Il 10 ottobre 2003 esce Viaggio in Italia un album con cui Alice ritorna sulla scena discografica a tre anni di distanza da Personal juke-box, il suo ultimo lavoro in studio. La cantante, che non ha mai nascosto la passione per le «canzoni in cui il valore della parola è in primo piano», si misura con quattordici brani nati dall'ispirazione e dalla genialità di grandi autori. Chi la conosce bene sa che con lei anche le canzoni più conosciute cambiano forma, perdono l'innocenza originaria e diventano intrigantemente adulte. Ciò non è dovuto soltanto alle indiscusse capacità vocali e all'intelligenza esecutiva, ma alla sua capacità di liberarne le potenzialità nascoste, di regalare loro nuove ali per farle volare in cieli diversi da quelli per cui erano state immaginate. La cantante e il suo fido produttore Francesco Messina definiscono il disco «un nuovo viaggio nella musica italiana d'autore» nato da «una ritrovata passione per la bellezza della nostra lingua» che finisce per incontrarsi con «il patrimonio poetico e musicale di diverse culture». Tra i quattordici brani dell'album, però, ce ne sono due che sfuggono a questo ragionamento: Islands dei King Crimson e Golden hair, scritta da Syd Barrett su una poesia di James Joyce. Che cosa c'entrano con il Viaggio in Italia? La risposta di Alice è spiritosa «In questo caso il "viaggio in Italia" è quello compiuto da Tim Bowness, il vocalist dei No-Man, per venire a cantarle con me». Il titolo del disco è una citazione di un opera di Goethe. Il richiamo non è casuale: «un po' come lui, infatti, sono andata a vedere, a studiare alcuni aspetti del nostro paese attraverso le pagine dei nostri più grandi autori». Se prevedibili, pur se non scontate sembrano le scelte di brani targati Guccini, De André, Fossati, De Gregori, o del Battisti più problematico del periodo con Pasquale Panella e dell'amico e antico mentore Battiato, meno usuali appaiono l'inserimento di due brani inediti con testi di Pier Paolo Pasolini musicati da Mino Di Martino e la ripresa di Non insegnate ai bambini, la canzone che molti considerano il “testamento spirituale” di Giorgio Gaber. Per una cantante pop, come lei si ostina a definirsi, cercare la poesia delle parole è una scelta di igiene mentale e professionale in tempi in cui la musica fatica sempre più a regalare parole. «È avvilente ascoltare canzoni che non significano nulla. Certi testi non sono soltanto innocui: fanno danni». Come sempre, anche in questo disco ha cercato e trovato la collaborazione di altri musicisti e colleghi che le hanno dato una mano in studio. Oltre al già citato Tim Bowness, questa volta ci sono Paolo Fresu, Morgan e Jakko Jakszyk.Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
10 ottobre, 2025
10 ottobre 2003 – “Viaggio in Italia” per Alice
Il 10 ottobre 2003 esce Viaggio in Italia un album con cui Alice ritorna sulla scena discografica a tre anni di distanza da Personal juke-box, il suo ultimo lavoro in studio. La cantante, che non ha mai nascosto la passione per le «canzoni in cui il valore della parola è in primo piano», si misura con quattordici brani nati dall'ispirazione e dalla genialità di grandi autori. Chi la conosce bene sa che con lei anche le canzoni più conosciute cambiano forma, perdono l'innocenza originaria e diventano intrigantemente adulte. Ciò non è dovuto soltanto alle indiscusse capacità vocali e all'intelligenza esecutiva, ma alla sua capacità di liberarne le potenzialità nascoste, di regalare loro nuove ali per farle volare in cieli diversi da quelli per cui erano state immaginate. La cantante e il suo fido produttore Francesco Messina definiscono il disco «un nuovo viaggio nella musica italiana d'autore» nato da «una ritrovata passione per la bellezza della nostra lingua» che finisce per incontrarsi con «il patrimonio poetico e musicale di diverse culture». Tra i quattordici brani dell'album, però, ce ne sono due che sfuggono a questo ragionamento: Islands dei King Crimson e Golden hair, scritta da Syd Barrett su una poesia di James Joyce. Che cosa c'entrano con il Viaggio in Italia? La risposta di Alice è spiritosa «In questo caso il "viaggio in Italia" è quello compiuto da Tim Bowness, il vocalist dei No-Man, per venire a cantarle con me». Il titolo del disco è una citazione di un opera di Goethe. Il richiamo non è casuale: «un po' come lui, infatti, sono andata a vedere, a studiare alcuni aspetti del nostro paese attraverso le pagine dei nostri più grandi autori». Se prevedibili, pur se non scontate sembrano le scelte di brani targati Guccini, De André, Fossati, De Gregori, o del Battisti più problematico del periodo con Pasquale Panella e dell'amico e antico mentore Battiato, meno usuali appaiono l'inserimento di due brani inediti con testi di Pier Paolo Pasolini musicati da Mino Di Martino e la ripresa di Non insegnate ai bambini, la canzone che molti considerano il “testamento spirituale” di Giorgio Gaber. Per una cantante pop, come lei si ostina a definirsi, cercare la poesia delle parole è una scelta di igiene mentale e professionale in tempi in cui la musica fatica sempre più a regalare parole. «È avvilente ascoltare canzoni che non significano nulla. Certi testi non sono soltanto innocui: fanno danni». Come sempre, anche in questo disco ha cercato e trovato la collaborazione di altri musicisti e colleghi che le hanno dato una mano in studio. Oltre al già citato Tim Bowness, questa volta ci sono Paolo Fresu, Morgan e Jakko Jakszyk.09 ottobre, 2025
9 ottobre 1978 - Jacques Brel, ribelle fino alla fine
Il 9 ottobre 1978 muore Jacques Brel. «Io non porto messaggi, lo lascio fare ai postini». Accompagnata da un sorriso sarcastico la frase di Jacques Brel arriva come una frustata a chi tenta di stanarlo sulle questioni politiche. Nascosto dietro quell’aria un po’ indolente, con la sigaretta sempre accesa e le dita gialle di nicotina, lo chansonnier belga trattato dai parigini come se fosse uno di casa non sopporta chi tenta di ficcare il naso nelle sue cose siano esse opinioni, idee o anche soltanto canzoni. L’uomo non è poi tanto differente da quello che sembra ascoltando le sue composizioni. In lui essere e apparire coincidono o, meglio, l’apparenza non esiste proprio. Franco e diretto nel modo di rapportarsi con gli interlocutori assomiglia più di quello che vorrebbe al suo grande amico Brassens soprattutto nella sua istintiva imprevedibilità e nella sua ostinata attenzione a non farsi strumentalizzare. Il pubblico italiano conosce la sua faccia prima delle sue canzoni. Il suo volto diventa popolare alla fine degli anni Sessanta attraverso il cinema ma per la voce ci vuole più tempo e il grande pubblico si accorge della bellezza delle sue canzoni solo grazie all'impegno di un pugno di infaticabili e appassionati divulgatori guidati da Gino Paoli, Duilio Del Prete ed Herbert Pagani. I giovani contestatori del Sessantotto fanno di