21 luglio, 2020

21 luglio 1990 - Il muro di Roger Waters davanti al muro di Berlino

Sono almeno duecentomila gli spettatori che il 21 luglio 1990 assistono dal vivo alla messa in scena di “The wall” (Il muro) davanti a ciò che resta del muro di Berlino in Potzdamer Platz, di fronte alla Porta di Brandeburgo, in quella che fino a pochi mesi prima era terra di nessuno tra la parte occidentale e quella orientale della città. L’opera, un classico dei Pink Floyd, dovrebbe essere, nelle intenzioni degli organizzatori, più che una celebrazione della caduta del muro, uno spettacolare ponte di culture lanciato tra due parti d’Europa che si stanno riunendo. Non a caso le immagini più forti della rappresentazione sono quelle delle guerre che hanno insanguinato il nostro continente, viste come un orpello di un passato nato dalla stupidità degli uomini. La sua messa in scena, curata dallo stesso autore, l’ex Pink Floyd Roger Waters, è destinata a diventare un esempio di “concerto europeo” da contrapporre ai ridondanti e, spesso, leziosi quanto monocordi “eventi” di scuola statunitense. Nella stesura spettacolare non c’è solo il rock. Ci sono anche i cori e le orchestre dell’Armata Rossa e della Radio di Berlino Est, ad affiancare un cast eccezionale che comprende, tra gli altri, Bryan Adams, la Band (senza Robbie Robertson), James Galway, gli Hooters, Cyndi Lauper, Ute Lemper, Joni Mitchell, Van Morrison, Sinead O’Connor, gli Scorpions, Marianne Faithfull, l’ex chitarrista dei Thin Lizzy Snowy White e gli attori Tim Curry e Albert Finney. Europei sono anche gli evidenti richiami al mondo delle arti figurative della scenografia, i riferimenti al cabaret e anche le atmosfere musicali, alle quali collabora il direttore d’orchestra Michael Kamen. Oltre ai duecentomila convenuti a Berlino, sono più di due miliardi gli spettatori che assistono, in mondovisione, per più di due ore a uno spettacolo che non annoia grazie ai frequenti colpi di scena e a una tensione interna che si materializza nell’attesa prima della costruzione e poi della distruzione del muro.

19 luglio, 2020

19 luglio 2002 – L’ordinanza contro Franco Trincale

È il 19 luglio 2002. Provate a immaginare tra i mille problemi della città di Milano qual è quello che tormenta di più i sogni del Sindaco Gabriele Albertini? La disoccupazione, il traffico, le nuove povertà, l'ambiente… Macché il problema principale si chiama Franco Trincale, di professione cantastorie, "reo" di disturbare con le sue canzoni la gente per bene che vota a destra e deplora ogni "disordine". L'attivo Sindaco di Milano, infatti, il 19 luglio prende carta e penna (si fa per dire) e scrive, anzi scolpisce, un’ordinanza con cui si stabilisce di vietare l'uso di «impianti di amplificazione per l'esercizio di attività musicali disciplinate dal vigente Regolamento comunale degli artisti di strada nelle aree pedonali di Piazza Duomo, C.so Vittorio Emanuele e Via Dante». Indovinate chi si esibisce in quelle aree pedonali? Franco Trincale. La cosa, se non fosse una vera e propria persecuzione contro un artista che ha il torto di aver mai piegato la testa di fronte a nessuno, sarebbe ridicola. Non è così. In realtà è un attacco contro la libertà di espressione artistica e un atto di insofferenza contro i "fastidiosi" cantastorie che "osano" prendere in giro il potere. Mentre crescono gli attestati di solidarietà nei confronti di Franco Trincale, la questione arriva in Parlamento grazie a un'interrogazione presentata dai senatori, Pizzinato, Togni, Pagliarulo, Donati, Dalla Chiesa e Piloni ai Ministri della Cultura e dell'Interno. Alla fine vince Trincale, ma il braccio di ferro sarà lungo e ricco di nuovi tentativi di limitarne la libertà.

17 luglio, 2020

17 luglio 1976 – A Montreal il primo boicottaggio di un'Olimpiade

Alla vigilia dell’apertura dei giochi olimpici di Montreal, prevista per il 17 luglio 1976, entra per la prima volta nel linguaggio sportivo un termine nuovo: boicottaggio. La prima nazione ad annunciare la sua rinuncia a partecipare ai giochi per protesta è Taiwan che, non potendo utilizzare dopo il riconoscimento della Cina Popolare la dizione "Repubblica di Cina" se ne va. Il comitato organizzatore non dà troppo peso al gesto e lascia fare senza tentare alcuna mediazione. Non ci si rende conto dell’importanza che i giochi stanno assumendo anche come formidabile cassa di risonanza per azioni clamorose e gesti propagandistici. L’inerzia e l’incomprensione fanno sì che nubi ben più nere inizino ad addensarsi sui giochi canadesi. La Tanzania chiede l'esclusione dalle gare della Nuova Zelanda, accusata di aver intrattenuto rapporti sportivi con il Sudafrica razzista, e, di fronte al rifiuto degli organizzatori se ne va. Con lei lasciano l'Olimpiade ventisei paesi africani, la Guyana e l'Iraq, ma l’elenco rischia d’allungarsi. Da più parti si chiede che vengano ridotti a quattro i cerchi olimpici che simboleggiano i cinque continenti, vista l'assenza dell'Africa. Iniziano febbrili quanto tardive trattative diplomatiche per salvare i giochi finché, in extremis, si riesce a garantire la presenza del Senegal e della Costa d'Avorio. Il quinto cerchio dell’Olimpiade è salvo.

