11 agosto, 2025

11 agosto 1954 - Joe Jackson, geniale e imprevedibile

L'11 agosto 1954 nasce a Burton-on-Trent, in Gran Bretagna, Joe Jackson, uno degli artisti più geniali e imprevedibili della new wave britannica. Cresciuto a Portsmouth, città natale della madre, a undici anni odia lo sport e, per evitare di partecipare a un torneo di football, inizia a frequentare un corso di violino. Passato il pericolo del torneo decide di passare al pianoforte, perché meno complicato. Considerato un po' eccentrico dai suoi coetanei a quattordici anni, è, come lui stesso si definirà più tardi, "un compositore autodidatta che scrive cose terribili". I suoi autori preferiti di quel periodo, Beethoven e Stravinskij, vengono sostituiti prima del jazz di Charlie Parker e Duke Ellington e poi dal rock & roll. Grazie a una borsa di studio entra nella prestigiosa Royal Academy of Music di Londra dove studia piano, composizione e percussioni. La capitale lo affascina e lo spinge a darsi da fare. Nelle ore libere fa da spalla a un suonatore di buzuki in un ristorante greco e frequenta i concerti della National Youth Orchestra. Terminata l'accademia inizia con gli Edward Bear un intenso periodo di militanza in vari gruppi pop fino a confluire negli Arm & Legs, dove incontra il bassista Graham Maby, destinato a diventare suo inseparabile compagno nelle successive avventure musicali. Insoddisfatto del lavoro di gruppo registra un demo-tape che, dopo essere stato rifiutato dalla Virgin e dalla Stiff, viene notato da David Kershenbaum, un talent scout della A&M. Proprio lui produce, nel 1978, il primo singolo della Joe Jackson Band, Is she really going out whit him? nel quale Jackson ha al suo fianco, oltre al fedelissimo Graham Maby, il chitarrista Gary Sanford e il batterista Dave Hougton. La band ottiene un buon successo, ma non regge all'irrequietezza del suo leader e si scioglie alla fine del 1980. Di fronte alla involuzione estetizzante della musica di quel periodo, Joe Jackson si lancia in un'impresa che entusiasma moltissimo la critica e sorprende il pubblico: la pubblicazione di Jumpin' jive un album di brani jazz degli anni Quaranta e Cinquanta che recupera la sua antica passione per i grandi del jazz orchestrale. Dopo essersi trasferito a New York pubblica, nel 1982, quello in molti ritengono il suo miglior album in assoluto, Night and day. Negli anni successivi, non sempre accompagnato dal favore del pubblico, cambierà più volte stile e genere, nel tentativo costante di soddisfare le sue passioni musicali più che le esigenze del mercato.

10 agosto, 2025

10 agosto 1927 - Mario Abbate, una delle voci di Napoli

Il 10 agosto 1927 nasce a Napoli il cantante Mario Abbate, il cui vero nome è Salvatore. A dodici anni viene scritturato dalla compagnia di sceneggiate Cafiero e Fumo con la quale recita piccole parti con il suo vero nome. Dopo alcune esperienze nel varietà e nel cinema, nel 1951 vince un concorso alla RAI e ha così l’opportunità di entrare a far parte dell'orchestra del maestro Giannini. In questo periodo registra centinaia di brani per la Vis Radio e quando la radio e la televisione iniziano a dare maggior spazio alla canzone napoletana il suo nome diventa popolare in tutta Italia. Oltre a essere stato presente in varie edizioni del Festival di Napoli, ha preso parte anche a due edizioni del Festival di Sanremo: nel 1962 con Vestita di rosso e nel 1963 con Vorrei fermare il tempo e Oggi non ho tempo. Tra i suoi brani più conosciuti ci sono Suonno a Marechiaro, che gli vale il terzo posto al Festival di Napoli del 1958 in coppia con Sergio Bruni, Vierno, Mare d'estate, Suspirammo e Nuttata ‘e luna con la quale si piazza di nuovo terzo al Festival di Napoli del 1962 in coppia con Cocky Mazzetti. Muore a Napoli il 6 agosto 1981.


09 agosto, 2025

9 agosto 1972 - André Ekyan, il direttore dell’orchestra di Chez Maxim's

Il 9 agosto 1972 muore a Parigi il sassofonista, clarinettista e direttore d’orchestra André Ekyan, uno dei più importanti esponenti del jazz francese degli anni Trenta e Quaranta. Nato a Meudon il 24 ottobre 1907 con la sua musica elegante è stato uno degli alfieri dello spirito di Benny Carter sul suolo europeo. Dopo aver fatto parte dell'orchestra di Gregor et Ses Grégoriens e aver trascorso un anno presso Jack Hylton, all’inizio degli anni Trenta diventa il leader di un gruppo che si esibisce nei club di jazz di Montparnasse, prima a La Croix du Sud e poi al Boeuf Sur le Toit e, dopo un soggiorno in Svizzera da Ray Ventura nel 1941, al Jockey nella Parigi occupata con Léo Chauliac, Henri Crolla, Emmanuel Soudieux e Pierre Fouad. Dopo la fine della seconda guerra mondiale per oltre dieci anni diventa il direttore dell'orchestra di Chez Maxim's.



