05 luglio, 2019

6 luglio 1983 – Jean-Michel Jarre, un album in una sola copia


Il 6 luglio 1983 il francese Jean-Michel Jarre pubblica il suo nuovo album Music for supermarkets stampato in una sola copia. Battuto all’asta, il disco viene venduto per sessantanovemila franchi francesi. Non è la prima e non sarà l’ultima stravaganza del figlio del grande compositore francese di colonne sonore Maurice Jarre. Jean-Michel, nato il 24 agosto 1948 a Lione diventa alla fine degli anni Settanta, il simbolo della nuova musica francese. Diplomatosi al Conservatorio di Parigi, nel 1968 entra a far parte del Gruppo di Ricerca Musicale di Parigi, diretto da Pierre Shaffer. Nel 1972, appena ventiquattrenne, compone le musiche per "Aor", una coreografia di Norbert Schmuki e porta per la prima volta i suoni elettronici nel Teatro dell'Opera di Parigi, il tempio della classicità. Cinque anni dopo l’album Oxigene e il singolo omonimo scalano le classifiche di tutto il mondo. Jarre, musicista puro come Mike Oldfield, si caratterizza come un personaggio schivo con l'abitudine a lavorare da solo. La sua musica costituisce una sorta di sintesi cibernetica tra l'elegante e patinata creatività del padre e l'onirica immaginazione del rock sinfonico. Il successo di Oxigene gli vale il Grand Prix dell'accademia Charles Cross di Parigi e il titolo di “personaggio dell'anno” dalla rivista statunitense “People Magazine”. Pur continuando a pubblicare dischi di successo ritiene che la sua musica debba essere soprattutto eseguita dal vivo. Affascinato dall’idea di ambientare le sue composizioni in grandi ambienti aperti e di sperimentare nuove fusioni tra musica e immagine, il 14 luglio del 1979, a Parigi, in Place de la Concorde dirige di fronte a più di un milione di spettatori l'esecuzione all’aperto delle sue musiche corredata da giganteschi giochi di luce. Due anni dopo è il primo musicista moderno occidentale invitato a esibirsi nella Repubblica Popolare Cinese. La registrazione delle sue performances in Cina, pubblicata nel doppio live The Concert in China si trasforma in un nuovo successo mondiale. Compagno dell’attrice Charlotte Rampling, intelligente e colto, tornato dall'oriente dichiara di non sopportare le pressioni e i trucchi del music business, per il quale «contano soltanto i dischi venduti e non la musica». Per questa ragione realizza Music for supermarkets con la stessa cura di un album destinato al mercato, ma per contratto esso dovrà essere stampato in una sola, rarissima, copia.


5 luglio 1966 – I Beatles? Linciateli pure!


Il 5 luglio 1966 è l’ultimo giorno di permanenza dei Beatles a Manila, una tappa della loro tournée asiatica. Tutto è andato bene, nonostante il soliti eccessi d'entusiasmo del pubblico. Si sono rivelate infondate anche le preoccupazioni circa i rischi di contestazione in un paese cattolico come le Filippine dopo le dichiarazioni rilasciate da John Lennon un paio di mesi prima sui «Beatles più famosi di Gesù Cristo». Il clima nell'entourage del gruppo è eccellente. Un incidente, per la verità, c’è stato, ma appartiene più alla sfera diplomatica che al loro modo di concepire la vita. Nessuno dei quattro, infatti, se l’è sentita di partecipare a un ricevimento organizzato in loro onore dalla terribile Imelda, la moglie di Marcos, padre-padrone delle Filippine. Fino all’ultimo la rappresentanza diplomatica britannica a Manila ha fatto pressione perchè i quattro cambiassero idea, ma non c’è stato nulla da fare. «Siamo stanchi e poi ci annoieremmo a morte. Non ci va di essere ostentati come gioielli. Preferiamo starcene per conto nostro...». L’ufficio stampa della band ha ritenuto opportuno, comunque, inviare alla first lady una serie di fotografie autografate e vari regali di cortesia. Tutto a posto? Tutt’altro. Il presidente Marcos è furente con «quei quattro capelloni spocchiosi». Presto, però, sarà tutto finito. I Beatles e i loro collaboratori salgono sul piccolo corteo di auto che li deve condurre all’aeroporto. La folla che li attende è immensa. Un robusto cordone di polizia li protegge mentre entrano nella grande hall dell'aerostazione. Improvvisamente, però, gli agenti si ritirano e se ne vanno. Le migliaia di fans urlanti ci mettono un po’ a capire quello che sta succedendo, ma poi, aizzati da alcuni provocatori disposti in modo strategico, si accorgono che la band non più alcuna protezione. È un assalto. C’è chi tenta di strappare loro un pezzetto d’abito o una ciocca di capelli per ricordo, ma c’è anche chi lancia oggetti e brandisce bastoni con l’evidente scopo di colpire per far male. È la vendetta di Marcos che si materializza in questo modo. In tutta l’area dell’aeroporto non c’è più un solo agente in divisa. Protetti più dalla velocità delle gambe che dai loro collaboratori i quattro si riparano in un locale di difficile accesso. Potranno imbarcarsi sull’aereo soltanto dopo l’intervento della rappresentanza diplomatica britannica e grazie all'aiuto materiale e alla protezione di un nutrito gruppo di volontari scelti tra il personale dell’aeroporto.



04 luglio, 2019

4 luglio 1934 – Gegè Munari, un batterista jazz targato Napoli


Il 4 luglio 1934 nasce a Fratta Maggiore, in provincia di Napoli, il batterista Gegé Munari, all'anagrafe Eugenio Commonara, uno dei jazzisti più illustri della scuola napoletana. Lui è il secondo batterista di una famiglia di musicisti. Il primo è Pierino, mentre il padre suona il contrabbasso e il fratello Armando si alterna tra clarinetto, sassofono e violino. Quando nel 1944 arrivano gli alleati nella sua terra lui ha dieci anni ma è già inserito nella band famigliare nel ruolo di ballerino intrattenitore. La sua specialità è la "claquette", una sorta di tip tap veloce. All'inizio degli anni cinquanta diventa batterista. Per un po' sostituisce suo fratello Pierino poi si unisce a vari gruppi da ballo di Napoli, ma la sua passione non è la musica leggera. All'inizio degli anni Sessanta se ne va a Roma per dedicarsi quasi esclusivamente al jazz. Nell'inverno del 1964 suona al "Purgatorio" di Roma con una band di talenti che comprende, oltre a lui, Gato Barbieri, Enrico Rava, Franco D'Andrea e Gianni Foccià. La sua collaborazione con Barbieri continua l'anno successivo con la pubblicazione della colonna sonora del film "Una bella grinta", scritta da Piero Umiliani. Partecipa anche al festival di Bologna con Annie Ross e nella stagione invernale con Foccià e il pianista sudamericano Delgado Aparicio fa parte della struttura ritmica fissa che accompagna i grandi jazzisti ospiti del "Clubino" di Roma, come Sal Nistico, Dusko Gojkovic, Milt Jackson e altri del. Nel 1967 è tra i protagonisti dell'esperienza della Swingin' Dance Band di Marcello Rosa. La sua batteria accompagna anche i tout di Martial Solal e Lee Konitz. Quest'ultimo lo vuole con sé anche nella realizzazione dell'album Stereokonitz. Molto apprezzato nell'ambiente jazz accompagnerà alcuni tra i maggiori protagonisti della scena musicale internazionale, da Mary Lou Williams a Jon Hendriks, a Dizzy Reece, a Johnny Griffin, a Dexter Gordon, a Chet Baker, ad Art Farmer e molti altri.