15 luglio, 2020

16 luglio 1966 – Nascono i Cream

Il 16 luglio 1966, nella Londra deserta di mezza estate nascono i Cream, destinati a diventare il gruppo più famoso e più popolare della storia del blues revival. I loro componenti non sono novellini, ma tre protagonisti del circuito blues londinese sempre meno underground. Guidato dalla chitarra di Eric “Slowhand” Clapton, già con John Mayall e poi con gli Yardbirds, il trio schiera il polipercussionista Ginger Baker alla batteria e Jack Bruce l’ex bassista dei Bond e dell’Alex Korner Band. I Cream portano sui grandi palchi dei concerti rock le esperienze nei fumosi club londinesi, alzando il volume ai massimi livelli. Nel 1966 il loro primo album, Fresh Cream, ottiene un successo incredibile. Le distorsioni e il wah-wah di Clapton su una ritmica incalzante fanno il giro del mondo. L’anno dopo raddoppiano i risultati sul piano commerciale con Disraeli Gears, un album prodotto da Felix Pappalardi che ammorbidisce i suoni in chiave pop. La loro popolarità è supportata dalle devastanti esibizioni dal vivo che con le lunghe concessioni all’improvvisazione, aprono un nuovo mondo agli adolescenti ancora troppo costretti dalla rigida ripetitività del beat. I tre si integrano a meraviglia. Ciascuno porta sul palco una personalità diversa e insieme cambiano gli stereotipi della musica di consumo. Nel 1968 il doppio Wheels Of Fire metà registrato in studio e metà dal vivo, segna il punto più alto della loro carriera e, insieme, l’inizio della fine. Pochi mesi dopo l’album Goodbye dà il segno dell’imminente separazione. I tre, per evitare di restare prigionieri di una sorta di agonia autocelebrativa, decideranno di separarsi ufficialmente dopo un indimenticabile concerto d’addio.

14 luglio, 2020

14 luglio 1973 – L'ultima volta al vertice per i Camaleonti

Il 14 luglio 1973 i Camaleonti arrivano per la quinta volta nella loro storia al vertice della classifica dei singoli più venduti in Italia con Perché ti amo. Il brano, un'accattivante, ma un po' stucchevole, melodia scritta da Totò Savio consacra definitivamente il paroliere Giancarlo Bigazzi che, per l'occasione non si è troppo spremuto (Perché ti amo/io non lo so/ma stai sicura/che non dormirò). Rappresenta però una sorta di canto del cigno per la band milanese, arrivata al capolinea di un'involuzione stilistica iniziata alcuni anni prima con la separazione dal suo primo cantante e frontman Riki Maiocchi. Nati all'inizio degli anni Sessanta nel Santa Tecla, uno dei locali di culto del rock milanese, con il già citato Maiocchi, il bassista Gerry Manzoli, il chitarrista Livio Macchia, il tastierista Tonino Cripezzi e il batterista Paolo De Ceglie, sono per qualche tempo una delle più genuine espressione del garage beat dell'area alternativa milanese. Nei primi dischi e, soprattutto, nei concerti, i cinque entusiasmano i giovani rocker del capoluogo lombardo con le loro ruvide versioni di brani inglesi e americani. Il primo successo discografico è, nel 1965, Sha-la-la-la la, versione dell'omonimo brano di Paul Clarence. La popolarità finisce per innescare o, forse, accelerare un processo di revisione interna. Persa per strada la roca voce blues di Riki Maiocchi che viene sostituita da quella più melodica e perbene di Tonino Cripezzi, la band cambia rapidamente impostazione e casa discografica. Chiude in un cassetto il garage beat degli inizi e si avvia su una strada decisamente commerciale abbracciando progressivamente un pop melodico di grande successo. All'inizio degli anni Settanta sotto la spinta dei cambiamenti in atto nella canzone italiana la popolarità dei Camaleonti è in declino. Nel 1973 il successo di Perché ti amo sembra inaugurare una nuova stagione per quello che è ormai divenuto uno dei gruppi simbolo del pop melodico italiano, ma non sarà così.

13 luglio, 2020

13 luglio 1985 - L’ingombrante santificazione di Bob Geldof

“Un giorno Dio voleva trovare una soluzione al problema della carestia in Africa e, probabilmente per sbaglio, ha bussato alla porta di Bob Geldof. Quando questo irlandese trasandato ha aperto la porta, dopo qualche perplessità deve aver pensato: Oh, al diavolo, andrà bene anche lui!”. In questo modo singolare la rivista “Life” esprime il proprio ammirato stupore nei confronti dell’iniziativa di Bob Geldof, il cantante dei Bootown Rats, principale artefice della mobilitazione del rock a favore delle popolazioni africane colpite dalla carestia. Il 13 luglio 1985 sono un miliardo e mezzo i telespettatori di tutto il mondo che assistono al “Live Aid”, il più grande concerto benefico della storia della musica rock. E non è casuale che l’organizzatore sia proprio un artista non di primissimo piano e da tempo impegnato sui problemi sociali del suo paese. L’ambiente, infatti, è diffidente nei confronti dei grandi nomi, dopo le truffe e le vergognose speculazioni del “Concerto per il Bangladesh” organizzato anni prima da George Harrison e divenuto famoso perchè nessuno dei soldi raccolti era arrivato a destinazione. In molti ci provano, ma solo Geldof ce la fa e porta quasi in contemporanea su due palchi costruiti negli Stadi di Wembley e di Filadelfia in sedici ore del megaconcerto quasi tutti i vecchi e nuovi personaggi del rock e del pop mondiale. Il successo dell’evento provoca un effetto imitazione e nei mesi successivi una pioggia di dollari si riverserà sugli organismi internazionali impegnati nella lotta contro la carestia africana. Il Live Aid resta nella storia del rock ma rischia di cambiare per sempre la vita del suo ideatore. Bob Geldof, ribattezzato “Santo Bob” viene anche proposto per il Premio Nobel per la Pace e per qualche tempo non riesce più a trovare qualcuno che ne prenda sul serio le ambizioni e le qualità artistiche. L’immagine salvifica che lo accompagna finisce per pesare come un macigno sulla sua carriera di cantante, costringendolo a ripartire quasi da zero e finisce per farlo sempre più assomigliare a una tranquillizzante immaginetta.

12 luglio, 2020

12 luglio 1963 - Una pallottola nel cuore di Gino Paoli

Il cantautore Gino Paoli viene ricoverato alle 18.30 del 12 luglio 1963 al pronto soccorso dell’ospedale genovese di San Martino con una ferita d’arma da fuoco alla “regione parasternale destra”. La prognosi è riservata e i medici disperano di salvarlo. I giornali sostengono che il cantante, in preda a una forte crisi depressiva, ha deciso di farla finita e si è sparato al cuore. Paoli, invece, sostiene che si tratta di un colpo accidentale partito mentre stava pulendo l’arma. Contrariamente alle previsioni la vicenda ha un felice epilogo. La pallottola si è incastrata in un punto non vitale del cuore, per cui non è neppure necessario procedere alla sua estrazione. Dopo una lunga convalescenza il cantautore riprenderà a lavorare.


