Il 9 agosto 1957 muore la sessantunenne Anna Benedetti. L'avvenimento non fa notizia e nel mondo dello spettacolo a nessuno quel nome dice niente. In realtà la signora Benedetti è stata Nina Imperio, dal 1915 al 1920 una delle cantanti napoletane del varietà più popolari in Italia e in Europa. Figlia del maestro Michele Benedetti, direttore d'orchestra "dei balli" presso il San Carlo di Napoli, canta per la prima volta in uno spettacolo di varietà nel capoluogo partenopeo nel 1911, a soli quindici anni. Il luogo del debutto, la Sala Imperio, resta nel suo nome d'arte. Nina Imperio si fa presto apprezzare per la sua sobrietà altera sul palco e l'eleganza della presenza scenica. La sua voce fa il resto. Irrobustita dagli studi di canto iniziati nella più tenera età, ricca di sfumature e capace di far vibrare le corde dei sentimenti negli ascoltatori, si adatta perfettamente al repertorio classico napoletano. In breve tempo diventa una delle beniamine del pubblico napoletano. La sua popolarità, però, non si ferma alle falde del Vesuvio. Insieme ad alcune tra le migliori compagnie di varietà dell'epoca inizia a girare l'Italia. A diciott'anni, nel 1913, entusiasma il pubblico romano che saluta la sua prima esibizione in assoluto all'Eden tributandole una lunghissima ovazione. Il suo peregrinare in Italia e in vari paesi europei non le fa dimenticare Napoli cui resta legata da un affetto profondo. Nelle sue tournée, infatti, è prevista sempre la possibilità di un suo ritorno a Napoli in occasione dell'annuale rassegna canora di Piedigrotta. Innumerevoli sono le edizioni della manifestazione che la vedono protagonista e molte delle canzoni lanciate per l'occasione entrano stabilmente nel suo repertorio. La parabola ascendente di Nina Imperio sembra destinata a non fermarsi mai quando, improvvisamente, nel 1920 annuncia la sua intenzione di ritirarsi dalle scene. La donna che ha davanti al suo camerino lunghe file di ammiratori e spasimanti, per la quale gli impresari sono ormai disposti a fare follie è intenzionata a lasciare tutto per… amore. S'è, infatti, innamorata di un uomo che non fa parte del mondo dello spettacolo e intende stare con lui. Dal momento dell'annuncio si esibisce soltanto negli spettacoli previsti dai contratti già firmati, poi se ne va per sempre. Nina Imperio muore con la sua scelta. Non calcherà più il palcoscenico e quando, nel 1957, anche Anna Benedetti scompare più nessuno ricorderà la cantante che fece impazzire con il suo talento il pubblico di mezza Europa.Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
09 agosto, 2022
9 agosto 1957 - L'altera ed elegante Nina Imperio
Il 9 agosto 1957 muore la sessantunenne Anna Benedetti. L'avvenimento non fa notizia e nel mondo dello spettacolo a nessuno quel nome dice niente. In realtà la signora Benedetti è stata Nina Imperio, dal 1915 al 1920 una delle cantanti napoletane del varietà più popolari in Italia e in Europa. Figlia del maestro Michele Benedetti, direttore d'orchestra "dei balli" presso il San Carlo di Napoli, canta per la prima volta in uno spettacolo di varietà nel capoluogo partenopeo nel 1911, a soli quindici anni. Il luogo del debutto, la Sala Imperio, resta nel suo nome d'arte. Nina Imperio si fa presto apprezzare per la sua sobrietà altera sul palco e l'eleganza della presenza scenica. La sua voce fa il resto. Irrobustita dagli studi di canto iniziati nella più tenera età, ricca di sfumature e capace di far vibrare le corde dei sentimenti negli ascoltatori, si adatta perfettamente al repertorio classico napoletano. In breve tempo diventa una delle beniamine del pubblico napoletano. La sua popolarità, però, non si ferma alle falde del Vesuvio. Insieme ad alcune tra le migliori compagnie di varietà dell'epoca inizia a girare l'Italia. A diciott'anni, nel 1913, entusiasma il pubblico romano che saluta la sua prima esibizione in assoluto all'Eden tributandole una lunghissima ovazione. Il suo peregrinare in Italia e in vari paesi europei non le fa dimenticare Napoli cui resta legata da un affetto profondo. Nelle sue tournée, infatti, è prevista sempre la possibilità di un suo ritorno a Napoli in occasione dell'annuale rassegna canora di Piedigrotta. Innumerevoli sono le edizioni della manifestazione che la vedono protagonista e molte delle canzoni lanciate per l'occasione entrano stabilmente nel suo repertorio. La parabola ascendente di Nina Imperio sembra destinata a non fermarsi mai quando, improvvisamente, nel 1920 annuncia la sua intenzione di ritirarsi dalle scene. La donna che ha davanti al suo camerino lunghe file di ammiratori e spasimanti, per la quale gli impresari sono ormai disposti a fare follie è intenzionata a lasciare tutto per… amore. S'è, infatti, innamorata di un uomo che non fa parte del mondo dello spettacolo e intende stare con lui. Dal momento dell'annuncio si esibisce soltanto negli spettacoli previsti dai contratti già firmati, poi se ne va per sempre. Nina Imperio muore con la sua scelta. Non calcherà più il palcoscenico e quando, nel 1957, anche Anna Benedetti scompare più nessuno ricorderà la cantante che fece impazzire con il suo talento il pubblico di mezza Europa.08 agosto, 2022
8 agosto 1970 - Grazie, piccola Bessie. Janis