alcuni suoi personaggi cinematografici una sorta di culto come accade quando scappano per le vie della città con la polizia alle calcagna si sentono un po’ emuli della Banda Bonnot. Negli anni Sessanta, quando il mondo si accorge di lui, Jacques Brel non è più un ragazzino. È nato, infatti, a Schaerbeek, nei dintorni di Bruxelles, l'8 aprile 1929 da una mescola etnica di cui andrà fiero nel futuro. Suo padre è fiammingo ma francofono mentre nelle vene della madre secondo i racconti dello stesso Jacques scorrerebbe sangue francese con abbondanti tracce di sangue spagnolo lasciato in dote ai cittadini di quelle terre dal dominio castigliano del XVI e XVII secolo. Questa storia delle radici iberiche lo solletica e lo affascina al punto che nei suoi brani le atmosfere spagnoleggianti sono tutt’altro che rare così come i riferimenti alla figura di Don Chisciotte. Mescole di sangue a parte, la sua famiglia è del tutto normale, simile a tante altre. Suo padre è un piccolo industriale che produce cartoni e il giovane Brel sembra destinato a seguirne le orme visto che ancora adolescente lascia gli studi e comincia a lavorare come impiegato. Giocando con i termini, dirà che in quel periodo si sentiva "encartonné", chiuso in una gabbia di cartone. Appena possibile cerca di percorrere una strada diversa cominciando a comporre canzoni e a cantarle in giro nelle bettole di Bruxelles e dovunque sia possibile. Sono brani che mescolano l'amore e i sentimenti con l’impegno sociale, che fanno incontrare la poesia con il desiderio di ribellione e la vita con i sogni. Non sono canzoni facili ma si fanno notare e negli anni che vanno dal 1948 al 1953 il buon Jacques si costruisce un piccola ma solida fama nella sua città natale. La popolarità nei bar e nei locali della sua città natale non gli bastano. Vorrebbe andarsene e tentare la strada di una popolarità più ampia ma non è facile puntare a qualcosa di così difficile per uno che canta la vita da un angolo di visuale critico e radicato nella realtà. Forse per questo il suo primo disco arriva relativamente tardi, nel febbraio del 1953, dopo ottantadue provini falliti. È un 78 giri e nelle due facciate ci sono le canzoni La foire e Il y a. Il disco, pubblicato dalla Philips, vende la non straordinaria cifra di duecento copie, ma la soddisfazione per essere finalmente arrivato in sala di registrazione lo aiuta a non arrendersi. Nel frattempo anche la fortuna ha deciso di dargli finalmente una mano. Il disco arriva quasi per caso nelle mani di Jacques Canetti uno dei più infallibili e ascoltati scopritori di talenti della scena parigina che si entusiasma per questo sconosciuto chansonnier belga, lo contatta e lo convince a seguirlo a Parigi. Brel, un po’ confuso dalla svolta imprevista, si lascia alle spalle la famiglia, Bruxelles, i club e gli amici che fino a quel momento lo hanno sostenuto e se ne nella capitale francese. Il debutto avviene nel Trois Baudets, il locale gestito dallo stesso Canetti nel quale qualche tempo prima un altro debuttante dal nome di Georges Bassens aveva infiammato e deliziato il pubblico. Jacques Brel non infiamma ma piace e finisce per tornarci ancora altra volte nei cinque anni seguenti. Non è ancora il successo, ma lo chansonnier venuto da Bruxelles riesce a restare a Parigi alzando le spalle quando le critiche si fanno feroci, sopportando con pazienza le offensive storielle sui belgi, mangiando pane e formaggio e accettando di suonare in tutti i locali dove è possibile accettando qualunque compenso. Nel 1954 suona anche in sette locali in una notte cantando canzoni per spettatori non sempre attenti dalle otto di sera alle prime luci dell’alba. In questo periodo di fatica, sudore e fame trova il modo di registrare il suo primo album Grand Jacques. La fatica non è inutile. Lo stralunato chansonnier comincia a trovare nuovi ammiratori tra i protagonisti della scena musicale francese di quel periodo, da Dario Moréno a Catherine Sauvage, da Maurice Chevalier a Michel Legrand, a Serge Gainsburg ad Aznavour e Zizi Jeanmarie. Un’artista in particolare si rivela decisiva per la sua carriera. Si chiama Juliette Gréco, ed è considerata una sorta di dea dalle parti di Saint-Germain-des-Prés e dai protagonisti della corrente esistenzialistica. Proprio lei decide di inserire nel suo repertorio e nella sua produzione discografica un brano di Brel intitolato Le diable. L'incontro con la Gréco si rivela fondamentale per lo chansonnier arrivato da Bruxelles che, oltre a moltiplicare le entrate in diritti d’autore e le richieste d’esibizione inizia una collaborazione preziosa con Gérard Jouannest, pianista e compagno della cantante, e con l'arrangiatore François Rauber. Il rapporto con i due segna un’evoluzione decisiva nella qualità compositiva di Brel. Le sue melodie escono dalla secca essenzialità per mettere al servizio delle parole un nuovo, variegato cromatismo. È il successo. Parigi lo adotta e ne fa un protagonista della scena musicale al punto che nel 1961 il patron dell’Olympia Bruno Coquatrix lo vuole per sostituire Marlene Dietrch che ha dato improvvisamente forfait. Il successo non cambia Jacques Brel. Lo chansonnier resta un ribelle nella vita come nelle canzoni. Nel 1965, incurante della guerra fredda e delle tensioni internazionali accetta di andare in URSS, oltre che in Canada e negli Stati Uniti. Più volte annuncia la sua intenzione di non cantare più in pubblico e altrettante volte si smentisce da solo, mentre anche il cinema inizia a utilizzare la sua faccia e la recitazione fredda e tagliente come un coltello. Dopo "La Banda Bonnot" di Fourastié interpreta più di un pugno di film con registi come Cayatte, Molinaro, Carné, Lelouch. Nel 1968 mette in scena "L'uomo della Mancia", una sua versione del musical "The Man of the Mancha", ma i medici gli dicono che un tumore ha iniziato a mangiargli un polmone. Compra una barca a vela e, dopo un intervento chirurgico, se ne va in giro per il mondo. Si ferma a Hiva-Oa, nell'arcipelago delle Isole Marchesi che, di fatto, diventa la sua nuova patria. Mort Shuman, suo grande ammiratore, gli dedica un lavoro teatrale il cui titolo sembra una beffa del destino: "Jacques Brel is alive and well and living in Paris" (Jaques Brel è vivo, sta bene e vive a Parigi). Nel 1977, quando sente che la fine s'avvicina, registra il suo ultimo disco (due milioni di copie di prenotazioni) e destina il 90% dei proventi alla ricerca sul cancro. Non rinuncia alla poesia neppure di fronte alla propria morte, raccontando che gli abitanti della "sua" isola la trovano un evento del tutto naturale e che parlano «della morte/come si parla d’un frutto». Pochi mesi dopo, il 9 ottobre 1978, muore all'ospedale di Bobigny, un sobborgo di Parigi. Ha quarantanove anni e viene seppellito sulla adorata isola Hiva-Oa.08 ottobre, 2025
8 ottobre 2004 - Christina Aguilera: basta cazzeggi, andate a votare!
