25 maggio, 2025

25 maggio 1972 – Horse with no name

Il 25 maggio 1972 il singolo Horse with no name degli America arriva al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti. Il successo del trio che trascina in alto anche l'album America coglie tutti di sorpresa, a partire dalla loro casa discografica, la Warner Brothers, decisamente scettica nei confronti della band. Formatisi a Londra sull'onda del successo di Crosby, Stills, Nash & Young, gli America sono composti dall'inglese Dewey Bunnell e dagli statunitensi Dan Peek e Gerry Beckley. Cantanti e chitarristi di buon mestiere, i tre decidono di fare sul serio nel 1969 quando iniziano a girare per locali esibendosi in una lunga serie di cover intervallate da qualche raro pezzo di produzione propria. Quando la Warner pubblica Horse with no name la critica lo stronca sulla base di due sostanziali argomenti: la struttura della canzone è troppo semplice e la voce di Dewey Bunnell è identica a quella di Neil Young. Il giudizio è talmente negativo che anche la casa discografica non si fa grandi illusioni. Quando, a pochi giorni dall'uscita del disco, arrivano i primi dati delle vendite, alla Warner pensano a un errore di calcolo: 600.000 copie vendute! I giovani orfani delle melodie dei Beatles e dei provvisoriamente disciolti Crosby, Stills, Nash & Young fanno di loro i nuovi idoli del momento. Alfieri di un country rock morbido e del più totale disimpegno politico e sociale non riusciranno a durare a lungo. Ben presto la carenza di idee innovative, considerata all'inizio uno dei pregi della loro musica, si rivelerà un limite insormontabile. Costretti a ripetersi all'infinito nel ruolo di cantori di un mito californiano patinato e del tutto sganciato dalla realtà finiranno per annoiare anche i loro più affezionati sostenitori. Nel 1977 Dan Peek sceglie la vita mistica e gli America diventano due. La loro storia continuerà tra abbandoni e ritorni improvvisi sull'onda della nostalgia, senza però lasciare tracce importanti.



24 maggio, 2025

24 maggio 1974 – Il giorno che se ne andò Duke Ellington

Il 24 maggio 1974, dopo una lunga malattia, muore al Columbia Presbyterian Medical Center di New York il settantacinquenne Duke Ellington, all'anagrafe Edward Kennedy, uno dei più importanti direttori d'orchestra, pianisti e autori della storia del jazz. La sua vena creativa e la sua abilità nella direzione influenzano in modo determinante la musica della prima metà del Novecento e successivamente non mancano di esercitare un notevole fascino anche sulle nuove generazioni di artisti rock. Figlio di un maggiordomo della Casa Bianca, nasce a Washington e, nonostante il colore della sua pelle, vive un'infanzia privilegiata e riceve un'educazione raffinata e borghese che gli varrà l'appellativo di Duke (Duca). Pianista dall'età di sette anni, a diciotto è già un apprezzato professionista. Nel 1924 se ne va a New York per dirigere un quintetto da ballo. L'anno dopo è il protagonista in assoluto delle serate al Cotton Club, il locale jazz più famoso ed esclusivo della città dove resta fino al 1931. In questo periodo compone i suoi primi capolavori come Creole love call ed East St. Louis toodle-oo. Tenta anche di cimentarsi, senza molta fortuna, in un'opera di più largo respiro dalle profonde radici nere come "Creole rhapsody", stroncata e poi rivalutata dalla critica perché in anticipo sui tempi. Negli anni Trenta compone una serie di brani destinati a restare nella storia della musica del Novecento come In a sentimental mood, Sophisticated lady e Prelude to a kiss, ma lo spazio di un brano gli sta stretto. Il suo sogno è quello di musicare una sorta di poema epico sulla lunga marcia dei neri negli Stati Uniti dalla schiavitù alla definitiva affrancazione. Ci riesce nel 1943 quando alla Carnegie Hall esegue per la prima volta la suite Black brown and beige. Da quel momento, pur senza rinunciare a comporre brani di breve durata, privilegia opere di più vasto respiro: dalle suite ai poemi sinfonici, ai balletti alle grandi pagine corali. Considerato uno dei più grandi geni della musica afroamericana non si fa travolgere dalle mode e si guadagna il rispetto delle giovani generazioni degli anni Sessanta e Settanta. Prima che la malattia lo immobilizzasse aveva composto tre "Concerti sacri" che rappresentano un po' il suo testamento musicale. Alla sua morte l'orchestra che ne porta il nome passa nelle mani del figlio Mercer.



23 maggio, 2025

23 maggio 1974 – Chiude “Il Rischiatutto”

Il 23 maggio 1974 finisce “Il Rischiatutto”. «Fiato alle trombe, Turchetti!» la frase che Mike Bongiorno rivolge al regista Piero Turchetti per dare inizio al programma è il tormentone principale di questo programma entrato nel costume degli italiani di quel periodo. Il gioco è costruito sulla falsariga dei precedenti, con qualche modifica nella struttura, ma con l’immancabile “cabina” nella quale rinchiudere il concorrente. A condurlo c'è un Mike Bongiorno con i capelli più lunghi del passato affiancato da una valletta in linea con l’evoluzione dei costumi giovanili dell’epoca. Si chiama Sabina Ciuffini, è molto giovane e indossa con assoluta naturalezza hot pants, micro e maxi gonne. Come tutte le assistenti precedenti ovviamente non può parlare, ma non rinuncia a diventare protagonista. Le cronache mondane si occupano di lei che per completare il personaggio anticonformista e fuori dagli schemi della moralista televisione dell'epoca accetta di posare per un servizio su Playboy che manda su tutte le furie il “signore dei telequiz”. "Il Rischiatutto" va in onda per la prima volta il 5 febbraio 1970 e chiude definitivamente i battenti il 23 maggio 1974. Con la sua chiusura finisce l'epoca d’oro dei grandi quiz che incollano le folle ai televisori.