L’aveva promesso a se stessa e lei è una che mantiene le promesse. Janis Joplin nell’estate del 1970 è ormai una cantante di successo, sia pur tormentata da una serie lunghissima di angosciosi problemi esistenziali. Da poco ha debuttato con la Full Tilt Boogie Band e tra pochi giorni deve iniziare le sedute di registrazione del suo nuovo album. Da tempo, però, continua a dire agli amici di voler saldare un misterioso debito. Approfittando di un momento di pausa nei suoi impegni, l’8 agosto 1970 fa collocare a sue spese una lapide di ringraziamento e di saluto sulla tomba della grande cantante Bessie Smith, l’Imperatrice del blues che riposa dal 1937 nel cimitero di Mount Lawn presso Derby, in Pennsylvania. Lo fa senza grande clamore, ma la notizia trapela ugualmente. A chi gliene chiede la ragione Janis spiega “L’ho sentita molte volte vicino a me. Devo tutto a lei: il mio modo di cantare, la mia passione per la musica, i suoni e i colori della mie interpretazioni. È stata Bessie Smith l’esempio che ho scelto quando ho cominciato a cantare e lei mi ha insegnato la strada.” Stimolata sull’argomento si lascia poi andare a una serie di considerazioni violente contro la vergogna della discriminazione razziale. Sono parole di fuoco che bollano l’intera società americana. Il razzismo, a suo dire, è una vergogna che dovrebbe pesare come un macigno su tutti i bianchi che vivono negli Stati Uniti. Le parole di Janis non sono generiche manifestazioni di solidarietà a favore dell’integrazione razziale, ma si riferiscono direttamente alle scandalose circostanze che hanno provocato la morte di Bessie Smith, sulle quali, peraltro, nessuno ha mai aperto un’inchiesta degna di questo nome. La morte della cantante viene solitamente attribuita a un generico “ritardo nei soccorsi”, quando non a “circostanze oscure”. Eppure non c’è niente di più vergognosamente chiaro delle circostanze che hanno determinato la morte di Bessie Smith. Siamo nel 1937. Mentre è impegnata in una lunga tournée nel Sud degli Stati Uniti, la cantante viene coinvolta, nella notte tra il 25 e il 26 settembre, in un terribile incidente stradale nelle vicinanze di Clarksdale, nello stato del Mississippi. Come si può immaginare non sono ancora molte, negli anni Trenta, le auto che viaggiano di notte, per cui passa molto tempo prima che qualcuno si accorga dell’incidente. Ali occhi dei primi soccorritori le condizioni della cantante appaiono molto gravi tanto che si decide di non attendere l’ambulanza per trasportarla al pronto soccorso del più vicino ospedale. La lunga corsa contro il tempo di Bessie Smith è, però, solo all’inizio. Pur essendo stato avvertito per tempo e avendo preparato il necessario per prendersi cura della ferita, il personale di turno dell’ospedale si rifiuta di accettare il corpo martoriato della cantante quando si accorge che è nera. In quegli anni in molti stati del Sud vige ancora un rigido regime di separazione razziale e viene considerato un fatto del tutto normale per una clinica riservata ai bianchi rifiutare di prendersi cura a un corpo sofferente dalla pelle nera. A nulla valgono le violente proteste dei più decisi tra i soccorritori, accusati dai loro interlocutori di aver perso del tempo prezioso per non aver voluto portare subito la ferita nel più lontano ospedale per neri. In ogni caso è “evidente” che i medici e gli infermieri della clinica “bianca” non c’entrano perché Bessie Smith non è un problema loro. Gli stupefatti soccorritori risalgono sulle auto e tentano una nuova disperata corsa verso l’ospedale afro-americano di Clarksdale. Dopo una notte intera senza soccorsi, le cure dei medici non possono far altro che alleviare i dolori dell’agonia. Alle prime ore dell’alba la donna che era stata insignita del titolo di “Imperatrice del blues” e applaudita in tutti gli States cessa di vivere. Questa è la storia che con le sue parole Janis Joplin tenta di far rivivere nella coscienza dell’America degli anni Settanta. Ci riesce, ma solo per il breve spazio di un respiro, perché poi, si sa, la vita continua.07 agosto, 2022
7 agosto 1941 – Una tuba jazz prestata al pop
Il 7 agosto 1941 nasce a Montgomery, nell'Alabama, Howard Lewis Johnson, polistrumentista tra i più versatili del jazz e del rock statunitense degli anni Settanta. Dalla tuba al sassofono, al trombone, al flicorno, non c'è strumento a fiato con il quale non si sia sperimentato con successo. Ancora piccolo resta affascinato dalle orchestrine jazz che gironzolano nell'Ohio, stato nel quale si è trasferito poco tempo dopo la nascita. Non potendo contare su maestri affidabile rubacchia il mestiere qua e là e a tredici anni sa già cavarsela egregiamente con il sassofono baritono. In breve diventa un po' la mascotte dei musicisti che operano nella sua zona e nel 1955 inizia a frequentare un corso (quasi) regolare di tuba. Non fa in tempo a terminare gli studi che deve indossare la divisa marina statunitense. Ci resta quattro anni, passati in gran parte a Chicago, ma mantiene i contatti con l'ambiente del jazz. Proprio a Chicago conosce Eric Dolphy, che lo consiglia di trasferirsi a New York. Ci va nel 1963 e un anno dopo entra a far parte del gruppo di Charlie Mingus con cui resta fino al 1966, senza rinunciare ad altre collaborazioni come quelle con Gil Evans, Hank Crawford, Archie Shepp e Buddy Rich, soltanto per citarne alcuni. In questo periodo inizia anche il suo rapporto con il Composer's Workshop Ensemble, destinato a durare a lungo. Quando molla la band di Mingus, dopo un breve periodo a Los Angeles, nel settembre del 1967 forma a New York i Substructure, un gruppo di solisti di tuba che cambia poi nome in Gravity. Oltre a lui e alla indispensabile sezione ritmica ne fanno parte Joe Daley, Morris Edwards, Carleton Greene, Jack Jeffers e Bob Stewart. Negli anni Settanta collabora a vari progetti di Carla Bley e, come molti altri strumentisti, allarga il suo interesse anche al di fuori del jazz. Particolarmente interessante risulta la sua collaborazione con Taj Mahal. Compare anche insieme alla Band nel film di Scorsese "The Last Waltz". 06 agosto, 2022
6 agosto 1970 - Mai più Hiroshima, basta con la guerra!