L’8 ottobre 2004 il nome di Christina Aguilera si aggiunge a quello degli artisti impegnati nella campagna elettorale statunitense con l’obiettivo primario di convincere le ragazze e i ragazzi a iscriversi alle liste elettorali e a votare per mandare a casa Bush. Per il suo appello la cantante ha scelto un mezzo di larga diffusione come lo schermo televisivo. È infatti comparsa su MTV indossando una maglietta con la scritta “Stop bitching” (Basta cazzeggi) e ha lanciato un appello destinato principalmente alle ragazze. Ha usato parole durissime nei confronti di chi si limita a mugugnare e poi non fa niente per cambiare le cose. Il succo del suo discorso è che la superficialità e l’indifferenza finiscono per lasciare ad altri il potere di decidere del destino di tutti. «È tempo di iniziare una rivoluzione – ha concluso – per questo mi rivolgo alle ragazze: andate a votare, ve lo dico dal profondo del cuore, andate a votare».07 ottobre, 2025
7 ottobre 1959 – Mario Lanza, una voce da leggenda
Il 7 ottobre 1959 il tenore Mario Lanza muore a Roma nella Clinica Valle Giulia dove era stato ricoverato d'urgenza per un malore. Figlio di un emigrato italiano, Mario Lanza, registrato all’anagrafe con il nome di Alfredo Arnold Cocozza, nasce a Philadelphia, in Pennsylvania, il 31 gennaio 1925. Dopo aver compiuto regolari studi di canto alla Berkshire School, nel 1947 debutta come tenore nell’opera “Le allegre comari di Windsor” a Tanglewood nel Massachusetts, ottenendo un successo strepitoso. Dotato di una voce potente diventa rapidamente uno degli interpreti più popolari del mondo, grazie anche a una lunga serie di film musicali. Nel suo repertorio figura una lunga lista di canzoni napoletane tradizionali, ma anche moderne come Guaglione, Come prima, Resta cu’ mme e Strada ‘nfosa. Quando la morte lo sorprende a Roma ha trentaquattro anni. La sua voce e il suo nome entrano nella leggenda. 06 ottobre, 2025
6 ottobre 2000 – Quando Mina cantò il giubileo
Anticipato da una succosa anteprima via Internet il 6 ottobre del 2000, l'anno del Giubileo, arriva nei negozi Dalla terra, un album nel quale Mina si cimenta in dodici brani che affondano le loro radici nella musica sacra della tradizione cattolica. La cantante nega una correlazione diretta con l’evento ma l'impianto d'immagine che accompagna la nascita del nuovo disco sembra funzionale a una normalissima operazione d'aggancio all'anno giubilare. Per quel che riguarda le collaborazioni è da notare la consulenza del teologo Luigi Nava e di quella del direttore della Schola Gregoriana del Duomo di Cremona, Massimo Lattanti. A loro va aggiunto l'apporto compositivo di Monsignor Frisina, il compositore delle musiche per le messe del Papa, in un paio di brani tra cui il Magnificat che apre la raccolta. I "cattivi pensieri" di una scontata operazione commerciale reggono, però, fino a quando si ascolta il disco. Fin dalle prime note, infatti, ci si accorge che Mina ha fatto proprio i brani fino a trasformarli. I canti sacri emergono con una forza tutta pagana, con una vitalità che pare derivare la sua energia più dalle musiche diaboliche come il jazz e il blues che dalla asessuata e monocorde tradizione cattolica. C'è un apporto personale della cantante che si nota. Mina non se ne sta sullo sfondo, ma riempie di passione musiche nate per esaltare la spiritualità distaccata. Certamente non si tratta di un album in linea con la precedente produzione della cantante anche se bisogna ricordare che nel 1980 l'album Kyrie Mina conteneva già una singolare versione dell'Aria di chiesa di Antonio Stradella. C’è una rilettura del tutto personale della tradizione cattolica con caratteristiche decisamente pagane. Come si potrebbe definire altrimenti una versione dell'Ave Maria di Gounod in tempo leggero quasi fosse uno standard jazzato? La cantante, accompagnata da un’orchestra sinfonica diretta dal fedele Gianni Ferrio piega la struttura originaria dei brani alle proprie esigenze interpretative. Rispetto al passato più recente scompaiono gli abbellimenti estetici e vengono sostituiti da un rigore interpretativo che non toglie, però, anima e passione alla partecipazione emotiva. Fin dal Magnificat che apre il disco si capisce che Mina parla di religiosità al femminile. Al centro del suo interesse e della forza evocativa dei brani c'è la donna, cioè quel soggetto che dalla Chiesa Cattolica è da sempre marginalizzato e ridotto nel suo apporto al disegno ecclesiale. Nei brani si coglie non tanto l'asettica e distaccata percezione del rapporto con Dio quanto la forza decisamente carnale di una passione religiosa al femminile vissuta attraverso i temi della maternità e del dolore causato dalla perdita del figlio. Sono impressioni forti che non emergono solo dai brani più direttamente collegati alla tematica come il Magnificat o il Pianto della Madonna di Monteverdi, ma traspaiono anche nel caso di puri brani gregoriani come Veni creator spiritus, che acquista un calore sconosciuto dall'incontro con la voce di Mina. Quasi a dare più peso alla sua libertà di scelta per Quanno nascette Ninno, il canto seicentesco in dialetto napoletano di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, antesignano del natalizio Tu scendi dalle stelle, si avvale nientemeno che della collaborazione decisamente poco angelica di un chitarrista come Andrea Braido, vecchio compagno d'avventura di Vasco Rossi e altre rockstar italiane. Per finire la cantante fa sapere che il disco vuole essere un puro e semplice “omaggio a chi vive la religiosità” destinato soprattutto alle donne, se si presta bene ascolto ai brani.05 ottobre, 2025
5 ottobre 1962 – “Love me do” arriva nei negozi
Il 5 ottobre 1962 la EMI distribuisce in tutti i negozi britannici Love me do, il primo singolo dei Beatles. Il suo numero di catalogo è Parlophone R 4949 e, sul retro c'è un altro brano destinato a entrare nella leggenda: P.S. I love you. La gestazione non è stata priva di problemi. Quando, un mese prima, il 4 settembre, i quattro ragazzotti di Liverpool erano entrati negli Abbey Road Studios per registrare avevano trovato qualche resistenza da parte del responsabile di produzione, George Martin, che preferiva affidare alla band un altro brano, How do you do it di Mitch Murray. I Beatles però si erano impuntati e alla fine la scelta era caduta su Love me do. Finito? No, perché l'11 settembre George Martin, non completamente soddisfatto dalla prima registrazione aveva convocato nuovamente la band per ri-registrare il brano. Per sicurezza aveva convocato anche il batterista Andy White temendo lo scarso affiatamento con i compagni da parte di Ringo Starr, inserito nel gruppo da meno di un mese ma i timori si erano rivelati infondati.04 ottobre, 2025