08 agosto, 2025

8 agosto 1920 - Leo Chiosso, le parole di Buscaglione

L’8 agosto 1920 nasce a Torino Leo Chiosso, l’uomo che ha dato le parole alle canzoni e alle storie cantate da Fred Buscaglione. La amicizia con il buon Fred risale alla fine degli anni Trenta. In quel periodo è uno studente universitario con una grande passione per i gialli mentre Buscaglione si dà da fare con le orchestre nei night. Le vicende della seconda guerra mondiale li separano interrompendo bruscamente la loro amicizia. Chiosso viene deportato in Polonia, mentre Buscaglione preso prigioniero dagli Americani viene internato in Sardegna. I due amici si ritrovano a Torino dopo la fine della guerra e iniziano a scrivere canzoni i cui testi in prevalenza traggono ispirazione dai romanzi polizieschi americani di cui Chiosso è un lettore instancabile, ma non mancano riferimenti all’attualità e alla cronaca. Il primo grande successo della coppia è Che bambola del 1956 cui seguono una lunga fila di brani funzionali al personaggio da duro che Buscaglione si sta costruendo. La loro ultima collaborazione è il film “Noi duri” del 1960 che vede oltre che quella di Buscaglione anche la presenza di Totò. Chiosso è autore del soggetto, della sceneggiatura e di parte della colonna sonora. Mentre il film è ancora in lavorazione Buscaglione muore. La carriera di Leo Chiosso, però, non finisce lì. Il paroliere firmerà una lunga serie di successi in campo musicale con canzoni come Parole, parole, parole, Torpedo blu e Montecarlo. I suoi interessi non si limiteranno alla musica ma si allargheranno alla televisione, dove lavorerà come autore in moltissimi programmi televisivi, tra cui “Canzonissima” e al cinema nel quale diventerà un apprezzato sceneggiatore e soggettista. Muore a Chieri il 26 novembre 2006.




07 agosto, 2025

7 agosto 1991 - Arrivano gli albanesi!

Spinti dallo sfascio economico e sociale del loro paese dopo l’autodissoluzione del sistema a economia socialista, il 7 agosto 1991 migliaia di profughi albanesi sbarcano in Puglia. Le organizzazioni del volontariato, soprattutto quelle cattoliche, in prima fila nell’assistenza ai profughi, denunciano l’incapacità dell’Italia di far fronte ai suoi impegni di solidarietà e nel mondo si levano voci di critica per la inadeguatezza delle nostre strutture d’accoglienza. Nascono polemiche furibonde tra chi vorrebbe chiudere le frontiere e rimpatriare i profughi e chi, invece, ritiene che, con gli attuali assetti dell’economia mondiale, il numero dei disperati che dai paesi poveri si spostano verso i paesi più ricchi è destinato inevitabilmente a crescere. 17.758 saranno i profughi che chiederanno di restare in Italia con lo status di "rifugiati politici".


06 agosto, 2025

6 agosto 2006 - In 70.000 allo Stadio Olimpico per Madonna

Il 6 agosto 2006 settantamila fans in delirio accolgono Madonna allo stadio Olimpico di Roma per l’unica data italiana del suo “Confession Tour”. Dopo un Dj. Set che ha il compito di intrattenere più che per scaldare il pubblico alle 21,45 in punto si spengono tutte le luci da una grande palla di specchi da discoteca che si apre a fiore esce la star sulle note di una Future Lovers miscelata con grazia col vecchio hit di Donna Summer I Feel Love. Interamente in nero, è circondata da ballerini con abbigliamento sadomaso mentre immagini di cavalli al galoppo scorrono sugli schermi. In splendida forma nonostante i suoi quarantotto anni Madonna per tutta la durata dell’esibizione balla, suona la chitarra e canta come una ragazzina. Tra i momenti più attesi, annunciati e discussi del concerto c’è la “finta crocifissione” con la cantante che, appesa a una croce e con in testa una corona di spine canta Live To Tell. Nonostante i tentativi di dissuaderla Madonna lascia intatto l’impianto spettacolare del suo concerto anche nella città che ospita il Vaticano. L’intera esibizione romana è ricca di messaggi contro le guerre e contro le giustificazioni religiose che spesso le sottendono. Non mancano momenti altrettanto simbolici come quando, in Forbidden Love, con due ballerini che mostrano grandi tatuaggi con la stella di David e la mezzaluna araba lanciano messaggi di pace e riconciliazione o durante l’esecuzione di Isaac, quando il suono di un corno e un canto arabo preludono all’ingresso di una ballerina coperta da un burka che si spoglia progressivamente e a fine canzone resta in costume. Nella scaletta del concerto Madonna privilegia le composizioni più recenti rinunciando a facili autocelebrazioni.

05 agosto, 2025

5 agosto 1941 – Airto, un brasiliano con Miles Davis

Il 5 agosto 1941 nasce a Itaiopolis, in Brasile, il percussionista Airto, il cui nome completo è Airto Guimorvă Moreira. Da bambino studia chitarra e pianoforte, partecipando per la prima volta a un programma radiofonico quando ha soltanto di sei anni. A sedici anni inizia a suonare in vari locali brasiliani. Nel 1953 forma un proprio gruppo che schiera nella formazione anche il polistrumentista Hermeto Pascoal. Sempre con Pascoal forma il Quarteto Novo prima di trasferirsi a Los Angeles, dove studia con Moacir Santos. Nel 1970, trasferitosi a New York, comincia a suonare e incidere con Miles Davis, guadagnandosi in breve tempo una notevole reputazione come percussionista. Nel 1972 Chick Corea lo inserisce come batterista nella prima formazione dei suoi Return To Forever la cui cantante è Flora Purim, moglie dello stesso Airto e sua collaboratrice fin dai tempi del Quarteto Novo. Tra i molti jazzisti che hanno richiesto la sua collaborazione vanno citati anche Gato Barbieri, Stan Getz, “Cannonball” Adderley e Keith Jarrett. Dopo aver costituito un trio di scarso successo con Don Friedman e Reggie Workman, Airto ha formato dal 1973 vari gruppi sotto il proprio nome, collaborando anche nei dischi di sua moglie. Per tutti gli anni Settanta la totalità dei referendum indetti dalle riviste specializzate lo indica come il miglior percussionista jazz.

