Il 18 dicembre 2001 Gilbert Bécaud muore di cancro a Parigi nella casa galleggiante sulla Senna che da molto tempo è diventata il suo rifugio. A noi lascia un patrimonio incalcolabile di musica, sentimenti ed emozioni, compresa un'inusuale e innovativa opera lirica, "L'Opéra d'Aran", presentata per la prima volta il 25 ottobre '62 al Teatro degli Champs-Elysées a Parigi. Si calcola siano quasi cinquecento le canzoni scritte da Gilbert Bécaud. Un patrimonio ingente che lascia ancora più impressionati se si pensa che lo chansonnier le ha scritte prendendo quasi sempre in prestito le parole dai suoi amici poeti. Sono loro la voce della sua musica, sono loro che ne articolano i pensieri, i concetti, i voli fantastici. Sono i poeti che regalano le parole giuste agli chansonnier. Il primo che fa parlare la sua musica di Bécaud si chiama Maurice Vidalin. È il 1947. Un anno dopo alla coppia si aggiunge Pierre Delanoë, un giovane autore scovato chissà dove dalla cantante Marie Bizet. All'inizio degli anni Cinquanta i poeti che lo affiancano diventano tre con l'arrivo di Louis Amade. Come uomo, prima ancora che come artista, per tutta la carriera ha guardato il mondo con occhi ben aperti e con la coscienza che la poesia, fin dall’antichità, non serve soltanto per cantare l’amore e le emozioni, ma anche per dare voce ai conflitti e alle tensioni della società. Istintivo e passionale non rinuncia mai a essere se stesso neppure nei momenti di maggior successo quando, per ragioni di mercato, i suoi discografici vorrebbero sfumare un po’ i lati più spigolosi del suo carattere. La musica e il pianoforte sono i compagni più fedeli che l’accompagnano fin dai primi anni della sua vita, iniziata il 24 ottobre 1927 in quel di Tolone. Bambino prodigio, François Silly, questo è il suo vero nome, inizia a studiare al Conservatorio di Nizza nel 1935 a soli nove anni affascinato dalla possibilità di carpire i segreti dei tasti bianchi e neri, ma è costretto a interrompere gli studi nel 1942 quando le vicende della guerra e dell’occupazione nazista spingono la sua famiglia a mollare tutto per rifugiarsi in Savoia. In quegli anni si matura in fretta, soprattutto se si vive in una famiglia in cui il primo figlio maschio, Jean Silly, è un combattente della Resistenza. Il piccolo François non è diverso dagli altri. Per sopravvivere cresce aggrappato al pianoforte e quando la guerra finisce e i nazisti se ne vanno lui corre a Parigi dove i locali notturni catalizzano la voglia di vivere delle nuove generazioni. Lì nella capitale François Silly diventa François Bécaud prendendo in prestito il cognome dell’uomo che ha accompagnato la madre dopo la fuga di un padre mai conosciuto veramente. Inizialmente non pensa di avere un talento particolare come cantante. Si immagina musicista di successo, compone canzoni, musiche da film e pigia sulla tastiera brani destinati ad accompagnare il chiacchiericcio del pubblico dei locali notturni. La voce, che per un po’ è quasi un complemento delle sue esibizioni, progressivamente diventa l’elemento distintivo della sua personalità. Il lungo tragitto verso la popolarità passa per il cantante Jacques Pills, l’uomo che gli offre un posto nelle sua orchestra e lo porta con sé in giro per il mondo. Nel corso di una tournée di particolare successo negli Usa il futuro Bécaud incontra Edith Piaf. La cantante più amata di Francia è affascinata dalla personalità del giovane e gli chiede di scrivere qualcosa per lei. Lui le regala Je t'ai dans la peau destinato a diventare rapidamente un successo, uno dei primi regalati ad altri. Nel 1952 Bécaud lascia per sempre il suo nome anagrafico. Muore François Silly e nasce Gilbert Bécaud, lo chansonnier dai modi gentili e dall’eleganza leggermente trasandata. Nello stesso anno nasce anche la bella amicizia che lo lega a un altro debuttante come lui, Charles Aznavour. I due, destinati a essere vissuti come rivali nell’immaginario popolare, in realtà collaboreranno e scriveranno canzoni insieme. Nel 1953 viene pubblicato