4 ottobre 1969 - Natalino Otto, un simbolo dei giovani antifascisti
Il 4 ottobre 1969 muore a Milano Natalino Otto, una delle espressioni migliori della canzone italiana. Nato a Cogoleto, Genova, il 24 dicembre 1912, Natale Codognotto, in arte Natalino Otto, viene colpito da poliomielite all’età di tre anni e recupera la funzionalità degli arti inferiori solo grazie a una lunga serie di interventi chirurgici. Nel 1932 suona come batterista nell’orchestra di George Link e successivamente s’imbarca sui transatlantici che fanno la spola tra l'Italia e gli USA. I viaggi al di là dell’oceano gli danno la possibilità di affinare il gusto per le innovazioni ritmiche delle grandi orchestre americane e gli offrono l’occasione di percorrere nuove strade musicali. Nel 1935 lavora anche presso una stazione radiofonica italo-americana di New York. Il suo debutto italiano avviene nel 1937 quando a Viareggio presenta, insieme a un giovane maestro destinato a una grande carriera, Gorni Kramer, un repertorio in buona parte composto da versioni italiane di brani americani. Queste sue prime esibizioni attirano l’attenzione della censura fascista che rileva come il suo stile sia ispirato e condizionato dalla “barbara antimusica negra”. Insofferente a censura e limitazioni di repertorio finisce per essere escluso dalla programmazione radiofonica. Anche le sue canzoni vengono messe al bando, ma i suoi dischi diventano un oggetto di culto per i giovani studenti che li ascoltano quasi come gesto di sfida al regime. Non è facile far capire oggi che cosa abbia rappresentato Natalino Otto per i giovani che negli anni Trenta e Quaranta sentivano il peso di dover vivere nell’Italia fascista. Per averne una vaga idea si può leggere qualche pagina degli scritti di Beppe Fenoglio. Nel romanzo “Il partigiano Johnny” due ragazze sfidano il padre mettendo sul piatto del grammofono Lungo il viale? e in “Appunti partigiani” un paio di ragazzi alla macchia canticchiano Polvere di stelle mentre una giovane donna «…fa le variazioni, alla maniera di Natalino Otto». Con la sua voce fresca e sbarazzina, che gli consente di passare con grande disinvoltura dalla melodia ai ritmi sincopati, il cantante gioca a irridere il provincialismo dell’Italia autarchica e retorica. Le sue canzoni per i giovani dell'Italia degli anni Trenta e Quaranta sono un piacere “a rischio” perché non piacciono alla censura fascista che non ama né l’ironia dei testi, né i riferimenti musicali ai nuovi ritmi che arrivano d'oltreoceano. Tra tutti gli alfieri della cosiddetta “canzone sincopata” di chiara derivazione jazz Natalino Otto appare ancora oggi, a distanza di più di mezzo secolo, il più moderno e fresco. Il merito è dell’intelligenza con la quale gestisce una tecnica vocale sopraffina. Non ha paura di contaminarsi e quando è necessario accetta di avventurarsi anche in territori musicali molto lontani dallo swing. Per questa ragione le sue interpretazioni non appaiono mai scontate, neppure quando si cimentano con brani più vicini alla tradizione melodica italiana che ai ritmi sincopati. Allo stesso modo le sue versioni dei grandi standard statunitensi invece di scivolare sul facile terreno dell’imitazione vengono rielaborati in modo egregio dal suo inconfondibile e personalissimo stile. Dopo la Liberazione cessa l’ostracismo radiofonico e il cantante diventa uno dei protagonisti della canzone italiana del primo dopoguerra. Il 2 giugno 1955 sposa la cantante Flo Sandon’s. Compositore di talento partecipa anche a vari film musicali.03 ottobre, 2025
3 ottobre 1907 – L’eclettico Edgar W. “Puddinghead” Battle
Il 3 ottobre 1907 nasce ad Atlanta, in Georgia, Edgar W. Battle detto “Puddinghead”. Figlio di un pianista e di una chitarrista, comincia a suonare la tromba all'età di otto anni. Nel 1922, a quindici anni, fa il suo debutto in pubblico con la formazione di J. Neal Montgomery e l'anno dopo forma un proprio gruppo, i Dixie Serenaders, alla Morris Brown University. Sul finire del 1928, diventa il solista dell'orchestra di Gene Coy e successivamente fa parte dell'organico di Andy Kirk. Con questa formazione, che comprende tra gli altri Mary Lou Williams come pianista e arrangiatrice, registra nel 1930 a Chicago. Nel 1931 entra nell'orchestra di Blanche Calloway, sorella di Cab, nelle cui file militano Ben Webster, Clyde Hart e Cozy Cole. Ancora alla guida di una propria formazione si esibisce nel New Jersey fino a quando non viene ingaggiato nel 1933 da Ira Coffey e nel 1934 da Sam Wooding e Benny Carter. L'anno successivo, dopo aver suonato brevemente con Alex Hill, entra nell'orchestra di Willie Bryant, mettendosi in mostra oltre che come trombettista, trombonista e sassofonista, anche come arrangiatore. In questa veste ha occasione dalla fine degli anni Trenta di lavorare con le orchestre di Cab Calloway, Fats Waller, Earl Hines, Count Basie, Jack Teagarden, Louis Prima e altri. Negli anni Cinquanta fonda una propria etichetta discografica, la Cosmopolitan, per promuovere musicisti poco conosciuti. Muore il 6 febbraio 1977 a New York.02 ottobre, 2025
2 ottobre 1957 – Luigi Ganna, il primo vincitore del Giro d'Italia

Il 2 ottobre 1957 muore a Varese Luigi Ganna, il primo vincitore del Giro d’Italia. Nato il 1° dicembre del 1883 a Induno Olona, in provincia di Varese, Ganna è stato, con Cuniolo, Galetti e Pavesi, uno dei “quattro moschettieri”, come vennero chiamati, all’inizio del secolo i quattro campioni capaci di suscitare in Italia i primi entusiasmi per uno sport giovane come il ciclismo. L’anno migliore della sua carriera fu il 1909 quando, dopo aver vinto la Milano-Sanremo davanti a Georget e Cuniolo, si aggiudicò la prima edizione del Giro d’Italia con due punti di vantaggio sull’amico-rivale Galetti, vincendo anche le tappe di Roma, Firenze e Torino. Tra i suoi successi figurano anche il Giro dell’Emilia e la Milano-Modena nel 1910 e la Gran Fondo nel 1912. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale decretò la fine anticipata della sua carriera agonistica, ma non del suo rapporto con il ciclismo. Intuite le grandi potenzialità produttive del settore si impegnò nella costruzione di biciclette che, approfittando della popolarità conseguita, chiamò con il suo nome. Le biciclette Ganna vennero portate alla vittoria negli anni successivi da Bottecchia, Demuysière e Fiorenzo Magni.