11 luglio, 2020

11 luglio 1949 – Danny Polo, il clarinettista che amava l'Europa

L'11 luglio 1949 all'Illinois Masonic Hospital di Chicago muore il clarinettista e sassofonista Danny Polo, uno dei migliori ed eclettici musicisti di sezione, oltre che ottimo solista. Ha quarantotto anni. Il giorno prima è stato colto da un improvviso malore mentre era impegnato con l'orchestra di Claude Thornhill all'Edgewater Hotel di Chicago. Figlio d'arte (suo padre è clarinettista) nasce a Clinton, nell'Indiana, e fin dai primi anni d'età inizia soffiare negli strumenti ad ancia. A otto anni veste la divisa di una banda della sua città. Negli anni successivi forma una coppia inseparabile con un suo amico d'infanzia, il pianista Claude Thornhill, lo stesso che gli sarà accanto anche nel suo ultimo concerto. A Chicago, nel 1923, ottiene i primi ingaggi professionali con l'orchestra di Elmer Schoebel al Midway Gardens cui segue un breve periodo nella band di Merritt Brunies. Tra il 1924 e il 1925 lavora in Florida e a New York con varie orchestre da ballo. Nell'inverno del 1926 sostituisce per tre mesi Don Murray nell'orchestra di Jean Goldkette e nell'estate successiva si lascia tentare dall'idea di andarsene via per un po'. Insieme al batterista Dave Tough, lascia gli Stati Uniti per un lungo soggiorno europeo durante il quale suona con le band del banjoista George Carhart, di Lud Gluskin e con quella di Arthur Briggs, senza rinunciare a una breve esperienza in proprio. All'inizio degli anni Trenta è a Londra con il gruppo di Bert Ambrose. Nel 1935 torna negli Stati Uniti, ma non può resistere alla nostalgia per l'Europa. Nel 1938 torna a Parigi al fianco di Ambrose e poi si aggrega alla band di Ray Ventura. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo costringe a rientrare in patria. Lo fa malvolentieri anche se riesce a suonare con alcuni tra i migliori gruppi del periodo, come quelli di Joe Sullivan e di Jack Teagarden. Alla fine della guerra rientra nell'orchestra del suo amico Claude Thornhill con la quale resta fino alla morte.

10 luglio, 2020

10 luglio 1968 - I Nice bruciano la bandiera USA

Il 10 luglio 1968 nel corso di un loro partecipatissimo concerto alla Royal Albert Hall di Londra i Nice bruciano e calpestano la bandiera statunitense. Il gesto avviene durante l'esecuzione di una versione molto “psichedelica” di America, il brano di Leonard Bernstein tratto dal musical "West side story". La band, che in quel periodo è composta dal bassista Keith “Lee” Jackson, proveniente dai T.Bones come il tastierista Keith Emerson, dal chitarrista Dave O'List, già con gli Attack e dal batterista Brian "Blinky" Davison ex Mark Leeman Five, è solita eseguire il pezzo di Bernstein insieme a una serie di evoluzioni improvvisative intitolate Second emendment. In quel 10 luglio alla dissacrazione musicale viene aggiunta la provocazione visiva. Quella bandiera USA che brucia sul palco vuole essere, secondo quanto annunciato dallo stesso Keith Emerson “di un segno di protesta per l’ignobile guerra in Vietnam”. Il gesto che attira sui Nice molte simpatie da parte dei movimenti pacifisti finisce per costare caro sul piano professionale. La band, infatti, viene messa al bando dal locale, uno dei luoghi più prestigiosi per la musica dal vivo britannica.

09 luglio, 2020

9 luglio 2006 - Campioni del mondo!

Il 9 luglio 2006 l'Italia vince per la quarta volta il campionato del mondo di calcio. La finale, che si gioca all'Olympiastadion di Berlino, vede di fronte le rappresentative nazionali di Italia e Francia. Proprio i transalpini vanno in vantaggio a soli sei minuti dall’inizio con Zidane che mette a segno un calcio di rigore concesso per un fallo di Materazzi su Malouda. È poi lo stesso Materazzi a pareggiare il conto al 19' con un gran colpo di testa su corner di Pirlo. La partita si chiude sull'1-1. Si va ai tempi supplementari durante i quali Zidane viene espulso per aver colpito con testata al petto il difensore italiano Materazzi. Alla fine dei supplementari il risultato non cambia pertanto il titolo deve essere assegnato ai calci di rigore. Tocca all’Italia cominciare. Per primo calcia Pirlo e segna. Poi per la Francia c'è Wiltord che non sbaglia. Va a segno anche Materazzi con un sinistro rasoterra, mentre il francese Trezeguet calcia sulla traversa. Dopo quelli messi a segno da De Rossi e Del Piero per l’Italia e da Abidal e Sagnol per la Francia il rigore decisivo per gli azzurri è affidato ai piedi di Grosso che segna e consacra la vittoria della nazionale italiana. Al terzo posto si classifica la Germania battendo al Gottlieb-Daimler-Stadion di Stoccarda il Portogallo per 3-1.

07 luglio, 2020

8 luglio 1965 - Willie Dennis, tra melodia e violenza espressiva

L’8 luglio 1965 muore in un incidente stradale il trombonista Willie Dennis. William De Berardinis, questo è il suo vero nome, nasce a Philadelphia, in Pennsylvania, il 10 gennaio 1926 e i suoi primi passi con la musica li muove più seguendo l’istinto che le lezioni degli insegnanti. Per tutta la vita racconterà di aver imparato da solo i segreti del trombone. Negli anni Quaranta suona nelle orchestre di Elliott Lawrence, Claude Thornhill e Sam Donahue prima di suonare passare in quella di Benny Goodman per la tournée europea del 1958. Nello stesso anno se ne va anche in America Latina con Woody Herman. Insofferente ai legami troppo lunghi si diverte a suonare in piccole formazioni con gran parte dei grandi protagonisti del jazz di quel periodo, da Howard McGhee a Charlie Ventura, da Coleman Hawkins a Lennie Tristano a Kai Winding. Proprio con Winding dà vita al gruppo di quattro trombonisti (gli altri due sono J. J. Johnson e Benny Green) ideato da Charlie Mingus. Nel 1959 entra nel quintetto di Buddy Rich, con Phil Woods al sassofono contralto. All'inizio degli anni Sessanta fa parte della Concert Jazz Band di Gerry Mulligan. La morte improvvisa ne chiude la carriera. In possesso di una tecnica eccezionale, Dennis riusciva a fondere una grande sensibilità melodica con la violenza espressiva ricavata dal lungo contatto con Mingus.

