce a New Orleans, in Louisiana, Chicken Henry, uno dei personaggi più interessanti del jazz delle origini. Oscar Henry, questo è il suo vero nome, inizia a suonare il pianoforte quando ha dodici anni sotto la guida di Louise Adler, una delle più stimate insegnanti di New Orleans. Dopo aver frequentato vari corsi di perfezionamento presso la Straight University Chicken Henry fa il suo debutto professionale come pianista nei bordelli della sua città intorno al 1906. Deciso a fare del pianoforte la sua unica fonte di sostentamento nel 1913 si trasferisce a Chicago esibendosi in vari club del South Side. Proprio quando si parla di lui come di uno dei solisti di maggior talento nel 1919 resta coinvolto in un grave incidente nel quale perde l’uso di varie dita. Intenzionato a non abbandonare l’ambiente musicale è costretto ad abbandonare il pianoforte per il trombone. Continua a lavorare come trombonista a Chicago fino all’inizio degli anni Trenta anche se la sua capacità professionale non è neppure paragonabile a quella dimostrata al pianoforte. Nel 1932 rientra a New Orleans dove si esibisce in vari cabaret con numerosi gruppi tra cui quello di Paul Beaullieu. Nel 1935 assieme a Louis Nelson entra a far parte della W.P.A. Brass Band di Louis Dumaine. Il suo ultimo importante ingaggio è quello con la brass band di Kid Howard poi di lui si perdono le tracce.

27 giugno, 2020

27 giugno 1924 - Jean Fanis, pianista di bottega

Il 27 giugno 1924 nasce a Wépion, in Belgio, il pianista Jean Fanis. Suo padre e suo nonno hanno un laboratorio-bottega dove vendono e aggiustano ogni genere di tastiera. Per lui è quasi inevitabile cominciare già da bambino a pigiare con le dita sui tasti bianchi e neri. Dopo aver preso lezioni private di pianoforte va alla scuola di musica e al conservatorio di Namur dove lo sorprende lo scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo lo sbarco degli alleati in Normandia e la liberazione dai tedeschi inizia a suonare in vari locali. All’Alpha club incontra il vibrafonista Sadi con il quale suona, insieme a Francy Boland e Chris Kellens nei club delle truppe statunitensi acquartierate in Belgio. Si reca poi con Sadi ad Anversa, dove abita con il batteri sta Rudy Frankel e dove incontra Jack Sels con il quale si trasferisce in Germania, sempre per suonare nei club dell'esercito a stelle e strisce. Obbligato da un disturbo alla vista a tornare in Belgio va a vivere a Bruxelles e a partire dal 1952 diventa il pianista fisso della Rose Noire, il club di jazz più noto della città. Nel 1956 decide di cambiare aria. Con il batterista Al Jones e il bassista Roger Vanhaverbeke forma un trio destinato a diventare anche il nucleo centrale del quintetto di Jack Sels e del quartetto di Sadi. A partire dagli anni Sessanta suona con quasi tutti i grandi protagonisti della scena jazz europea e statunitense non disdegnando di tanto in tanto di compiere qualche incursione nel pop e nel rock. A partire dal 1977 torna quasi esclusivamente al jazz come solista.

26 giugno, 2020

26 giugno 1939 – Marisa Terzi da cantante ad autrice di successo

Il 26 giugno 1939, a Berceto in provincia di Parma nasce Marisa Terzi. Allieva del mastro Paolo Cavazzini mostre particolari doti vocali e una spiccata passione per il jazz. Nel 1956, a diciassette anni, vince il Festival del Jazz di Reggio Emilia con Moonlight in Vermont, un classico del repertorio di Backburn. La sua presenza scenica e le sue caratteristiche vocali ne fanno un’interprete ideale anche per le canzoni destinate al pubblico più giovane. Nel 1961 si fa apprezzare alla Sei Giorni della Canzone di Milano con il divertente brano La pazza nel pozzo. L’anno dopo conquista la seconda posizione nella classifica finale del Festival della Canzone Jazz di Saint Vincent con Gentleman scritta da Gian Carlo Testoni e Carlo Alberto Rossi. Proprio con quest’ultimo, abbandonata l’attività di cantante, inizia a collaborare assiduamente come autrice. Il sodalizio con Carlo Alberto Rossi non sarà soltanto limitato all’esperienza professionale e nel 1977 culminerà anche nel matrimonio. Tra le canzoni di successo che portano la sua firma ci sono brani come Se tu non fossi qui, Tu che non sorridi mai e tante altre, tra cui You are my love, registrata da Mina nell'album Finalmente ho conosciuto il Conte Dracula nel 1985.