02 luglio, 2019

3 luglio 1969 – Una data per gli Environs


Nel 1989, dopo la fine dell'esperienza dei Franti, il chitarrista, sassofonista e cantante Stefano Giaccone e la cantante Lalli formano a Torino un gruppo aperto che si muove sulla stessa strada del vecchio gruppo, amalgamando impegno politico e ricerca musicale. Dopo un singolo con le versioni di No man can find the war di Tim Buckley e di Todavia cantamos di Heredia Sosa, pubblicano un album che ha per titolo la data del 3 Luglio 1969. Nel disco vengono, tra l'altro, proposte versioni di Close Watch di John Cale e di My Funny Valentine di Rodgers e Hart. L’esperienza instabile degli Environs lascia un nuovo segno l’anno dopo, nel 1990 quando pubblicano l’album Cinque pezzi che raccoglie le musiche di Stefano Giaccone e Toni Ciavarra per l'"Antigone" messa in scena a Torino dalla compagnia teatrale Rote Fabrik.

2 luglio 1987 – Muore la mamma di Sting


Il 1987 è un anno di svolta nella carriera e nella vita di Sting. In primavera si ritira in isolamento per scrivere il materiale destinato al suo nuovo album. Quando, alla fine di giugno, sta ormai per entrare in sala di registrazione viene raggiunto dalla notizia che sua madre, da tempo malata di cancro, è in fin di vita. Il 2 luglio la donna, cui l’ex leader dei Police è molto legato, si spegne e questo fatto lo segna profondamente. Per non richiamare troppa folla intorno a un evento che considera strettamente personale è costretto a disertare i funerali. Nel frattempo la realizzazione del disco procede a rilento, un po’ per l’irrequietezza del cantante, un po’ per i numerosi impegni cui deve far fronte. Sempre in luglio tiene uno straordinario concerto con l’orchestra di Gil Evans allo stadio di Perugia dove si esibisce in occasione di “Umbria Jazz 1987”. A novembre vede finalmente la luce il nuovo album Nothing like the sun che arriva rapidamente al vertice delle classifiche dei dischi più venduti in quasi tutti i paesi d’Europa. Tra i brani più significativi dell’album c’è Fragile, una canzone di chiara ispirazione sudamericana la cui tristezza, più di altre, rispecchia lo stato d’animo del cantante. Qualche mese dopo il brano, insieme ad altri quattro tra cui la famosa They dance alone, dedicata alle madri dei desaparecidos argentini, verrà pubblicato anche in spagnolo, con il titolo di Fragilidad, nell’album Nada como el sol.


30 giugno, 2019

30 giugno 1963 – Yngwie Malmsteen, il chitarrista metallico che ama Bach


Il 30 giugno 1963 nasce a Stoccolma, in Svezia, il chitarrista Yngwie Malmsteen, uno dei più apprezzati chitarristi heavy metal degli anni Ottanta. Già a otto anni la sua principale passione è la chitarra. I genitori, lungi dall'ostacolarlo, lo mettono in contatto con i migliori maestri di quello strumento. La sua formazione musicale è intensa e decisamente classica. «Ascoltavo Bach e Mozart, ma non disprezzavo neanche i gruppi del rock progressivo che arrivavano in Svezia, come i Deep Purple e i Pink Floyd.» Quando a quattordici anni forma la band dei Rising ha già alle spalle una breve esperienza con i Powerhouse. Periodicamente registra le sue performance su nastri che invia poi in ogni parte del mondo ai talent scout delle case discografiche. Il primo ad accorgersi di lui è Mike Varney, che gli telefona e lo convince a raggiungerlo a Los Angeles città dove, gli dice, «c'è fame di buoni chitarristi». Il ventenne Yngwie se ne va così dall'altra parte dell'oceano e ottiene la sua prima scrittura come chitarrista degli Steeler di Ron Keel. Le sue virtù attirano l'attenzione di band di primo piano della scena heavy degli States, ma tra tutte le proposte lui accetta quella del cantante Graham Bonnet, che ha alle spalle un paio d'esperienze interessanti con i Rainbow e con il Michael Schenker Group. I due formano così gli Alcatrazz, con il bassista Gary Shea, il batterista Jan Uvena e il tastierista Jimmy Waldo. L'avventura non dura molto perché, nel 1984, dopo un paio di album Yngwie saluta e se ne va. Intenzionato a non farsi più imprigionare in schemi troppo rigidi forma una propria band d'accompagnamento, i Rising Force, e debutta come solista. L'album si intitola Rising force come il nome della sua band. Il pubblico e la critica mostrano di gradire le sue scelte a anche gli album successivi vengono accolti bene. Quando tutto sembra andare ormai per il verso giusto nel 1987 Yngwie resta fermo per un lungo periodo con un braccio bloccato dai postumi di un grave incidente stradale. Si riprende l'anno dopo e nel 1989 va in Unione Sovietica a registrare in due tornate successive lo splendido live Trial by fire - Live in Leningrad con Barry Dunaway al basso. Gli anni Novanta e la sostanziale ripetitività dell'heavy metal lo stimoleranno a cimentarsi su altre strade come la realizzazione dell'album No mercy, contenente una lunga serie di brani classici eseguiti con l'accompagnamento di un'orchestra di strumenti a corda. Nonostante tutto, però, non rinnegherà mai il furore del metallo che gli ha dato la notorietà.


29 giugno, 2019

29 giugno 1910 – Il colonnello Parker, dal circo a Elvis


Il 29 giugno 1910 nasce in West Virginia Tom Parker soprannominato "Il Colonnello", l'artefice principale del successo di Elvis Presley di cui resta confidente, consigliere e manager per tutta la carriera e del cui mito continuerà a occuparsi anche dopo la sua morte. Praticamente dalla nascita Parker cresce nell'ambiente del circo e quando si può reggere da solo sulle gambe si occupa di svariate incombenze in una sorta di spettacolo itinerante messo in piedi da suo zio e che gira l'America con il nome di "The Great Parker Pony Circus". Per lungo tempo la sua vita scorre nell'ambiente delle attrazioni viaggianti, dei saltimbanchi e dei circhi, prima come addetto stampa e, dagli anni Quaranta, come impresario e promotore di spettacoli in cui i numeri da circo si alternano a intermezzi country. Diventa così manager di vari esponenti di spicco del country di quel periodo come Hank Snow ed Eddy Arnold. La sua decisione, venata da malcelate inclinazioni autoritarie gli valgono nel 1953 titolo onorifico di "colonnello", che gli viene ufficialmente conferito nel corso di una spiritosa cerimonia svoltasi nel 1953 in Tennessee e che gli resterà appiccicato per tutta la vita. Una sera, dopo averlo ascoltato in concerto nell'Arkansas, offre i suoi servigi a Elvis Presley. Nel novembre del 1955 mette a segno il suo primo colpo vendendo il contratto già firmato da Presley con la Sun Records alla RCA Victor. La sua influenza determina anche l'atteggiamento da tenere in alcune scelte cruciali della sua vita di Elvis. È Parker che gli suggerisce di non sottrarsi al servizio di leva e di continuare a pagare le tasse anche quando risiederà alle Hawaii, perché questo è quello che deve fare ogni "buon americano". È sempre lui che quando il rock and roll inizia a declinare lo convince a dedicarsi maggiormente al cinema e alla sua intuizione si deve, passata la buriana del beat, il ritorno sensazionale di Elvis sulla scena musicale alla fine degli anni Sessanta. Il "Colonnello" Parker è tuttora considerato l'esempio del perfetto manager dello show-businnes statunitense. In realtà il suo lungo legame con Elvis Presley è la dimostrazione dell'intelligenza di entrambi che fa sì che lo spirito di collaborazione tra l'ex impresario circense e la star del rock and roll rimanga inalterato anche dopo il successo planetario del cantante. Alla morte di Presley sarà sempre il "Colonnello" Parker, per lungo tempo affiancato dal padre di Elvis, a occuparsi dell'immagine e degli interessi commerciali legati al suo mito. Muore a Las Vegas il 21 gennaio 1997.



