
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
06 dicembre, 2024
6 dicembre 1986 – Gli Europe, belli, svedesi, patinati e al vertice delle classifiche

05 dicembre, 2024
5 dicembre 1959 - Gene Vincent sbarca a Londra

Il 5 dicembre 1959 Gene Vincent, il rocker statunitense di Be-bop-a-lula, sbarca in Gran Bretagna. Non è un buon momento per il "ribelle bianco". La sua popolarità è in calo e i media, che non gli sono mai stati amici, lo stanno distruggendo. Una forzata assenza dalle scene, dovuta a un ricovero ospedaliero a Norfolk, l'ha costretto a ricominciare praticamente da capo con un nuovo manager e con una nuova formazione della sua band, i leggendari Blue Caps, composta, oltre che dall'inseparabile batterista Dickie Harrell (l'unico che non l'ha mollato), da Paul Peek, Tommy Facenda, Bobby Lee Jones e dallo scatenato chitarrista Johnny Meeks. La violenza dei suoi concerti, la durezza dei suoi testi, la carica provocatoria dei suoi movimenti sul palco e l'ormai risaputa dipendenza dall'alcool sono i bersagli contro cui si scatena la stampa conservatrice. In più i tempi sembrano cambiare in peggio per i protagonisti del rock ribelle, cui le case discografiche e la maggior parte del pubblico sembrano preferire nuovi artisti perbene come Frankie Avalon e Ricky Nelson. Quando arriva in Gran Bretagna è intenzionato a trovare nuove strade per la sua musica. Viene accolto dal produttore televisivo Jack Good che gli suggerisce di rendere ancora più aggressiva la sua immagine con un completo di pelle nera. In breve Gene diventerà uno dei miti delle ragazze e dei ragazzi britannici. L'anno dopo un incidente automobilistico lo fermerà di nuovo ma il suo feeling con la gioventù d'oltremanica durerà fino al 1965 quando, afflitto da problemi d'alcolismo sempre più gravi, tornerà negli Stati Uniti.
04 dicembre, 2024
4 dicembre 1928 – Louis Armstrong esegue per la prima volta “Basin Street Blues”

Basin Street è una strada di New Orleans che va da Canal Street all'attuale Beauregard Square, in passato chiamata Congo Square. Luogo di ritrovo di musicisti e perdigiorno è divenuta celebre nella storia del jazz grazie al brano Basin Street Blues composto nel 1928 dal pianista di New Orleans Spencer Williams. Il merito della sua popolarità non sta però tanto nella composizione di Williams quanto in una versione dello stesso brano entrata nella leggenda. È il 4 dicembre del 1928 e Louis Armstrong con i suoi Hot Five vive uno dei momenti migliori della sua carriera toccando vertici di creatività straordinari. In quel periodo sta costruendo il suo mito. Sono anni in cui oltre alla potenza dell’attacco e alla capacità di tenere la nota fino all'impossibile, il buon Satchmo mette in mostra una creatività e un linguaggio poetico che trovano gli accenti più alti proprio nelle versioni jazz di brani blues. Il trombettista, consapevole dello stato di grazia che sta attraversando, vive freneticamente il periodo quasi sapesse che non durerà per sempre. In questa felice situazione creativa la sera del 4 dicembre 1928 Armstrong decide di cimentarsi per la prima volta con Basin Street Blues. La performance resta nella storia e la versione diventerà una pietra miliare imitata innumerevoli volte nel corso degli ultimi settant'anni.
03 dicembre, 2024
3 dicembre 1966 - Winchester Cathedral