22 maggio, 2025

22 maggio 1987 - La prima di "Ishtar" dopo mille vicissitudini

Il 22 maggio 1987 arriva finalmente nelle sale Ishtar, un film dalla storia tormentata. È il 1985 quando Elaine May propone per la prima volta a Warren Beatty l’idea di un film d’azione ispirato ad Avventura al Marocco, (Road to Morocco), il terzo di sette lungometraggi comici d’avventura interpretati dalla coppia formata da Bob Hope e Bing Crosby. La May pensa che il film possa fare da traino a una lunga serie imperniata su una coppia di improbabili e poco dotati cantautori la cui principale caratteristica è quella di mettersi nei guai. L’ipotesi è quella di affidare a Beatty la parte che nella serie originale era di Bob Hope, quella del pasticcione, ingenuo e confusionario. L’idea entusiasma l’attore e conquista anche il suo agente Bert Fields presente al colloquio. Per vestire i panni dell’altro componente della coppia, quello più disincantato e donnaiolo in origine interpretato da Bing Crosby sia la May che Beatty decidono di coinvolgere Dustin Hoffman. Quando la sceneggiatura è pronta tocca a Bert Fields il compito di convincere la Columbia Pictures a produrre il film. Il compito non è semplice. L’idea di avere sullo stesso set tre maniaci perfezionisti come la May, Beatty e Hoffman suscita notevoli perplessità sulla riuscita dell’impresa. La più discussa è la regia di Elaine May, conosciuta nell’ambiente per la sua indifferenza nei confronti dei problemi finanziari, per non rispettare i tempi di lavorazione, per la volubilità nell’organizzazione del set e soprattutto per la caratteristica di “sforare” con una certa facilità i limiti di budget. Alla fine di una lunga ed estenuante trattativa la determinazione di Warren Beatty vince le resistenza della Columbia. Nel mese di ottobre del 1985 si inizia a girare e cominciano i guai. Elaine May, colta da un parziale ripensamento, decide di riscrivere alcune parti e sospende la lavorazione per tre mesi. Il ritardo provoca l’abbandono del set da parte del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, costretto a mantenere altri impegni. Al suo posto arriva Vittorio Storaro. Non mancano poi altre costose scelte di regia come quando la May rifà per una cinquantina di volte la scena in cui Beatty e Hoffman cantano Since we left ‘nam o fa spianare due chilometri quadrati di dune del deserto per ottenere l’orizzonte di ripresa che lei ritiene più adatto. Terminate le riprese anche la fase di post-produzione si rivela complicata e lunga. Il materiale girato è moltissimo, circa 108 ore di riprese, più del triplo di quanto normalmente accade per una commedia. Inizia così un lungo e controverso lavoro di montaggio complicato dai continui interventi, previsti dal contratto, dei due attori, oltre che della regista. Dopo vari rinvii Ishtar, la cui uscita era prevista per il periodo natalizio del 1986, arriva soltanto il 22 maggio 1987, cioè due anni dopo il primo ciak. È costato cinquanta milioni di dollari e si conquista il non invidiabile primato di “commedia più costosa della storia del cinema”. Trattato male dalla critica al momento della sua uscita nel corso degli anni si è trasformato in un cult amatissimo da registi come Quentin Trantino ed Edgar Wright.



21 maggio, 2025

21 maggio 1944 - Carmen Villani una voce blues protagonista del cinema sexy


Il 21 maggio 1944 nasce a a Ravarino, in provincia di Modena, Carmen Villani, uno dei personaggi più singolari della storia dello spettacolo italiano, passata dal successo come cantante con una straordinaria voce nera al ruolo di bomba erotica in una serie di pellicole di grande successo nella commedia sexy all’italiana . La sua carriera inizia nel 1959 quando a soli quindici anni vince il Concorso per voci nuove di Castrocaro. In possesso di una voce dai toni blues viene invitata, unica cantante di musica leggera, al Festival Jazz di Sanremo e nel 1962 è a fianco di Gian Maria Volontè nel film dei Fratelli Taviani "Un uomo da bruciare" nel quale canta il brano Un domani per noi. Con l'esplosione del beat ottiene un buon successo con canzoni come La verità, Passa il tempo, Bada Caterina e Chitarre contro la guerra, con la quale vince il premio della critica al Festival delle Rose. Nel 1967 partecipa al Festival di Sanremo con Io per amore insieme a Pino Donaggio e a "Un disco per l'estate" con Ho perduto te. Torna sul palcoscenico sanremese nel 1969 con Piccola piccola in coppia con Alessandra Casaccia, nel 1970 con Hippy, insieme a Fausto Leali e nel 1971 in coppia con Domenico Modugno con Come stai. Nel 1975 debutta nel filone della commedia sexy con il film “La supplente” di Guido Leoni ottenendo un rapido e inaspettato successo. Da quel momento la canzone diventa un hobby e il cinema sexy una professione.