04 agosto, 2025

4 agosto 1979 - Insieme per ricordare Lowell George

Il 4 agosto 1979 più di ventimila persone affollano il Great Western Forum di Inglewood. Sono attratti da un cast di tutto rispetto, ma anche dal richiamo della solidarietà. Il concerto, infatti, è destinato a raccogliere fondi per aiutare la famiglia di Lowell George, il leader dei Little Feat morto pochi mesi prima in un motel di Arlington. L’autopsia ha accertato che la causa meccanica della morte è da attribuire a una crisi cardiaca, ma la vera responsabilità della sua fine è da ricercare nell’eccessiva confidenza con sostanze stupefacenti di varia natura. Al momento della sua morte i Little Feat non esistono più. Egli stesso ha annunciato la dissoluzione della band da lui formata alla fine del 1969 a Burbank, in California, una delle più originali degli anni Settanta con la sua mescola di rock, blues e funk supportata da testi ironici, graffianti e surreali. Litigioso e perennemente alle prese con i problemi derivati dalla sua passione per qualunque tipo di droga, Lowell George è una delle figure più emblematiche del fermento creativo dell’epoca. Quando muore non ha più un soldo e la famiglia rischia di pagare un prezzo molto alto alla sua vita surreale e sregolata. Per qualche tempo vari artisti cercano di aiutare come possono la vedova a tirare avanti, ma i debiti lasciati in eredità da George non possono essere saldati solo con la buona volontà. L’idea di chiamare a raccolta i fans è dei suoi ex compagni d’avventura dei Little Feat. Si scatena una gara di solidarietà alla quale aderiscono altri artisti e il 4 agosto in clima di forte emozione si esibiscono Jackson Browne, Linda Ronstadt, Bonnie Raitt, Emmylou Harris, Michael McDonald e Nicolette Larson. La parte del leone tocca, però, ai cinque componenti superstiti dei Little Feat, Paul Barrère, Billy Payne, Kenny Gradney, Sam Clayton e Richie Hayward che, al termine del lungo brano che conclude la manifestazione annunciano di poter consegnare alla vedova del loro ex compagno la somma di duecentotrentamila dollari.


03 agosto, 2025

3 agosto 1996 - Luciano Tajoli, un mito ucciso dalla televisione

Alle ore 19.30 di sabato 3 agosto 1996, nella sua casa di Merate, in Vicolo Carbonini muore a settantasei anni Luciano Tajoli uno dei protagonisti della canzone italiana del dopoguerra. Affetto da un grave handicap fisico conseguente a una poliomielite infantile ha pagato un prezzo altissimo alla discriminazione operata dalla televisione nei suoi confronti perché "zoppo e non telegenico". Eppure nell’Italia del dopoguerra è, più di altri, il simbolo della riscossa della tradizione contro le mode culturali d’importazione arrivate insieme alle truppe alleate. Sotto l’incalzare del jazz e delle musiche di Glenn Miller le fortune del genere melodico all’italiana sembrano finite per sempre. Non è così. «Americano non voglio cantar/ o miei signori mi dovete scusar/ questa sera canto in italian…», queste semplici frasi cantate dalla voce appassionata di Tajoli diventano il segnale di riscossa della tradizione italiana. In lui, però, la tradizione è qualcosa di dinamico, non un punto d’arrivo. Non sarà mai un rivoluzionario innovatore, ma non sceglierà nemmeno di rinchiudersi nel recinto tranquillo della conservazione. La purezza del suo timbro unita a una notevole capacità di virtuosismi vocali, gli consentono di adattarsi via via alle nuove sonorità senza tradire l’ispirazione di fondo. Non ha problemi ad accettare l’utilizzo del microfono nelle esibizioni dal vivo negli anni Quaranta e non si oppone quando, negli anni Settanta, le nuove orchestrazioni rovesciano l’impostazione tradizionale portando in primo piano la sezione ritmica. Leggendaria rimane la sua capacità di passare dalla mezza voce al falsetto creando quegli "svolazzi" vocali che saranno un po' il suo "marchio di fabbrica". Stupefacente è, infine, la sua longevità artistica che gli consente di arrivare, ancora sulla breccia, fino agli anni Novanta, a dispetto delle rare apparizioni televisive che gli vengono concesse a causa della scarsa "telegenicità" della menomazione fisica.





02 agosto, 2025

2 agosto 1941 – Fabio Testi, da controfigura a protagonista

Il 2 agosto 1941 nasce a Peschiera del Garda, in provincia di Verona, Fabio Testi. Dopo essere stato scelto per interpretare una serie di filmati pubblicitari per una bibita popolarissima frequenta l’Accademia d’Arte Drammatica e inizia a lavorare nel cinema come controfigura e acrobata. In questo ruolo partecipa nel 1966 a “Il buono, il brutto e il cattivo”. È la prima esperienza nel western all’italiana, il genere nel quale ottiene le prime soddisfazioni come attore a partire dal 1967. Nel 1970 interpreta un giovane borghese della comunità ebraica innamorato di Micòl ne “Il giardino dei Finzi Contini” di Vittorio De Sica, trasposizione cinematografica del romanzo di Giorgio Bassani premiato con l'Oscar come miglior film straniero. L’anno dopo fa scalpore recitando alcune scene di nudo integrale in “Addio fratello crudele” di Giuseppe Patroni Griffi. Negli anni Settanta lavora con registi di primo piano come Pasquale Squitieri, Enzo G. Castellari, Lucio Fulci e Claude Chabrol che gli affida l’emblematico ruolo dell’anarchico Bonaventura Diaz in “Sterminate Gruppo Zero”. Negli anni Ottanta dopo la partecipazione a “Scemo di guerra” di Dino Risi e “Io e il duce” di Alberto Negrin riduce la presenza sul grande schermo alternandola a impegni nella fiction televisiva e in teatro.