28 giugno, 2019

28 giugno 1950 – Jaybird, un bluesman dell'Alabama


Il 28 giugno 1950 muore a Tuskegee, in Alabama, il leggendario cantante, armonicista e chitarrista blues Jaybird Coleman. Ha soltanto cinquantaquattro anni, ma ne dimostra molti di più. La vita di strada ha, infatti, lasciato segni pesanti sul suo corpo, in particolare sul volto e sulle mani. Nato nel 1986 a Gainesville, viene registrato all'anagrafe con il nome di Burl C. Coleman e, salvo per il periodo del servizio militare, si può dire che raramente abbia varcato i confini dell'Alabama. Sulle polverose strade dello stato che l'ha visto crescere, infatti inizia a soffiare in una vecchia armonica raccattata chissà dove quando non ha ancora compiuto dodici anni. Lo fa così bene che il numero degli ascoltatori aumenta ogni volta. Con i primi soldi della questua si procura anche una vecchia chitarra che impara a suonare da solo. I suoi due strumenti lo seguono anche nel lungo periodo passato sotto le armi. Quando viene congedato, nel 1918 si trasferisce a Bessemer, una cittadina nei pressi di Birmingham. Le comunità nere della zona ne fanno un idolo locale e gli regalano il nome d'arte di Jaybird. Pur entrando nella formazione della Birmingham Jug Band non rinuncia al piacere di esibirsi da solo ogni volta che sia possibile. La strada è il suo regno, le feste un'occasione di lusso per esibirsi. Non ci sono ricorrenze famigliari o cerimonie varie che non lo vedano protagonista. La sua popolarità non conosce limiti e un giorno riesce a ottenere anche un modesto contratto discografico. Incapace di adattarsi alle regole ferree delle sale di registrazione Jaybird registra quando può e, soprattutto, quando non ha niente di meglio da fare. Nonostante tutto nel 1927 la Gennett pubblica i suoi primi dischi. Tre anni dopo, terminata una seduta per la Columbia con la Birmingham Jug Band decide di chiudere con i dischi. Ritorna a vagabondare e accompagna fino alla morte lungo le strade dell'Alabama la cognata Lizzie Coleman, cantante e intrattenitrice.



26 giugno, 2019

27 giugno 1970 – Lady Barbara


Il 27 giugno 1970, sull'onda del successo ottenuto alla manifestazione "Un disco per l'estate", arriva al primo posto della classifica dei singoli più venduti in Italia il brano Lady Barbara. La interpreta Renato Brioschi o, come recita la copertina del disco, Renato dei Profeti, dal nome della band di cui è leader. Resterà al vertice delle classifiche di vendita per oltre quattro mesi, ispirerà un film omonimo e diventerà una delle canzoni simbolo di quello che qualcuno, con un po' d'azzardo, chiamerà "pop sinfonico italiano". Il brano, in realtà, è una furba operazione d'aggancio con le sonorità del pop inglese di quel periodo: una melodia romantica supportata da un sontuoso arrangiamento in stile sinfonico, ricco d'archi. Lady Barbara segna la definitiva rottura tra il cantante e la sua band, che proseguirà in proprio. Il buon Renato, non più "dei Profeti", non riuscirà più a bissare lo straordinario successo del suo debutto come solista, anche se pian piano comincerà a farsi apprezzare come autore e produttore. Nel 1975 una sua canzone, Giochi senza età, passata quasi inosservata in Italia diventerà un grande successo in terra di Francia con il titolo La peure d'aimer nell'interpretazione di Jean Chevalier, il figlio del famoso Maurice. La vicenda si ripete qualche anno dopo quando un altro brano, Io voglio vivere viene snobbato dai discografici italiani ma diventa un successo internazionale nella versione francese di Gerard Lenorman. Come produttore è stato uno dei primi a credere in Eros Ramazzotti e, soprattutto, ha rischiato operazioni di qualità anche se non baciate dal successo, come la produzione di Gunfire, l'unico disco da solista del batterista Andy Surdi. La sua carriera di cantante sembra, invece, contraddire il coraggio dimostrato in altri campi. Costretto a ripetere all'infinito Lady Barbara per un pubblico in vena di ricordi, nel 1986 accetta persino di partecipare alla "reunion" nostalgica dei Profeti.