20 maggio, 2025

20 maggio 1937 – L'ultima registrazione di Robert Johnson

Il 20 maggio 1937 a Dallas, in Texas, il venticinquenne Robert Johnson chiude la seconda e ultima seduta di registrazione della sua carriera iniziata il giorno prima. L’altra è di qualche mese prima ed è un po’ più lunga visto che si svolge tra il 23 e il 27 novembre 1936 a San Antonio, sempre nel Texas. In quelle due sedute si concentra la sua intera produzione discografica, composta da meno di trenta canzoni, quasi tutte destinate all’immortalità come Crossroads, Love In Vain, Sweet Home Chicago, Preachin' The Blues, Dust My Broom, Stones In My Passway, Come On In My Kitchen, Hellbound On My Trail e la cupa e disperata Terraplane Blues. Nato l’8 maggio 1911 ad Hazlehurts nel Mississippi Robert Johnson è uno dei grandi autori e interpreti del blues rurale e le sue canzoni segnano una tappa significativa nella storia del blues. Le sue testimonianze discografiche sono pochissime un po’ per la sua riluttanza a chiudersi in sala di registrazione e un po’ perché la sua vita finisce presto. Viene infatti assassinato il 13 agosto 1938. Dopo la sua morte per oltre vent'anni il suo ricordo resta affidato agli artisti neri, come Ellmore James che, nel 1952, riporta al successo Dust my broom. Negli anni Sessanta, con l'emergere del rock blues bianco, la sua opera viene recuperata soprattutto dai gruppi britannici e diventa parte della stessa storia del rock nell'interpretazione di artisti come Captain Beefheart che incide Terraplane Blues, i Cream con Crossroads, i Rolling Stones con Love in vain e Stop breakin' down, Eric Clapton con Crossroads, For untile late, Ramblin' on my mind, John Mayall e tanti altri.

19 maggio, 2025

19 maggio 1971 – Il nuovo jazz dei C.C.C.

Il 19 maggio 1971 i C.C.C. (Creative Construction Company), un sorta di gruppo cooperativo di jazz formato dal violinista Leroy Jenkins, dal sassofonista Anthony Braxton, dal trombettista Leo Smith e dal batterista Steve McCall si esibiscono a New York. Nati l'anno prima in quella straordinaria fucina che è l'area di Chicago, sono considerati un'anomalia nella scena jazz di quel periodo. La loro musica fa storcere il naso ai puristi e ai tradizionalisti perché, pur essendo basata su una logica strutturale quasi geometrica che punta, però, la sua attenzione sui diversi piani del colore sonoro. Le assonanze e le dissonanze sono il gioco attorno al quale ruota la loro creatività che affonda le sue radici nel lavoro iniziato qualche anno prima dai singoli componenti. Non è un caso che nel 1968 Anthony Braxton abbia inciso un album intitolato Three composition of new jazz avvalendosi dell'apporto di Jenkins e Smith, gli stessi che condividono con lui l'esperienza dei C.C.C.. Il concerto newyorkese è un po' una sorta di esame di maturità per la band, il cui stile non è ancora stato classificato, ma di lì a poco verrà definito "musica creativa". Nei giorni precedenti le pagine dedicate al jazz dei giornali cittadini hanno "pompato" l'avvenimento con un dibattito i cui toni sono andati anche al di là degli aspetti banalmente musicali. Sostenitori e detrattori aspettano, dunque, al varco la band per riprendere ad accapigliarsi. I quattro musicisti sono un po' perplessi, ma abbozzano. Si presentano sul palco con un organico rinforzato dal pianista Muhal Richard Abrams e dal contrabbassista Richard Davis. Iniziano a suonare in sordina, un po' legati dalla strana atmosfera che aleggia in sala. Poi si scaldano e pian piano sciolgono anche il pubblico. Il concerto newyorkese del 19 maggio resterà nella storia della band come uno dei più significativi della band e con il materiale registrato verrà prodotto il miglior disco in assoluto targato C.C.C.


18 maggio, 2025

18 maggio 1928 - Rabbit entra nella band del Duca

Il 18 maggio 1928 Duke Ellington propone a Johnny Hodges di entrare nella sua orchestra per sostituire Otto Hardwicke al sassofono alto. Nasce così un sodalizio destinata a durare fino alla morte del sassofonista, con un intervallo di soli quattro anni, dal 1951 al 1955, quando Hodges tenta di mettersi in proprio senza risultati apprezzabili. Una volta inserito nel congegno ellingtoniano, Johnny Hodges si scatena al punto da guadagnare il nomignolo di "Rabbit”, coniglio per i suoi improvvisi guizzi. Ellington gli affida i compiti più suggestivi, cioè quelli in cui occorre dare anima all'insieme della musica. Rabbitt è quel che ci vuole. Il suo impiego della nota prolungata fino al momento esaustivo sui tempi lenti come su quelli più veloci diventa uno degli elementi caratteristici dell'ensemble ellingtoniano. Hodges ha una straordinaria sicurezza tecnica che gli consente ritardi e riprese, inflessioni e fulminei recuperi di alta classe. Tra i suoi assoli destinati a restare nella storia sono da ricordare quelli in The Mooche del 1928, Saratoga Swing, Cotton Club Stomp del 1929, Dear Old Southland del 1933, Moonglow e Saddest Tale del 1934, Merry-Go-Round dell'anno successivo, The Gal from Joe's e A Gipsy Without a Song del 1938, Warm Valley del 1940, Esquire Swank, Magenta Haze del 1946, The Jeep Is Jumpin' del 1956, Things Ain't What They Used To Be e All of Me del 1959. A questi andrebbero aggiunti i contributi di Hodges ai poemi sinfonici ellingtoniani.