«Mai più stragi inutili, mai più guerra!». Il variegato mondo del pacifismo statunitense si mobilita, nell’estate del 1970, per ricordare il venticinquesimo anniversario dell’esplosione della bomba atomica di Hiroshima. Lo fa sapendo che non sarà una passeggiata perché “peace and love” è un bello slogan se serve a decorare le magliette o le copertine dei dischi, ma diventa pericoloso e sovversivo se trasferito nella realtà. E la realtà è che gli Stati Uniti sono impegnati a “difendere la civiltà occidentale” nelle paludi della penisola indocinese e che, come contro i giapponesi, il fine giustifica qualunque mezzo. Ieri era giusto lanciare un paio di bombe atomiche contro un paese già prossimo alla resa come oggi il napalm è l’unico modo per “stanare i musi gialli” da quelle giungle così intricate dove i marines si perdono. Il movimento pacifista sa che il ricordo di Hiroshima rischia di essere un ingombrante fantasma per l’establishment americano e che la celebrazione del venticinquennale non avrà vita facile. Decide così di costringere il “nemico” a dividere le forze. Per il 6 agosto 1970 programma due concerti in contemporanea, entrambi dedicati all’anniversario della bomba atomica di Hiroshima, entrambi contro la guerra. Il primo si dovrebbe svolgere a New York e l’altro a Filadelfia. Gli organizzatori sono sicuri che nessuno dirà loro un chiaro e tondo “no”, ma con altrettanta sicurezza si rendono conto che si tenterà in ogni modo di impedire le due manifestazioni. Parte così una corsa a ostacoli contro il tempo e le complicazioni burocratiche. Il 6 agosto allo Shea Stadium di New York più di ventimila persone gridano il loro impegno per la pace mentre sul palco si esibiscono John Sebastian, Janis Joplin, Paul Simon, Paul Butterfield, Johnny Winter e tutto il cast del musical “Hair”. La stessa sera tutto tace, invece, al JFK Stadium di Filadelfia. Guarda caso, la mancanza di banalissimo certificato ha impedito la concessione dello stadio: all’ultimo momento, naturalmente. 05 agosto, 2022
5 agosto 1967 – Il primo album dei Pink Floyd
Il 5 agosto 1967 viene pubblicato The piper at the gates of dawn, il primo album dei Pink Floyd. La realizzazione del disco è stata preceduta dal licenziamento di Joe Boyd, il produttore della band, e dalla sua sostituzione con Norman Smith, più gradito alla Columbia, l'etichetta del gruppo EMI alla quale sono legati contrattualmente. È proprio Smith il primo a intuire che le potenzialità dei Pink Floyd non possono essere compresse nel ristretto spazio di un singolo. Per questa ragione lascia mano libera alla band nella scelta dei brani da inserire nel loro primo album. Il risultato è un disco splendido, completamente ispirato dal genio visionario del chitarrista Syd Barrett. A lui si deve, oltre che la composizione di ben dieci degli undici brani dell'album, anche la scelta del titolo The piper at the gates of dawn, ispirato a uno racconto dello scrittore underground Kenneth Graham. L'impronta di Barrett non finisce qui, visto che s'è anche occupato delle grafica della copertina. Il disco segna una forte discontinuità con i due singoli che l'hanno preceduto. Due brani in particolare, Astronomy domine e Interstellar overdrive sono destinati a vivere a lungo entrando nei classici senza tempo della band. L'album, accolto con stupore e qualche perplessità dalla critica, vola alto nelle classifiche di vendita aprendo ai nuovi leader della psichedelia britannica le porte del mercato internazionale. Di lì a qualche mese, infatti, i Pink Floyd partiranno per la loro prima tournée negli Stati Uniti. Soprattutto nei concerti dal vivo emerge con forza la completa dipendenza della band da Syd Barrett, la cui carismatica presenza scenica è però resa ogni giorno più imprevedibile dalla costante assunzione di forti dosi di LSD. I rapporti interni al gruppo vengono messi a dura prova nonostante o, forse, a causa del crescente successo. I Pink Floyd da band "di nicchia", con un seguito ristretto a pochi ma fedeli appassionati, si ritrovano, quasi da un giorno all'altro, a dover gestire il ruolo di profeti della psichedelia con un crescente ed entusiastico seguito di pubblico. Con il passar del tempo cresce l'insofferenza dei compagni nei confronti di Barrett, spesso alle prese con disturbi mentali provocati dall'azione dell'acido lisergico. Proprio in questo periodo inizia l'evoluzione che li porterà prima ad affiancare, poi a sostituire il loro fragile leader con David Gilmour. I fans della prima ora lo rimpiangeranno per sempre, ma per i Pink Floyd inizierà l'era dei grandi successi mondiali. 04 agosto, 2022
4 agosto 1906 – Una canzone per gli emigranti morti in mare
«E da Genova in Sirio partivano/per l’America varcare, varcare i confin/e da bordo cantar si sentivano/tutti allegri del suo destin./Urtò il Sirio un terribile scoglio,/di tanta gente la misera fin:/padri e madri abbracciava i suoi figli/che sparivano tra le onde, tra le onde del mar...» La canzone dalla struttura tipica dei cantastorie ricorda il naufragio di una nave carica di italiani che emigravano in America, avvenuto il 4 agosto 1906. Sulla Sirio c’erano 1.300 persone a bordo, in prevalenza emigranti italiani diretti in Sud America. Alle 16.30 del 4 agosto 1906 il piroscafo mentre sta dirigendosi verso lo Stretto di Gibilterra urta contro una delle secche più tragicamente note del Mediterraneo, al largo di Capo Palos, sulla costa sud-orientale della Spagna,. La nave resta agganciata con la prua sospesa a venti metri dall’acqua e la poppa completamente immersa. Rimane così per diciassette giorni, prima di spaccarsi in due e colare a picco e in quel lunghissimo tempo nessuno fa nulla. I passeggeri impazziscono di paura, qualcuno si suicida, interi nuclei famigliari si gettano in mare senza saper nuotare, una parte viene salvata dalle fragili imbarcazioni dei contrabbandieri, gli unici che arrivano a dare una mano. Impossibile conoscere il numero esatto delle vittime visto che l'alto numero di emigranti clandestini. I registri dei Lloyd’s di Londra riportano il dato ufficiale di 292 morti, ma sono più di 500 le tombe italiane con quella data nei cimiteri della costa.
