«Io sono Laura Bombonato, io ho gassato i giudei, io ho fucilato i comunisti, io ho impiccato gli zingari, ho assassinato i curdi… le bombe sulla Serbia: sono stata io. Io ho costruito prigioni sotterranee, con me i bambini costruiscono le mine antiuomo che più tardi li faranno a pezzi. Io ho chiuso centinaia di bambini in una scuola. Per colpa mia sono quasi tutti morti. Tutto questo non è avvenuto vicino a me, ma a casa mia. La tua morte è il concime per le mie verdure». Sono parole forti, pronunciate in prima persona dall’attrice spogliatasi dai panni della testimone in “Letze nacht, l’ultima notte”, una rappresentazione teatrale scritta da Jochen Dehn e ispirata ai bambini della scuola di Bullenhuser Damm che viene rappresentata per la prima volta giovedì 26 gennaio 2006 al teatro Comunale di Alessandria nell’ambito delle celebrazioni della Giornata della memoria. L’episodio da cui trae ispirazione è avvenuto nella notte del 20 aprile 1945 ad Amburgo quando venti bambini ebrei, uno dei quali di origine italiana, utilizzati per sperimentazioni sulla tbc vennero uccisi e poi fatti sparire per non lasciare tracce dei rivoltanti esperimenti. Protagonista e interprete della rappresentazione è l’attrice Laura Bombonato, geniale e ispirata regista di lavori come “54”, l’opera nata dalla collaborazione tra Wu Ming e gli Yo Yo Mundi, e il grande affresco “Resistenze: la banda Tom e altre storie partigiane” nato sempre nella factory targata Yo Yo Mundi. Non è uno spettacolo, ma una prova teatrale dura come un pugno nello stomaco per far capire che la memoria non è soltanto ricordo e per evitare che la melassa dei buoni sentimenti finisca per stemperare gli orrori fino a farli apparire lontani da noi. Il passato si interseca con il presente e il dramma assume nuove chiavi di lettura che chiamano direttamente in causa il mondo d’oggi. Nessuno è innocente se, come dice Laura, «i pregiudizi e il razzismo sono sostenuti, ieri come oggi, dall’indifferenza e dal silenzi di chi finge di non vedere». Per questa ragione “Letze nacht, l’ultima notte” cerca di non raccontare soltanto una storia antica, ma tende a far riflettere come i bambini siano ancora oggi vittime indifese nei luoghi dove si combattono guerre dimenticate o, peggio, presentate come giuste. «La rappresentazione vuole anche essere una metafora – aggiunge Laura – sulle società ricche ed evolute dell’Occidente che spesso dimenticano le nuove generazioni, private dei riferimenti e delle strutture di mediazione necessarie, abbandonate a un futuro che non possono che ignorare. La storia di quei bambini drogati con la morfina, impiccati e poi bruciati perché divenuti tracce imbarazzanti non può essere ricondotta solo a una sorta di momento di follia di massa e mummificata nel passato» La memoria non è soltanto ricordo, è vita, testimonianza, indignazione e capacità di battersi qui e oggi per la libertà contro tutti i mostri che portiamo con noi, dal razzismo, alla guerra, allo sfruttamento. Il tentazione di rimuovere l’essenza dei fatti e di non mettere in discussione la nostra responsabilità è la bestia da combattere. Laura, che nella ex scuola di Bullenhuser Damm c’è stata davvero ricorda che «dopo la caduta del nazismo e la sconfitta della Germania molti dei responsabili della strage di bambini vennero arrestati e condannati a morte. Il medico responsabile degli esperimenti fuggì e aprì una clinica per curare gli ammalati di tbc, salvo poi essere scoperto e condannato all’ergastolo qualche decennio dopo. L’edificio dove i bambini vennero uccisi pochi anni dopo guerra era tornata a essere una scuola e la stanza della mattanza era diventata un ricovero per le biciclette degli scolari del dopoguerra. Solo negli anni Settanta un giornalista tedesco riaprì le ferite e fermò la rimozione. Come vedi ogni volta la tentazione di rimuovere prevale su tutto. Io credo che non ci sia rimozione buona e rimozione cattiva». Ogni rimozione è una bomba a orologeria che minaccia il nostro futuro. Per questa ragione l’eccidio dei bambini ebrei di Amburgo viene mescolato con le vicende di oggi, per questo in “Letze nacht, l’ultima notte” neanche la protagonista della narrazione è innocente. La memoria non si riassume in un momento di stanca commemorazione.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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