01 ottobre, 2025
1° ottobre 1908 – Nasce la Ford Model T
Il 1° ottobre 1908 un emozionato Henry Ford annuncia la nascita dell’auto dei suoi sogni. È la mitica Model T, che verrà soprannominato "Tin Lizzie" da milioni di americani. Un’automobile semplice nel funzionamento e brillante nelle prestazioni, destinata a essere insignita quasi cent’anni dopo del titolo di “Auto del secolo” da una giuria di esperti e giornalisti specializzati. Nei vent’anni di produzione la Ford costruirà 15.458.781 vetture del Modello T, un record che resterà imbattuto per oltre 50 anni! La capacità produttiva viene supportata da un’innovazione destinata a lasciare il segno quando Henry Ford adatta il concetto di catena di montaggio alla produzione automobilistica riuscendo ad abbattere i tempi di produzione a livelli mai visti prima. L’innovazione produttiva è affiancata da un’altra serie di innovazioni sul piano dei rapporti sociali: la casa automobilistica raddoppia la paga giornaliera dei suoi operai e riduce l’orario di lavoro a otto ore giornaliere. Anche la frase con cui Ford convince i riottosi soci è rimasta emblematica: «Se riduci le paghe, riduci il numero dei tuoi clienti». I parametri della linea di montaggio fordista trascinano tutta l’industria statunitense. La morte del fondatore, avvenuta nel 1947, non ferma la marcia della Ford Motor Company che, riorganizzata da Henry Ford II, rinnova la sfida al mercato con modelli di grande successo e suggestione come la Thunderbird del 1955, la Mustang lanciata nel 1964 e la celebre Fairlane. 30 settembre, 2025
30 settembre 1915 - Cristina Denise dalla canzone alla pittura
Il 30 settembre 1915 nasce a Torino la cantante Cristina Denise. Fino agli anni Cinquanta il suo lavoro non è la musica. Dai primi anni Trenta, infatti, prima lavora e poi guida con piglio fermo nel capoluogo piemontese la casa di mode Gladysmoore, di proprietà della sua famiglia. L'attività artistica resta per lungo tempo un hobby da coltivare a margine del lavoro e quando nel 1955 debutta come cantante alla radio con l'orchestra di Gorni Kramer non è più una ragazzina. Il buon successo ottenuto la spinge però a continuare con le orchestre di Lelio Luttazzi, Carlo Esposito e Dino Olivieri. Scritturata dalla RCA si esibisce in tutto il mondo riscuotendo particolari consensi in America Latina, in Australia e in Inghilterra. Nel 1958 è una delle principali attrazioni canore dei più importanti locali europei, nei quali si esibisce accompagnata da un duo di chitarre. Negli anni Sessanta lascia la musica e si dedica, con successo, alla pittura.
29 settembre, 2025
29 settembre 1924 – Il giovane Armstrong a New York
Il 29 settembre 1924 il Roseland Ballroom di New York, il locale da ballo più prestigioso della metropoli statunitense, ha in cartellone l’orchestra di Fletcher Henderson. In sé non è un evento particolare. Pur essendo una band popolarissima in quel periodo, infatti, l’orchestra di Henderson è quasi di casa al Roseland, per cui la sua esibizione non suscita particolare entusiasmo fra gli abituali frequentatori del locale. Accolta dagli applausi di rito la band parte con sua sigla, ma i più attenti si accorgono che c’è una novità nella formazione. Si tratta di un giovane trombettista nero cui Henderson lascia nel corso della serata sufficiente spazio per mettersi in mostra. Il suo nome è Louis Daniel Armstrong e ha da poco compiuto ventiquattro anni. Originario di New Orleans, città dove la musica è quasi un elemento costitutivo come l’aria o l’acqua del Mississippi, ha mosso i suoi primi passi sotto la guida di Mr. Davis, un maestro di musica molto famoso nei primi anni del Novecento. Armstrong arriva a New York da Chicago, città nella quale si è trasferito quando è stato ingaggiato dalla Creole Jazz Band di King Oliver. Proprio nel gruppo di Oliver ha incontrato la pianista Lil Hardin, un personaggio chiave della sua vita che si è innamorata di lui e lo ha aiutato a migliorare il suo patrimonio tecnico perfezionandone lo stile e la padronanza dello strumento. L’Armstrong che debutta il 29 settembre al Roseland Ballroom è un artista sicuro di sé e che ha ben chiari in testa gli obiettivi da raggiungere. La sua presenza, però, crea non pochi problemi a un gruppo orchestrale composto in gran parte da permalosi e affermati solisti come Buster Bailey, Charlie Green, Don Redman e Coleman Hawkins. Soprattutto quest’ultimo che, malgrado la giovane età, è già protagonista delle scene musicali di Broadway non accoglie con entusiasmo l’arrivo di Louis. Fortunatamente non la pensa così il capo-orchestra Fletcher Henderson, abituato a lavorare con grandi artisti e impermeabile ai mugugni. È lui che ha proposto ad Armstrong di entrare nel suo gruppo. Ne intuisce le qualità e lo stima al punto da lasciargli, fin dalla serata del debutto, uno spazio vocale. Proprio il 29 settembre, infatti, per la prima volta nella sua carriera Louis Armstrong si esibisce in un breve inserto vocale nel brano Everybody loves my baby.
28 settembre, 2025
28 settembre 1953 - L'eclettico Jim Diamond

Il 28 settembre 1953 nasce a Glasgow, in Scozia, Jim Diamond, uno dei più eclettici e sorprendenti personaggi del rock degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Scopre la musica grazie al fratello maggiore, Lawrence, batterista e a sedici anni è già musicista a tempo pieno. Nel 1975 entra per la prima volta in uno studio di registrazione con i Bradley e due anni dopo pubblica l'album Bandit con la band omonima, in quel periodo composta, oltre che da lui, dal chitarrista James Litherland, dal bassista Cliff Williams e dal batterista Graham Bond. Successivamente canta nella band di Alexis Korner, con cui realizza nel 1978 l'album Just easy poi cambia paese e stile. Se ne va a Los Angeles, dall'altra parte dell'oceano, per formare un gruppo heavy con Carmine Appice, ex batterista dei Vanilla Fudge e di Rod Stewart, e con Earl Slick, ex chitarrista di David Bowie. All'inizio degli anni Ottanta torna in Gran Bretagna deciso a impegnarsi solo nella composizione e nella produzione. Se ne sta tranquillo per poco. Nel 1982, infatti, forma il duo dei PhD con il tastierista Tony Hymas, pubblicando un album e un paio di singoli di successo. La sua proverbiale irrequietezza non gli consente di godere a lungo dei risultati raggiunti. Colpito da un'epatite che lo costringe a cancellare il tour promozionale dell'album Is it safe? scioglie i PhD e decide di continuare da solo. In due anni raggiunge i migliori risultati di tutta la sua carriera. Nel 1984 pubblica l'album Double crossed e arriva al vertice della classifica britannica con il singolo I should have know better, confermandosi l'anno dopo con Hi-ho silver. Sempre nel 1986 partecipa al progetto dei Crowd, un gruppo di cinquanta popolari musicisti riunitisi per incidere il brano You'll never walk alone il cui ricavato va alle famiglie degli spettatori morti nel 1985 nello stadio di Bradford. È l'ultimo vero sussulto. Da quel momento preferisce continuare come autore e produttore con qualche ritorno senza troppe ambizioni. Muore a Londra l'8 ottobre 2015.