17 maggio, 2025

17 maggio 1980 – Echo & The Bunnymen in classifica

Il 17 maggio 1980 gli Echo & The Bunnymen entrano per la prima volta nella classifica britannica dei dischi più venduti con il singolo Rescue. È il primo consistente risultato di una delle formazioni più attive della new wawe d'oltremanica. La band nasce attorno alla carismatica personalità del cantante Ian McCulloch, protagonista, nella seconda metà degli anni Settanta, della scena musicale della zona di Liverpool prima come solista e poi come componente dei Crucial Three, una band che comprende, oltre a lui, Pete Wyllie e Julian Cope. Dopo una brevissima esperienza con gli A Shallow Madness, nel 1978 dà vita agli Echo & The Bunnymen con il chitarrista Will Sergeant e il bassista Les Pattinson. Il nuovo gruppo fa il suo debutto su vinile con il singolo autoprodotto Pictures on my wall che attira l'attenzione dei talent scout della WEA Records. Il loro primo contratto discografico coincide con l'arrivo del batterista Pete de Freitas. Il buon successo del singolo Rescue fa da traino all'album Crocodiles e in breve tempo li impone tra i maggiori protagonisti della nuova avanguardia psichedelica britannica che, sia pur con varie differenze, si ritrova nella generica definizione di new wawe. Tra il 1983 e il 1984 toccano l'apice del successo con singoli come The cutter o The killing moon e album come Porcupine o Ocean rain. Parallelamente all'attività del gruppo ciascun componente sviluppa progetti personali. Nel 1983 il chitarrista Will Sergeant pubblica l'album Themes for grind e l'anno dopo McCulloch entusiasma la critica con una versione di The september song di Kurt Weill. Verso la metà degli anni Ottanta si avvertono i primi segni di stanchezza nella vita della band. All'inizio del 1986 Pete de Freitas se ne va sbattendo la porta e viene sostituito per qualche mese da Mark Fox, ex batterista degli Haircut One Hundred. Il ritorno di Freitas e la pubblicazione dell'album Echo and The Bunnymen non sciolgono gli interrogativi sul destino del gruppo che nel 1988 si produce in una versione di People are strange dei Doors, inserito nella colonna sonora del film "Ragazzi perduti". L'uscita di Ian McCulloch e la morte di Freitas in un incidente stradale chiudono, di fatto, la storia della band, anche se i componenti superstiti continueranno a tenerne in vita il nome.



16 maggio, 2025

16 maggio 1969 - Gli Who malmenano un poliziotto

Il 16 maggio 1969 gli Who si esibiscono al Fillmore East di New York. Lo scenario è quello che da qualche tempo accompagna i concerti della band, soprattutto nelle esibizioni statunitensi: una folla impressionante di ragazze e ragazzi che si accalca urlante sotto il palco mentre il servizio d'ordine è impegnato con molta fatica a contenere l'entusiasmo dei più agitati. Ogni tanto qualcuno riesce a passare il primo cordone di sicurezza e ad avvicinarsi pericolosamente al palco prima di essere riacciuffato e ributtato indietro di peso dagli addetti al servizio d'ordine. È un gioco pericoloso, ma sembra che i fans lo trovino divertente al punto che fa ormai parte del tradizionale scenario dei concerti degli Who. In quel 16 maggio però avviene un evento imprevedibile. Nel palazzo vicino al luogo del concerto scoppia un incendio. L'assordante volume dell'amplificazione e la quasi completa insonorizzazione del locale impediscono agli spettatori chiusi nel Fillmore East di accorgersi che all'esterno c'è una situazione d'emergenza. In realtà non c'è alcun pericolo diretto perché le fiamme sono a una distanza tale da non poter minacciare direttamente né tantomeno raggiungere il locale che ospita il concerto degli Who. I responsabili dell'ordine pubblico temono però che al termine dell'esibizione della band l'uscita massiccia di centinaia di persone e l'inevitabile confusione possano creare problemi ai vigili del fuoco impegnati nello spegnimento. Dopo un breve consulto viene presa la decisione di avvertire gli spettatori del concerto di quanto sta succedendo all'esterno, spiegando che non ci sono rischi ma invitandoli a defluire con calma e attenzione. Via radio vengono informati della decisione gli agenti in borghese all'interno del Fillmore East con la raccomandazione di evitare panico inutile. L'ordine è quello di avvertire al pubblico alla fine del concerto, chiedendo magari la collaborazione dei musicisti del gruppo per ottenere l'attenzione necessaria. Uno dei poliziotti in servizio però, a dispetto degli ordini ricevuti, decide di fare da solo senza aspettare la conclusione del concerto. Mentre Roger Daltrey il cantante degli Who sta presentando al pubblico un brano. L'agente, che è in borghese, balza sul palco e tenta di impossessarsi del microfono. Il chitarrista Pete Townshend, pensando di trovarsi di fronte a uno squilibrato sfuggito al servizio d'ordine si lancia verso di lui  e prima che l'uomo riesca a qualificarsi lo colpisce con un tremendo calcio. Gli Who di quel periodo sono tipetti tosti e abituati a menar le mani. E così mentre il malcapitato cade a terra il bassista John Entwistle, prima ancora di verificare chi sia il disturbatore, gli fracassa lo strumento sulla schiena. Vedendo il collega malmenato i poliziotti presenti nel locale si muovono velocemente verso il palco tentando di intervenire ma non ce la fanno a oltrepassare un servizio d'ordine allenato a reggere l'urto dei fans esagitati e vengono respinti. Nel parapiglia che segue anche il pubblico fa la sua parte e per alcuni minuti il concerto si trasforma in una gigantesca rissa. Pian piano ci si rende conto della serie di equivoci da cui tutto è nato e, sia pur con qualche difficoltà, torna la calma. Il concerto però non può più riprendere perché il responsabile delle forze dell'ordine interne al locale decide di arrestare Pete Townshend per aggressione nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Il chitarrista passerà la notte in carcere e soltanto il giorno dopo riuscirà a dimostrare la sua buona fede.





