19 febbraio, 2020

19 febbraio 2001 - Charles Trenet, il più grande chansonnier del Novecento


Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 2001 muore Charles Trenet. C'è chi l'ha definito il più grande chansonnier del ventesimo secolo, anche se è difficile stabilire una classifica in un genere che ha conosciuto il suo miglior momento proprio nel Novecento. Certamente Charles Trenet è stato uno dei giganti de la "chanson", la moderna canzone francese. Un attacco cerebrale in un ospedale di Creteil, spegne per sempre quel sorriso e quella gioia di vivere che l'avevano fatto entrare nel cuore di milioni di persone. «Sono entrato nell'infanzia a diciannove anni e non ne sono più uscito… prima ero troppo serio…» Quando muore ha 87 anni e per almeno sessanta è stato per tutti "le fou chantant”, il cantante folle, per l'esuberanza e la gioia che sprigionava nei suoi concerti. Quando nessuno ancora aveva inventato la parola cantautore lui è stato autore, compositore e interprete. Fin dal periodo in cui muove i primi passi nel teatro di rivista si impone come una sorta di trovatore moderno, capace di far incontrare la poesia con i ritmi derivati dal jazz. Un critico francese ha detto che nelle canzoni di Charles Trenet sembra che «Verlaine abbia incontrato Duke Ellington e insieme abbiano deciso di scrivere canzoni». Con lui muore un pezzo importante del Novecento musicale. A diciannove anni è già popolare nella Parigi notturna. A ventuno, affiancato dall'inseparabile amico Johnny Hess ottiene il suo primo contratto discografico. È il 1933 e i due, che si chiamano Charles et Johnny, nel giro di un paio d'anni registrano ben quindici dischi a settantotto giri. Ci vogliono ancora quattro anni prima che Charles recuperi il suo cognome, ridiventi Charles Trenet e realizzi, sotto l'ala protettiva di Maurice Chevalier, Je chante, il suo primo successo come solista. Da quel momento la crescita della sua popolarità diventa geometrica. Nel 1938 vince il "Prix du disque" e tutta Parigi impazzisce per questo giovane che mescola swing e poesia, tradizioni e rinnovamento attingendo a piene mani dalla straordinaria ed effimera vivacità di un periodo che vive con la stessa intensità il Fronte Popolare, il jazz e il surrealismo. In breve tempo assurge a mito e le sue canzoni, Je chante, Y'a d'la joie, Le soleil et la lune, La mer, Douce France e tante altre diventano la fonte d'ispirazione primaria per gran parte dei protagonisti della canzone francese contemporanea, da Georges Brassens, che lo ha sempre considerato suo padre spirituale, a Jacques Higelin. Nel 1978 pubblica un libro di memorie, "I miei anni giovanili", e annuncia di voler cantare fino a quando la salute lo regge. Quando, nel 1991, viene invitato in Italia al Premio Tenco, lui non si accontenta del ruolo di "ospite di riguardo". Si lancia in una indiavolata e travolgente esibizione nella quale ripropone le sue più famose canzoni senza dimenticarsi neanche un accenno di tip tap. «Ha settantotto anni, ma la voglia di vivere è quella di un ragazzino!» osservano i cronisti e la voce, impostata e senza incertezze appare del tutto immune al passare del tempo. Con il trascorrere degli anni diventa una sorta di icona immortale, un prestigiatore della canzone capace di estrarre dal cilindro sempre nuove sorprese. Nel novembre del 1999, a ottantasei anni compiuti, accetta di esibirsi ancora una volta a Parigi, di fronte a un pubblico emozionato più di lui. Nessuno fa più caso alla sua età. Nessuno pensa a lui come a qualcuno di passaggio. Quando ormai tutti cominciano a credere che sia davvero immortale, nella primavera del 2000 un ictus aggredisce il suo corpo. L'eterno ragazzo reagisce con la forza dello spirito e con una straordinaria voglia di vivere. Viene ricoverato ad aprile nell'ospedale americano di Neuilly-sur-Seine, dove resta per un mese e mezzo. Quando viene dimesso accetta di buon grado le faticose terapie di riabilitazione, e ride delle indiscrezioni dei giornali popolari sul suo abbandono definitivo delle scene. Per il suo ritorno in pubblico sceglie un evento eccezionale come l'ennesimo concerto di un altro grande personaggio della canzone francese: Charles Aznavour. In occasione della prima parigina della tournée di Aznavour arriva a sorpresa tra il pubblico. Si muove con qualche difficoltà ma sorride e appare lucido. Risponde con arguzia ai cronisti che gli si affollano intorno. «Sono obbligato a essere qui, visto che Aznavour ha rilevato le edizioni musicali Raoul Breton, che hanno in catalogo tutte le mie canzoni… è lui il mio padrone ora, non potevo mancare, non me l'avrebbe perdonata…». Le sue parole sono accompagnate dal solito sorriso ammiccante. Trova anche il tempo di alludere scherzosamente all'ictus che l'ha colpito. A un giornalista che gli chiede come abbia trovato Aznavour risponde «Senza difficoltà». Seduto tra gli invitati assiste al concerto nelle vicinanze del primo ministro Lionel Jospin e dà appuntamento a tutti per un suo prossimo ritorno in scena. Per la prima volta nella sua vita non manterrà la parola. Un attacco cerebrale glielo impedisce per sempre. Juliette Gréco alla notizia della sua scomparsa invita tutti a non piangerlo. «Io conservo di lui dei ricordi solari. Non servono le lacrime né le orazioni funebri: sarebbe come riconoscere la morte, e Trenet è la vita. Bisogna semplicemente cantare, e lui sentirà la nostra riconoscenza e il nostro amore».


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