06 luglio, 2020

7 luglio 1967 - Alle figlie della rivoluzione non piace Hendrix

Il 7 luglio 1967 è un venerdì. Jimi Hendrix è in viaggio verso Jacksonville, in Florida, con i suoi Experience, dove il giorno dopo l’attende, al Coliseum, il primo concerto di una lunga tournée con i Monkees, i freschi e puliti idoli dei teen-ager locali. È il suo primo tour nella nazione dove è nato, quell’America che non lo ama troppo, che detesta la sua musica nervosa e la mescola di razze che porta nel sangue, metà nero e metà pellerossa. Non è un caso che siano stati gli europei a scoprirlo e a dargli la possibilità di farsi conoscere in tutto il mondo. Il suo manager è un inglese, il ruvido Chas Chandler, già bassista degli Animals, che ha creduto in lui e lo ha aiutato anche economicamente nei momenti duri. In Europa ha colto i suoi primi successi e ora, con l’aureola della gloria, torna nel suo paese per una lunga serie di concerti. Non lo convince l’idea di essere accoppiato ai Monkees, un gruppo dolciastro nato a tavolino come risposta americana ai Beatles, ma i contratti sono contratti e lui è uno di parola. Nel tardo pomeriggio di quel 7 luglio 1967, al suo arrivo a Jacksonville trova, però, la città tappezzata da manifesti che lo contestano. Sono firmati da un gruppo di destra chiamato “Associazione delle figlie della rivoluzione americana” e chiedono ai “veri americani” di mobilitarsi contro le sue esibizioni, considerate “oltraggiose” e “pornografiche”. Non sono minacce vuote. I luoghi dove si deve esibire vengono presidiati da gruppi di manifestanti che danno alle fiamme i suoi manifesti. La contestazione spaventa gli organizzatori della tournée che, dopo aver tentato qualche formale resistenza in nome della “libertà d’espressione”, danno il benservito al buon Jimi e lo rimandano a casa.

6 luglio 1940 – Gianfranca Montedoro, una catanese tra jazz e pop

Il 6 luglio 1940 nasce a Catania la cantante Gianfranca Montedoro, una delle più interessanti voci femminili degli anni Sessanta e Settanta. Sempre divisa tra jazz e musica leggera, muove i primi passi in varie formazioni dixieland romane. Nel 1961 partecipa al Festival Jazz di Saint Vincent con la band di Franco Ambrosetti e Gianfranco Tommaso, ma sviluppa anche un'interessante carriera parallela nella musica leggera, vincendo nel 1963, con la squadra della Sicilia, "Gran Premio", la trasmissione televisiva abbinata alla lotteria di Capodanno. Fra il 1964 e il 1965 gira l'Italia con jazzisti come Carlo Loffredo, Nunzio Rotondo, Gato Barbieri e molti altri. Quando nel nostro paese sbarca la bossa nova forma i Valiom 5, un gruppo composto da musicisti brasiliani. Nello stesso periodo presta la sua voce a varie colonne sonore cinematografiche. Alla fine degli anni Sessanta entra nella formazione dei Braintjchet, un gruppo di jazz-rock guidato dal tastierista belga Joe Vandrogenbroeck, con i quali partecipa al Festival Pop di Caracalla del 1971. Instancabile vagabonda nel 1972 partecipa alla formazione dei Living Music, un gruppo sperimentale di cui fanno parte, tra gli altri, Umberto Santucci, Andrea Carpi e Nino De Rose. Con questa band pubblica l'album To Allen Ginsberg e partecipa al Festival d'Avanguardia e Nuove Tendenze. Affascinata dalle esperienze di confine tra jazz, musica sperimentale e pop, non si risparmia. Il suo approccio non è freddo e distaccato. Non si fa problemi. Presta la sua voce a numerosissime opere di ricerca musicale, ma non disdegna di accompagnare in tour un personaggio di punta del pop come Mal, l'ex cantante dei Primitives. Nel 1975 realizza insieme ai Murple l'album Donna Circo, un'opera a metà tra teatro e musica con i testi di Paola Pallottino. Negli anni successivi, di fronte all'evoluzione del pop italiano e all'affermarsi di nuovi generi e tendenze, finirà per rifugiarsi sempre di più verso il jazz.

05 luglio, 2020

5 luglio 1946 - La prima volta del bikini

È il 5 luglio 1946 quando alla piscina Molitor di Parigi viene mostrato in pubblico un costume a due pezzi: una mutanda che lascia scoperto l’ombelico e un reggiseno che valorizza in modo prepotente il petto. L’ideatore è un designer svizzero che si chiama Louis Réard e i modelli sono stati realizzati dal couturier Jacques Heim. I due hanno faticato un po’ a trovare le modelle disposte a indossare quel costume nel defilé della “prima”. Nessuna professionista della moda, infatti, se la sente di mostrarsi in pubblico con un costume così succinto. Alla fine gli organizzatori hanno un improvviso colpo di genio reclutando elementi adatti alla parte nel meno altezzoso mondo delle spogliarelliste. Le ragazze sfilano di fronte agli occhi sorpresi di un pubblico scelto per l’occasione ed entrano nella storia. Una in particolare colpisce la fantasia dei presenti e anche degli assenti che l’ammirano in fotografia sui rotocalchi di mezzo mondo. Si chiama Micheline Bernardini, diventa la prima star del costume a due pezzi e nei mesi successivi alla sfilata riceve ben cinquantamila proposte di matrimonio. Al momento della sua nascita ufficiale il costume a due pezzi che i suoi ideatori inizialmente avevano pensato di chiamare Atome viene ribattezzato con il nome di Bikini, preso in prestito dall’omonimo atollo della Micronesia. La scelta nasce dalla suggestione e dalla preoccupazione suscitata nel mondo intero dalla scelta degli Stati Uniti di far esplodere in via sperimentale due bombe all’idrogeno sugli isolotti di quell’atollo. Mai nome è stato più azzeccato. L’effetto che il costume a due pezzi avrà sul costume dell’epoca si rivelerà davvero esplosivo.