25 giugno, 2020

25 giugno 2004 – New Orleans? è in Svizzera

Il 25 giugno 2004 inizia un'edizione particolarmente ricca di JazzAscona, la più importante manifestazione musicale europea dedicata al jazz tradizionale e classico e una delle principali del mondo. Da vent’anni nella seconda metà di giugno New Orleans è in Svizzera, a non più di una dozzina di chilometri dal confine italiano sulle sponde di un lago le cui onde appaiono indifferenti alle frontiere. Accade nella cittadina di Ascona dove da vent’anni confluiscono decine di migliaia di appassionati. Per la 20th Anniversary Celebration, l’edizione del 2004, gli organizzatori hanno fatto le cose in grande. Fino al 4 luglio il festival ospita trecento musicisti in circa duecento concerti. Ogni giorno le esibizioni iniziano alle 11 del mattino e terminano alle 5 del giorno dopo per un totale di centottanta ore ininterrotte di jazz. Cinque sono i palchi allestiti sul lungolago per una manifestazione che oltre a vari eventi speciali, offre imprevedibili sorprese, tipiche dei grandi raduni jazz. Non c’è divisione tra pubblico e artisti e la possibilità di intrattenersi con i musicisti prima e dopo i concerti non è un privilegio per pochi, ma la normalità. Gli artisti stessi, poi, vivono il festival nelle piazze ed è normale vederli salire sul palco per unirsi ai propri colleghi in appassionate jam session. Il programma del Ventennale è stato costruito con un occhio a tre elementi fondamentali: la tradizione, l’affezione e le passioni del pubblico e le nuove realtà. Il richiamo alla tradizione ha ispirato l’idea di richiamare molti musicisti “storici”, quelli che nelle prime edizioni hanno contribuito a costruire l’immagine del Festival, da Lillian Bouttée a Bob French, da The Wolverines a Storyville Shakers e Thomas L'Etienne. Per soddisfare le passioni delle migliaia di inguaribili innamorati ci sono poi alcuni dei grandi mattatori che hanno animato le esibizioni negli ultimi anni, da Leroy Jones a Ed Polcer, da Englebert Wrobel a Swing Cats e ancora Earl Conway e Marc Richard. Per il filone dedicato alle nuove realtà vanno in scena alcuni giovani musicisti che continuano a perpetuare la tradizione del jazz di New Orleans ma che, insieme, possiedono una versatilità tale da potersi destreggiare con tutti i generi musicali. Tra questi spiccano i nomi di Niki Harris, Barbara Morrison, Herlin Riley, Joan Faulkner e Isla Eckinger. L’Italia sarà rappresentata da Dado Moroni. Non mancano alcune figure leggendarie del jazz americano che regalano ad Ascona un pezzettino del loro genio, come Plas Johnson, Rhoda Scott, Warren Vaché, Wendell Brunious, Eddie Locke o il già citato Bob French. Il ventesimo compleanno è infine l'occasione per il Festival di rendere omaggio a tre giganti della storia del jazz, di cui nel 2004 ricorre il centenario della nascita: Count Basie, Fats Waller e Coleman Hawkins. Proprio l’omaggio alle carriere dei tre giganti è il filo conduttore dei dieci giorni del festival

24 giugno, 2020

24 giugno 1950 – Il primo mondiale di calcio con gli Inglesi

Dopo la parentesi drammatica della seconda guerra mondiale il 24 giugno 1950 inizia in Brasile la quarta edizione del campionato mondiale di calcio. Alla manifestazione, che dura fino al 16 luglio, partecipa per la prima volta l’Inghilterra, che, considerandosi maestra in questo sport, ha sempre rifiutato confronti ufficiali con paesi ritenuti calcisticamente sottosviluppati. La presunzione, però, non paga e gli inglesi vengono subito eliminati dopo un’umiliante sconfitta con gli Stati Uniti. All’Italia campione in carica non va meglio. Perde all’esordio con la Svezia per 3 a 2 e chiude la sua avventura con un’inutile successo per 2 a 0 con il Paraguay. Il mondiale, dopo una drammatica partita con i padroni di casa del Brasile, viene vinto dall’Uruguay.