15 maggio, 2025

15 maggio 1998 – L’ultimo viaggio di Frank Sinatra


Il 15 maggio 1998 si spegne a Los Angeles, all’età di ottantadue anni, per un attacco di cuore, Frank Sinatra, soprannominato “The voice”, la voce e considerato il più popolare cantante statunitense del secolo. Nella sua lunga e strepitosa carriera ha inciso oltre duemila canzoni raccolte in centosessantasei album, ha girato una sessantina di film e il suo patrimonio personale è valutato in circa trecentosessanta miliardi di lire. Ha avuto quattro mogli, tre figli e una mai smentita passione per l’alcool, il fumo, le belle donne. Alla cerimonia funebre, che si svolge nella Chiesa del Buon Pastore di Beverly Hills, partecipano mogli, figli e oltre quattrocento invitati. Francis Albert Sinatra, questo è il vero nome di Frank, nasce il 12 dicembre 1915 a Hoboken nel New Jersey in una famiglia di origine italiana. La sua carriera inizia nel 1933 quando forma il gruppo degli Hoboken Four. Nel 1939 entra a far parte, come vocalist, dell'orchestra di Harry James e l'anno successivo è il nuovo cantante dell'orchestra di Tommy Dorsey nella quale sostituisce Jack Leonard. Nel 1941 un referendum indetto dalla rivista Billboard lo indica come miglior cantante dell’anno e l’anno dopo decide di continuare come solista diventando in breve tempo l'idolo della gioventù americana che gli appiccica due soprannomi: 'The voice” e “Swoonatra” (per gli svenimenti delle ragazze alla fine dei concerti). In quel periodo si accorge di lui anche il cinema che inizialmente lo utilizza soltanto in qualche film musicale, ma successivamente ne fa un attore a tutto campo, bravo anche nei ruoli drammatici, tanto da vincere anche un Oscar per la sua interpretazione in "Da qui all'eternità". La sua popolarità ha un momento di crisi negli anni Cinquanta con l’esplodere del rock and roll, ma, dopo aver fondato una propria casa discografica, la Reprise Records, Frank inizia a recuperare posizioni fino a ottenere, nel 1966, uno straordinario successo mondiale con Stranger in the night. Pur avendo più volte annunciato il suo ritiro, non ha mai abbandonato la scena musicale fino all’ultimo, confermandosi uno degli interpreti più inossidabili e capace di attraversare da protagonista oltre sessant'anni della storia della musica leggera.

14 maggio, 2025

14 maggio 2004 - L’Art Ensemble of Chicago in tour ricordando Lester Bowie e Malachi Favors

Il 14 maggio 2004 parte da Roma un breve tour italiano del leggendario Art Ensemble of Chicago articolato su quattro concerti: il 14 maggio a Roma, il 15 e 16 a Milano e il 18 a Vicenza. Il tour era stato originariamente programmato per presentare al pubblico l'album Reunion e per un omaggio allo scomparso Lester Bowie. Dopo la scomparsa all’inizio del 2004 di Malachi Favors, lo storico bassista del gruppo, i compagni hanno cambiato il titolo del tour che ora porta il nome di “Tribute to Lester Bowie & Malachi Favors”. I concerti italiani diventano così l’occasione per gli appassionati di ascoltare dal vivo il giovane talento di Corey Wilkes, il trombettista che Roscoe Mitchell ha scelto per prendere il posto che fu di Lester Bowie nonché il nuovo bassista Jaribu Shahid, proveniente dai Note Factory, sostituto di Malachi. La formazione che si esibiace sui palchi italiani, oltre ai due citati e al leader Roscoe Mitchell, schiera il sassofonista Joseph Jarman e il percussionista Famoudou Don Moye, affiancato dagli strumenti percussivi africani di una guest star d’eccezione come Baba Sissoko.


13 maggio, 2025

13 maggio 1909 – Parte il primo Giro d’Italia

La prima edizione del Giro d’Italia prende il via da Milano quando la maggioranza degli abitanti della città sono immersi in un sonno profondo. Sono, infatti le 2 e 53 del mattino quando la carovana infreddolita dei corridori si mette in moto. E’ il 13 maggio 1909 e nessuno, probabilmente, si rende conto di essere protagonista di un fatto storico, che resterà per sempre nella memoria dello sport italiano e internazionale. Quella che è destinata a diventare la principale corsa a tappe italiana è stata inventata dai responsabili della “Gazzetta dello Sport”, gli stessi che oggi sarebbero a capo di un Ufficio Promozione e Pubbliche relazioni, come un’iniziativa efficace per avvicinare qualche lettore in più al giornale. La corsa a tappe si svolge nell’Italia di inizio secolo, quella stessa Italia che sta imparando ad andare in bicicletta per lavoro e per svago. La bicicletta è il mezzo che regala autonomia, possibilità di muoversi senza dipendere da nessuno e senza dover possedere un cavallo. Nascono così le prime scampagnate e i giovani sono i primi ad accorgersi delle potenzialità del nuovo mezzo. Non c’è un grande interesse per il Giro d’Italia e per le gare ciclistiche in generale. Quello del ciclismo è un mondo fatto di scommesse e che suscita ancora diffidenza. Al “Verziere”, a Milano, i ciclisti si rincorrono ancora su un anello improvvisato a beneficio più degli scommettitori che dei tifosi. E anche quello che gareggia per le strade del Paese è un ciclismo che passa quasi inosservato. Se non ci fossero le cronache della “Gazzetta dello Sport” nessuno ne saprebbe niente. Oggi si parla di ciclismo eroico: i giri sono vere e proprie gare di sopravvivenza, le tappe sono sfibranti, da notte a notte, i ciclisti sono abbandonati su strade in gran parte non asfaltate e senza segnaletica. Sono campioni, ma campioni di fatica nei quali ancora non s’identifica del tutto l’Italia contadina, ricca di braccianti, muratori, spazzacamini. Non sanno ancora che il loro nome, scritto nell’albo d’oro del Giro, alcuni decenni dopo, verrà accomunato a quello di atleti miliardari e oculati gestori di se stessi. Ma, soprattutto, loro, per i quali una tappa può durare anche diciotto - venti ore, non sanno che, alla vigilia del duemila, verranno chiamati “tapponi” delle corse di durata non superiore alle sette ore. Per la cronaca, il primo Giro d’Italia lo vince Luigi Ganna, un grande atleta destinato a entrare nella leggenda del ciclismo. Ma lui ancora non lo sa.