25 giugno, 2019

26 giugno 1976 – Parco lambro, l’ultima Festa del Proletariato Giovanile


Il 26 giugno 1976 al Parco Lambro di Milano si apre la VI Festa del Proletariato Giovanile. Sesta e ultima. Organizzata dalla mitica e discussa testata dell’underground milanese Re Nudo con l’adesione di altre riviste come Falce e martello, A Rivista Anarchica, Umanità Nova e Rosso nonché di organizzazioni come il Partito Radicale, Lotta Continua e la IV Internazionale, promette «tre giorni di musica, cultura e dibattito politico». Come spesso accade le sigle non significano niente. Ogni ragazza e ogni ragazzo che confluisce in quell’immenso e spelacchiato spiazzo dove la terra e la polvere finiscono rapidamente per avere il sopravvento sulle sparute zolle d’erba rappresenta, innanzitutto se stessa o se stesso e la propria storia. Non è una festa asettica né viene percepita come tale, ma la vera molla della partecipazione è l’idea di passare cinque giornate in una sorta di paradiso possibile dove l’impegno politico e la gioia di vivere si mescolano con musica e divertimento. Se si fa l’analisi politica delle appartenenze ci sono gli anarchici, i radicali, i trotzkisti, quelli di Lotta Continua e dell’autonomia, tutti rappresentati nel cartello organizzatore, ma non mancano gruppi nutriti e visibili di militanti dell’MLS o di Avanguardia Operaia, giovani iscritti al PCI e al PSI, hippies un po’ fuori tempo e un gran numero di ragazzi e ragazze arrivati fin lì per esserci, vedere che cosa succede, ascoltare la musica e farsi sostanzialmente i fatti propri. I tempi sono frizzanti. Nelle elezioni politiche il PCI, che l’anno prima ha trionfato nelle consultazioni regionali cogliendo i frutti del clima nuovo che si respira nel paese, ha sfiorato il sorpasso della DC. La complicata e variegata galassia delle organizzazioni extraparlamentari di sinistra sta discutendo sulla possibilità di unificare gli sforzi per spostare in avanti teoria, prassi, comportamenti e vanità. Tra gli organizzatori (o in gran parte di essi) si dà quasi per scontato che il “dibattito” sull’argomento sia una passione che finirà per attraversare quasi per grazia divina tutto quel magma che viene definito “proletariato giovanile”. Molte sono le voci che vedono in questa definizione una sorta di nuovo soggetto politico da contrapporre a quello di “classe” e in ogni caso quasi tutti sono convinti che l’appuntamento al Parco Lambro debba essere per forza uno snodo fondamentale di questo dibattito. Chi osa soltanto pensare che il “proletariato giovanile” più che un concetto politico sia solo una semplificazione linguistica per definire una realtà frammentata e complessa di umori, speranze, bisogni, passioni e (perché no?) indifferenze, viene tacciato sostanzialmente di disfattismo. L’elemento centrale dell’evento dovrebbe essere, comunque, la musica. Tanta, buona e militante. Tutti gli artisti in programma, con l’eccezione parziale dell’unica “star” internazionale Don Cherry, sono accasati con etichette che oggi si chiamerebbero “indipendenti” (Ultima Spiaggia, Cramps, Intingo solo per citare le più note). Tra gli artisti annunciati ci sono, oltre al già citato Don Cherry, Sensations’ Fix, Ricky Gianco, Eugenio Finardi, Taberna Mylaensis, Canzoniere del Lazio, Area, Tony Esposito, Agorà, Carrozzone, Paolo Castaldi, Gianfranco Manfredi e un’infinità di improvvisate. Nessuno di loro percepisce il becco di un quattrino salvo un rimborso garantito soltanto a chi non è accasato con nessuna casa discografica. La scelta “indipendente” è rigorosa anche nella scelta di affidare la registrazione dei concerti all’etichetta “indipendente” Laboratorio che poi ne pubblicherà una parte nell’album Parco Lambro. Il cuore pulsante di quello che oggi chiameremmo con un po’ di disinvoltura “evento” è o dovrebbe essere la musica da vivere nella più completa libertà in un’area libera dalle suggestioni del capitale e, almeno in teoria, della società dei consumi. Gran parte dei ragazzi e delle ragazze che arrivano lì hanno in mente questo. Contrariamente a quanto scritto in postume esaltazioni, ma anche in postume denigrazioni, l’ingresso non è libero. C’è una tessera per tutte le giornate che costa 1.000 lire. Dà diritto all’ingresso e basta. Per la verità occorre riconoscere che con il procedere delle ore e delle giornate il numero di chi passa senza pagare nulla da varchi improvvisati tenderà a crescere. Il servizio d’ordine messo in piedi dagli organizzatori infatti, soprattutto negli ultimi giorni, è più occupato a sedare o a collaborare ai vari tumulti per occuparsi di portoghesi e autoriduttori o per presidiare militarmente il recinto che cinge il parco. Con o senza biglietto chi entra si trova in una sorta di grande e colorata fiera di stand politici e commerciali, iniziative, proposte e momenti di discussione, divertimento o anche soltanto di chiacchiera. Gli stand politici offrono materiale vario e anche vettovaglie e bevande a prezzi inizialmente modici e comunque inferiori a quelli dei chioschi affittati ai privati. I luoghi destinati alla musica sono fondamentalmente due: il palco centrale per i concerti degli artisti “da cartellone” e un prato laterale per le improvvisazioni e la musica acustica. Lo stesso prato ha il compito di ospitare anche dibattiti, spettacoli, teatrali, massaggi e momenti di meditazione collettiva. Nelle intenzioni e anche nella dislocazione la VI edizione della Festa del Proletariato Giovanile sembra davvero aver fatto tesoro delle esperienze precedenti visto che solo pochi anni prima sulle rive del Ticino a Zerbo in provincia di Pavia il “proletariato giovanile” si erano ritrovato, per dirla con Finardi, «a fare Woodstock sulla riva del fiume» attrezzati con acqua, sole e poco altro. Insomma, tutto dovrebbe andare per il verso giusto, ma non è così. Fin dalla sua costruzione la VI Festa del Proletariato Giovanile sembra nascere sotto nefasti auspici. Il Comune di Milano, che pure concede l’uso del Parco, nega l’allacciamento dell’acqua e decide di non svolgere il servizio di pulizia concordato. Per l’acqua in qualche modo si supplisce anche perché il cielo spesso fa le bizze, ma per la pulizia ben presto il fai da te lascia spazio al più prevedibile letamaio diffuso. I dispetti del Comune non finiscono qui visto che, inopinatamente, arriva anche a interrompere la fornitura di energia elettrica. Per metterci una pezza gli organizzatori sono costretti a noleggiare generatori e ad aggiustarsi con allacciamenti di fortuna. Tutto questo sotto una pioggia battente e di fronte a decine di migliaia di persone arrivate nel pomeriggio e costrette ad attendere per ore tra acqua e cavi sparsi l’inizio dei concerti. Nonostante tutto la Festa parte e la musica riesce a far dimenticare i piccoli inconvenienti. Le difficoltà, però, se da un lato rendono epiche le giornate e i concerti, dall’altro fanno da catalizzatore delle differenze e del nervosismo latente che attraversa i rapporti tra i vari gruppi che compongono quello che oggi definiremmo “movimento”. Le contraddizioni si mutano in conflitto e la dialettica muore di fronte al vibrare della violenza. A dispetto delle ricostruzioni un po’ forzate va subito detto che la maggioranza dei ragazzi arrivati al Parco Lambro non è direttamente protagonista degli episodi più inutili e odiosi. La parte musicale finisce per diventare un’oasi di ristoro e viaggia per conto suo mentre la maionese della politica impazzisce e invece di amalgamarsi finisce per separare irrimediabilmente i suoi componenti. L’idea di una Festa che si trasforma in una rissa generale è stata inventata dai media dell’epoca e anche dall’eccessiva enfasi data da ogni gruppo alle responsabilità degli “altri”. Il casino coinvolge una frangia corposa ma non la totalità dei partecipanti che osserva con curiosità e qualche volta con stizza quel che accade. Tutto accade nel secondo giorno. La situazione precaria delle strutture e l’afflusso di persone superiore a quello previsto fanno sì che gli stand (anche quelli politici) si adeguino rapidamente alle leggi di mercato applicando consistenti aumenti a panini e bevande (una lattina di birra vine portata a 350 lire da tutti). La stessa regola, con qualche aggiustamento verso l’alto, viene applicata anche dallo stand dei polli arrosto per recuperare le perdite subite con il cattivo funzionamento dell’impianto elettrico. Il disagio provocato da queste decisioni invece di essere risolto con una discussione che coinvolga tutti, compresi i gruppi politici che nei loro stand si sono adeguati all’andazzo generale, provoca la rottura del fragile equilibrio tra le componenti. Ciascuno cerca di egemonizzare la protesta per proprio conto. Il gioco a “chi ce l’ha più lungo” vede un’escalation di azioni “esemplari”. La più pericolosa è il tentativo di esproprio proletario al vicino Supermercato di Via Feltre, che rischia di dare il pretesto alla polizia per entrare nel parco affollato da migliaia di ragazzi e ragazze arrivati solo per la musica. Poi ci sono le “bravate” inutili come l’assalto alla “Capanna dello Zio Tom”, uno storico chiosco del parco, e il saccheggio del furgone che trasporta i polli surgelati destinato a diventare il simbolo negativo delle giornate. Infine ci sono le cazzate, vale a dire, regolamenti di conti interni ai servizi d’ordine e ai militanti delle varie organizzazioni con qualche pestaggio sparso e la distruzione totale dello stand del FUORI, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, per la prima volta presente e non senza discussioni alla Festa. L’unica iniziativa utile appare l’occupazione del vicino Istituto “Molinari” che consente ai partecipanti di non passare la notte sotto la pioggia. L’esplosione violenta delle contraddizioni lascia tracce pesanti sulla Festa e non solo perché evidenzia come il grosso dei partecipanti non si sia lasciato coinvolgere dalle “paturnie” e dagli scazzi, ma perché il rischio è che salti tutto. Viene quindi indetta un’assemblea per decidere il da farsi. Inizia nel prato destinato ai dibattiti ma poi, vista la scarsa partecipazione, si trasferisce sul Palco Centrale per “coinvolgere tutti”. In realtà non riesce ad appassionare il grosso dei ragazzi e delle ragazze e quando poco più di un migliaio votano per alzata di mano la stragrande maggioranza decide che è tempo di smetterla con le cazzate e di andare avanti con la musica. I concerti continuano e restano nel cuore di chi ci è stato come una gemma preziosa da portare nel proprio scrigno dei ricordi. Non così per le valutazioni politiche di fatti che vedono la rottura in mille rivoli del movimento. Alcuni degli artisti presenti mettono in musica questi concetti. E se Gianfranco Manfredi canta lo sgomento di fronte al riemergere delle divisioni («E stiamo tutti insieme, ma ognuno sta per sé/la ricomposizione si sogna ma non c’è/ognuno nel suo sacco o nudo fra il letame/solo come un pulcino bagnato o come un cane») Eugenio Finardi va giù duro e diretto («All’alba del ‘76 il mito era crollato/perso nei calci a un pollo surgelato/tra fiumi di cazzate nella foga del momento/ci si prende a sprangate anche dentro al movimento»). Negli anni successivi in molti rifletteranno su quegli episodi a partire dallo stesso Andrea Valcarenghi, deus ex machina della Festa, fondatore e direttore di “Re Nudo” che in “Non contate su di noi” scrive «Nessuno ipotizzò quello che sarebbe successo, nessuno accennò alla possibilità che la proiezione collettiva dei fantasmi della disperazione avrebbe materializzato mostri da combattere. Nessuno previde che per tanti di noi ancora è necessario darsi un nemico esterno per potere sentirsi uniti contro qualcosa o qualcuno…». C’è il senso della delusione e dello sfacelo in quelle anche l’analisi non si può concludere lì. La VI Festa del Proletariato Giovanile ha messo a nudo le contraddizioni e i limiti delle organizzazioni extraparlamentari e l’incapacità di percepire le diversità come un valore. Ha messo in discussione l’idea della continua frantumazione organizzativa pian piano degenerata in una sorta di guerra per bande poco politica e molto adolescenziale (indipendentemente dall’età dei partecipanti). Scrive Marisa Rusconi nell’introduzione al libro fotografico “La Festa del Parco Lambro”: «…Proprio lì, dallo sfacelo del mito di un certo modo di stare insieme... c’era già l’embrione di un nuovo movimento, o meglio, della trasformazione del movimento e della sua separazione in diversi filoni, spesso contraddittori…». Ecco, forse la chiave è proprio lì. Nel giugno 1976 finiva un’epoca e ne iniziava un’altra. Il crocevia era nel Parco Lambro anche se, come spesso succede, chi c’era non poteva accorgersene.