il primo disco firmato Gilbert Bécaud. Le due canzoni sono Mes mains con il testo di Delanoë e Les Croix firmato Amade. Viene registrato il 2 febbraio, lo stesso giorno in cui nasce sua figlia Gaya. È l'inizio di un'avventura destinata a durare a lungo. Vestito sempre di blu con la cravatta a pois, che si dice non cambi mai per scaramanzia, e che viene dapprima accuratamente annodata, poi slacciata e maltrattata a seconda degli umori dei diversi momenti dell’esibizione, diventa uno dei primi idoli giovanili della storia della musica mondiale. La buona accoglienza che la critica riserva ai suoi dischi, i buoni risultati commerciali, i passaggi radiofonici e qualche concerto nei locali notturni non bastano ancora a far di Gilbert Bécaud un grande della musica francese. In quel periodo è più popolare negli Stati Uniti di quanto non lo sia in patria dove gli manca il vero, grande, travolgente successo dal vivo. L’occasione della vita arriva nel 1955 quando riapre l'Olympia e Bruno Coquatrix, il proprietario del celebre teatro parigino lo scrittura. È la svolta. Il 17 febbraio 1955 la sua esibizione all'Olympia viene "festeggiata" da quattromila fans urlanti che, trascinati dalla carica dell’esibizione, distruggono parte della sala. È un evento senza precedenti. La stampa si scatena, affibbiando all'artista soprannomi come "Monsieur Dynamite", "Le Champignon Atomique" e il più celebre, "Monsieur 100.000 Volts", che l’accompagnerà per tutta la vita. In quel periodo Bécaud è artefice in Francia di una rivoluzione musicale simile a quella che Domenico Modugno replicherà in Italia qualche anno: contrapporre al bel canto, all'interpretazione a fil di voce, l’espressività vocale libera da regole, il trasporto emotivo e la gestualità trascinante. È una lezione che lascia segni profondi e che innova fortemente l’intera scena musicale. All'inizio degli anni Sessanta arriva anche la consacrazione internazionale con Et maintenant, il brano più famoso della sua carriera scritto su un testo di Pierre Delanoë, che conoscerà oltre centocinquanta versioni diverse in quasi tutte le lingue del mondo. Infaticabile vagabondo supporta la propria popolarità con una serie incredibile di tournée in ogni angolo del mondo, Africa compresa, arrivando a totalizzare l'incredibile cifra di duecentocinquanta concerti in un anno. Nel 1974 viene insignito della Legion d'Onore, consegnatagli direttamente (contravvenendo la tradizione) sul palco dell'Olympia, cioè a casa sua, da un Louis Amade più emozionato di lui. Le sue canzoni sono entrate nel repertorio di un'infinità d'interpreti, compresi Bob Dylan e James Brown. Negli anni Settanta aggiunge ai poeti che lo circondano il nome del giovanissimo Pierre Grosz dal quale prende a prestito il testo della canzone Mais où sont-ils les jours heureux?. Gilbert Bécaud è un dominatore nato, un artista dotato di un carisma eccezionale, definito dalla critica e della stampa come «...un leone del palcoscenico... il più viscerale, sanguigno, passionale e caldo degli chansonnier che hanno segnato la scena francese del Secondo Dopoguerra...». In scena non si risparmia e soprattutto non si nasconde dietro ad alcuna maschera. Il suo stile così lontano dall’eleganza stucchevole dei cantanti di bella presenza non ammette mezze misure. Chi non lo ama lo vive con insofferenza. Sono molti ad amarlo, in Francia, nel mondo e anche in Italia dove a partire dalla fine degli anni Cinquanta comincia a essere una presenza costante e conosciuta. Con lo sviluppo della televisione diventa uno degli ospiti di riguardo dei varietà che, soprattutto il sabato sera, inchiodano il pubblico davanti al piccolo schermo in bianco e nero. L’alter ego della sua passionale esuberanza è un altro chansonnier. Si chiama Charles Aznavour. I due personaggi si presentano in modo completamente differente: irruente, espansivo e trascinante Bécaud, elegante, introverso e romantico Aznavour. Di fronte a due personalità così radicalmente opposte la stampa italiana si inventa una rivalità che