Il 3 dicembre 1966 arriva al vertice della classifica statunitense dei dischi più venduti Winchester Cathedral, un brano ispirato agli anni Venti e Trenta, decisamente controcorrente per il periodo, e interpretato da un gruppo pressoché sconosciuto che si chiama New Vaudeville Band. La canzone è, in realtà, frutto della geniale creatività di Geoff Stevens, un eclettico londinese protagonista degli anni del beat, autore di pezzi di successo come Tell me when degli Applejacks e The crying game di Dave Berry nonché produttore anche dei primi tre dischi di Donovan. Il brano, nato quasi per scherzo, ripropone il clima e le sonorità dei cosiddetti "anni ruggenti" ed è stato registrato da un nutrito gruppo di musicisti ritrovatisi più per piacere che per obbligo in sala di registrazione. La canzone fa il giro del mondo e ottiene un successo incredibile. I problemi nascono quando iniziano a fioccare le richieste per comparsate in tv e qualche concerto. La band inventata deve diventare vera. Geoff non ha alcuna intenzione di sobbarcarsi le fatiche del caso e il suo posto dal vivo viene preso da Alan Klein. La band, vestita rigorosamente in stile gangster, viene composta poi, oltre che da Klein, dal Mick Wilsher, dal trombettista e sassofonista Bobby Kerr, dal trombonista Hugh Watts, dal bassista Neil Korner, dal batterista Harry Harrison e dal tastierista Stan Heywood. Il tour sarà un successo e Winchester Cathedral venderà sette milioni di dischi. L’avventura avrà un seguito con il successo dei brani Peek-a-boo e Finchley Central prima di finire.
02 dicembre, 2024
2 dicembre 1955 – Cow Cow Davenport tra barrelhouse, carcere e blues

Il 2 dicembre 1955 a Cleveland nell’Ohio muore il bluesman Charles Davenport, conosciuto dagli appassionati con il nome di Cow Cow. Nato ad Anniston in Alabama il 23 aprile 1894 è uno dei grandi protagonisti della commistione tra il vaudeville di matrice francese e il blues. Il suo soprannome deriva dal grande successo ottenuto negli anni Trenta dal suo brano Cow Cow Blues, in cui mescola in un impasto sonoro di grande suggestione il linguaggio del ragtime con il calore delle barrelhouse, i locali dove si ritrovano i neri alla fine di una giornata di lavoro nei campi. Alla sua forza interpretativa non è estraneo il vagabondaggio dei bluesmen di quegli anni che si ritrova nei contenuti dei brani. Figlio di un pastore, impara presto a suonare il pianoforte e si esibisce giovanissimo nelle feste di Birmingham in Alabama. Successivamente se ne va al seguito del Barkoot's Show, uno spettacolo ambulante nel quale conosce il pianista Bob Davis che lo aiuta a migliorare il suo stile. All'inizio degli anni Venti si esibisce negli spettacoli per minatori e operai del Texas e nel 1924 viene scritturato dallo Star Theatre di Pittsburgh in Pennsylvania. La vita sedentaria, però, non è nelle sue corde. Per un po’ forma con la cantante Dora Carr il gruppo Davenport & Co ma il sodalizio dura poco e Cow Cow riprende i suoi vagabondaggi fra i grandi centri industriali terminali delle migrazioni nere del primo trentennio del secolo. Nel 1933 forma un gruppo itinerante, i Cow Cow's Chicago Steppers, con il quale riprende i suoi viaggi nel sud. Sono anni turbolenti e Cow Cow non sa stare lontano dai guai. Condannato a sei mesi di carcere per rissa li sconta tutti a Camp Kilby in Alabama. Al termine si stabilisce a Cleveland dove apre un negozio di musica, ma un ictus gli toglie per un po’ l’uso del braccio destro. L’infermità non lo spegne. Chiede aiuto al suo amico pianista Sammy Price e tiene fede al suo impegno contrattuale con la Decca registrando nel 1938 una serie di brani. Vagabondo per natura va poi a New York, quindi a Chicago e, infine, a Nashville, nel Tennessee, dove suona al Plantation Club. Nel 1955 è al Wheel Club in quello che è destinato a diventare il suo ultimo ingaggio. Le sue condizioni di salute, già precarie, peggiorano nuovamente e il 2 dicembre una nuova crisi lo uccide.
01 dicembre, 2024
1° dicembre 1981 – Lascio i Depeche Mode ma non è un dramma