24 giugno, 2019

25 giugno 1949 – Nasce la classifica della musica nera


Il 25 giugno 1949 vengono per la prima volta pubblicate negli Stati Uniti le classifiche dei dischi rhythm and blues più venduti. In un paese in cui all'epoca per gran parte degli uomini e delle donne dalla pelle nera i diritti umani sono ancora da conquistare  il segnale è importante al punto che di lì a poco gli sviluppi della musica nera contribuiranno a cambiare i gusti del pubblico bianco, soprattutto giovane, che, sedotto dalla ritmica e dai vocalizzi della musica dei neri, finirà per rifiutare le orchestrazioni pop derivate dai musical. Le classifiche di vendita del rhythm and blues sono in realtà un modo per dare spazio, anche se in un contenitore separato, alla musica nera. Il termine “rhythm and blues” infatti viene utilizzato per indicare la musica leggera nera di quel periodo, cioè la musica esplosiva e ritmata destinata a quella parte della popolazione che era ancora esclusa dai club, dai teatri e dai cinema di prima visione.



23 giugno, 2019

23 giugno 1950 – Il sogno di Bom-Bay Carter


Il 23 giugno 1950 a Chicago, nell’Illinois, nasce Bom-Bay Carter, uno dei protagonisti della generazione degli anni Settanta dei bluesmen chicagoani. All'anagrafe si chiama William Carter, ma nessuno più se lo ricorda, così come nessuno ricorda quando e come gli sia stato messo il nomignolo di Bom-Bay. A chi glielo chiede risponde che non c'è alcun significato particolare e che è sempre stato chiamato così. Suo padre è di Dan Richmond, uno che con l’armonica e la chitarra ci sa fare. Per la verità ci sa fare anche il piccolo Bom-Bay che invece di andare a scuola preferisce passare le ore in giro per le strade a soffiare nell'armonica. A sette anni la sua carriera scolastica si può già dire compromessa. Sembra che agli insegnanti non piaccia il suono dell'armonica, soprattutto quando stanno parlando, ma lui insiste a suonare anche nelle ore di lezione. Gli sembra che il mondo della scuola funzioni all'incontrario: in strada tutti insistono perché suoni, in aula non vedono l'ora che la pianti. Il mondo degli adulti non gli piace, ma ritiene che, in fondo, non sia un suo problema. Non ha ancora compiuto dieci anni e già si diverte a suonare anche la chitarra. Il padre lo incoraggia a continuare. È un osso duro il ragazzino, non molla mai e dopo l'armonica e la chitarra scopre il basso elettrico. Si esibisce per un po' con gli amici di suo padre, ma poi decide di tentare la fortuna da solo. Ha quindici anni quando inizia a suonare in alcuni locali della West Side e della South Side di Chicago ma non è proprio da solo. I primi contratti riguardano un duo composto, oltre lui, dal chitarrista Charles Griffin, detto anche "Little Nick". È l'inizio di una lunga carriera che si svolgerà prevalentemente a Chicago perché il ragazzo non ama viaggiare e, soprattutto, pensa che il blues sia davvero blues solo a Chicago. Negli anni Sessanta suona spesso con Lee Jackson e Johnny Young, ma non è indifferente al richiamo di nomi come Richard Gary, Howlin’ Wolf, Sunnyland Slim e Homesick James. Inafferrabile e volubile non si fa legare da nessuno, anche se nel 1972 entra per un po' nella formazione di J. B. Hutto e accetta addirittura di andare in tournée. Non abbandona però la sua band personale, che lui stesso ha chiamato Blues Unlimited, con cui registra nel 1974 i primi dischi. Il suo sogno, non tanto segreto, è però quello di aprire un proprio locale a Chicago. Ci riuscirà alla fine del 1975 quando inaugurerà il “Black Spider” con un concerto che durerà fino alla mattina.