04 luglio, 2020

4 luglio 2002 – Il patrocinio dell’Unesco al Folkest

Il 4 luglio 2002 inizia il Folkest, più che un Festival musicale la manifestazione è un luogo dove John Trudell, il cantore dell'epopea e dei drammi dei nativi americani e le musiche zingare del serbo Goran Bragovic si prendono per mano mentre la fisarmonica diatonica del basco Kepa Junkera fa da controcanto a un tappeto di note israeliane e palestinesi. In questo mondo di barriere e ingiustizie planetarie fa bene al cuore sapere che non esiste davvero in un triangolo di terra compreso tra Friuli, Veneto e Istria. Assomiglia all'Isola che non c'è di Peter Pan, ma non è frutto della fantasia. Occidente e Oriente, Nord e Sud del mondo, infatti, si incontrano al Folkest 2002, considerato il più importante festival folk dell'Europa meridionale, dedicato in particolare alle culture etnicamente minoritarie. Dopo più di vent’anni di storia nel 2002 ottiene anche il patrocinio dell'Unesco. Oltre trenta comuni del Friuli Venezia Giulia, del Veneto e dell'Istria ex Yugoslava fanno da scenario agli eventi in programma. L'apertura avviene il 4 luglio con due concerti, quasi in contemporanea, degli irlandesi Niall O'Callanain & S. T. Band a San Quirino e della European Youth Folk Orchestra a Crevatini, in terra istriana. Alla faccia delle frontiere tracciate dagli uomini la musica fin dall'inizio si libra alta, in nome dell'incontro tra i popoli e le loro culture. Tra le ragioni del successo di questo appuntamento, oltre alla capacità di operare scelte artistiche senza compromessi, c'è da considerare anche lo straordinario scenario in cui si svolge. Il suo girovagare tra ville, castelli e antiche piazze ne fa una sorta di festival "zingaro" che si srotola, giorno dopo giorno, abbinando itinerari inconsueti ai suoni di tradizioni spesso dimenticate. Vent'anni di storia hanno consentito al Folkest di diventare adulto e gli interpreti meno noti godono della stessa accoglienza riservata ai grandi nomi, perché ormai del Folkest "ci si fida", e si sa che la qualità dell'offerta è sempre all'altezza. Le proposte del 2002 spaziano come sempre in tutto il mondo e fin dalle prime battute offrono più di una sorpresa con molte perle da conservare, in particolare quella European Youth Folk Orchestra, un gruppo formato da dodici tra i migliori giovani talenti del folk europeo, che ha fatto da apripista. Ogni artista porta il suo bagaglio e lo regala volentieri. Tanta Europa, nei primi giorni, con escursioni tra le atmosfere scozzesi e irlandesi e la presenza del "cavaliere elettrico" Massimo Bubola, seguito dagli spagnoli Azarbe. La serie degli ospiti è infinita: da Vinicio Capossela ai messicani Los de Abajo, dai leggendari cubani Los Van Van agli ottoni della Wedding & Funeral Band, al canto dell'israeliana Noa, alle suggestioni palestinesi dei Radiodervish e a tanti altri momenti di grande emozione. Piccolo esempio della globalizzazione solidale, il Folkest mescola le culture e la sapienza dei popoli in un'unica colonna sonora. Ogni diversità, lungi dall'essere nemica, è apprezzata e, insieme, costituisce l'humus che alimenta la vita stessa della manifestazione.

03 luglio, 2020

3 luglio 1925 - Ted Van Dongen, l’olandese autodidatta

Il 3 luglio 1925 nasce ad Amsterdam, in Olanda, il chitarrista Ted Van Dongen. Autodidatta, nel 1942 collabora con Red Debroy e Harry de Groot, e nel 1943 con Carel Alberts sr. Tra il 1944 e il 1945 suona con Johnny Meyer ed Enno Stam, mentre nel 1946 è al fianco di Jack Louis, che lascia nel 1947 per aggregarsi al gruppo di Mat Mathews. Tra il 1947 e il 1952 se ne va in Lussemburgo per suonare con Jean Roderes, e successivamente collabora con Jenny Arlton. Nel 1953 suona con Don Byas, Jam Corduwener, Frans Poptie e Cor Steijn. Nel 1954 è con Eddy Sanchez nella sua tournée in Svezia e nel 1955 suona con Ted Powder e lo Swiss Air Trio. Nel 1956 è al fianco di John Faber, e l'anno dopo torna con Ted Powder, per accompagnarlo in una tournée svedese. Nel 1959 lascia Powder e torna a collaborare con Harry de Groot e Frans Popsie, esibendosi soprattutto in concerti radiofonici. Tra il 1959 e il 1964 lavora con The Four Lads, un’orchestra svizzera che gode di notevole popolarità in Olanda, Germania e Finlandia. A partire dal 1965 preferisce evitare impegni lunghi e inizia a lavorare soprattutto come freelance.