«Non capisco perché mi facciate tutte queste domande. Me ne vado e basta. Sì, lascio il gruppo, ma non mi sembra poi un fatto sorprendente. Ho voglia di fare altre cose, di inseguire nuovi progetti. Non deve esserci necessariamente un motivo particolare. Non ho litigato con nessuno e non c’è alcuna divergenza con i miei compagni che, del resto, possono continuare tranquillamente senza di me… » Scorbutico e indisponente il 1° dicembre 1981 il leader dei Depeche Mode Vince Clarke così replica alle imbarazzanti domande dei giornalisti dopo il suo annuncio di voler lasciare la band di cui è stato fondatore e anima fino a quel momento. Al di là dell’insistenza della stampa specializzata nel voler ricercare cause nascoste, la decisione suscita sorpresa perché arriva a meno di un mese dalla pubblicazione del fortunato album Speak and spell. Ci si chiede anche quale sarà il destino di una delle più geniali band del tecno-pop dopo l’abbandono di Clarke, autore dell’intero repertorio del gruppo e artefice della inusuale struttura strumentale composta soltanto da un set di sintetizzatori. La notizia sembra preludere allo scioglimento e non manca chi lo dà per scontato. Non sarà così. La leadership dei Depeche Mode passerà a Martin Gore che si mostrerà all’altezza del compito guidando il gruppo in una lunga e fortunata serie di successi. Clarke, invece, ricomincia da capo dando vita agli Yazoo insieme alla cantante Alison Moyet, che in quel periodo si fa chiamare con il curioso nomignolo di Alf. Coronata da un rapido successo, la scelta non placa la sua irrequietezza creativa e la voglia di misurarsi con sempre nuove imprese. Dopo aver piazzato tre singoli e due album nelle prime tre posizioni della classifica, il progetto Yazoo si chiude all’apice del successo nell'estate del 1983, a soli diciotto mesi di distanza dalla nascita. Clarke dà quindi vita agli Assembly insieme all’ex Undertones Feargal Sharkey, ma anche questa avventura è solo una tappa di passaggio nella sua incredibile carriera. Nel 1984 pubblica un’inserzione sulla rivista “Melody Maker" per cercare un cantante all’altezza del suo nuovo progetto. Rispondono in quarantadue. Li ascolta tutti, poi sceglie Andy Bell con il quale formerà l’ennesimo gruppo di successo: gli Erasure.
30 novembre, 2024
30 novembre 1947 – Gli All Stars di Louis Armstrong, una straordinaria macchina da musica
Il 30 novembre 1947 alla Symphony Hall di Boston Louis Armstrong e i suoi All Stars tengono un concerto che cambierà la loro storia. Da quel giorno infatti quell’ensemble casuale e precario si trasformerà in una straordinaria macchina da musica malgrado l'alternarsi dei musicisti che il senso di supremazia di Louis e le circostanze imponevano. In quel lungo concerto alla Symphony Hall di Boston si assiste a un’evoluzione definitiva. Dopo anni in cui il disequilibrio interno ai gruppi che l’accompagnavano finiva per danneggiare lo stesso Armstrong, per la prima volta il grande Satchmo concretizza l’idea di avere quella base di lancio nuova che nessuno era stato in grado di garantirgli dopo gli anni Venti. Gli spettatori assistono a una sorta di miracolo. La nuova logica che governa la musica degli All Stars è quella della sfilata dei solisti su un tappeto musicale collettivo dominato dalla tecnica del dixieland. Fondamentale è il contributo di Barney Bigard e Jack Teagarden con il sottile lavoro di contrappunto che i due conoscono molto bene, provenendo da due scuole molto simili come quelle di Chicago e New Orleans. Il gioco delle parti è perfetto perchè ciascuno conosce a memoria pregi e difetti dell'altro e sa calcolare le entrate e le uscite in assolo con il massimo tempismo riempiendo poi i vuoti lasciati dalla tromba di Louis con splendidi arabeschi timbrici. Le caratteristiche della scuola creola da cui proviene vengono utilizzate da Bigard in modo più netto di quanto non facesse nell’orchestra di Ellington. A fargli da contrasto c’è la pacatezza di Teagarden che riesce alla perfezione a frenare i tempi nei quali Bigard dà impulso all'accelerazione. Armstrong può così inserirsi nel gioco dei contrappunti e se negli anni precedenti non era mai molto propenso a improvvisare negli assoli, da quel momento si lascia andare più liberamente, sicuro dalla validità dei partner. Dietro ai tre uomini della front-line, schierati secondo la formazione classica dello stile di New Orleans, il pianista Earl Hines realizza un prezioso lavoro di raccordo con tocchi rapidi e quando può esce in assolo con il sostegno del basso di Arwell Shaw e della batteria di Big Sid Catlett. In quella sera di Boston nasce una leggenda.
29 novembre, 2024
29 novembre 1889 - Richie Brunies, il leader della Reliance
Il 29 novembre 1889 a New Orleans, in Louisiana, nasce Richard Brunies. Fratello di Henry, Abbie, Merritt e George, inizia a suonare da professionista con la Reliance Brass Band, il gruppo fondato nel 1892 da Jack "Papa” Laine che ospiterà tra le sue file l'intero clan dei Brunies. Proprio Richie Brunies alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, diventa il leader della Reliance. La sua popolarità in quegli anni è vastissima. La straordinaria potenz
a di suono della sua cornetta ne fa il principale antagonista del leggendario Buddy Bolden. Richard Brunies fa poi parte, assieme ai fratelli Henry e Merritt, della Fischer's Brass Band diretta dal clarinettista Johnny Fischer, nonché dell'orchestra del trombonista Happy Schilling, una formazione da ballo non molto nota che annovera nelle sue file elementi di tutto rispetto come Johnny Wiggs, Monk Hazel, Achille Baquet, Freddie Loyacano e lo stesso Fischer. Dei cinque fratelli Brunies, Richard è l'unico che non ha registrato dischi né negli anni Venti né durante il New Orleans Revival del dopoguerra. Muore il 28 marzo 1961.
a di suono della sua cornetta ne fa il principale antagonista del leggendario Buddy Bolden. Richard Brunies fa poi parte, assieme ai fratelli Henry e Merritt, della Fischer's Brass Band diretta dal clarinettista Johnny Fischer, nonché dell'orchestra del trombonista Happy Schilling, una formazione da ballo non molto nota che annovera nelle sue file elementi di tutto rispetto come Johnny Wiggs, Monk Hazel, Achille Baquet, Freddie Loyacano e lo stesso Fischer. Dei cinque fratelli Brunies, Richard è l'unico che non ha registrato dischi né negli anni Venti né durante il New Orleans Revival del dopoguerra. Muore il 28 marzo 1961.
28 novembre, 2024
28 novembre 1889 – Ray Lopez, la cornetta del "jazz melodico"