21 giugno, 2019

21 giugno 1968 – I Deep Purple? Cinque ragazzi di campagna


Il 21 giugno 1968 la Parlophone, un'etichetta minore di proprietà della EMI, pubblica Hush, il primo singolo di una nuova band britannica che risponde al nome di Deep Purple. Il brano non sembra niente di speciale, ma in breve tempo arriva ai primi posti delle classifiche statunitensi. L'avvenimento spinge la critica e i media a dedicare un po' più d'attenzione a quello che, fino a qualche tempo prima, era considerato uno dei tanti gruppi che popolavano la scena musicale britannica di quel periodo. Scoprono così che questi cinque "ragazzi della selvaggia campagna dell'Hertfordshire", non sono proprio dei novellini. Il carismatico tastierista John Lord, l'anima del gruppo, ha precedenti importanti nel jazz e una lunga militanza negli Artwoods, mentre il bassista Nicky Simper è reduce dall'esperienza di Johnny Kidd & The Pirates. Il chitarrista risponde al nome di Ritchie Blackmore, un vagabondo che negli anni precedenti è stato anche in Italia con i Trip e ha accompagnato per qualche mese Riki Maiocchi, l'ex cantante dei Camaleonti. Il batterista Ian Paice e il cantante Rod Evans sono stati, infine, recuperati con annunci sulla stampa specializzata. Questo è dunque il gruppo che ha conquistato l'America fin dal primo disco. Un colpo di fortuna? Sono in molti a crederlo e qualcuno si azzarda anche a scriverlo con il rischio di fare l'ennesima figuraccia. I "cinque ragazzi di campagna", infatti, alla faccia degli scettici, dopo un annetto passato a mettere a punto le idee entusiasmeranno il mondo e diventeranno uno dei più grandi gruppi hard rock di tutti i tempi. L'assestamento definitivo della band coinciderà con il primo cambiamento di formazione. Nicky Simper e Rod Evans verranno sostituiti dal bassista e dal cantante degli Episode Six: Roger Glover e Ian Gillan. La scelta sarà determinante per la continuità, ma soprattutto per la personalità della band. Nel 1970 l'album Deep Purple in rock segnerà l'inizio della loro folgorante ascesa vendendo più di un milione di copie mentre le tranquille classifiche dei singoli, caratterizzate in quel periodo da tanti brani gradevoli e rassicuranti, verranno sconvolte dall'arrivo di un ciclone sonoro come Black night, considerato ancora oggi uno dei primi esempi di heavy metal commerciale. Il mondo intero imparerà così ad amare la voce selvaggia di Ian Gillan, la nitida sonorità della chitarra di Ritchie Blackmore, il talento creativo di Lord e le atmosfere sonore delle sue tastiere.



19 giugno, 2019

19 giugno 1971 - Chirpy chirpy cheep cheep


Il 19 giugno 1971 al vertice della classifica britannica arriva il brano Chirpy chirpy cheep cheep interpretato dai Middle Of The Road, una band fino a quel momento sconosciuta dal grande pubblico e formata dalla cantante Sarah Carr, dal bassista Eric Campbell Lewis, dal chitarrista Ian Campbell Lewis e dal batterista Ken “Ballantyne” Andrew. La loro storia inizia alla fine degli anni Sessanta quando si formano a Glasgow con il nome di Part Four. Successivamente decidono di cambiare nome in Los Caracos dopo aver modificato il loro repertorio dedicandosi alla musica latina. Non sono artisti professionisti. Come molti giovani appassionati di quel periodo di giorno lavorano di giorno e alla sera suonano. Nel 1970 cambiano ancora nome. Diventano Middle Of The Road e decidono di provare a dedicarsi alla musica a tempo pieno. Dopo essere arrivati in Italia per un tour, vengono scritturati dal produttore Giacomo Tosti e restano qui da noi. Da quel momento grazie anche alle canzoni scritte dal britannico Lally Stott, iniziano a conquistare le classifiche europee con un sound estremamente commerciale e affine alla "bubble gum music” d’oltreoceano. Tra i loro principali successi ci sono Chirpy chirpy cheep cheep, Tweedle dee tweedle dum, Soley soley, Sacramento e Samson & Delilah. In due anni la band passa dall'anonimato al successo per tornare poi nell'anonimato più assoluto dopo aver venduto cinque milioni di dischi.


09 giugno, 2019

9 giugno 1943 - Kenny Barron, rivitalizzatore delle tecniche pianiste afro-americane


Il 9 giugno 1943 nasce a Philadelphia, in Pennsylvania, il pianista e compositore Kenneth "Kenny" Barron fratello del sassofonista Bill Barron. Dotato di uno stile vigoroso è considerato dalla critica uno degli artefici della rivitalizzazione delle tecniche pianiste afro-americane nel jazz degli anni Settanta. Fin da piccolo è immerso nell'ambiente musicale e per qualche periodo studia con la sorella di Ray Bryant. A quattordici anni ottiene la prima vera scrittura della sua carriera ed entra a far parte della band diretta da Mel Melvin, nella quale suona anche suo fratello, che probabilmente ha svolto un ruolo attivo nella vicenda del suo ingaggio. Due anni più tardi è con Philly Joe Jones e nel 1960 si sposta a Detroit per accompagnare la band di Yusef Lateef, disposto a tenerlo con sé per lungo tempo. Non dura. Ben presto, infatti, cede alle lusinghe della "grande mela" e se ne va a New York in cerca di fortuna. Qui per qualche tempo sbarca il lunario con varie scritture recuperategli dal fratello, ma poi trova finalmente una collocazione più stabile nella band di Ted Curson. Gli bastano pochi mesi per farsi notare e attirare l'attenzione dei protagonisti della scena jazz newyorkese di quel periodo. Alla fine del 1961 fa parte del sestetto di James Moody che lascia per entrare nel gruppo di Roy Haynes. Il suo vagabondare sembra finalmente giunto al termine nel 1962 quando prende il posto di Lalo Schifrin nel quintetto capeggiato da Dizzy Gillespie. Ci resterà quattro anni, poi riprenderà a girovagare alternando esperienze solistiche a collaborazioni importanti suonato con jazzisti del calibro di Freddie Hubbard, Jimmy Owens, Stanley Turrentine, il suo amico Yusef Lateef, Milt Jackson, Jimmy Heath, Stan Getz, Ron Carter e Buddy Rich, solo per citarne alcuni. A partire dal 1973 inizierà a insegnare teoria musicale, armonia e pianoforte presso la Rutgers University dove incontrerà un nuovo compagno d'avventure nel chitarrista Ted Dumbar.