02 luglio, 2020

2 luglio 1928 - Line Renaud, la ragazza del music hall

Il 2 luglio 1928 a Pont de Nieppe nasce Line Renaud. «Dalle brume del Nord della Francia alle luci di Hollywood e di Las Vegas». Così è stata sintetizzata la straordinaria avventura di Line Renaud, l’applaudita vedette dei music-hall parigini che negli anni Cinquanta porta le atmosfere e le canzoni degli chansonniers francesi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Bionda “come un angelo” brucia le tappe e arriva presto al grande successo internazionale dopo aver precocemente conquistato il pubblico parigino del music-hall. Per la sua storia artistica Line Renaud ha finito per diventare un po’ l’elemento di contatto, il ponte attraverso il quale due mondi dello spettacolo apparentemente lontani come quella francese e quello angloamericano si incontrano. La sua voce regala al pubblico d’oltremanica e d’oltreoceano i brani migliori della canzone d’autore della sua terra e, in una sorta di ideale compensazione, porta in Francia le versioni nella lingua di casa dei grandi successi internazionali. Quando prima il cinema e poi la televisione la chiamano, lei non si tira indietro. Si impegna con la costanza e l’instancabile voglia di migliorarsi che da sempre l’hanno caratterizzata finendo per allargare la sua popolarità anche a un pubblico diverso da quello che l’ha scoperta attraverso le canzoni. Proprio il cinema e la televisione le consentono di superare indenne il passare del tempo e la morte del grande amore della sua vita affacciandosi al nuovo millennio con una ritrovata voglia di nuove avventure artistiche.Il 2 luglio 1928 a Pont de Nieppe, un borgo del Nord della Francia vicino alla città d’Armentières, nasce una bambina. Si chiama Jacqueline Enté e, come i personaggi delle favole, ha i capelli d’oro e le guance rosse e vellutate come i petali di rosa. La madre è una stenodattilografa, mentre suo padre fa il camionista e nel poco tempo che gli resta suona la tromba nella banda municipale. La musica incanta la piccola Jacqueline e i genitori la incoraggiano. A sette anni vince il suo primo concorso canoro. Sono anni difficili per tutti. Sull’Europa aleggiano nuove nubi di guerra e suo padre, come gran parte degli uomini in grado di portare un’arma, viene richiamato. Finirà prigioniero e la sua assenza da casa durerà cinque anni. A prendersi cura di Jacqueline restano tre donne: sua madre e le due nonne, una delle quali possiede un caffè ad Armentières nel quale la biondissima ragazzina spesso si esibisce cantando per gli avventori. Nelle intenzioni della famiglia la musica dovrebbe restare poco più di un hobby per la sempre meno piccola Jacqueline, ma come spesso succede il destino ha in serbo qualche sorpresa. Nel 1942 la ragazza legge su un giornale l’annuncio dell’apertura delle audizioni per entrare al Conservatorio di Lille. Nella sua beata ingenuità non fa caso al fatto che l’ammissione al Conservatorio è prevista soltanto per le interpreti di canto classico. Si presenta davanti alla commissione e canta Sainte-Madeleine e Mon âme au diable, due canzoni scritte da Loulou Gasté, uno dei più popolari compositori di quel periodo. Nonostante le premesse l’audizione sortisce comunque un effetto. Al termine dell’esibizione Jacqueline viene avvicinata dal direttore di Radio Lille che vorrebbe scritturarla. Superate le resistenze di mamma e nonne a quattordici anni firma un contratto biennale per interpretare sulle onde della radio le canzoni di Loulou Gasté. Sceglie anche un nome d’arte. Jacqueline Enté diventa così Jacqueline Ray. Come Dio vuole anche la guerra finisce e gli occupanti nazisti lasciano finalmente la Francia. Nell’entusiasmo del dopoguerra Radio Lille finisce per essere un orizzonte troppo limitato per le ambizioni di Jacqueline che decide di tentare la fortuna a Parigi. Nel 1945 ottiene la sua prima scrittura alle Folies Belleville, uno dei più prestigiosi music-hall di quel periodo. Josette Daydé, la vedette dello spettacolo, la rende in simpatia e quasi per farle un regalo decide di presentarle quel Loulou Gasté che è da sempre il suo idolo e del quale interpreta ogni sera le canzoni. L’incontro è fatale per entrambi. Jacqueline ha sedici anni, il compositore ne ha trentasette, ventuno in più, ma tra i due è amore a prima vista. Gasté decide anche di seguirla sul piano artistico. Le impone un cambiamento radicale dell’impostazione scenica, uno stile nuovo, vestiti diversi e, ciliegina sulla torta, anche un nome d’arte più facile da ricordare. Jacqueline, troppo lungo, si accorcia in Line mentre il cognome della nonna materna, Renaud, sembra fatto apposta per restare nella memoria. Scritturata da Radio Luxembourg fa il suo debutto in un programma musicale della domenica che arriva in tutte le case di Francia. Dopo aver registrato qualche brano con la Pacific, in breve tempo si ritrova con un buon contratto discografico con la Pathé Marconi. Tutto scorre così veloce che la ragazza fatica a raccapezzarsi. La prima canzone pubblicata con la prestigiosa etichetta è Ma cabane au Canada, un brano scritto per lei da Loulou Gasté che vince il premio destinato al miglior debutto del 1949 al Gran Prix du Disque. Nello stesso anno canta al Théâtre de l’Etoile aprendo un concerto di Yves Montand e parte per la sua prima tournée fuori dai confini francesi. Il 1950 la vede collezionare un successo dopo l’altro con brani come Ma petite folie o Etoile de neiges, versioni francesi di grandi successi statunitensi di quegli anni. L’anno vede anche il suo trionfo come vedette all’ABC, uno dei music-hall più importanti di Parigi e il matrimonio con Loulou Gasté. Molto apprezzata anche dal pubblico britannico la ragazza comincia ad catturare anche le attenzioni del cinema. Nel 1951 gira il suo primo film. È “Ils sont dans les vignes” di Robert Vernay cui seguono, l’anno dopo, “Paris chante toujours” di Pierre Montazel e nel 1953 “La route du bonheur” di Maurice Labro. Nel 1954 Line Renaud viene scritturata dal Moulin Rouge. La sua popolarità è tale che il celebre locale si garantisce il tutto esaurito per tutti e quattro i mesi in cui il suo nome resta in cartellone. Proprio al Moulin Rouge la vede per la prima volta il comico e intrattenitore Bob Hope che l’invita a partecipare ben cinque puntate del suo show televisivo, forse il più popolare della televisione statunitense di quel periodo. Il successo è immediato. Line canta nei locali più prestigiosi d’oltreoceano e registra anche un brano in duo con Dean Martin intitolato Relaxed-vous. Per tutti gli anni Cinquanta farà la spola tra la Francia e gli Stati Uniti passando anche un lungo periodo a Las Vegas dove il suo nome in cartellone affianca quelli di personaggi come Frank Sinatra o Louis Armstrong. Continua a mietere successi anche nel cinema e, a partire dalla fine degli anni Sessanta, in televisione dove si fa apprezzare per la sua capacità di intrattenitrice e showgirl. Proprio alla televisione francese conduce nel 1973 il varietà “Line direct”. Gli anni passano ma Line sembra non accorgersene e nel 1980 festeggia i trent’anni di carriera al Casino con una serata cui partecipa tutta Parigi. La ventenne principessa del music-hall ha lasciato il posto a una matura e consapevole donna di spettacolo che non disdegna di spendere il suo nome e impegnarsi per cause come la battaglia contro la diffusione dell’AIDS in Africa e nei paesi poveri del mondo. Il lavoro e l’amore del pubblico sono due alleati preziosi che le consentono di superare anche la più brutta sorpresa che il destino potesse farle. L’8 gennaio 1995 alle otto del mattino nella loro casa di Rueil Malmaison, si porta via Loulou Gasté, l’uomo della sua vita. La scomparsa lascia un vuoto immenso e più di mille canzoni. Negli ultimi anni il cinema e la televisione tendono a prevalere sull’attività canora di Line Renaud anche se, di tanto in tanto non disdegna di tornare in sala di registrazione come accade nel 2002 quando, insieme a Charles Aznavour, Nana Mouskouri, Garou e tanti altri registra l’album Feelings, un dolcissimo omaggio al marito scomparso.