12 maggio, 2025

12 maggio 1940 - Xavier Chambon, una tromba parigina

Il 12 maggio 1940 nasce a Parigi il trombettista Xavier Chambon. Musicista di stile mainstream molto dotato soprattutto nel registro acuto inizia la carriera nel 1959 con il gruppo del batterista Maurice Martin nel quale militano anche Wani Hinder al clarinetto, Riccardo Galeazzi al trombone e Jean Pierre Mulot al contrabbasso. In seguito diventa uno dei protagonisti dell'attività jazzistica della capitale francese suonando con Bill Coleman, Stuff Smith, Albert Nicholas e Mezz Mezzrow Nel 1965 entra a far parte del gruppo del clarinettista Maxim Saury con il quale rimane per parecchio tempo. All'inizio degli anni Settanta cominicia a suonare prevalentemente con vari gruppi pop. Non dimentica però il suo primo amore e torna più volte sulle strade del jazz, spesso insieme al trombonista Michel Camicas, un altro ex componente dell'orchestra di Maxim Saury.

11 maggio, 2025

11 maggio 1938 – Il talento e il genio di Carla Bley

L’11 maggio 1938 nasce a Oakland, in California, la cantante, compositrice, tastierista e arrangiatrice Carla Bley, uno dei grandi talenti musicali femminili del Novecento. Il suo nome alla nascita è quello di Carla Borg. È suo padre, organista e maestro del coro in una chiesa di Oakland, che la spinge prestissimo a cantare e a imparare il pianoforte. Finite le scuole l’adolescente Carla lascia la famiglia e, dopo aver raggranellato i soldi necessari suonando nei locali e arrangiando brani per un cantante folk californiano, se ne va a New York, dove trova lavoro come venditrice di sigarette in un jazz club. Qui conosce Paul Bley, che la sposata nel 1957 e le regala il nome con il quale diventerà famosa. Nel 1959 inizia a scrivere brani per Paul Bley, Jimmy Giuffré, George Russel e Art Farmer ma la musica non le dà ancora il necessario per vivere e la ragazza si arrangia lavorando nei teatri come guardarobiera o come maschera. La svolta arriva nel 1964 quando entra a far parte del gruppo del batterista Charles Moffett insieme a Pharoah Sanders e Alan Shorter. Dopo aver lasciato Paul Bley, con il trombettista Michael Mantler divenuto suo compagno fonda la Jazz Composer's Orchestra Association, una struttura destinata a favorire la realizzazione dei progetti orchestrali. Quasi contemporaneamente fonda anche una propria casa discografica, la JCOA e nel 1965 forma i Jazz Realities, un quintetto di cui, oltre a Mantler, fa parte anche Steve Lacy. Nello stesso periodo suona anche con musicisti europei, tra cui il sassofonista Peter Brötzmann. Nel 1967 scrive la parte del vibrafonista Gary Burton nella suite “A Genuine Tong Funeral”, poi registrata dal quartetto di Burton con un'orchestra diretta dalla stessa Bley. Seguono altre composizioni e collaborazioni con un numero impressionante di artisti dei generi più svariati, dalla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden alla clavicembalista Antoinette Vischer, dalla Jack Bruce Band, a John Cage, al sassofonista Gary Windo. Il suo stile pianistico è stato definito come “una sorta di fusione tra gli stili dell'ex marito Paul e di Cecil Taylor”, il canto attinge ai colori della popular music e delle nuove cantautrici americane. Nelle composizioni e negli arrangiamenti invece i suoi riferimenti appaiono più colti, da Kurt Weill a Gil Evans con qualche lezione solistica ispirata a Duke Ellington. Muore il 17 ottobre 2023.