03 agosto, 2022
3 agosto 1961 – R4, una leggenda a cinque porte
Il 3 agosto 1961 viene presentata per la prima volta la Renault 4, un’automobile destinata a sedurre gli automobilisti del mondo passando indenne attraverso mode e cambiamenti di costume. In trent’anni di produzione saranno più di otto milioni gli esemplari venduti. Tutto nasce nel 1956 quando la direzione della Renault cominciano a pensare a un modello a basso costo, spartano nelle finiture, essenziale nella manutenzione e, insieme, dotato di una buona capacità di carico. In realtà quel tipo di vettura esiste già ed è la Citroën 2 Cv. Proprio il difficile confronto con una concorrenza così agguerrita spinge l’equipe dirigenziale della casa di Billancourt, in particolare il presidente Pierre Dreyfuss, a spingere sull’acceleratore per arrivare nel più breve tempo possibile al risultato. Ai progettisti vengono indicati i cinque requisiti essenziali della vettura: economicità, comodità, facilità di manutenzione, trazione anteriore e quinta portiera di carico posteriore. Lo scopo è quello di recuperare il terreno perduto sul mercato delle utilitarie nel confronto con l’agguerrita concorrenza della Citroën negli anni Cinquanta. La vettura, che nella fase sperimentale, porta il numero 305, viene presentata ufficialmente il 3 agosto 1961 al Salone dell’Automobile di Parigi con il nome di R4. La sua impostazione stilistica gradevole e simpatica, riprende le caratteristiche delle auto in versione furgonata definiti “giardinette”, ed appare semplice ed essenziale, con un portellone posteriore studiato in modo da rendere semplici e quasi naturali le operazioni di carico. La sua meccanica è una sorta di evoluzione di quella della precedente 4Cv adattata alle esigenze di una vettura a trazione anteriore, la prima di questo genere progettata in casa Renault. La carrozzeria, realizzata su un telaio a piattaforma, è studiata in modo che i principali componenti possano essere smontati completamente e senza fatica, rendendo agili ed economiche riparazioni e sostituzioni. Il cambio, a tre marce più la retro, ha la leva collocata al centro del cruscotto in una forma che viene ben presto ribattezzata “a manico d’ombrello”. La nuova utilitaria viene presentata in tre versioni. Una, la R3, equipaggiata con un motore da 603 cc è un po’ la sorella povera della famiglia e verrà tolta dal mercato meno di un anno dopo la sua presentazione, visto lo scarso interesse suscitato. La seconda è la R4, simile alla R3, ma dotata di un motore più potente e robusto da 747 cc e la terza è la R4L, un modello ben rifinito con calandra, coprimozzi e profili laterali cromati. Proprio quest’ultima versione determinerà la prima evoluzione della specie quando, nel 1962, arriverà sul mercato la R4L Super, un modello con un motore da 845 cc, con portellone posteriore ribaltabile e paraurti doppi. Nel frattempo, però, la Renault non rinuncia a continui aggiornamenti di meccanica e carrozzeria dell’intera gamma. Nel 1963, per esempio, tutti i modelli montano paraurti a lama e nuove calotte coprimozzo lisce mentre il basamento delle luci posteriori da cromato diventa trasparente. L’aggiornamento costante senza modificare la struttura di base della vettura è uno dei segreti della longevità della R4. L’altro è la sua capacità di affascinare generazioni e ceti sociali diversi incurante del passare del tempo e delle abitudini. Nata per motorizzare le famiglie francesi ha ottenuto un successo imprevisto dai suoi stessi ideatori diventando, insieme, strumento di trasporto per le famiglie, strumento di lavoro per commercianti e artigiani, simbolo di libertà per le giovani generazioni e oggetto di culto per anticonformisti e intellettuali. Anche la sua uscita di scena, avvenuta nel 1992, a più di trent’anni dalla nascita, diventa un evento con la messa in circolazione dell’ultima serie chiamata “Bye bye”. 02 agosto, 2022
2 agosto 1941 - Georges Locatelli, il chitarrista innamorato di Django Reinhardt
Il 2 agosto 1941 nasce a Parigi il chitarrista Georges Locatelli. Suo padre è italiano e la madre francese. Georges compra la sua prima chitarra a quattordici anni dopo aver ascoltato Django Reinhardt. Tre anni dopo suona con Eddy Louiss, in trio con Joachim Kuhn al Riverboat, in quartetto con Jacques Thollot, e Jean-Luc Ponty; nel 1970 forma i Total Issue, un gruppo con Aldo Romano e Henri Texier, suonando musica pop e jazz. Proprio in quel periodo decide di fare della musica una scelta di vita…
01 agosto, 2022
1° agosto 2003 – Gli Stylophonic al Gay Village
Il 1° agosto 2003 al Gay Village di Testaccio, a Roma, sono di scena gli Stylophonic, il progetto targato Stefano Fontana che nei mesi precedenti ha fatto impazzire gli appassionati della dancefloor di tutto il mondo con il brano If Everybody In The World Loved Everybody In The World, il primo singolo tratto dall'album Man music technology. Quasi in concomitanza con il secondo singolo Soul reply in rotazione sui maggiori network radiofonici europei, regala al pubblico una serie di esibizioni dal vivo. La formazione che sale sul palcoscenico romano, infatti, è la stessa che il 4 luglio ha deliziato la platea di Arezzo Wave e che sta per iniziare un lungo tour nei clubs di tutta Europa. Ad accompagnare i giochi elettronici di Stefano Fontana, deus ex machina del gruppo, ci sono Saturnino al basso, Roberto Baldi alle tastiere, la cantante sudafricana Ariana Schreiber e il vocalist londinese Peter Goodey.31 luglio, 2022
31 luglio 1925 - Bill Clark, il batterista dei grandi
Il 31 luglio 1925 nasce a Jonesboro, in Arkansas, il batterista Bill Clark, registrato all’anagrafe con il nome di William E. Clark,. Musicista molto attivo dalla fine degli anni Quaranta, suona con Lester Young, Lena Horne, Hazel Scott e seppur brevemente nel febbraio del 1951 con Duke Ellington. Durante gli anni Cinquanta accompagna prima il pianista inglese George Shearing con il quale incide anche per la MGM e quindi dal 1955 suona con il trio del pianista Ronnell Bright, con Jackie Paris e con il quartetto del clarinettista Rolf Kuhn. Nel 1957 viene ingaggiato da Mary Lou Williams, con la quale resta fino agli inizi degli anni Sessanta. Muore il 30 luglio 1986.30 luglio, 2022
30 luglio 1993 – Muore l’anima degli Wonder Stuff