08 giugno, 2019

8 giugno 1978 – Il primo album dei Dire Straits


L'8 giugno 1978, dopo qualche rinvio e non poche preoccupazioni, la Phonogram immette sul mercato il primo album di una nuova band: i Dire Straits. Il titolo del disco è lo stesso nome del gruppo. Inizia così la scalata al successo di una delle band più importanti del passaggio tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, composta dai chitarristi Mark e David Knopfler, dal bassista John Illsley e dal batterista Pick Whiters. L'album è stato realizzato negli Island Studios di Basing Street a Londra sotto le attente cure di Muff Winwood, fratello del famoso chitarrista Steve Winwood, e di Rhett Davies, un tecnico del suono con la fama di poter trasformare in oro tutto ciò che tocca. «Cerchiamo di fare presto e bene, perché abbiamo un budget molto limitato…» Queste sono le prime parole che ascoltano quando entrano in sala di registrazione. Il limite di spesa da non superare è di dodicimilacinquecento sterline: pochi per fare follie, ma sufficienti a produrre un buon disco. Tempo da perdere non ne hanno neanche i Dire Straits che da mesi hanno messo a punto undici brani tra i quali scegliere gli otto da inserire nell'album. Con un po' di rammarico accettano di scartare uno dei loro cavalli di battaglia negli spettacoli dal vivo: Nadine di Chuck Berry. Alla fine saranno quattro le canzoni sacrificate, perché proprio in una delle pause tra una seduta di registrazione e l'altra nasce Lions una canzone che entusiasma lo staff della produzione. Oltre al brano di Berry vengono così scartate Sacred loving, Eastbound train e Real girl. È interessante notare come successivamente tutti e tre gli "scarti" verranno recuperati, primo fra tutti Eastbound train che fa da retro al primo singolo della band Sultans of swing, pubblicato qualche settimana prima dell'album con funzioni di trailer. Nonostante le preoccupazioni e il budget limitato l'album Dire Straits risulta più che gradevole e curato in ogni dettaglio. Non è un disco destinato a vendere milioni di copie, ma fa da trampolino allo straordinario successo che attende il gruppo negli anni successivi. Nei brani si respirano già le atmosfere sonore che saranno la caratteristica più importante dei Dire Straits e anche la critica, inizialmente tiepidina, finirà per rivalutarne l'importanza fino a considerarlo come una delle migliori produzioni del gruppo.



01 giugno, 2019

1 giugno 1940 – Yolande Bavan, la cingalese dalla voce stregata


Il 1° giugno 1940 nasce a Ceylon, in quell'isola che oggi si chiama Sri Lanka, la cantante Yolande Bavan e il nome con cui viene registrata all'anagrafe dell'isola è quello di Yolande Mari Wolffe. Suo padre è un pianista professionista che fin dal primo giorno di vita della piccola immagina per lei un grande futuro da concertista. Non ha ancora compiuto tre anni quando inizia a studiare il pianoforte. Più che una bambina prodigio è una sorta di "forzata della tastiera", tanto che, verso i dieci anni, stanca di passare le ore davanti alla lunga serie di tasti bianchi e neri non abbandona gli studi musicali, ma passa al violoncello. La musica strumentale, soprattutto quella classica e sinfonica, e la ripetitività dei concerti l'annoiano. In più vorrebbe coltivare meglio la sua voce perché, dopo anni passati a suonare si accorge che le piacerebbe fare la cantante. All'inizio degli anni Cinquanta è ancora una bambinetta quando scopre il jazz e se ne innamora. Con l'aiuto determinante del direttore d'orchestra australiano Graeme Bell e, soprattutto, della pianista giapponese Toshiko Akiyoshi diventa una piccola celebrità, non solo nel suo paese, ma anche in Australia. Quando, nel 1955, compie quindici anni ha già all'attivo un paio di tournée australiane e può contare su un programma settimanale interamente dedicato a lei dalla radio cingalese. L'anno dopo decide di trasferirsi nella vecchia Europa. Anche a Londra la sua voce "stregata", ricca di sonorità estranee alla tradizione jazzistica occidentale, affascina l'ambiente del jazz. Per qualche anno passa da un gruppo all'altro, senza soluzione di continuità. Tra gli artisti che, in momenti diversi, la vogliono al loro fianco, ci sono Joe Harriott, Vic Ash e Humphrey Lyttelton. Nel 1962 quando Annie Ross è costretta per motivi di salute a lasciare il trio vocale Lambert, Hendricks & Ross, famoso in tutto il mondo per le sue vocalizzazioni di temi famosi, Dave Lambert e John Hendricks chiedono proprio alla ventiduenne Yolande Bavan di prendere il suo posto. L'avventura è consacrata da un notevole successo discografico ma quando, nel 1964, il trio si scioglie definitivamente, Yolande ha già nuovi progetti. Come accaduto con il pianoforte e il violoncello, si lascia alle spalle anche i concerti canori. Si dedicherà al teatro attraversando l'oceano per entrare a far parte della New York Shakespeare Company.

27 maggio, 2019

27 maggio 1940 – Inizia la storia del Quartetto Cetra


Il 27 maggio del 1940 il gruppo vocale Egie debutta al teatro Valle di Roma con “Caccia al passante”, uno spettacolo ideato e scritto dal Agenore Incrocci, che si firma con lo pseudonimo di Age e che è destinato a diventare uno dei grandi autori. Il nome del gruppo è la sigla ottenuta assemblando le iniziali dei nomi dei componenti: Enrico Gentile, Giovanni Giacobetti detto ‘Tata’, Iacopo Jacomelli e Enrico De Angelis. sulla falsariga dei gruppi vocali americani d’ispirazione jazzistica. Dopo la sostituzione di Jacomelli con Virgilio Savona cambiano nome in Quartetto Ritmo, per diventare poi Quartetto Cetra con l’arrivo di Felice Chiusano al posto di Gentile. L’esordio ai microfoni della radio avviene l’8 ottobre del 1941, quando, accompagnati dall’Orchestra Zeme, cantano Il Visconte di Castelfombrone. Nello stesso periodo, però, anche Enrico Gentile, il solista, è costretto a lasciare i compagni per adempiere agli obblighi militari e al suo posto arriva un giovane di Fondi in provincia di Latina, Felice Chiusano. Nel 1945 registrano un brano, Pietro Vughi il ciabattino, destinato a restare nella storia della canzone come il primo boogie woogie italiano. Nel mese di ottobre del 1947 in occasione di un concerto al Teatro delle Arti di Roma, la bolognese Lucia Mannucci sostituisce De Angelis, richiamato sotto le armi. Due anni dopo ottengono un grande successo con il brano Nella vecchia fattoria, una divertente rielaborazione di una vecchia filastrocca irlandese. Nel mese di settembre del 1951 vincono il prestigioso premio “Passerella d’oro” per la loro partecipazione alla rivista “Gran baldoria” di Garinei e Giovannini.. Nel 1954 partecipano al Festival di Sanremo con ben sei canzoni, tra cui la popolarissima Aveva un bavero. L’anno dopo vincono il primo Festival Internazionale della Canzone di Venezia, accoppiati a un duo composto da Carla Boni e Gino Latilla, con il brano Vecchia Europa. L’elenco dei riconoscimenti ottenuti nella loro carriera è lunghissimo e va dalla Maschera d’oro e dal Microfono d’Argento del 1956, al Telegatto del 1982. I quattro componenti del gruppo vengono insigniti dei titoli di Cavalieri del lavoro nel 1985 e di Commendatori della Repubblica nel 1988. Alla fine del 1988, dopo la morte di Tata Giacobetti si esibiscono ancora come I Cetra fino al 1990 quando la scomparsa di Felice Chiusano mette fine per sempre alla loro storia. Nel nutritissimo repertorio del gruppo ci sono canzoni come In un vecchio palco della Scala, Un bacio a mezzanotte, Vecchia America, Un romano a Copacabana, La vita è un paradiso di bugie, Musetto, Un disco dei Platters, Ricordate Marcellino, Un raggio di sole, Aprite le finestre, Mamma mia dammi cento lire, Donna, Bambino e Voglia di swing che, insieme a quelle già citate, sono tra le più rappresentative di quasi mezzo secolo di storia della canzone italiana.