01 agosto, 2025

1° agosto 1966 - Al concerto degli Who una serata di straordinaria follia

Nel 1966 il National Jazz and Blues Festival di Windsor, arrivato alla sua sesta edizione, è ormai considerato uno dei più importanti appuntamenti musicali dell’estate inglese. Articolato su una serie di concerti che si svolgono nel periodo compreso tra gli ultimi giorni di luglio e la metà d’agosto, si è evoluto nel tempo. Intelligentemente ha iniziato a dare spazio, oltre che al jazz tradizionale, anche ai nuovi gruppi emergenti della scena rock britannica, attirando così l’attenzione di un vasto pubblico giovanile. Il programma del 1966 prevede l’esibizione di band come gli Yardbirds, Chris Farlowe, i Move, gli esordienti Cream, ma soprattutto gli attesissimi Who. Questi ultimi, distruttori di strumenti e famosi per la loro musica violenta, sono divenuti in breve tempo l’emblema del movimento Mod. La loro My generation (Spero di morire prima di diventare vecchio/sto parlando della mia generazione) è quasi un inno per la gioventù inglese in cerca di emozioni forti e mette in evidenza la capacità del gruppo di essere, più di tutti gli altri, capace di fornire una colonna sonora alle prime bande giovanili. La loro musica è violenta, aggressiva e i loro fans sono parte di quella massa enorme di ragazzi che anni dopo verrà definita “proletariato giovanile”. Sono i giovani nati e cresciuti nelle periferie industriali delle grandi città britanniche che lasciano presto la scuola per lavorare in fabbrica. La loro voglia di cambiare è rabbia inespressa, primitiva. L’idea di cambiamento non si alimenta con ideali, non c’è tempo. C’è da lavorare per tirare avanti e resta solo il fine settimana per coltivare il sogno di una vita diversa. Ci sono gli amici, la musica e la possibilità di rompere, meglio se con la violenza, il quieto conformismo di una settimana lavorativa che al lunedì, tutti i lunedì, ricomincia sempre uguale a se stessa. Ce l’hanno con tutti, ma soprattutto con i loro genitori che non hanno fatto niente per cambiare la vita e l’ambiente in cui vivono. La loro è una ribellione senza particolari obiettivi e gli Who ne sono i profeti ideali. Il chitarrista Pete Townshend così definisce la filosofia mod: «I Mod sono il rifiuto di quello che c’era prima. Se ne fregano della tv, delle beghe dei politici e della guerra del Vietnam...». Con il tempo il gruppo cambierà registro, analizzerà a fondo le ragioni del suo successo e cercherà contenuti nuovi producendo capolavori come Tommy o Quadrophenia, ma nel 1966 è ancora un concentrato di rabbia e violenza pura. I suoi componenti, Roger Daltrey, Pete Townshend, John Entwistle e Keith Moon non sono differenti dai ragazzi che li amano. Litigano spesso, s’azzuffano, vivono senza regole e quasi quotidianamente annunciano l’intenzione di sciogliere la band. Il 1° agosto 1966, comunque, sono a Windsor, come prevede il programma del festival. Quando salgono sul palco l’immenso tendone che ospita i concerti fatica a contenere l’entusiasmo di centinaia di spettatori accaldati e stretti come sardine. Dopo un’ora e mezza di concerto gli Who danno il via al rito della violenta distruzione dei loro strumenti. Quando Pete Townshend spacca contro il pavimento del palco la sua chitarra, un giovane spettatore delle ultime file fa lo stesso con una sedia lanciando i pezzi in aria. Quasi fosse un segnale la maggioranza dei presenti inizia a rompere tutto quello che gli capita sotto mano. I pochi agenti di polizia presenti sul posto chiamano rinforzi, mentre gli organizzatori si affannano nel vano tentativo di convincere i ragazzi a desistere dalla loro opera di distruzione. Tutto è inutile. In preda a una sorta di follia collettiva, prima che le forze dell’ordine riescano a fermarli, i giovani, dopo aver scalato le strutture metalliche, completano la loro opera distruggendo anche il tendone che ospita i concerti.

31 luglio, 2025

31 luglio 1990 – Fernando Sancho, il messicano dei western all’italiana

Il 31 luglio 1990 muore di cancro a Madrid Fernando Sancho. La sua immagine per gli appassionati del western all’italiana è quella del messicano per eccellenza. La sua faccia larga e baffuta con la risata pronta e spesso falsa è entrata nell’immaginario del pubblico e nella storia delle caratterizzazioni del genere come quella del bandito destinato fin dall’inizio a soccombere nel confronto con il protagonista. Nel decennio in cui si è sviluppata l’intera epopea del western all’italiana nessuno più di Fernando Sancho ha interpretato il ruolo del bandito messicano. Si racconta che gli stessi sceneggiatori dovendo tratteggiare questa figura nella fase di preparazione dei film la disegnassero direttamente su di lui attribuendo direttamente il suo nome al personaggio. Nato a Saragozza, in Spagna, il 7 gennaio 1916 fa la sua prima esperienza cinematografica nel 1944 quando a soli diciott’anni partecipa alla realizzazione di “Orosia”, un film spagnolo mai arrivato in Italia. Nel dopoguerra, come molti altri aspiranti attori, sbarca a Roma intenzionato a cercare fortuna a Cinecittà, in quel periodo cuore pulsante della cinematografia mondiale grazie anche al trasferimento sulle rive del Tevere di molte produzioni hollywoodiane. La sua faccia particolare e l’imponenza del suo fisco non sfuggono ai responsabili dei cast, sempre alla ricerca di caratteristi. Dopo aver partecipato a vari film, facendosi notare soprattutto in alcuni film mitologici come “Goliath contro i giganti” e soprattutto in “Arrivano i Titani”, viene scritturato anche per tre produzioni hollywoodiane come “Il Re dei Re” nel quale interpreta il pazzo, “Lawrence d’Arabia” (è lui il sergente turco che arresta Lawrence) e “55 giorni a Pechino”. Personaggio di grande cultura e con uno spiccato senso dell’umorismo è molto amato da registi e produttori perché sa mettere le sue abilità da caratterista al servizio delle storie. Negli ultimi anni della sua carriera diventa uno dei personaggi di culto dei film horror. Muore di cancro a Madrid il 31 luglio 1990. Tra le innumerevoli battute dei suoi personaggi western la più citata resta ancora oggi quella pronunciata nei panni di Gordon Watch nel film “Arizona Colt” di Michele Lupo: «Un giorno mio padre mi disse: quando sarò morto questo orologio sarà tuo. Cinque minuti dopo l’orologio era mio».