Il 30 luglio 1993 muore il bassista Rob Jones, considerato l’anima musicale degli Wonder Stuff, la band da lui formata nel 1986 a Birmingham con il cantante Miles Hunt, il chitarrista Malcolm Treece e il batterista Martin Gilk. Dopo aver fatto esperienza sul fronte della musica alternativa e aver realizzato due EP, Wonderful day e Unbereable, per la Far Out Record Company, un'etichetta indipendente creata da loro stessi, firmano il primo contratto discografico con la Polydor, attratta dalla loro originalità. Il primo album della band, The eight legged grove machine, prodotto dall'ex Vibrators Pat Collier, esce nel 1988 e diventa rapidamente un disco fondamentale per il punk pop degli ultimi anni Ottanta. Nella versione in CD e cassetta di questo album vengono aggiunti quattro brani tra i quali l'emblematico Astley in the noose. Nel 1989 con Hup gli Wonder Stuff tentano esperienze musicali più complesse, ricche di richiami psichedelici, folk e post punk. Il successo commerciale arriva nel 1991 con Never loved Elvis (un album ben sostenuto dai singoli estratti The size of a cow e Caught in my shadow. La vita della band, proprio mentre sembrava avviata su un tranquillo binario di successo, viene sconvolta da tensioni interne e da problemi causati dall'eccessivo amore per gli alcoolici, difeso spesso da Hunt come un tratto caratteristico della loro musica e come fonte fondamentale della sua creatività. Quando Rob Jones, dopo aver lasciato i compagni per formare, a New York, i Bridge and Tunnel Crew mure il 30 luglio 1993 per un infarto conseguenza dell'indebolimento complessivo del fisico in seguito all'eccessiva assunzione d'alcolici, al suo posto arriva il bassista Paul Clifford e la formazione della band si allarga con l'ingresso del polistrumentista Martin Bell. Nel 1994 gli Wonder Stuff faranno parlare di sé annunciando prima un album live, poi una raccolta di successi e infine il loro scioglimento nel mese di maggio dello stesso anno.26 luglio, 2022
26 luglio 1959 - Rosa Moretti, il soprano leggero di Napoli

Il 26 luglio 1959 la cantante e attrice Rosa Moretti muore a Napoli, la città dove è nata il 24 giugno 1904. Dotata di una voce da soprano leggero di ampia estensione a soli diciotto anni è già popolare come cantante nei salotti napoletani. Debutta nel 1928 a Radio Napoli con l’orchestra di Tito Petralia. Popolarissima anche negli Stati Uniti, in Canada e nel Sudamerica, dove compie varie tournée, nel dopoguerra sceglie di dedicarsi quasi esclusivamente alla sceneggiata. Alla metà degli anni Cinquanta lascia le scene e il 26 luglio 1959 muore nella sua Napoli. Tra le sue interpretazioni più famose sono da ricordare Dicitenciello vuie, L'addio, Chiove, ’O mese d’ ’e rrose, Ndringhete ndrà e ’Na sera 'e maggio. Sua figlia Isa Danieli in qualche modo ne ha seguito le orme.
25 luglio, 2022
25 luglio 1890 – Gabré, un "minimalista" di grande carisma
Il 25 luglio 1890 a Villa S. Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, nasce Aurelio Cimato, in arte Gabré, anche se non mancano biografi che anticipano al 1888 l'anno di nascita. Come accade per suo fratello Michele, in arte Miscel, gran parte della sua vita è sconosciuto per la necessità di sfuggire alle ire e alle possibili ritorsioni della famiglia da cui i due ragazzi fuggono giovanissimi per tentare la carriera artistica e con la quale non si riconciliano mai più. Il suo debutto nel mondo dello spettacolo avviene il 19 aprile 1913 al teatro Maffei di Torino e l’anno dopo è tra gli artisti scelti per la Piedigrotta "Poliphon". Il suo periodo "napoletano" tocca l'apice alla fine del decennio quando interpreta canzoni come Napule! scritta appositamente per lui da Murolo e Tagliaferri, autori anche della successiva Piscatore 'e Pussileco, e Brinneso firmata da Bovio e Valente nel 1922 e interpretata per la prima volta in pubblico dal grande Gennaro Pasquariello. Alla fine degli anni Venti diventa uno degli interpreti più popolari della canzone cosiddetta "realista". In molti scrivono per lui ma la maggior parte dei suoi successi nasce dalla geniale creatività di Cesare Andrea Bixio e di Bixo Cherubini. Nel 1928 viene scritturato dalla prestigiosa etichetta Parlophon, succursale italiana dell'inglese Parlophone, il cui nome perde le "e" finale per esigenze di "italianizzazione". Nonostante il grande successo non riuscirà mai a entrare nel ristretto gruppo di cantanti scritturati dall'EIAR, l'ente radiofonico nato in quel periodo. Interprete raffinato si fa particolarmente apprezzare per il garbo e la misura delle sue esibizioni dal vivo. Muore a Prato nel mese di marzo del 1946. Alla vigilia degli anni Venti, quando Gabré con la sua voce da tenore leggero comincia a muovere i primi passi sul palcoscenico, nel mondo della canzone i "tenorini" abbondano. Non tutti sono fenomeni, anzi, per molti di loro la canzone rappresenta un ripiego dopo aver tentato senza successo di sfondare nella lirica, ma l'eccessivo affollamento rende difficilissima la vita agli ultimi arrivati. Per emergere bisogna essere dotati di qualità molto superiori alla media oltre che di una tempra da lottatore. In pochissimi riescono a lasciare un segno destinato a durare nel tempo. Gabré è uno di loro. Abile navigatore tra i generi passa senza troppi problemi dalle canzoni del varietà al repertorio napoletano alle nuove aperture nei confronti dei ritmi arrivati dall'altra parte dell'oltreoceano grazie alle orchestre che suonano sui transatlantici. Riesce a percorrere una strada personalissima in un periodo delicato e ricco di contraddizioni nel quale le languide e peccaminose canzoni del "tabarin" stanno per essere soppiantate nel gusto del pubblico dalla robusta retorica della canzone cosiddetta "realistica", più gradita al regime fascista. La sua è un'adesione artistica, non "ideologica". Il suo rapporto con il regime è di contiguità occasionale più che di convinta complicità, tanto è vero che non rinuncia a qualche divagazione in chiave swing alla fine degli anni Venti nonostante il genere inizi a essere mal tollerato dalla censura. Il suo rapporto con quel tipo di canzone si esaurisce per stanchezza, perché non ne può più di raccontare storie di vizi e perdizione e prova più soddisfazione a misurarsi con brani più vicini ai veri sentimenti della gente. Le sue canzoni e anche il suo modo di proporsi al pubblico, gentile, garbato ed elegante, fanno di lui uno dei primi "minimalisti" della storia della canzone italiana. 24 luglio, 2022