27 settembre, 2025
27 settembre 1959 – Antonella Bianchi, alias Galvanica, alias Belen Thomas, alias Otero
Il 27 settembre 1959 nasce a Roma Antonella Bianchi destinata a diventare, con il nome d’arte di Belen Thomas, una delle regine della dance europea. Il suo debutto discografico avviene nel 1986 quando, con il nome di Galvanica, pubblica nel 1986 il singolo Night lights in Japan, un brano "etno-dance" di Massimiliano Orfei arrangiato da Giorgio Costantini che ottiene un discreto riscontro. Il primo grande successo commerciale arriva due anni dopo quando, già sotto le spoglie di Belen Thomas vola al vertice delle classifiche di mezza Europa nel 1988 con Y mi banda toca el roch, versione proposta con arrangiamenti dance-latini de La mia banda suona il rock di Ivano Fossati. L’anno dopo si ripete con Aire, presentato al Sanremo Rock, e Survivor un brano cantato in coppia con il suo autore Mike Francis, che si piazza al terzo posto del Festivalbar. Nel 1990 pubblica Iberica, un album da cui viene estratto il singolo Panama. Nello stesso anno Udo Jurgens la vuole con lui per interpretare l’inno ufficiale della nazionale tedesca di calcio impegnata nei campionati mondiali di calcio che si svolgono in Italia. Dopo il buon successo di Don Diego de noche, nel 1992 realizza con Patrick Hernandez una versione in duetto di Born to be alive con la quale partecipa al Festivalbar. L’anno dopo pubblica A, la prima registrazione in lingua italiana della sua carriera. Nel 1998 con lo pseudonimo di Otero pubblica il singolo Le bianche spose prodotto dal Consorzio Suonatori Indipendenti. Nel 2008 recuperato il nome di Belen Thomas pubblica l'album Nemmeno dopo il buio con sette canzoni da lei composte che spaziano dal pop elettronico a una versione pop del requiem in latino.26 settembre, 2025
26 settembre 1983 – Tino Rossi, lo chansonnier corso
Il 26 settembre 1983 muore Tino Rossi. Più di mille canzoni registrate e oltre trecento milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Queste cifre, pur notevoli, non riescono però a definire compiutamente il fenomeno di Tino Rossi, uno dei primi personaggi dello spettacolo a suscitare forme di ammirazione di massa che in qualche modo anticipano il fervore fanatico che in epoca diversa circonderà personaggi come Elvis Presley o i Beatles. La sua popolarità è stata indubbiamente agevolata dalla cassa di risonanza della radio che negli anni Trenta arriva porta le voci degli interpreti musicali nelle case francesi, ma la longevità e l’intensità del successo non possono essere giustificate banalmente dall’avvento della radiodiffusione. Secondo la leggenda il suo ingresso nel mondo della canzone sarebbe avvenuto per caso con la registrazione a sue spese di un disco da regalare alla madre, anticipando di vent’anni Elvis Presley la cui carriera inizia nello stesso identico modo. Impossibile capire se sia vero o se si tratti soltanto di una delle tante storie che costellano la vita di personaggi entrati nel mito e, in fondo, non è poi così importante. La caratteristica dei miti è proprio quella di essere collocati in uno spazio particolare dove il tempo e la realtà si confondono. Se non fosse così che miti sarebbero? Per mezzo secolo Tino Rossi attraversa da protagonista la scena musicale francese incurante dello scorrere del tempo o, meglio, consapevole dei cambiamenti determinati dall’incedere del tempo. Se la sua voce sensuale e i suoi modi da sciupafemmine regalano sogni romantici alla Parigi degli anni Trenta, con lo scorrere di giorni, mesi e anni, modifica il suo modo di proporsi al pubblico fino a diventare, nel dopoguerra, il simbolo per antonomasia del cosiddetto “spettacolo per famiglie”. Re dell’operetta, ineguagliabile interprete di brani come Petit Papa Noël, un inno da cantare in famiglia ogni notte di Natale, Tino Rossi aggira il tempo e si fa amare anche dalle generazioni che l’hanno conosciuto tardi. Di lui, oltre alle canzoni, resta anche un buon numero di film. Sono poco meno di una trentina, girati in gran parte nel primo periodo della sua carriera anche se il più citato è “Si Versailles m’était conté”, una vera e propria parata di stelle con, tra gli altri, Orson Welles, Edith Piaf e Brigitte Bardot diretto e interpretato da Sacha Guitry e uscito in Italia con il titolo semplificato in “Versailles”.C’è chi ha scritto con una suggestiva similitudine che Tino Rossi è un corso che ha avuto successo nel mondo come Napoleone Bonaparte. Lo chansonnier, infatti, nasce il 29 aprile 1907 ad Ajaccio, in Corsica, dove viene registrato all’anagrafe con il nome di Costantino Rossi. Sua madre si chiama Eugénie e suo padre Laurent. Quest’ultimo fa il sarto e spera che il piccolo Costantino, anzi Tintin come viene soprannominato nei primi anni d’età o Tino come lo chiamano i suoi compagni di scuola, rappresenti la continuità dell’azienda famigliare. Il giovane, però, non pensa proprio di finire i suoi giorni tra aghi, metri e tessuti e coltiva la passione del canto sostenuto dalla sicurezza di possedere una voce di grande qualità come gli ripete ogni giorno il maestro del coro della chiesa in cui canta accompagnando le funzioni religiose. Appena può scappa via dalla famiglia e se ne va in Costa Azzurra dove alterna partecipazioni a vari concorsi per esordienti con le esibizioni nei locali notturni e il lavoro da impiegato all’Ufficio Ipoteche di Nizza. Per qualche tempo torna ad Ajaccio dove i suoi genitori gli hanno trovato un lavoro al Casinò, ma ben presto riprende una nave per il porto di Marsiglia e da lì se ne va a lavorare al Casinò di Aix-en-Provence come cambiavalute. Il canto resterebbe quasi un hobby da praticare in qualche locale nelle sere libere se il destino non ci mettesse lo zampino. La fortuna per Tino Rossi ha il nome di P’tit Louis, un impresario che, dopo aver assistito a una sua esibizione, resta colpito dalla voce e soprattutto dalla sua personalità in scena. Convinto di avere per le mani un personaggio destinato al successo e alla conquista del pubblico femminile gli propone una scrittura. Tino Rossi accetta. È il 1929 e da quel momento il palcoscenico sarà la parte più importante della sua esistenza fino all’ultimo giorno della sua vita. Locale dopo locale la popolarità di Tino Rossi cresce con il crescere delle sue esibizioni dal vivo. La prima etichetta a pensare di sfruttare anche dal punto di vista discografico le potenzialità del giovane chansonnier è la Parlophone che all’inizio degli anni trenta gli