23 giugno, 2020

23 giugno 1965 – I Beatles alla Stazione Centrale di Milano

Il 23 giugno 1965 i Beatles arrivano in Italia. Quando i quattro ragazzi di Liverpool sbarcano alla Stazione Centrale di Milano ci sono tremila ragazzi e ragazze ad accoglierli. L’accompagnatore ufficiale del gruppo è il giovane Gianni Minà e l’organizzatore del tour è Leo Weatcher. La band tiene complessivamente otto concerti, uno pomeridiano e uno serale che si svolgono il 24 giugno al Vigorelli di Milano, il 26 giugno al Palasport di Genova e il 27 e il 28 giugno al teatro Adriano di Roma. In ciascuna di queste esibizioni i Beatles suonano per poco più di mezz’ora preceduti da una lunga serie di artisti italiani. Nel concerto milanese prima dei Fab Four salgono sul palco Le Ombre, i New Dada, Angela, Guidone e gli Amici, Fausto Leali con i Novelty e Peppino di Capri accompagnato per l’occasione dai Giovani Giovani, il gruppo di Pino Donaggio. Nonostante il successo del tour la televisione italiana non darà spazio ai Beatles fino al 25 marzo 1966 quando, dopo molte resistenze, andrà finalmente in onda un miniconcerto di mezz'ora. Le ostilità tra innovatorie conservatori non finiranno lì perché la decisione rinfocolerà le polemiche di una parte dell'opinione pubblica che protesterà per il «..cattivo esempio dato da questi ragazzi dai capelli lunghi. ..»

22 giugno, 2020

22 giugno 1949 - Francesco Magni, quello dell’erba voglio

Il 22 giugno 1949 nasce al Briosco in quel di Milano, il cantautore Francesco Magni. La sua carriera musicale inizia negli anni Settanta quando la poetica delle sue prime composizioni cattura l'attenzione di Nanni Svampa, che le incide e le pubblica per la Durium nell’album Al dì d'incoeau (1977). Con Moni Ovadia, talent scout e leader del Gruppo Folk Internazionale pubblica poi nel 1978 l'ironico e divertente album Il paese dei bugiardi. La grande notorietà arriva poi quando partecipa al Festival di Sanremo del 1980 con la divertente Voglio l'erba voglio cui segue l’album Cocò, una raccolta di moderne favole venate di humor popolare. Dopo i singoli Dracula-Canzone d'amore del 1981 e Magnetico Tic del 1983 si avvicina alla musica indiana realizzando l’album Sai Mama. Nel 1995 pubblica l’album Amami di meno amati di più e nel nuovo millennio è ancora sulla breccia con l’album Scigula.