10 maggio, 2025

10 maggio 1963 – La prima volta degli Stones alla Decca

Il 10 maggio 1963 sei ragazzacci cresciuti nei club jazz e rhythm and blues delle periferie londinesi entrano negli Olympic Studios della Decca a Londra per registrare qualche brano. Non possono evidentemente saperlo ma con loro sta per entrare nella storia il lato "sporco" del beat, quello più mescolato con la musica nera, capace di spaventare i benpensanti perché «…eccita la violenza degli sfaccendati…» e si contrappone, almeno nell'immaginario collettivo, al pop pulito, rispettoso ed educato dei Beatles. A differenza di questi ultimi nessuno dei sei al momento di varcare la soglia dello studio di registrazione immagina che la musica possa diventare una fonte di sostentamento. Il loro ingresso negli asettici studi della Decca (una casa discografica che fino a quel momento ha costruito le sue fortune sulla musica classica) è frutto di una serie di coincidenze: l'insistenza di Andrew Loog Oldham, un ragazzo come loro autonominatosi manager del gruppo, la curiosità degli ambienti discografici verso le note che emergono dalle cantine e, soprattutto, la paura della stessa Decca di ripetere l'errore già fatto qualche mese prima con i Beatles, scartati perché "senza futuro". Qualche diffidenza è, in fondo, giustificata. La formazione che si presenta con l'aria assonnata e un po' stropicciata negli studi di registrazione il 10 maggio, infatti, ha alle spalle non più di dieci mesi di vita e una breve gavetta in una dozzina di locali di jazz e rhythm and blues della capitale britannica. L'anima del gruppo è Mick Jagger, uno studente che canta e suona l'armonica dotato di un precoce talento commerciale al punto da vendere gelati davanti alla scuola che frequenta. Al suo fianco ci sono l'aspirante architetto Brian Jones, polistrumentista nonché finanziatore degli impianti della band e figlio di un conosciuto, rispettato e autorevole ingegnere aeronautico, lo studente d'arte, manovale e chitarrista Keith Richards, il rappresentante di commercio e bassista Bill Wyman e il grafico Charlie Watts, batterista con un passato in vari gruppi blues e tanto scetticismo nei confronti dei giovani compagni. Il sesto uomo si chiama Ian Stewart, suona il piano «…come un nero…» ed è quello che meno ama apparire dal vivo. I sei varcano la soglia degli Olympic Studios dubbiosi su tutto: sui pezzi da scegliere, sull'utilità di produrre un disco e anche sul nome della band, che varia da Rollin' Stones a Rolling Stones a seconda dell'ispirazione del tipografo che stampa i manifesti. Non li aiuta in quel giorno neppure l'aria che si respira negli studi della Decca, abituati agli ovattati suoni della tradizione classica e poco disposti a comprendere l'esuberanza non solo musicale di quei sei mocciosi dall'aria stralunata. Jagger e compagni registrano due brani. Il primo si intitola Come on ed è un pezzo di Chuck Berry pressoché sconosciuto al grande pubblico e l'altro I want to be loved di Willie Dixon. Di quel giorno resterà nella memoria della band l'atmosfera gelida e ostile dell'ambiente in cui registrano tanto che Bill Wyman anni dopo confesserà: «Siamo rimasti in studio per tre ore e non ci piaceva per niente». Più per rispettare il contratto che per reale convinzione il disco viene pubblicato e in pochi giorni esaurisce le scorte. Resterà nelle zone alte della classifica di vendita per quasi una stagione. Nell'immagine pubblica Ian Stewart viene "tagliato" e la formazione si assesta stabilmente su cinque componenti. Con i Rolling Stones il beat cessa di essere rassicurante come un'eccentrica curiosità di costume e recupera le sue radici più selvagge e crude. Ridiventa rock e accompagna gli umori e i sapori di una Gran Bretagna ricca di fermenti culturali, musicali e politici in cui suoni neri del blues si mescolano alla voglia di protagonismo delle giovani generazioni. La musica si salda con le istanze di cambiamento sociale. Per molto tempo i Rolling Stones interpreteranno meglio e più di altri la rabbia e il senso di frustrazione di una generazione che pochi anni più tardi tenterà di dare la scalata al cielo. Tra i primi a capirne la forza e le potenzialità c'è una donna, la giornalista Norman Joplin che resta affascinata da questi ragazzi che «cantano e suonano in modo da sembrare un gruppo americano di colore più che un pugno di scatenati, eccitanti ragazzi bianchi». In quella session negli studi della Decca si spargono i primi segni di un movimento destinato a lasciare un segno profondo nella musica del Novecento. Lì nasce il gruppo che Tom Wolfe definirà “spauracchio della borghesia” perché capace di creare un legame istintivo con gli strati più emarginati della società con i «bassifondi della vita, un cono d’ombra che per anni è stato il regno degli outsider dell’arte e della fotografia, abitato da poveri ragazzi» che nella musica della band troveranno per molto tempo la scintilla necessaria a incendiare la loro rabbia.

09 maggio, 2025

9 maggio 1965 – L’Association for the Advancement of Creative Musicians

Il 9 maggio 1965 nasce l’A.A.C.M, Association for the Advancement of Creative Musicians, Associazione per la valorizzazione dei musicisti creativi, una struttura destinata a segnare fortemente l’evoluzione del jazz negli anni Sessanta e Settanta. L’associazione ha sede a Chicago e viene fondata dal pianista e compositore Muhal Richard Abrams, il primo presidente e il più importante e stimolante animatore, dal bassista Malachi Favors, da Jody Christian, Phil Cohran e Steve McCali. Con una struttura simile a quella delle nostre cooperative essa raggruppa alcuni tra i più importanti improvvisatori dell'area di Chicago e ha lo scopo esplicito di «…educare i giovani musicisti e creare una musica di un livello artistico elevato da presentare al grande pubblico in occasione di programmi destinati a valorizzare l'importanza della Musica Creativa; creare una atmosfera stimolante per favorire, nell'ambito di un lavoro comune, l'espressione collettiva di musicisti di talento; organizzare programmi d'ascolto per i musicisti più giovani; procurare lavoro ai musicisti che se lo meritano; partecipare finanziariamente a progetti d’aiuto; rivalutare l'immagine pubblica del musicista creativo; favorire lo stabilirsi di rapporti equi e rispettosi tra gli artisti creativi e i responsabili del commercio musicale (agenti, managers, promotori, fabbricanti di strumenti); rivalutare la tradizione culturale dei musicisti che, in passato, è stata ampiamente svalutata...”. Nella sua attività l'A.A.C.M. favorirà l'incontro e lo scambio di informazioni e collaborazioni tra i musicisti più avanzati e aperti dell'area di Chicago. In quell’ambito si formeranno gruppi come l’Afro-Arts Ensemble, l’Experimental Band, l’Artistic Heritage Ensemble e soprattutto il celeberrimo Art Ensemble of Chicago, il gruppo che forse meglio rappresenterà le ambizioni estetico-musicali dell’associazione.

08 maggio, 2025

8 maggio 1982 – Addio Gilles!