sottopone una proposta per la registrazione di qualche brano. Tino Rossi sbarca così a Parigi per realizzare il suo primo disco. È un 78 giri che contiene i brani O ciuciariello e Ninna nanna e viene pubblicato nel 1932 senza particolare successo. L’esperienza più il soggiorno parigino, opportunamente utilizzate dal suo impresario, sono utili per aprirgli le porte dei più prestigiosi locali del meridione della Francia, in particolare dell’Alcazar di Marsiglia considerato un po’ il tempio della nuova generazione di chansonnier. Nel 1933 gli arriva la proposta di un nuovo contratto discografico. A muoversi questa volta è la Columbia, una delle etichette più prestigiose dell’epoca, convinta che il suo profilo da attore hollywoodiano e la sua voce da galante conquistatore possono spopolare sulla scena musicale francese. Tino Rossi firma e in breve tempo diventa una vedette del music-hall parigino. In quel periodo incontra anche il compositore provenzale Vincent Scotto. Tra i due nasce un’intesa artistica destinata a durare anni e benedetta dal pubblico il 14 ottobre 1934 quando lo chansonnier interpreta per la prima volta dal vivo le canzoni del suo amico arrivato a Parigi dalla Provenza. Gli anni Trenta scorrono veloci e costellati da successi come Adieu Hawaii, un brano inciso su disco nel 1935 che vende oltre mezzo milione di copie. Il fascino esercitato sul pubblico femminile non sfugge al mondo del cinema che, dopo una serie di ruoli secondari, gli affida il ruolo da protagonista nel film “Marinella” di Pierre Caron. Il pubblico fa la fila davanti ai botteghini per assistere alla proiezione della pellicola mentre la canzone con lo stesso titolo che fa da tema musicale al film si trasforma in un successo discografico con pochi precedenti. L’occupazione nazista e la seconda guerra mondiale non fermano l’attività di Tino Rossi. Il suo attivismo artistico in quegli anni tristi rischia di costargli caro nel 1944 quando, dopo la Liberazione di Parigi, viene incarcerato con l’infamante sospetto aver collaborato con gli invasori nazisti. In pochi giorni le accuse contro di lui cadono nel nulla e viene liberato. Nel 1946 centra quello che è considerato il suo più grande successo del dopoguerra con la canzone Petit Papa Noël interpretata per la prima volta nel film “Destin” di Richard Pottier. Proprio con quel brano nasce un nuovo Tino Rossi. L’affascinante conquistatore dallo sguardo assassino e dal volto simile a quello di Rodolfo Valentino lascia spazio a un cantante che sta entrando nel pieno della maturità artistica, consapevole delle proprie qualità e capace di mettere a frutto l’esperienza. Nel 1970 decide di chiudere definitivamente con il cinema e di ridurre quella canora al minimo indispensabile. Nel 1976 Parigi gli tributa un il suo omaggio e tutto il suo amore affollando all’inverosimile una serie di recital tenuti sotto il tendone del Circo Jean-Richard nel giardino de Les Tuileries. Nel 1982 il recital messo in scena per festeggiare i cinquant’anni di carriera resta in cartellone per ben tre mesi. In rinnovato successo spinge la Pathé Marconi a offrirgli un contratto discografico della durata di cinque anni. Tino Rossi lo firma ma non lo rispetterà perché il 26 settembre 1983 muore nella sua casa di Neuilly-sur-Seine nelle vicinanze di Parigi arrendendosi al cancro che da tempo l’ha aggredito.25 settembre, 2025
25 settembre 1960 – Roberto Kunstler, il socio di Cammariere
Il 25 settembre 1960 nasce a Roma il cantautore Roberto Kunstler. A vent’anni inizia a esibirsi al Folkstudio e nel 1983 collabora con il gruppo Strada Aperta di Antonello Venditti. Nello stesso anno partecipa al tour di Mimmo Locasciulli. Nel 1984 pubblica il suo primo singolo con i brani Danzando con la notte e col vento e Piccola regina del varietà che vince il Premio Rino Gaetano. Nel 1985 partecipa al Festival di San Remo tra le nuove proposte con la canzone Saranno i giovani e pubblica il suo primo album Gente comune (BMG). Quattro anni dopo realizza il secondo album Mamma, Pilato non mi vuole più seguito nel 1991 da Eclettico Ecclesiastico. A partire dal 1992 inizia a collaborare con Sergio Cammariere. I due pubblicano nel 1993 l’album I ricordi e le persone che contiene la prima versione di Dalla pace del mare lontano e scrivono varie canzoni per altri interpreti. La collaborazione con Cammariere impegna gran parte dell’attività di Kunstler che, pur non rinunciando a esibirsi dal vivo in diverse occasioni evita di pubblicare nuovi dischi fino al 2005 quando, a undici anni dall’album precedente, realizza Kunstler. Nel 2014 torna in studioper registrare l'album Mentre.24 settembre, 2025
24 settembre 2004 – Le scarpe appese al cielo
Dalla sera del 24 settembre 2004 e per tre giorni un lungo filo di acciaio viene sospeso tra i vicoli e le piazze dei paesi di Genazzano e Zagarolo. Attaccate al filo, illuminate nella notte, ci sono migliaia di scarpe usate provenienti da tutto il mondo. Ciascuna di esse ha una storia, è stata cercata, è arrivata per posta, è stata scambiata dai bambini nelle scuole. Rappresentano l’impronta dei passi, del lento avanzare dell’umanità sulle polverose strade della storia. Dove c’è un’impronta di una scarpa, lì c’è il segno della vita e del passaggio di una persona. A Genazzano e Zagarolo sono migliaia i passi sospesi nel cielo per accompagnare l’edizione 2004 di “Stradarolo”, la rassegna artistica ideata qualche anno prima dai Têtes de Bois e divenuta uno degli appuntamenti culturali più interessanti della penisola. A Stradarolo le arti si confondono, la danza si mescola con la poesia e la musica con l’illusione della parola e delle immagini. E se chiedete ai Têtes de Bois di spiegarvi la scelta del tema “Passi”, delle scarpe appese, vi rispondono con una visione: «C’è un passo che appartiene a ogni uomo, un verso, una piega ed è appeso sopra la tua testa, è arte e testimonianza. La scarpa di un uomo che forse oggi è felice, è triste, è in carcere, è morto per la libertà o per amore o per dolore, è un assassino o un torturatore, una donna che è diventata madre o magari vive da poche ore a poche metri da te e a migliaia dalla compagna sperduta della scarpa che vedi appesa». Non servono altre parole per capire che la suggestione visiva trova solidi agganci nella mente e nel cuore. Tu chiamale, se vuoi, emozioni… In mezzo a tutto c’è una tavola rotonda visionaria, grande sette metri, una tovaglia di lenzuola usate e cucite disegnate dai bambini con piedi