24 luglio 1925 - Nino Nipote, una stella della musica napoletana
Il 24 luglio 1925, nasce a Napoli il cantante Nino Nipote. Tipico interprete delle melodie napoletane nel 1951 viene scritturato dalla radio dove canta con le orchestre di Luigi Vinci, Giuseppe Anepeta, Luigi Avitabile e Nello Segurini. Partecipa a due edizioni del Festival di Napoli: nel 1954 con Canta cu me e Che d'è ll'ammore e nel 1957 con Tutto me parla 'e te e Passiggiatella. Si ritira dalle scene nel 1961. Tra le sue canzoni sono da ricordare anche Nisciuno, Guaglione ‘e pianino e ‘A Luciana. Muore a Napoli il 4 marzo 1997.23 luglio, 2022
23 luglio 1922 - Damiano Damiani, il più americano dei registi italiani
Il 23 luglio 1922 a Pasiano di Pordenone nasce il regista Damiano Damiani, per lungo tempo soprannominato “il più americano dei registi italiani” per la sua sicurezza nel trattare la macchina da presa, per la sinteticità del modulo narrativo e per la capacità di rendere comprensibili anche concetti di una notevole complessità. Negli anni Sessanta con Pasolini, Bertolucci, Rosi e Petri è considerato uno dei profeti del nuovo cinema italiano d’impegno sociale. Dalla sua parte ha anche l’insofferenza per gli schemi e la capacità di non farsi catturare. Nella sua lunga vita artistica attraversa gran parte dei generi del cinema popolare utilizzandone le strutture e i codici per comunicare concetti a volte complessi con un linguaggio comprensibile. Scrittore, attore, sceneggiatore solo nel 1960 quando ha quasi quarant’anni dirige il suo primo film, "Il rossetto". Considerato uno dei grandi registi italiani d’impegno civile negli anni Sessanta e Settanta si sperimenta su piani e con generi molto diversi tra loro. Tra i successi di quegli anni ci sono la trasposizione cinematografica di successi letterari come "L'isola di Arturo" di Elsa Morante, "La noia" e "Una ragazza piuttosto complicata" di Moravia, "La strega in amore" di Carlos Fuentes o "Il giorno della civetta" di Sciascia, il western "Quien sabe?", film di denuncia come "La moglie più bella", "L'istruttoria è chiusa: dimentichi", "Confessioni di un Commissario di Polizia al Procuratore della Repubblica" e anche ricostruzioni storiche come "Girolimoni, il mostro di Roma". In questo suo girovagare Damiani oltre ai consensi della critica ottiene anche grandi successi commerciali. Gioca anche con l'horror con "Amityville Possession" un film del 1982 che precede il suo ritorno all’impegno e alla denuncia con "Pizza Connection" del 1984, l’anno in cui realizza la prima serie de "La piovra", la fiction di mafia per la televisione destinata a tenere incollati allo schermo per anni i telespettatori. A partire dagli anni Novanta la sua attività alterna film come "Gioco al massacro", "L'angelo con la pistola" e "Generations des fleurs" si alternano a fiction televisive come "Ama il tuo nemico". È morto a Roma il 7 marzo 2013.22 luglio, 2022
22 luglio 1926 - Un Metallo al sassofono
Il 22 luglio 1926 nasce a Salerno il sassofonista Carlo Metallo. In giovane età studia privatamente armonia e composizione e impara a suonare il sassofono tenore e il clarinetto per passare più tardi al sassofono baritono. A 22 anni abbandona gli studi universitari per diventare musicista a tempo pieno. All'inizio del 1950 suona per qualche mese con Nunzio Rotondo; nel 1955 è in una formazione ellingtoniana diretta da Luciano Fineschi e poi nella Junior Dixieland Gang collaborando alla costituzione della Modern Jazz Gang nella quale svolge anche la funzione di compositore e arrangiatore per oltre quattro anni, insieme a Brugnolini, Santucci, Scoppa, Collatina. Con questa formazione prende parte ai festival di St. Vincent nel 1960 e di Sanremo nel 1961, a una enorme serie di concerti e alla Coppa del Jazz che vede la MJG classificarsi quarta su ben settantatrè formazioni. Nello stesso periodo suona anche in quintetto con Santucci insieme al quale si esibisce al festival del jazz di Fregene. Nel 1968 è nella Swingin' Dance Band di Marcello Rosa che suona anche con Lionel Hampton. Partecipa a concerti con formazioni d'avanguardia, dirette da Giancarlo Gazzani e Giancarlo Schiaffini e dal 1976 è assunto stabilmente nell'orchestra di Ritmi Moderni della RAI. Proprio con questa formazione ha occasione si suonare con personaggi come Gil Evans, Archie Shepp, Albert Mangelsdorff, Von Schlippenbach, John Tchicai, Steve Lacy, Tony Scott. Partecipa anche all'esperienza dei Saxes Machine di Bruno Biriaco. 20 luglio, 2022
20 luglio 2002 - Il treno fantasma della Ferrovia dell'Allume
Il 20 luglio 2002 un treno fantasma si aggira nella notte. Dal tramonto all’alba del 21 luglio, infatti, tra le stazioni di Civitella Cesi e Monteromano di quella che dal 1928 al 1961 è stata la ferrovia Capranica – Civitavecchia, si danno appuntamento poeti, viandanti, lettori, danzatori e musicisti. Il progetto, che prende il nome di "Ferrovia dell'Allume", è stato pensato dalla band dei Têtes de Bois e fa rivivere, per una notte l'antica ferrovia dei minatori di allume, costruita all’inizio del ‘900 con ben undici gallerie scavate a mano e oggi abbandonata. Inaugurata nel 1928 trasportava uomini e merci per le cave di allume della Tolfa. Quando, negli anni Quaranta l'attività estrattiva cessò, il treno a vapore continuò a percorrere la strada ferrata, ma la sua corsa si fermò nel 1961, travolta da una frana, per non riprendere più. Il 20 luglio 2002 il treno si rimette in moto in una notte di incroci e di casualità, di apparizioni e suggestioni. Gli strumenti e le voci si mettono in cammino tra due stazioni: quella di Civitella Cesi, e quella di Monteromano sulle rive del fiume Mignone. La striscia di ghiaia dove un tempo correvano i treni torna a raccontare storie di fatica e di lavoro, ma anche passioni, speranze e progetti. I piedi dei nuovi viandanti accompagnano gli artisti in questo viaggio notturno dove le ombre e le impronte dei piedi nella polvere prendono gli spazi delle traversine della ferrovia. Si inizia alle 19 del 20 luglio alla Stazioncina Liberty di Civitella Tesi con una festa campestre destinata a preparare i viandanti