30 luglio, 2025

30 luglio 2004 - “Pace e male” dei Têtes de Bois

Il 30 luglio 2004 i Têtes de Bois presentano il loro nuovo lavoro intitolato Pace e male. Visto il successo ottenuto con l’album Ferré, l’amore e la rivolta potevano vivacchiare di rendita sfruttando ancora per un po’ il “giocattolo” Ferré attingendo alla corposa produzione del cantautore francese, ma il gruppo non è fatto così. Il suo volo non è quello degli uccelli rapaci che girano in tondo attorno alla preda. Non ci sono prede, ma passioni, nel cuore di questa band che da tempo viaggia lungo le imperscrutabili rotte degli stormi migranti. «Ferré ce l’abbiamo sempre vicino, è nel nostro cuore e nella nostra musica – ci dice Andrea Satta, la voce del gruppo non solo sul palco – viaggia con noi sulle nuove strade. È un amico vivo, un compagno d’avventure, e gli amici e i compagni non si mummificano nel ricordo». E così dopo due anni ci regalano Pace e male, un doppio album che ha il sapore della strada, degli spazi liberi, il gusto del confronto e della contaminazione unito alla leggerezza del pensiero aperto. «In questa avventura abbiamo imbarcato un sacco di amici, ciascuno dei quali ha regalato un pezzo di sé». Sono davvero tanti e diversi gli apporti in voci, idee e suoni, un lungo elenco che comprende musicisti come Daniele Silvestri, Mauro Pagani, Ugolino e Antonello Salis, attori come Paolo Rossi e Marco Paolini, giornalisti ad assetto variabile come Gianni Mura e un ex ciclista, Davide Cassani. Come sempre il lavoro dei Têtes de Bois fa impazzire gli ostinati amanti delle classificazioni rigide. C’è di tutto, rock, classica, teatro, strada, un caleidoscopio musicale in cui tutto si mescola senza violenza per generare nuovi e differenti colori. È musica colta che parla della realtà quotidiana, la racconta attraverso piccole storie che in cui vive la forza dei grandi temi, dal lavoro (Buongiorno Arturo) alla guerra, all’imperialismo (Abbasso Nixon), alla critica sociale. A ben vedere è proprio questa capacità di raccontare la realtà minuta attraverso il linguaggio poetico l’eredità vera di Ferré, un modo di farlo rivivere rifuggendo dagli scimmiottamenti delle cover. È anche un modo di legare il presente con il passato senza trasformare quest’ultimo in un album di fotografie, perché, come ricorda Andrea Satta, la memoria è un elemento strategico nella battaglia per cambiare lo stato delle cose possibili: «La memoria è l’elemento che può fare la differenza in un mondo in cui il video, i sistemi di comunicazione e di persuasione di massa tendono a cancellare la capacità di discernere e di pensare. Anche l’indignazione è pilotata. Spesso mi sorprendo a pensare che quando non ci sarà più mio padre che è stato in campo di concentramento anche il nazismo diventerà una figurina innocua. Mi fa paura un mondo in cui i mass media controllano anche la nostra capacità critica, scegliendo i temi sui quali scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica. Il nostro lavoro sulle storie, sulle piccole vicende quotidiane è un modo di recuperare la memoria guardando avanti, di uscire dal sapere enciclopedico, la vera tragedia della cultura di questo tempo che riduce a sintesi e cancella la molteplicità». Chissà, forse è per questo che l’album è doppio, per non cadere nella trappola della sintesi forzata…

29 luglio, 2025

29 luglio 1938 – Enzo G. Castellari, un maestro del film di genere

Il 29 luglio 1938 nasce a Roma Enzo G. Castellari. Mentre tutto il mondo lo omaggia come uno dei più grandi maestri del “film di genere” Enzo G. Castellari, al secolo Enzo Girolami, da sempre contesta addirittura la definizione sostenendo che il cinema “di genere” non esiste perché si tratta di una categoria inventata da chi non ha altro da fare che cercare di catalogare tutto quello che vede. Si definisce un “innamorato del cinema” a tutto tondo e senza altro aggettivo, anche se è chiaro che per lui un film deve prima di tutto affascinare, far sognare e se possibile aiutare a dimenticare i problemi giornalieri. Figlio del regista Marino Girolami, respira l’aria del set fin da quando muove i primi passi e prima di passare dietro alla macchina da presa si fa le ossa lavorando in quasi tutte le fasi della produzione, dalla sceneggiatura al montaggio, da attore ad aiuto regista. Per non restare prigioniero dell’ingombrante eredità paterna sceglie di lavorare sempre sotto un nome d’arte. Prima di diventare Enzo G. Castellari diventa E. G. Rowland e Stephen Andrews. Enzo G. Castellari fa il suo debutto alla regia nel 1966 nel western all’italiana dirigendo senza comparire sul manifesto il film “Pochi dollari per Django” ufficialmente firmato da Léon Klimovsky per ragioni legate alla co-produzione spagnola. L’anno dopo firma con lo pseudonimo H. G. Rowland l’interessante “7 winchester per un massacro”, un film ispirato alla storia vera del Reggimento Nero del Colonnello Shaw, una banda di sudisti che non accettò la resa e continuò la Guerra di Secessione per proprio conto. Sempre nel 1967 realizza, finalmente con lo pseudonimo di Enzo G. Castellari, “Vado, l’ammazzo e torno” che supera il miliardo di lire d’incasso e ne fa uno dei protagonisti del boom commerciale del western all’italiana. Seguono poi nel 1968 “Quella sporca storia del West”, una sorta di trasposizione western dell’Amleto di Shakespeare, “I tre che sconvolsero il West (Vado, vedo e sparo)” e “Ammazzali tutti e torna solo”. Il successo lo stimola a cercare nuove strade e a misurarsi con generi diversi dal western all’italiana. Arrivano così i successi de “La battaglia d’Inghilterra”, “Ettore Lo Fusto” e, soprattutto, “La polizia incrimina, la legge assolve” e “Il cittadino si ribella” che all’inizio degli anni Settanta segnano la nascita del genere poliziesco all’italiano o “poliziottesco”, un altro filone d’oro del nostro cinema di quel periodo. Le sue incursioni nel western all’italiana riprendono nel 1972 con “Tedeum” e nel 1975 con “Cipolla Colt”, due film che si inseriscono in modo originale nel filone satirico che caratterizza l’ultimo periodo del genere. L’omaggio più prezioso, la gemma della sua produzione western resta, però, Keoma, entrato nella storia del cinema come il film che chiude l’epopea iniziata con “Un pugno di dollari” di Sergio Leone. Inaspettatamente tornerà a far cavalcare Franco Nero sulle polverose strade della frontiera nel 1993 realizzando “Jonathan degli orsi”, un bellissimo omaggio postumo al western all’italiana che esce in Italia soltanto nel 1995 dopo il successo ottenuto nelle sale cinematografiche statunitensi.