colorati. È un simbolo d’incontro tra persone che tengono il passo ma non mancano di memoria. Intorno si parla, si canta, si suona, si raccontano passione e compassione, passi e passeggiate, storie spassose e sogni appassiti. Tutto comincia il 24 settembre al Ponte di Genazzano con “The bridge”, uno spettacolo aereo di danza acrobatica e prosegue il 25 e il 26 con le presenze o, per restare in tema, i passaggi musicali e parlati di Sergio Endrigo, Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso, Ricky Gianco, Marco Paolini e i Mercanti di Liquore, Giuseppe Cederna, Giancarlo Dotto, Luca Madonia, Enzo Pietropaoli, Pinomarino, Giovanna Summo, Massimo Pasquini, Giampaolo Ceroni, Canio Loguercio, Emilio Casalini, Jonathan Giustini, Tiziana Dal Pra, Giovanni Lo Cascio, Francesco Lo Cascio, la Banda dei Falsari e l’astronauta Guidoni in diretta telefonica… C’è anche la radio, con un’edizione in loco del programma “Radioscrigno” condotto da Dario Salvatori.23 settembre, 2025
23 settembre 1962 – “Ave Maria” a sorpresa per Miranda Martino
Il 23 settembre 1962 Miranda Martino, la "scandalosa" interprete di Meravigliose labbra, considerata una delle donne più sensuali della canzone italiana e protagonista delle cronache rosa dell’epoca, si sposa con il giornalista Ivano Davoli. Per l’occasione la chiesa viene presa d’assalto da giornalisti e fotografi. Tra la sorpresa generale, durante la cerimonia, accompagnata dalla musica dell’organo si alza chiara la voce di Luciano Tajoli sulle note dell’Ave Maria. Il contrasto tra il personaggio moderno e disinvolto della Martino e la presenza di un esponente della canzone melodica tradizionale come Tajoli non sfugge ai giornalisti presenti e suscita più di una curiosità. Al termine la cantante spiega di aver chiesto volutamente a Luciano, “che ho conosciuto bene al Cantagiro e che considero uno dei più grandi interpreti della musica italiana”, di cantare al suo matrimonio perché “la sua voce ha sfumature capaci di commuovermi”.22 settembre, 2025
22 settembre 1919 - Rio Gregory, il pianista jazz di Zurigo
Il 22 settembre 1919 nasce a Zurigo, in Svizzera, Rio De Gregori, che, con il nome d'arte di Rio Gregory viene considerato uno dei migliori pianisti jazz europei degli anni Trenta e Quaranta. Spinto dai genitori inizia lo studio del pianoforte in età scolare ma lo fa talmente di malavoglia che dopo tre anni gli stessi genitori accettano la sua decisione di smettere. Quelle ore passate sui tasti bianchi e neri gli tornano alla mente molto tempo dopo quando, sedici anni, ascoltando alcuni dischi di Duke Ellington, decide di ritornare a suonare. Nel 1936, appena diciassettenne, inizia la sua carriera di jazzista con un trio, formato da pianoforte, violino e batteria. Nel 1937 conosce il batterista statunitense Mac Allen, che aveva suonato dieci anni prima a Berlino con Bechet, e con lui forma un duo destinato a durare per ben due anni. In seguito suona e incide con la maggior parte delle orchestre attive in quell'epoca in Svizzera, da quella di Jo Grandjean a quella di René Weiss, da quella di Fred Bohler, a quella di Philippe Brun, agli Original Teddies. Nel 1942 inizia a registrare con il suo nome in trio e l’anno successivo con un settetto comprendente Flavio Ambrosetti al vibrafono e Stuff Combe alla batteria. Nel dopoguerra forma una grande orchestra che mantiene unita per circa quattro anni. Nel 1949 sostituisce il pianista Don Gais, nell'orchestra di Eddie Brunner. Negli anni successivi, alterna l'attività di musicista di jazz con quella di pianista in varie orchestre di musica leggera. Muore il 22 maggio 1987 a Monaco.
21 settembre, 2025
21 settembre 1920 – Bandiera rossa trionferà…
Il 21 settembre 1920 le vetture tramviarie di Torino vengono tappezzate di volantini sui quali è scritto "Bandiera rossa trionferà/se il soldato la seguirà!". È uno dei tanti fenomeni che costellano i primi anni di vita di un brano destinato a entrare nella tradizione culturale del nostro paese. Bandiera rossa infatti è forse la più famosa e cantata canzone del movimento operaio italiano. Le sue origini si perdono nella nebbia e anche l'anno di nascita che comunemente viene preso per buono, cioè il 1908, è probabilmente da ritenersi una data indicativa. Il testo originale, quello della tradizione socialista, è stato scritto da Carlo Tuzzi, anche se la versione originale ha subito numerosi rimaneggiamenti. Quella che in genere si conosce oggi è la più diffusa versione comunista dell'inno, anche se neppure questa è scevra da varianti. La strofa «Dai campi al mare, alla miniera/dei proletari, l'immensa schiera/avanti é l'ora della riscossa/bandiera rossa trionferà» ha anche una versione che dice «Dai campi al mare, alla miniera/all'officina, chi soffre e spera/sia pronto, é l'ora della riscossa/bandiera rossa trionferà». La strofa successiva «O proletari, alla riscossa» diventa in altre versioni «O comunisti alla riscossa». Non è, però, il caso di scervellarsi perché nelle canzoni popolari, le variazioni sono un segno di vita e vivacità di un brano. È “L'Ordine Nuovo”, il giornale di Antonio Gramsci, a raccontare che il 21 settembre 1920 le vetture tramviarie di Torino vengono tappezzate di volantini sui quali è scritto «Bandiera rossa trionferà/se il soldato la seguirà!», a dimostrazione che la fantasia popolare non ha limiti. Più difficile è ricostruire l'origine della musica. Secondo Roberto Leydi essa deriverebbe dalla fusione di due arie popolari della tradizione lombarda: la strofa da Ciapa on saa, pica la porta (prendi un sasso, picchia la porta) e il ritornello dall'aria Ven chi Nineta sotto l'ombrelin (Vieni qui Ninetta sotto l'ombrellino). Ne esistono anche varie versioni in lingue diverse. Cesare Bermani scrive che di essa sono note anche una versione tedesca e una ucraina. A differenza di quanto accaduto con L'internazionale, Bandiera rossa è stata poco utilizzata nel rock, nonostante alcune pregevoli eccezioni. La più famosa "utilizzazione impropria" è quella degli Osanna che, in ossequio alla lezione di Jimi Hendrix, ne scandiscono le prime battute con il suono lancinante di una chitarra distorta come introduzione a Non sei vissuto mai un brano del loro primo album. Un'esperienza simile ripercorrono gli Area invertendone la collocazione. Soprattutto nelle esecuzioni dal vivo, infatti, la chitarra lancia le note di Bandiera rossa sulla chiusura della loro versione de L'Internazionale.
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