alla lunga notte. Il compito di ritemprare lo spirito è affidato alla banda di organetti di Ambrogio Sparagna, quello, più semplice, di rinfrancare il corpo, alla distribuzione di vino formaggi e focacce. Un'ora dopo ci si incammina lungo il tracciato della ferrovia verso la stazione di Monteromano, tutti insieme, pubblico e artisti, accompagnati dalla lettura di “Se una notte di inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. La prima tappa, un po' a sorpresa, è prevista quando ancora la luce del giorno non ha lasciato completamente il posto alla luna piena di luglio in una larga e accogliente conca naturale dove qualcuno aspetta i viaggiatori… Poi si riprende il cammino entrando in galleria. Qui tra suoni, rumori, immagini sulle volte di tufo, il treno fantasma arriva davvero. La notte, però, è ancora lunga e c'è tempo di riposarsi, riflettere e danzare accompagnati dai percussionisti e dal gruppo di danza africana di Paola Peloso, cui s'aggiungono le percussioni di Ruggero Artale. Quando l'ultima danza s'esaurisce il cammino è soltanto a metà perché c'è ancora il viaggio di ritorno, da compiere tra interventi estemporanei e la prosecuzione della lettura del romanzo di Calvino. Poco prima dell’alba la carovana dei viaggiatori, ormai rodata dalla lunga notte, raggiunge il punto di partenza, cioè la stazione di Civitella Cesi, sulla cui antica facciata scorrono le immagini de “L’avventura di un soldato” dal film a episodi “L’amore difficile” e ispirato al libro di Italo Calvino che viandanti e lettori stanno ultimando. All’alba i sogni della notte sfumano, come le immagini del film, con l'arrivo della luce del sole. È quello il momento dell'ultima, lunga e gioiosa esplosione della musica con, oltre ai Têtes de Bois, ideatori dell'iniziativa e padroni di casa, Pinomarino, la Banda dei Falsari, Peppe Servillo e Mario Tronco degli Avion Travel.19 luglio, 2022
19 luglio 1896 - Eddie Morris, il trombone di Algiers
Il 19 luglio 1896 nasce ad Algiers, in Louisiana, il trombonista Eddie Morris. Comincia a suonare il trombone quando ha 19 anni prendendo a modello Vic Gaspard, uno dei più quotati trombonisti di New Orleans, e conquistandosi rapidamente una buona reputazione. Nel 1920 viene chiamato da Punch Miller a rimpiazzare Jack Carey, considerato efficace ma troppo grezzo. Proprio nel lungo periodo passato con la jazz band di Miller diventa popolarissimo. Dopo lo scioglimento della formazione si aggrega alla jazz band di Kid Rena e, successivamente, a quella di Buddy Petit fino al momento della prematura morte del grande cornettista. Negli anni Trenta lavora con la W.P.A. Band. Nel dopoguerra forma gli Eddie Morris Serenaders e negli anni Cinquanta suona con la Gibson Brass Band. Quando nel 1956 Punch Miller ritorna a New Orleans, Eddie Morris si unisce al vecchio leader cui è legato da profonda amicizia. Samuel Charters così scrive di lui: «...il più sensibile e raffinato trombonista di New Orleans ed è un vero peccato che non abbia potuto registrare dischi nei suoi anni d'oro...». Muore nel 1987.
18 luglio, 2022
18 luglio 1917 - Henri Salvador, lo chansonnier che arriva dal jazz
Il 18 luglio 1917 a Caienna, nella Guyana Francese, nasce Henri Salvador. «Sono nato ieri, vivo oggi e morirò domani. Niente è più semplice da capire della vita». Con questa battuta presa in prestito da un proverbio polinesiano nel corso della sua carriera risponderà alle domande troppo complesse sulla sua vita. Del resto sono anni che i cronisti lo tormentano con quesiti un po’ banali sulla sua straordinaria longevità.. La sua carriera attraversa la canzone europea per più di sessant’anni. Comincia con Duke Ellington e Cole Porter e nei primi anni del nuovo millennio torna al vertice delle classifiche di vendita con un disco che fa gridare al miracolo la Francia intera e gran parte degli appassionati di musica del mondo. In quell’occasione si è parlato di un inaspettato ritorno sulle scene ma in realtà Henri Salvador non se n’era mai andato. Il palcoscenico è da sempre la ragione della sua vita, una personale macchina del tempo, una sorta di specchio magico dal quale attinge l’energia necessaria a continuare. Le muse delle arti gli sono amiche, quasi sorelle. Nella sua lunghissima carriera è stato cantante, chitarrista, comico, accanito giocatore di bocce, pugile coriaceo e showman accattivante. Nata dal jazz la sua leggenda si è via via alimentata di storie, amicizie e incontri. Le sue collaborazioni e il reticolo delle sue relazioni sono una mappa preziosa per chi vuole esplorare la musica leggera del Novecento, i generi che l’hanno caratterizzata e le sue grandi passioni. La vita di Henri Salvador diventa quasi una bussola per chi si avventuri nell’impresa. È stato all'Ed Sullivan Show, ha vissuto le folli notti del jazz manouche con Django Reinhardt, si è inventato interprete di rock and roll, ha lavorato per Walt Disney, dà del tu a gente come Quincy Jones e Caetano Veloso, e ha diviso la strada con artisti come Michael Petrucciani ed Eddie Louis. Tra le amicizie più intense ci sono quella con Jacques Brel, con il quale affronta anche un leggendario viaggio alle Isole Marchesi, e soprattutto con Boris Vian, incontrato nel 1957 e mai più cancellato dagli affetti. Henri Salvador nasce il 18 luglio 1917 nella Guyana Francese. Sul luogo di nascita ci sono ipotesi divergenti. Per alcuni è nato a Caienna, la leggendaria Cayenne terrore dei deportati, per altri in una casa di Rue de la Liberté nella vicina città di Sinnamary. Suo padre, un guadalupano d’origine spagnola che fa l’esattore per conto del governo francese, sogna un avvenire splendido per i figli (oltre a Henri ci sono anche André e Alice). Per questo nel 1924 se ne va a Parigi con tutta la famiglia. Henri ha sette anni e il destino segnato, almeno secondo il genitore: «Tu farai il medico o l’avvocato». Lui abbozza, ma ha l’impressione che nelle strade, nei locali, nei teatri e nelle notti della ville lumiére sia nascosto un avvenire diverso da quello che ha in mente papà. Proprio le strade della capitale con i loro personaggi pittoreschi, attori, musicisti, cantanti e clown diventano la sua scuola. Qui costruisce pian piano il suo personaggio eclettico e nel 1933, a sedici anni, scopre il jazz ascoltando i dischi di Louis Armstrong