28 luglio, 2025

28 luglio 1962 – Eddie Costa, il pianista con la passione del vibrafono


Il 28 luglio 1962 a New York muore in un incidente automobilistico il trentaduenne pianista e vibrafonista Eddie Costa. Si chiude così prematuramente la carriera di uno dei più promettenti strumentisti di quel periodo. Nato ad Atlas il 14 agosto 1930 Edwin James Costa, questo è il suo nome completo, inizia giovanissimo a studiare pianoforte. Ben presto, però scopre il vibrafono e, senza abbandonare gli studi pianistici, decide di dedicarsi anche al nuovo strumento, di cui impara l'uso da solo mettendo a frutto le tecniche apprese sulla tastiera del pianoforte. A diciassette anni esordisce con il trio di Frank Victor suonando un paio di anni nei club della Pennsylvania, ma ben presto decide che la vita di provincia non fa per lui. Sempre con il gruppo di Victor se ne va a New York dove incontra Joe Venuti con il quale sembra destinato a far coppia fissa quando arriva, in parte inaspettata, la chiamata di leva. Il servizio militare blocca la sua carriera per due anni, dal 1951 al 1952, ma non ne cancella la popolarità. Dopo il congedo suona in quasi tutti i migliori locali del circuito jazz con le formazioni di Sal Salvador, Johnny Smith, Tal Farlow, Kai Winding e Don Elliott. Parallelamente forma un suo trio con il quale partecipa al festival di Newport del 1957. Alla fine degli anni Cinquanta suona più volte nella grande orchestra di Woody Herman. Considerato da pubblico e critica come uno del giovani di maggior talento del nuovo jazz, nel 1957 vince anche il referendum indetto dalla rivista specializzata Down Beat come miglior "new star" dell'anno. Non sceglie tra i suoi due strumenti, ma cerca di assimilare il meglio di ciascuno per migliorare il proprio bagaglio tecnico. Suona il piano in uno stile originalissimo chiaramente derivato dallo studio del vibrafono, utilizzando, per esempio, la mano sinistra per creare suggestivi unisoni di ottave. La sua tecnica al vibrafono non è da meno e si caratterizza per l'originalità di un tappeto sonoro che non rinuncia alle tentazioni ritmiche. Non è un caso che un grande chitarrista come Tal Farlow quando può contare sul suo apporto rinuncia alla batteria. Il suo rapporto con i chitarristi in genere è però speciale tanto che nella sua brevissima carriera suona praticamente con tutti i più grandi: da Farlow a Smith, da Wayne a Salvador, a Joe Puma. L'incidente mortale lascia per sempre in sospeso l'interrogativo sulle sue possibili future evoluzioni.


27 luglio, 2025

27 luglio 1977 - Milt Buckner, l’inventore del locked-hands

Il 27 luglio 1977 muore a Chicago, nell’Illinois, il tastierista e arrangiatore Milton Buckner detto Milt. Nato a St. Louis, nel Missouri, il 10 luglio 1915 è fratello dell'altosassofonista Ted Buckner. La sua è una famiglia di musicisti. Un altro fratello George, morto nel 1969, suona la tromba. Rimasto orfano all'età di nove anni, si trasferisce a Detroit, dove lo zio, il trombonista John Tobias, gli insegna la musica. Nel 1930, a quindici anni, comincia a scrivere i primi arrangiamenti per l'orchestra di Earl Walton. Nello stesso periodo studia al Detroit Institute of Art, dove resta per due anni, suonando di tanto in tanto con gli Harlem Aristocrats, Mose Burke e The Dixie Whangdoodles. In seguito suona e scrive diversi arrangiamenti per i McKinney Cotton Pickers, e nel corso degli anni Trenta, a Detroit, per Lanky Bowman, Howards Bunts, Don Cox e Jimmy Raschelle. Nel 1941 entra nell'orchestra di Lionel Hampton con cui resta fino al 1952, salvo una parentesi tra il 1948 e il 1950 in cui dirige una propria big band.La sua lunga permanenza nella formazione di Hampton contribuisce in misura determinante al suo successo come pianista, non solo come solista nel celebre brano Hamp's Boogie-Woogie ma anche come primo interprete a fare uso della tecnica detta locked-hands (o block-chords), attuata eseguendo con ambedue le mani serie di accordi paralleli. Pur riducendosi in qalche caso a un semplice raddoppio di ottave, questa tecnica si diffonde notevolmente nel jazz moderno, e viene adottata da molti pianisti, tra i quali George Shearing, Dave Brubeck, Oscar Peterson. Abbandonato Hampton il pianista crea un proprio trio, utilizzando anche l'organo Hammond. Negli anni Sessanta viene riscoperto dalla critica e dal pubblico e suona con jazzisti quali Buddy Tate, Illinois Jacquet, Roy Eldridge, Wallace Bishop, Jo Jones e Alan Dawson. Nel 1971 torna a suonare con l'orchestra di Lionel Hampton.

26 luglio, 2025

26 luglio 1956 – L’Andrea Doria e la leggenda delle Lancia Aurelia affondate

La notte del 26 luglio 1956 mentre si sta avvicinando al porto di New York il transatlantico Andrea Doria, simbolo della navigazione civile italiana, entra in rotta di collisione con un’altra nave. Le segnalazioni non impediscono il contatto. La nave italiana cozza contro il rompighiaccio Stockholm e affonda. Nella tragedia muiono cinquantun persone. La leggenda racconta che a bordo ci siano alcune decine di Lancia Aurelia B24 Spider e che oggi le vetture riposino in fondo al mare con i resti del transatlantico. In realtà nei documenti di carico non c’è alcun dato che confermi l’evento. L’unica certezza riguarda l’affondamento con la nave di un prototipo preparato da Ghia per la Chrysler. Il resto appartiene al campo della fantasia e dei miti del mare.