30 giugno, 2020

30 giugno 1953 – La Corvette, l’auto della Route 66

Il 30 giugno 1953 esce dalla fabbrica di Flint, nel Michigan, una località non lontana da Detroit, il primo esemplare della Corvette. Lo guida Tony Kleiber, un dipendente della Chevrolet che passa alla storia come la prima persona che abbia guidato una Corvette di serie. Alla fine dell’anno saranno trecento le vetture prodotte, tutte di colore bianco latte. Nel dicembre del 1953 inizia il trasloco della produzione, destinata a essere trasferita nello stabilimento di St. Louis nel Missouri. In pochi immaginano che quel modello finirà per superare di molto il milione di esemplari venduti, mantenendo intatto il suo fascino fino alla nascita del nuovo millennio. Con la Corvette il sogno americano inizia a viaggiare su quattro ruote. Nell’immaginario collettivo questa vettura evoca Hollywood, le corse lungo la Route 66, i viaggi on the road, l’illusione di una potenza infinita accompagnata da una tecnologia innovativa che supera i confini del tempo. La sua storia inizia in quello stesso 1953 che vede la fine della Guerra di Corea e l’uscita del primo numero di Playboy. Sono gli anni che seguono il grande conflitto mondiale e molti soldati americani che avevano vissuto in Gran Bretagna in attesa del D-Day che avrebbe portato alla resa finale della Germania, sono tornati in patria accompagnati dal fascino veloce dei modelli sportivi inglesi: MG su tutti, ma anche Triumph, Austin-Healey e Jaguar. Il successo delle auto sportive d’oltreoceano stimola l’idea di una risposta americana. La sfida viene raccolta da due uomini, Harley Earl, responsabile dello Style Center della GM, oltre che l’ideatore delle enormi pinne della Cadillac, e Ed Cole, ingegnere capo della Chevrolet, appassionato di vetture sportive. In poche settimane i due costruiscono un modellino tridimensionale che nel giugno 1952 viene presentato alla direzione della General Motors. Il debutto in pubblico della Corvette avviene il 17 gennaio 1953 nel lussuoso salone da ballo del famoso Waldorf Astoria Hotel di New York, che ospitava il General Motors Motorama con vari modelli del gruppo, diretto da Charles Wilson. Il prototipo ottiene un grande successo e, sei mesi più tardi, il 30 giugno, il primo esemplare esce dalla fabbrica di Flint. Inizia così l’avventura della Corvette.