Arrivato nel 1978 alla Ferrari per fare da "secondo" a Carlos Reutemann, Gilles Villeneuve si fa rapidamente la fama di uno "sfasciamacchine". È un pilota all’antica, capace di dare tutto in corsa e di infiammare l’entusiasmo dei tifosi. Enzo Ferrari stravede per lui e lo paragona ai grandi dell’epoca eroica dell’automobilismo. Viso da ragazzino e una gran voglia d’arrivare, Gilles Villeneuve accetta pazientemente di essere il numero due in squadra, prima dietro a Reutemann, poi al sudafricano Jody Sheckter. In molti pensano che sia inadatto allo "stile Ferrari", ma gode della protezione del ‘patron’ Ferrari e quindi può farsi le ossa senza problemi. Pian Piano conquista la fiducia di tutti e, all’inizio degli anni Ottanta, è ormai considerato uno dei piloti più promettenti del panorama mondiale. Il suo tragico destino si compie, però, sabato 8 maggio 1982. Sono in corso le prove del Gran Premio del Belgio. Quel giorno è inquieto. Quindici giorni prima il suo compagno di squadra Didier Pironi gli ha "rubato" la vittoria del Gran Premio di Imola proprio sul traguardo e lui non gliel’ha perdonata. Ce l’ha con Pironi, ce l’ha con la Ferrari, ce l’ha con tutto il mondo. Quando l’ultima sessione delle prove ufficiali si sta ormai concludendo il suo compagno ha il miglior tempo per un’inezia: 1’16’’500 contro il suo 1’16’’620. Decide di tentare di batterlo. Si fa montare quattro nuovi pneumatici e ritorna in pista. Compie un giro in 1’17’’ poi si butta in un’altra tornata. Sono le 13,52, mancano pochi minuti alla fine delle prove. Arriva velocissimo in una curva che si prende in piena velocità, a duecentocinquanta chilometri l’ora. Davanti alla sua vettura c’è la March di Jochen Mass, più lenta. Cerca di passarla all’interno, convinto che il pilota tedesco l’abbia visto e gli agevoli la manovra. Non è così. La ruota anteriore sinistra della Ferrari sale sulla ruota posteriore destra della March e perde l’assetto. Dopo un volo di quasi duecento metri si schianta sull’asfalto. Ai soccorritori appare chiaro che non c’è più niente da fare. Poco tempo prima aveva detto: «Oggi in curva si va come sui rettilinei e tutto questo è semplicemente assurdo perché in questo modo non ci sono possibilità di sorpasso e l’abilità del pilota conta fino a un certo punto. La velocità ci vuole nei rettilinei, ma poi bisogna dare al pilota la possibilità di azionare freni e cambio per affrontare nella maniera migliore le curve. Altrimenti non c’è più spettacolo e anche il pilota si prende dei rischi in più che non avrebbe alcun senso correre».

07 maggio, 2025

7 maggio 1925 – Sergio Bernardini, il partigiano fondatore della Bussola

Il 7 maggio 1925 nasce a Parigi da una famiglia toscana emigrata in Francia per motivi di lavoro Sergio Bernardini il futuro fondatore della Bussola di Focette, uno dei locali simbolo degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Quando i suoi genitori tornano in Italia per gestire una trattoria a Torino, lui si lega agli ambienti dell’antifascismo piemontese e nel 1944 entra a far parte della Resistenza a Cuneo. Dopo la Liberazione, nel 1947 attraversa a piedi l’Appennino, arriva in Versilia e si stabilisce a Viareggio dove si specializza nella gestione di vari locali da ballo e night: la Capannina, il Gatto Nero, L’Eden e il Caprice. Il primo gruppo scritturato per la Capannina è la Hot Jazz Band, un trio che schiera al pianoforte il futuro giornalista Piero Angela. Nel 1955 rileva la Bussola di Focette, destinata a diventare sotto la sua direzione uno dei locali più importanti d’Italia. Bernardini è stato uno dei personaggi più importanti della storia della musica leggera del dopoguerra. Manager attento e di grande fiuto è riuscito ad assumere nella canzone un ruolo che in molti ritengono sia equivalente a quello svolto da Remigio Paone o Garinei & Giovannini per il teatro. Muore a Baldichieri il 2 ottobre 1993.

06 maggio, 2025

6 maggio 1898 – Il feroce monarchico Bava

«Alle grida strazianti e dolenti/di una folla che pan domandava/il feroce monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò…» È il 6 maggio 1898, un venerdì, e nelle strade del capoluogo lombardo scendono migliaia di manifestanti. Si dice siano almeno quarantamila. Contro di loro vengono schierati ventimila soldati in assetto di guerra, sotto il comando di Fiorenzo Bava Beccaris, nominato regio commissario con pieni poteri. I primi morti restano sul terreno nel pomeriggio quando i soldati sparano contro gli operai che assediano la caserma del Trotter. Il giorno dopo, 7 maggio, di fronte alla proclamazione dello sciopero generale Bava Beccaris dichiara lo stato d’assedio e scatena le truppe. I militari avanzano sparando e la popolazione risponde lanciando tegole e mattoni dalle finestre e dai tetti. I tram vengono fatti deragliare per ostacolare le cariche della cavalleria e dei bersaglieri. Si erigono barricate a Porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Romana, Porta Ticinese e Porta Garibaldi mentre la cavalleria imperversa sui Bastioni con le sciabole sguainate. Viene anche dato l'ordine di sparare alle postazioni di cannoni attestate a Porta Genova, a S. Eustorgio e al Castello. I manifestanti resistono come possono ancora per due giorni. La battaglia si conclude lunedì 9 quando i bersaglieri espugnano l'ultima barricata alla Foppa. Mentre Bava Beccaris, in Prefettura, sta telegrafando a Roma la notizia della sua "vittoria", i carri della Croce Rossa stanno ancora setacciando le strade e le piazze della città per raccogliere morti e feriti. A chi chiedeva pane si è risposto con il piombo. Pace è fatta. Un mese dopo Re Umberto concederà al Bava Beccaris la Croce di Grand’Ufficiale «per il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Per lui non sarà l'ultimo atto della vicenda. Due anni dopo un anarchico, Gaetano Bresci, arriverà dagli Stati Uniti per vendicare con l'uccisione del re i morti di quel giorno. Bava Beccaris, invece, vivrà a lungo e morirà a novantatré anni nel 1924. La memoria della sua sanguinosa repressione sopravviverà anche grazie a un canto che ricorderà per sempre « De' non rider sabauda marmaglia/se il fucile à domato i ribelli/se i fratelli ànno ucciso i fratelli/sul tuo capo quel sangue cadrà».