25 luglio, 2025

25 luglio 1981 – Gli Orchestral Manoeuvres In The Dark

Il 25 luglio 1981, quasi un anno dopo la sua prima pubblicazione in Gran Bretagna, il brano Enola gay arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti in Italia. Sia pur in ritardo il disco ha un successo commerciale più eclatante di quello ottenuto in patria, dove non è andato oltre l'ottavo posto in classifica. Gli interpreti del brano si fanno chiamare Orchestral Manoeuvres In The Dark. Dietro questa sigla si nascondono, in realtà, due ingegneri del suono di Liverpool, Paul Humphreys e Andy McCluskey, provenienti dall'esperienza della cool wave. Definiti, forse con un po' di precipitazione, "alfieri della tecno pop", con il loro sound, basato su un ampio uso di tutte le soluzioni tecnologiche più avanzate disponibili in campo musicale, tende a superare gli angusti limiti di una definizione schematica. Enola gay è uno dei brani del loro secondo album Organisation, realizzato con la collaborazione di un gruppo di strumentisti che comprende, tra gli altri, il percussionista Malcolm Holmes, il sassofonista Martin Cooper e il tastierista Michael Douglas, un trio che li supporta anche nelle esibizioni dal vivo. Quando Enola gay arriva al vertice della classifica italiana in patria la band ha già pubblicato il nuovo album, Architecture and morality, con i singoli Souvenir e Joan of Arc (Maid of Orleans). Chi pensa che gli Orchestral Manoeuvres In The Dark, il cui nome si è nel frattempo accorciato in O.M.D. siano destinati a ripetersi all'infinito si sbaglia. Nel 1983 con l'album Dazzle ship e il singolo Genetic engeneering, i due di Liverpool inizieranno a prendere le distanze dalle facili tentazioni del pop. Non sarà, però, una scelta definitiva. Per qualche anno alterneranno brani decisamente sperimentali e ostici a parentesi commerciali. Alla fine degli anni Ottanta Humphreys se ne andrà per formare i Listening Pool. Quella degli Orchestral Manoeuvres In The Dark diventerà così una sigla nelle mani del solo McCluskey.



24 luglio, 2025

24 luglio 1927 - Ronald Langinger alias Ronny Lane, un sax per tante orchestre

Il 24 luglio 1927 nasce a Chicago, nell’Illinois, il sassofonista Ronny Lane, registrato all’anagrafe con il nome di Ronald Langinger. Dopo varie esperienze in gruppi minori debutta professionalmente con la Hoagy Carmichael Teenagers Band nel 1946. L'anno dopo suona con le formazioni di Earle Spencer, Ike Carpenter e Skinnay Ennis. Nel 1949 entra a far parte in modo stabile dell'orchestra di Les Brown, una delle big band più popolari di quell'epoca non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Proprio con questa orchestra registra una nutrita serie di brani per la Coral, in molti dei quali ha modo di emergere anche come solista, mettendo in mostra uno stile che con qualche plateale concessione al pubblico meno smaliziato, si dimostra molto efficace e perfettamente in armonia con l’esaltante suono dell’ensemble orchestrale. Dopo aver lasciato l'orchestra di Brown, forma un suo sestetto avvalendosi della collaborazione di Dave Pell dando così vita a un lungo sodalizio documentato da moltissime incisioni. A partire dagli anni Sessanta sceglie di lavorare prevalentemente come musicista di studio.