21 giugno, 2020

21 giugno 2000 – Marianne Faithfull, la biondina è diventata rossa

«Canto perché amo Brecht e il comunismo». La frase, buttata lì da Marianne Faithfull nel corso di un'intervista a Marinella Venegoni de La Stampa e pubblicata il 21 aprile 2000 è di quelle destinate a colpire, a dare una forte emozione e a lasciare un segno. La cantante in quel periodo è in Italia per esibirsi a Ravenna nei "Sette peccati capitali" e la sua performance, diffusa in diretta dal Terzo canale di Radiorai, ottiene critiche lusinghiere. E così anche finalmente anche i media italiani, non tutti per la verità, cancellano l'immagine fastidiosa di quella cantante biondina, in genere definita "musa dei Rolling Stones" e destinata a far parlare più le cronache mondane e quelle giudiziarie che i critici musicali. La biondina non ancora diciottenne che cantava con la vocina tenera e la protezione dei Rolling Stones As tears go by e partecipava al Festival di Sanremo per ripetere distrattamente C'è chi spera insieme a Riki Maiocchi è morta da tempo. Non esiste più. È stata seppellita insieme alla vita disordinata degli anni in cui i produttori facevano di lei quello che volevano. Era l'epoca degli eccessi e dell'amicizia con sostanze pericolose che più d'una volta l'a portano a sfiorare la morte. Il meccanismo la stritola. Ha poco più di vent'anni quando lascia le scene per entrare in un circuito virtuoso e perverso di disintossicazioni, case di cura e ricadute. Ne riemerge a trenta, ma è profondamente cambiata. Con la biondina è morta anche la vocina di un tempo, trasformatasi un timbro roco e sensuale che l'ha costretta ad abbassare di un ottava la partitura di Anna nei "Sette peccati capitali" di Berthold Brecht e Kurt Weill. Eppure in quasi tutti i servizi che presentano l'appuntamento di Ravenna, l'immagine di Marianne Faithfull era coperta da quella dell'esile ragazza bionda degli anni Sessanta destinata, più che altro, a soddisfare le esigenze sessuali delle nascenti star del rock. C'è poi chi ha trovato modo di polemizzare anche con la scelta di abbassare di un ottava la partitura, forse ignorando che già Lotte Lenya, considerata una delle più grandi interpreti della brechtiana Anna, nel 1955 l'aveva abbassata di un quarto. Anche se l'Italia lo scopre solo in quel momento, sono anni che Marianne Faithfull interpreta Brecht e, soprattutto, sono anni che guarda con occhio distaccato il mondo del music business e che risponde in modo provocatorio alle domande stupide: «Il punk? Ricordo soltanto che Sid Vicious e io avevamo lo stesso spacciatore…». Quando riemerge dal tunnel della disperazione e degli eccessi stanno finendo gli anni Settanta. Il suo personaggio non piace ai "padroni della musica", ma soprattutto non piace ai produttori la sua pretesa di avere un cervello. Lei non molla. Nel 1979 pubblica con l’etichetta indipendente Island lo splendido album Broken english nel quale rielabora alcuni scritti di Ulrike Meinhof, non per affinità politica ma perché vorrebbe che tutti capissero come a volte non si diventa terroristi per scelta, ma per bisogno d'amore: «Sono gli stessi blocchi emotivi che ti rendono tossicomane a farti diventare terrorista». I testi delle canzoni (nel disco c'è anche una trascinante versione elettrica della lennoniana Working class hero) non piacciono però alla EMI, distributrice della Island, che boicotta l'album e ne penalizza il successo. Marianne non s’arrende e continua per la sua strada. Cerca e trova la collaborazione di vecchi e nuovi amici come la coppia Jagger-Richards e Tom Waits, ma i ristretti confini della musica pop non le bastano più. Si innamora di Brecht e attraverso i suoi lavori scopre il comunismo, la voglia di cambiare le cose e di combattere le ingiustizie. L'impegno sociale le procura nuovi problemi. Da tempo, infatti, si è trasferita negli Stati Uniti e le autorità di quel paese, così indulgenti nei confronti dei suoi eccessi esistenziali, fanno fatica a tollerare l'impegno sociale e politico. Vengono rispolverate le sue vecchie storie di droga e una lunghissima serie di microreati connessi. In breve tempo si ritrova tra le mani un foglio di via che le intima di tornare immediatamente nella natìa Gran Bretagna. Di nuovo accorrono in suo aiuto gli amici veri, artisti e non, che, inventando sempre nuove ragioni per ottenere dilazioni e rinvii, le consentono nel 1989 di realizzare il suo sogno: cantare le musiche di Berthold Brecht e Kurt Weill nella St. Ann’s Cathedral di Brooklyn. Da quel momento Brecht entra nella vita personale e artistica della cantante in modo totalizzante e ne condiziona non solo il repertorio, ma anche l'impostazione vocale. Nel giugno del 2000 anche l'Italia la scopre. Merito dell'intervista di Marinella Venegoni che supera anche i limiti della nuova immagine e propone, finalmente sotto la luce giusta, un personaggio che ha attraversato spesso da vittima e qualche volta da protagonista gli ultimi quarant'anni della scena musicale internazionale. Lo fa evitando le tinte acide del rotocalco e con un grande rispetto per l'artista e la persona, cercando e fornendo informazioni in una sorta di scambio alla pari.