29 giugno, 2020

29 giugno 2000 – Germaine Montéro, l’interprete di Garcia Lorca

Il 29 giugno 2000 muore Germaine Montéro, uno dei personaggi chiave della nuova canzone popolare francese del Novecento. Un po’ spagnola, un po’ francese, ma soprattutto cittadina del mondo non ama troppo le distinzioni assolute né nella vita né nell’arte. Come molti altri personaggi di spicco del periodo d’oro degli chansonniers preferisce non farsi rinchiudere in un ruolo o in un ambito artistico troppo specifico. Non è un’eccezione, ma in sintonia con il periodo artistico nel quale vive. L’elemento centrale dell’epoca nella quale crescono e si affermano le mille sfaccettature della nuova canzone popolare francese del Novecento, infatti, è la sua interdisciplinarità. Teatro, cinema, canzone, poesia, letteratura e perfino la pittura e la scultura si mescolano in un mélange magico e prezioso che rende unico e irripetibile quel periodo. Sono anni nei quali nessun artista fa una cosa sola e tutti sono animati dalla convinzione che soltanto dalla contaminazione tra le varie forme d’arte possano nascere ed evolversi idee nuove. L’Ottocento delle specializzazioni e della separazione artistica figlia della separazione sociale viene superato da un nuovo secolo nel quale, come accadeva nel Rinascimento italiano, la curiosità vale più dello studio e la sperimentazione diventa una forma d’apprendimento per chiunque voglia incamminarsi sui sentieri dell’arte. Negli anni di quella che forse un po’ impropriamente viene chiamata “epopea degli chansonniers”, i poeti scrivono canzoni e film come Jacques Prévert o si sperimentano in qualità di registi teatrali come accade a Garcia Lorca. È un periodo speciale nel quale anche i pittori come Pierre Dumarchey, scrivono canzoni con il nome d’arte di Pierre Mac Orlan. I loro brani vengono poi cantanti da attori e attrici cui la prosa e la poesia sembrano più povere se non vanno a braccetto con la melodia. Germaine Montéro è figlia di questi tempi speciali. Attrice teatrale e cinematografica di grande talento si innamora perdutamente della canzone e quando serve non esita a tradire le altre sue passioni per seguirne le lusinghe e le suggestioni. Nasce il 22 ottobre 1909. Il nome con il quale viene registrata all’anagrafe è Germaine Berthe Caroline Heygel. Suo padre è originario dell’Alsazia, una regione tormentata e contesa per molto tempo tra Francia e Germania. Fin da piccola coltiva una grande passione per il teatro che la famiglia incoraggia. «Questa ragazza sembra nata nella Grecia classica! Nelle sue vene scorre lo stesso furore artistico dei grandi protagonisti della teatro ellenico...». Pronunciata da una delle tante insegnanti che ne accompagnano la crescita artistica la frase convince la famiglia della giovane Germaine che i sacrifici fatti per quella figlia folgorata dal teatro non sono vani. Serve allo scopo anche se è fondamentalmente falsa visto che nel teatro della Grecia classica le donne non avevano alcuno spazio. La sua prima esperienza da protagonista sul palcoscenico di un teatro vero con un pubblico altrettanto vero avviene alla fine degli anni Venti quando all’età di diciotto anni esordisce a Madrid in un lavoro scritto e diretto dal poeta Federico Garcia Lorca che stravede per quella giovane attrice dall’accento così singolare. Nella capitale iberica trova anche il nome d’arte spagnoleggiante di Germaine Montéro che per qualche anno utilizza in modo saltuario. A volte è Germaine Heygel, altre Germaine Montéro. Tornata in Francia si sente investita della missione di far conoscere i lavori teatrali di Federico Garcia Lorca. È lei la prima a rappresentare “Bodas de sangre”, “Yerma” e “La casa de Bernarda Alba”, le opere che compongono la famosa “trilogia” del poeta spagnolo che nella versione francese diventano, rispettivamente, “Noces de sang”, “Yerma” e “La maison de Bernarda Alba”. Pian piano Germaine Montéro diventa uno dei personaggi di spicco della tumultuosa scena artistica della Francia degli anni Trenta attraversata da grandi pulsioni intellettuali, dal sogno dell’interdisciplinarità e dall’idea ricorrente di togliere di mezzo i confini tra i popoli, causa non secondaria delle guerre. Per i suoi amici più impegnati lei rappresenta un po’ il simbolo vivente dell’eliminazione delle barriere tra i popoli con quel nome d’arte spagnolo, la nazionalità francese e il cognome che denuncia la provenienza alsaziana della sua famiglia. Nella stimolante Parigi degli anni Trenta l’attrice Germaine Montéro si lascia sedurre dalla musica. Non è un fugace amore a prima vista ma il frutto di una lunga e intensa frequentazione con gli ambienti più aperti dell’avanguardia parigina. Un ruolo decisivo nella sua maturazione hanno le esperienze vissute con la sua amica cantante e attrice Agnès Capri, fondatrice e protagonista insieme a Paul Nizan, Louis Aragon e Marx Ernst dell’Association des Artistes et Écrivains Révolutionnaires (Associazione degli Artisti e Scrittori Rivoluzionari). Agnès è una delle poche donne di spettacolo che possa vantarsi di essere riuscita nel difficile compito di scandalizzare la tollerante capitale francese. È accaduto in un giorno di Pasqua quando ha celebrato la ricorrenza religiosa con la recita sul palcoscenico dell’ABC del rabbioso Padre Nostro di Jacques Prévert («Padre nostro che sei nel cieli, restaci...»). Instancabile propugnatrice di una costante contaminazione tra le varie arti, nel 1938 apre un proprio locale in Rue Molière, Le Capricorne, che diventa rapidamente il punto d’incontro della composita schiera di artisti che compongono il Gruppo Ottobre, da Jacques Prévert a Michel Vaucaire a Joseph Kosma. Nel locale c’è un palcoscenico dove chiunque può salire e fare quello che gli frulla in testa: cantare, suonare, ballare, recitare o esibirsi in intriganti esercizi di destrezza. Proprio su quel palcoscenico Agnès Capri presenta per la prima volta al pubblico canzoni come Deux éscargots s’en vont à l’enterrement o La pêche à la baleine i cui testi, nati dalla geniale follia poetica di Jacques Prévert, scorrono sinuosi sulle melodie un po’ visionarie di Joseph Kosma. Qui una sera anche Germaine Montéro cede alla seduzione della musica e si esibisce per la prima volta come cantante lanciandosi in una personalissima interpretazione di un brano di Prévert. Ben presto le sue esibizioni diventano un appuntamento fisso mentre il repertorio comincia ad allargarsi anche al di fuori della limitata schiera di brani composti dalla coppia Prévert-Kosma per abbracciare versi e musiche di altri protagonisti del periodo, a partire da Aristide Bruant. Nelle serate al Capricorne di Rue Molière Germaine Montéro ha incontrato la canzone. È sbocciato un amore destinato a non spegnersi più e a lasciare segni importanti. Cantante poco disposta a cedere alle suggestioni commerciali predilige quei brani nei quali la poesia si mescola con la musica. Oltre ai già citati Prévert e Bruant, nella sua lunghissima discografia figurano canzoni di François Béranger, Léon Xanrof, Pierre Mac Orlan, Boris Vian, Léo Ferré, Mouloudji e tanti altri poeti-chansonniers. Sfruttando la perfetta conoscenza della lingua spagnola incide anche una serie di album dedicati alla canzone iberica popolare e colta dei primi anni del Novecento. Nonostante l’impegno e i successi in campo musicale Germaine Montéro, convinta che le passioni esclusive finiscano per impoverire la qualità artistica, non dimentica di essere un’attrice teatrale e nel corsoi della sua lunga carriera, oltre alle opere di Garcia Lorca, porta sui palcoscenici di Francia lavori di Paul Claudel, Luigi Pirandello e, soprattutto Bertold Brecht (indimenticabile è la sua interpretazione in “Madre coraggio” nel 1967 al fianco di Jean Villard). Non rinuncia neppure a sperimentarsi nel cinema dove debutta nel 1934 in una parte minore e con il suo vero nome nel film “Sapho” di Léonce Perret. Nel 1940 è la protagonista de “Il peccato di Rogelia Sanchez” di Carlo Borghesi e Roberto de Ribòn. Da quel momento anche nell’ambiente cinematografico il suo nome è uno dei pochi capaci di mettere d’accordo pubblico e critica. Nonostante il passare degli anni non abbandona la scena fino alla morte che la sorprende il 29 giugno 2000 a Saint-Romain-en-Viennois.

28 giugno, 2020

28 giugno 1888 - Chicken Henry, dal pianoforte al trombone per necessità

Il 28 giugno 1888 nasce a New Orleans, in Louisiana, Chicken Henry, uno dei personaggi più interessanti del jazz delle origini. Oscar Henry, questo è il suo vero nome, inizia a suonare il pianoforte quando ha dodici anni sotto la guida di Louise Adler, una delle più stimate insegnanti di New Orleans. Dopo aver frequentato vari corsi di perfezionamento presso la Straight University Chicken Henry fa il suo debutto professionale come pianista nei bordelli della sua città intorno al 1906. Deciso a fare del pianoforte la sua unica fonte di sostentamento nel 1913 si trasferisce a Chicago esibendosi in vari club del South Side. Proprio quando si parla di lui come di uno dei solisti di maggior talento nel 1919 resta coinvolto in un grave incidente nel quale perde l’uso di varie dita. Intenzionato a non abbandonare l’ambiente musicale è costretto ad abbandonare il pianoforte per il trombone. Continua a lavorare come trombonista a Chicago fino all’inizio degli anni Trenta anche se la sua capacità professionale non è neppure paragonabile a quella dimostrata al pianoforte. Nel 1932 rientra a New Orleans dove si esibisce in vari cabaret con numerosi gruppi tra cui quello di Paul Beaullieu. Nel 1935 assieme a Louis Nelson entra a far parte della W.P.A. Brass Band di Louis Dumaine. Il suo ultimo importante ingaggio è quello con la brass band di Kid Howard poi di lui si perdono le tracce.