21 maggio, 2019

22 maggio 1924 – Charles Aznavour dalla Piaf al grande successo


Il 22 maggio 1924 nasce a Parigi Charles Aznavourian, destinato a diventare famoso con il nome di Charles Aznavour. Il lieto evento avviene per caso sul territorio francese dove i suoi genitori, profughi armeni, stanno aspettando un visto per trasferirsi negli Stati Uniti. Suo padre è il baritono Micha Aznavourian, figlio di un cuoco dello zar Nicola II, mentre sua madre Knar proviene da una famiglia di commercianti armeni stabilitisi in Turchia. Il tempo passa e il visto per gli Stati Uniti non arriva. Il vecchio Micha decide allora di aprire un piccolo ristorante armeno dove gli avventori possono trovare cibo e musica. Il locale, situato in Rue de la Huchette, diventa una luogo di ritrovo di artisti, in particolare musicisti e attori di teatro. Il piccolo Charles respira fin dai primi anni di vita questa atmosfera e ne resta affascinato. Nel 1933, quando ha solo nove anni, i suoi genitori lo iscrivono alla scuola di Spettacolo per assecondare la sua intenzione di diventare attore. Il ragazzo ha stoffa e ben presto inizia ritagliarsi piccoli ruoli nel cinema e nel teatro. Nel 1939 però, mentre il mondo si prepara a una nuova follia bellica, il padre Micha si arruola volontario nell’Armée e il quindicenne Charles Aznavourian lascia la scuola per lavorare. Sembra la fine dell’avventura nel mondo dello spettacolo, ma non è così. Nel 1941 incontra un giovane compositore. Si chiama Pierre Roche. I due decidono di unire la loro creatività. Nasce il duo Aznavour-Roche destinato a diventare popolarissimo nei locali di Parigi. Per Charles Aznavour è l’inizio di una lunghissima carriera. Nel 1946 Charles Aznavour incontra Edith Piaf. L’incontro lascia il segno su entrambi. Lui le regalerà alcune bellissime canzoni e lei gli apre le porte degli Stati Uniti. Alla fine degli anni Quaranta il duo Aznavour-Roche parte per una lunga tournée nordamericana dalla quale il buon Charles ritorna solo. Roche è rimasto oltreoceano per amore. Aznavour, pur essendo uno dei più apprezzati autori dell’epoca fatica ad affermarsi come interprete. Scrive canzoni per la Piaf, Mistinguett, Patachou, Juliette Gréco e un’infinità di protagonisti della scena musicale parigina ma fatica a farsi apprezzare in proprio. La svolta avviene nel 1957 quando, dopo una fortunata tournée nell’Africa del Nord, ottiene un sorprendente successo all’Alhambra che prelude a un vero e proprio trionfo nel tempio della musica parigina: l’Olympia. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta la sua popolarità cresce a dismisura in tutto il mondo con brani come Sur ma vie, Parce que, Après l’amour e La mamma. I suoi dischi arrivano al vertice delle classifiche di moltissimi paesi e i teatri più prestigiosi ospitano i suoi concerti. Anche il cinema lo vede protagonista di successo sia come interprete che come autore di colonne sonore e di brani indimenticabili. Il passare del tempo non lascia tracce su Charles Aznavour che negli anni Ottanta colleziona trionfi dal vivo, successi discografici e buone frequentazioni cinematografiche. Nel 1988, quando un terribile terremoto scuote l’Armenia mietendo oltre cinquantamila vittime, crea la fondazione “Aznavour pour l’Armenie” e, insieme a Henri Verneuil, chiama a raccolta novanta protagonisti dello spettacolo francese per registrare la canzone Pour toi Armenie. Il disco vende un milione di copie e il ricavato va interamente al popolo armeno. L’iniziativa gli vale la nomina ad Ambasciatore permanente in Armenia da parte dell’Unesco. L’impegno sociale non cancella quello artistico costellato da dischi straordinari come gli album Aznavour 2000 o Je voyage, e concerti memorabili come quello tenuto nel 1990 al Palais des Congrès di Parigi con la sua amica Liza Minnelli, quello di Montreux del 1997 per festeggiare i suoi cinquant’anni di carriera e quello svoltosi sempre al Palais des Congrès di Parigi del 2004 per festeggiare il proprio ottantesimo compleanno. Nel frattempo è diventato padrone dei suoi diritti visto che nel 1992 ha acquistato l’intero catalogo della società d’edizioni fonografiche Raoul Breton che oltre ai suoi brani comprende gran parte delle opere di Gilbert Bécaud, Edith Piaf e Charles Trenet. La sua popolarità non ha confini generazionali visto che nel 1999 i frequentatori dei siti Internet della CNN e di Time lo indicano, insieme a Elvis Presley e Bob Dylan come uno dei cantanti simbolo del ventesimo secolo. La Francia non ha voluto essere da meno. L’8 ottobre 2001 in una cerimonia ufficiale svoltasi all’Eliseo il Presidente Jacques Chirac l’ha decorato per i suoi meriti artistici. Come ha avuto più volte occasione di ripetere, i riconoscimenti ufficiali gli fanno piacere ma non lo cambiano. Il nuovo millennio lo vede nuovamente sulla breccia con dischi, concerti e qualche gesto eclatante come nell’aprile del 2002 quando canta la Marsigliese durante la mobilitazione contro il leader dell’estrema destra xenofoba Jean-Marie Le Pen ammesso al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. Muore il 1° ottobre 2018.

18 maggio, 2019

18 maggio 1958 – Toyah, la regina della new wave

Il 18 maggio 1958 nasce a Birmingham, in Gran Bretagna, la cantante Toyah, all'anagrafe Toyah Willcox, una delle voci più originali e più celebrate della new wave britannica. Fin da ragazzina la sua prima idea non è quella di cantare, ma di diventare attrice. Frequenta regolari corsi di teatro e sembra avere davvero la stoffa per fare carriera in tutti i campi della recitazione. Partecipa a un musical della BBC, lavora con il National Theatre e si fa notare in film come "Jubilee", "Il grano è verde" e, soprattutto, "Quadrophenia", ispirato all'omonima opera rock degli Who, oltre che nel serial televisivo "Dr. Jekyll & Mr. Hyde". Quella della recitazione non resta, però, la sua unica passione. Con il passare degli anni ne coltiva un'altra. Si chiama musica. Parallelamente all'attività di attrice forma nel 1977 la sua prima band e un paio d'anni dopo pubblica l'album Sheep farming in barnet e il singolo Victims of the riddle. Nel 1980 pur senza abbandonare il cinema viene insignita del titolo di "rivelazione femminile dell'anno" per gli album Toyah Toyah Toyah e The blue meaning. Sono gli anni di maggior successo per quella che tutti chiamano "la regina della new wave" e vengono scanditi dai record di vendite di album come Anthem e The Changeling. Come accade per tutti i personaggi legati a un genere, la crisi della new wave finisce per appannare la sua stella. A sorpresa, però, nel 1986 torna alla ribalta per il sodalizio con Robert Fripp, l'ex leader dei King Crimson, divenuto anche suo compagno nella vita. I due pubblicano insieme l'album The lady of the tiger e partono per un lungo e, per molti versi, straordinario tour accompagnati da una band di cui fanno parte anche Trey Gunn e il batterista Paul Beavis. L'esperienza accanto a Fripp le consentirà di affrontare gli anni successivi con maggior personalità. Il personaggio della regina della new wave lascerà il posto a una preparata e apprezzata signora della canzone.