20 giugno, 2020

20 giugno 1964 – O Gorizia tu sei maledetta

È il 20 giugno 1964 quando il "Nuovo Canzoniere Italiano" mette in scena al teatro Caio Melisso di Spoleto nell'ambito del Festival dei Due Mondi lo spettacolo "Bella ciao". La scaletta prevede che Michele L. Straniero (la elle è un vezzo che indica il secondo nome, Luciano) intoni Gorizia, un brano nato nelle trincee della prima guerra mondiale, raccolto da Cesare Bermani e dedicato alla battaglia di Gorizia dell'agosto del 1916, costata la vita a quasi centomila soldati tra austriaci e italiani. L'esecuzione fila via liscia fino ai versi «Traditori signori ufficiali/che la guerra l'avete voluta/scannatori di carne venduta/e rovina della gioventù», al termine dei quali scoppia un pandemonio o, come racconta trent'anni dopo lo stesso Straniero «un tumulto provocato da chi esige l'interruzione dello spettacolo... I dissenzienti non vogliono intendere ragioni. Gorizia non si tocca, la Grande Guerra nemmeno. Questi qui sono una banda di comunisti, il Festival è caduto in mano ai rossi, bisogna farli tacere e cacciarli via. Un facinoroso particolarmente acceso tenta la scalata al palco: ma Giovanna Marini, già alta e imponente di suo come una matrona romana, lo ferma di botto levandogli sul capo la sua superba e preziosa mandòla. In un palco Giorgio Bocca - tra i sostenitori più convinti - ribatte da par suo ad una "carampana" che squittisce dissenso. Dal fondo della sala una voce stentorea proclama: "Signori ufficiali, attenti!"». La storia non si fermerà lì. Due giorni dopo, infatti, Straniero e i suoi compagni d'avventura verranno denunciati per vilipendio delle Forze Armate.

19 giugno, 2020

19 giugno 1950 - Ray Lovelock, il cantante mancato

Il 19 giugno 1950 da madre italiana e padre inglese nasce a Roma nel quartiere San Giovanni Raymond John Lovelock destinato a diventare con il nome di Ray Lovelock, il "biondino" per eccellenza, uno dei personaggi più amati dalle adolescenti degli ultimi anni Sessanta e di primo piano del cinema di genere italiano degli anni Settanta. La sua popolarità nasce quando presta corpo e volto alla pubblicità di un motorino in un “Carosello”, come si chiamano all’epoca i cortometraggi pubblicitari televisivi inseriti nell’omonimo spazio serale nel quale la televisione italiana a canale unico confina i messaggi commerciali. Il ragazzo ha ambizioni artistiche ma non ha ancora scelto la sua strada tra cinema, televisione e musica. Nel 1967, anno in cui fa il suo esordio cinematografico con il western all’italiana “Se sei vivo spara”, tenta anche la strada della carriera musicale. Con la chitarra, i blue jeans e il ciuffo biondo che gli cade sulla fronte si presenta sul palco del Piper per un’esibizione che sembra aprirgli le porte della musica pop. Al termine del concerto, infatti, il manager di una casa discografica, seriamente colpito dalle sue ballate country rock in inglese, lo mette sotto contratto per tre anni. Proprio in quel periodo, però, la vita di Ray Lovelock svolta decisamente verso il cinema e la musica resterà per sempre un hobby o un elemento di ulteriore caratterizzazione delle sue performance sullo schermo come accade in “Le regine” di Tonino Cervi nel quale canta accompagnandosi con la chitarra brani folk o in “Pronto ad uccidere” di Franco Prosperi dove canta il tema principale I’m startin’ tomorrow. Muore a Trevi il 10 novembre 2017.