e Duke Ellington. È amore a prima vista. Compera una chitarra e inizia a imparare da solo a suonarla. Tecnicamente non è un fenomeno ma la passione supplisce alle carenze e il primo ingaggio gli arriva dall’orchestra di Paul Raiss. Forma poi un quartetto jazz con suo fratello André che lo supporta alla chitarra, il pianista Marcel Mazelin e un ormai dimenticato batterista che di nome faceva Martin. I quattro suonano in occasione dell’apertura del Jimmy’s Bar e si fanno voler bene subito dal pubblico affascinato dal contrasto tra la gestualità e la mimica esagerate di Henri e la sua voce calda e teneramente malinconica. In quella serata si capisce che non sarà né medico né avvocato. Nel 1936 Henri conosce Eddy South che gli svela i segreti del blues e della musica afroamericana. La musica e gli spettacoli non si interrompono neppure quando, nel 1937, viene chiamato a prestare il servizio di leva nell’Armée, l’esercito francese. Acquartierato a Parigi continua a fare la vita di prima. Trascrive a orecchio le musiche di Duke Ellington e di Cole Porter e poi va al Jimmy’s Bar a suonarle con gente sveglia che sta cambiando anche il jazz come Django Reinhardt. Sono anni di grandi emozioni ma anche di terribili paure. All’orizzonte della Francia e dell’Europa si stanno addensando nuvole nere foriere di tempesta. La seconda guerra mondiale è alle porte e le armate hitleriane arrivano a Parigi. Viste le idee dei nazisti in materia razziale per un uomo dalla pelle nera, anche se è un artista, non sono tempi da vivere spensieratamente. Henri Salvador riesce a fare carte false e ad andare prima nella “zona libera” della Costa Azzurra dove si unisce all’orchestra di Bernard Hilda. Vista l’aria che tira, però, preferisce accettare la proposta d’ingaggio di Ray Ventura, il direttore di una delle grandi orchestre swing del periodo, che lo vuole con sé in una lunghissima tournée americana. È l’inizio della sua popolarità internazionale. Le sue esibizioni a base di musica, mimica, parole, gag e canzoni conquistano il cuore del pubblico d’oltreoceano. Con la Liberazione torna in Francia da trionfatore. Sono gli anni della bossa-nova, del successo di brani come Clopin clopant, La jalousie e tanti altri. Sono gli anni dell’amicizia e della collaborazione con Boris Vian che segnano il suo definitivo passaggio tra gli chansonnier. È anche il periodo dell’incontro con l’amore della sua vita, Jacqueline Garabedian, sposata il 24 gennaio 1950 e mai più abbandonata per il resto della vita. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando l’arrivo del rock and roll spiazza l’ambiente della canzone francese Henri Salvador se la ride sotto i baffi registrando con lo pseudonimo di Henry Cording & his original Rock and Roll Boys un disco con brani scritti da Boris Vian e Michel Legrand. È il 1956 e siccome al di là del personale divertimento, pensa che il rock and roll sia soltanto «…un jazz suonato male…», giusto per marcare la differenza torna alla chitarra jazz e registra il disco Salvador plays the blues. La televisione porta in tutte le case la carismatica presenza scenica. Se l’occhio implacabile della telecamera segna per altri artisti della sua generazione l’inizio del declino, per lui è un’occasione di dare nuova vita al personaggio. Sul piccolo schermo può dare fondo allo straordinario collage di esperienze diverse che ha concorso alla sua formazione artistica. Per esempio la maschera televisiva che strabuzza gli occhi facendo sberleffi alla telecamera nasce dagli insegnamenti dei pagliacci del circo e in particolare del Clown Rhum. La sua faccia di gomma e la sua voce da crooner conquistano anche un pubblico difficile come quello italiano quando nel 1961 vengono ospitate dalla Rai nel varietà “Giardino d'inverno” e Remigio Paone, uno dei grandi impresari dell’epoca, lo scrittura per un tour con Wanda Osiris e il quasi debuttante Nino Manfredi. Gli anni Settanta iniziano sotto una buona stella con il successo del secondo album dedicato a Boris Vian e la collaborazione alla colonna sonora di vari film d’animazione di Walt Disney, ma a partire dal 1976 la vita sembra presentargli il conto con la morte dell’amata moglie Jacqueline. Henri si chiude in se stesso. Diminuisce l’attività fino a fa pensare che abbia tolto il disturbo in silenzio. Abbassa le luci del palcoscenico ma non stacca la spina. Lo sanno bene gli amici più cari come il pianista jazz Michel Petrucciani che negli anni Ottanta lo coinvolge in una indimenticabile jam session o il brasiliano Caetano Veloso gli rende omaggio rivisitando la sua ballata Dans mon île. La rinascita vera arriva però con il 2000 quando la sua voce festeggia il nuovo millennio ritornando a volare con Chambre avec vue, un album di canzoni inedite che scala le classifiche di mezzo mondo. Ha ottantrè anni. L’età giusta per ricominciare. Il tempo però non gli è alleato. Muore il 13 febbraio 2008 a Parigi.17 luglio, 2022
17 luglio 1994 - Per l'Italia ai mondiali USA una sconfitta di rigore
Il 17 luglio 1994 è in programma la finale del campionato mondiale di calcio. Gli Stati Uniti, uno dei pochi paesi al mondo in cui il calcio non ai vertici della popolarità, sono gli organizzatori del campionato mondiale di quell'anno che dura un mese, dal 17 giugno al 17 luglio. Gli italiani esordiscono con una sconfitta con l’Eire, ma si riscattano prontamente contro la Norvegia. Il pareggio con il Messico basta a passare il turno, ma gli azzurri rischiano grosso negli ottavi con la Nigeria, una delle rivelazioni del torneo, che si arrende soltanto nei supplementari. Sconfitta la Spagna nei quarti per 2 a 1, l’Italia vince a New York la semifinale contro la Bulgaria, segnando subito due gol con Roberto Baggio e sfiorando la marcatura in numerose altre occasioni, prima di subire un gol su rigore da Stoichkov. Los Angeles ospita la finale tra Italia e Brasile, una partita molto equilibrata, nella quale le due formazioni mostrano di temersi reciprocamente. Lo 0 a 0 dei tempi regolamentari non si sblocca neanche nei supplementari e per la prima volta l’assegnazione del titolo mondiale viene affidata ai calci di rigore. Gli errori di Baresi, Massaro e Roberto Baggio regalano al Brasile il suo terzo titolo mondiale.
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