23 luglio, 2025

23 luglio 1992 – Arletty la collaborazionista

Il 23 luglio 1992 muore Arletty, una delle protagoniste, nel bene e nel male, dello spettacolo francese del Novecento. La sua vita è stata ricca di contraddizioni e di sbagli. La donna ha sbagliato ma, se paragonata ad altri protagonisti del suo tempo, ha pagato in misura certamente superiore agli sbagli commessi. Arletty l’altera, la bella e la traditrice, dopo essere stata la luminosa stella capace di scaldare il cuore della gente di Francia diventa la reietta e viene rinchiusa in un carcere con l’infamante accusa di aver collaborato con i nazisti. Per sua ammissione la vita non è stata tenera con lei ma nemmeno troppo maligna. Ogni volta che si è ritrovata nella polvere ha avuto la caparbietà ma anche la possibilità di risorgere. Grande attrice, ha saputo trasferire con naturalezza nella canzone quella straordinaria capacità interpretativa che le permetteva di brillare sul palcoscenico dei teatri e sullo schermo cinematografico. Amato o detestato, osannato o disprezzato il suo personaggio non ammette mezze misure e divide i sentimenti dei francesi. Suo malgrado Arletty è diventata un po’ il simbolo vivente delle contraddizioni anche drammatiche della Francia del Novecento. Léonie Bathiat, la futura Arletty, nasce il 15 maggio 1898 a Courbevoie. Suo padre Michel lavora nell’azienda dei tram, mentre la madre, Marie Dautreix, fa la lavandaia. Entrambi sognano un destino tranquillo e una vita serena per la piccola Léonie e con qualche sacrificio riescono a pagarle gli studi presso una scuola di stenografia. La sua vita trascorre apparentemente lineare con le emozioni e i sogni che caratterizzano l’adolescenza di migliaia di ragazze come lei. Le nubi che s’addensano sull’Europa, però, finiranno per cambiare in qualche modo il suo destino. Nel 1914 la guerra, quel massacro che i posteri chiameranno Prima Guerra Mondiale dopo averne messa in cantiere una seconda, le porta via il suo primo amore. La morte di Ciel, Cielo, come lei lo ha soprannominato per il blu intenso dei suoi occhi, la segna per sempre e l’accompagna per tutta la vita. «In quel momento ho deciso: non mi sposerò mai, non avrò alcun bambino perchè non voglio essere nè vedova di guerra ne madre di un soldato». Due anni dopo anche suo padre se ne va. Non se lo porta via la guerra ma un incidente. Travolto da un tram del deposito dove lavora lascia la famiglia nelle mani del destino. A diciott’anni la ragazza cerca allora di darsi da fare. Lavora un po’ come impiegata, ma soprattutto accetta la corte di un suo coetaneo, Jacques Georges Levy, rampollo di una famiglia di banchieri e innamorato perso di lei. È lui a introdurla nei salotti parigini e a farle conoscere il mondo del teatro. Il palcoscenico colpisce la sua immaginazione e la convince che quella deve essere la sua vita. Jacques George Levy diventa rapidamente un ricordo per la giovane Léonie che per sbarcare il lunario lavora come indossatrice a Parigi da Poiret con il nome d’arte di Arlette. Proprio nell’ambiente della moda conosce Paul Guillame, il gallerista che ha saputo intuire e valorizzare prima di tutti la genialità di pittori come Picasso e Modigliani. Tra i due nasce un’amicizia preziosa e la ragazza gli confida il suo sogno di lavorare in teatro. Per un tipo sveglio come Guillame darle una mano non è un problema. Una chiacchierata con il direttore del Théâtre des Capucines è sufficiente a cambiare la sua vita. Sui manifesti il nome d’arte da indossatrice, Arlette, viene modificato nel più esotico ed evocativo Arletty. È l’inizio di una lunga carriera. Per tutti gli anni Venti le sue canzoni e la sua straordinaria capacità interpretativa caratterizzano alcune tra le commedie musicali e le riviste di maggior successo. La popolarità di cui gode alla fine del decennio rende quasi inevitabile l’incontro con il cinema dove debutta nel 1930 interpretando un piccolo ruolo al fianco di Victor Boucher nel film “Douceur de vivre” diretto da René Hervil. La sua interpretazione viene notata da Jean Choux che le affida un ruolo di primo piano accanto al popolare Jean Coquelin nel lungometraggio “Un chien qui rapporte”. Negli stessi anni anche la sua carriera teatrale è costella da successi strepitosi come “Un soir de réveillon” al Bouffes-Parisiens, un’operetta di Sacha Guitry, e soprattutto “Le Bonheur mesdames” con Michel Simon che viene replicato ben cinquecento volte consecutive nonostante le liti tra Arletty e il suo compagno di scena. A completare il periodo magico c’è anche il successo di pubblico del lungometraggio “Pensione Mimosa” del belga Jacques Feyder. Proprio durante la lavorazione di questo film, l'attrice conosce il ventottenne Marcel Carné, all'epoca assistente alla regia di Feyder, che nel 1938 la chiama a interpretare, “Albergo Nord” con Louis Jouvet, e l’anno dopo la vuole in “Alba tragica” al fianco di Jean Gabin. Il successo di critica e pubblico ottenuto da questi film fanno di Arletty una delle attrici più popolari e pagate della Francia di quel periodo. All’inizio degli anni Quaranta proprio con Marcel Carné Arletty gira i due film destinati a regalarle l’immortalità artistica. Il primo è “L'amore e il diavolo”, girato nel 1942 con al suo fianco Alain Cuny e il secondo è “Amanti perduti” con Jean-Louis Barrault girato più o meno nello stesso periodo ma caduto sotto gli strali della censura degli occupanti nazisti e presentato al pubblico soltanto nel 1945 dopo la Liberazione. I due lungometraggi, nati dalla collaborazione di Carné con il poeta Jacques Prévert, sono considerati ancora oggi quanto di meglio abbia prodotto il realismo francese di quegli anni. È all’apice del successo quando si ritrova in una sorta di girone infernale apparentemente senza uscita. Come dicevano gli antichi, l’eccesso di fortuna finisce per suscitare l’invidia degli dei. Nell’estate del 1944, subito dopo la liberazione di Parigi, Arletty viene catturata e rinchiusa nel campo di prigionia di Drancy, a due passi da Parigi. L’accusa che le viene rivolta è la più infamante che in quel periodo si possa immaginare: collaborazionismo con le forze di occupazione naziste della città. In realtà la sua colpa vera è quella di essersi innamorata di un ufficiale tedesco di stanza nella capitale, ma il tribunale è inflessibile. Dopo 120 giorni nel carcere di Fresnes sconta un paio d’anni di libertà vigilata con l’impegno di stare lontana da Parigi. Gli amici però non l’abbandonano, neppure quelli più impegnati politicamente, a partire da Jacques Prévert. Capiscono che la sua colpa è stata soltanto quella d’innamorarsi e l’aspettano. Scontata la sua pena, a partire dal 1947 Arletty torna a lavorare, soprattutto in teatro dove ritrova il suo pubblico e l’antico successo. Più faticoso è il rientro nel cinema. Nel 1948 Marcel Carné la scrittura per il suo “La Fleur de l'âge” un film mai terminato per il fallimento della produzione. Le prime interpretazioni degne di nota sono del 1953 ne “Il grande gioco” di Robert Siodmak che la vede al fianco di una giovanissima Gina Lollobrigida e in “Aria di Parigi” di Marcel Carné con Jean Gabin. Quando nella sua vita tutto sembra tornato a posto, il destino ha in serbo un’altra brutta sorpresa. Arletty viene colpita da una grave forma di cecità progressiva. Lei reagisce con l’energia di chi è abituato a far fronte alle avversità, ma pian piano finisce per arrendersi all’ineluttabile. Nel 1962 chiude con il cinema interpretando “Viaggio a Biarritz” diretto da Gilles Grangier. Nonostante la perdita della vista lavora ancora in teatro per qualche anno prima di lasciare definitivamente le scene. Il suo ritiro non assume mai le caratteristiche dell’abbandono. Negli anni seguenti resta in contatto con il pubblico rilasciando interviste, raccontando la sua vita e commemorando gli amici scomparsi. Nel 1971 pubblica “La défense”, un’autobiografia ricca di aneddoti sconosciuti e considerazioni sulla vita. L’unica regola che si dà è quella di comparire il meno possibile in video, anche per lasciare ai suoi ammiratori l’immagine splendida degli anni migliori. Il canale di comunicazione con il pubblico resta affidato principalmente alla sua voce. Muore a Parigi il 23 Luglio del 1992 all'età di novantaquattro anni.