non esiste. I due infatti sono legati da un’amicizia e una stima così profonde che all’inizio della carriera hanno addirittura unito la loro creatività. In Italia però la rivalità è funzionale alla costruzione dei personaggi per cui entrambi finiscono per adeguarsi alle esigenze degli uffici stampa. D’altronde siamo il paese dei dualismi come dimostrano le ricorrenti costruzioni di rivalità vere o inventate tra Coppi e Bartali, Lollobrigida e Loren o, per restare nella musica, Gianni Morandi e Claudio Villa. Il rapporto tra Gilbert Bécaud e il cinema è lungo e proficuo. Il grande schermo lo affascina e soprattutto ne stimola la vena creativa. Compone numerosissime colonne sonore e molti suoi brani di successo hanno fatto da sottofondo alle vicende di qualche storia cinematografica. È il caso, per esempio, di canzoni come Je t’ai dans la peau, Si si si la vie est belle, C’est merveilleux l’amour, Si je pouvais revivre un jour ma vie o La marche de Babette nate per il cinema e diventate parte della storia stessa della canzone francese. In qualche caso non disdegna di prestare il suo contributo anche come attore. La sua prima presenza sul grande schermo risale al 1947 quando il regista Paul Mesnier gli affida una particina nel ruolo di un pianista nel suo film “Kermesse rouge”. Il suo nome non figura neppure nei titoli di coda, ma Gilbert non se la prende. La stessa sorte tocca anche alla sua brevissima presenza scenica in “Boum sur Paris” diretto da Maurice de Canonge nel 1954 per il quale compone la canzone Je t’ai dans la peau, destinata a diventare un successo nell’interpretazione di Edith Piaf. Il primo ad affidargli un ruolo di rilievo è Marcel Carné che in “Le pays d’où je viens” del 1956, il film uscito in Italia con il titolo “Il fantastico Gilbert” lo chiama a interpretare sia il personaggio del timido e innamorato pianista Julien Barrière che quello del suo alter ego disinvolto e un po’ gaglioffo Eric Perceval. Il successo ottenuto dal film di Carné lo impone all’attenzione dei registi e soprattutto dei produttori intenzionati a sfruttare al meglio la sua popolarità come cantante. L’anno dopo veste i panni del tenero Jacques Merval in “Casino de Paris” di André Hunebelle, un film che viene ancora oggi considerato uno dei primi interessanti esempi di musical europeo capace di conquistare l’attenzione del pubblico statunitense. Nel 1959 interpreta il ruolo di Bernard Villiers nel film “Croquemitoufle” di Claude Barma e nel 1961 è un pilota in “Les petits matins”, un lungometraggio diretto da Jacqueline Audry e uscito nelle sale italiane con il titolo di “Una ragazza a rimorchio”. Nel 1963 interpreta se stesso in “Canzoni nel mondo”, un musicarello firmato da Vittorio Sala. Nel 1972 è Henry Lefevre in “Un uomo libero” di Robert Muller e due anni dopo torna a interpretare se stesso in “Tutta una vita” di Claude Lelouch. Gli anni Ottanta e Novanta lo vedono impegnato sul piano musicale a sperimentare nuovi confini e nuove mescole tra la canzone d’autore e la musica mediterranea. Pian piano, però, il suo impegno principale diventa quello di spegnere il fuoco di un cancro che gli morde le carni. Il 18 dicembre 2001 Gilbert Bécaud muore. Due mesi prima ha compiuto settantaquattro anni. Il suo corpo viene sepolto al Pére Lachaise di Parigi. La morte di Bécaud arriva in un periodo in cui il mondo è sull’orlo di una nuova devastante guerra dopo l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York. Il 2001 resta così nella memoria come un anno difficile e complicato per tante ragioni. Per il mondo della musica è un anno bastardo, incattivito e inesorabile. Nel 2001, infatti, con Gilbert Bécaud se ne vanno l’ex Beatle George Harrison, Joey Ramone dei Ramones, Perry Como, Joe Henderson, Aaliyah, John Fahey, John Lee Hooker, "Papa" John Phillips e Bianca Halstead delle Betty Blowtorch, uno dei gruppi più significativi del rock cattivo al femminile.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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