27 novembre, 2024
27 novembre 1970 - Dimenticate i Beatles, ascoltate George!

26 novembre, 2024
26 novembre 1955 – Lascia o raddoppia? L’Italia è un quiz

25 novembre, 2024
25 novembre 1976 – L’ultimo valzer della Band

24 novembre, 2024
24 novembre 1991 – Finisce il calvario di Freddie Mercury

Il 24 novembre 1991 è giovedì, un giorno banale per morire. Eppure proprio di giovedì, consumato da una lunga agonia, muore di AIDS Farrokh Bulsara, nato a Zanzibar nel 1946, in arte Freddie Mercury, uno dei simboli degli anni Ottanta, emblema rutilante dei Queen. Qualche tempo prima alla domanda «Come vorresti essere ricordato dai posteri, dal mondo dello spettacolo?», aveva risposto «Oh, non lo so. Non ci ho pensato... non so, morto e andato. No, non ci ho pensato e non ci penso... mio dio, ma quando sarò morto si ricorderanno di me? Non voglio pensarci, dipende da voi. Credo che quando sarò morto non m’importerà gran che, anzi a me non fregherà proprio più niente». La sua morte diventa un simbolo della battaglia contro la terribile malattia che, nell'immaginario collettivo, "uccide la diversità". Lo diventa suo malgrado, amplificando e, in parte, sublimando le incertezze e le contraddizioni della sua vicenda personale e artistica. «La nostra è una guerra contro un nemico implacabile. Non c'è tempo per le incertezze né per le giustificazioni: chi non c'è è un disertore» tuona Elizabeth Taylor, uno dei primi personaggi del mondo dello spettacolo a impegnarsi concretamente contro l'AIDS. E nella prima ondata di mobilitazione Freddy non c'è. Né lui, né il suo gruppo vivono la passione politica o l'impegno sociale. Pur essendo musicalmente nati negli anni Settanta interpretano con largo anticipo la cultura degli anni Ottanta, del disimpegno, della fuga dai valori condivisi e della ricerca estetizzante. All'epoca dell'esplosione del punk, nel 1977, i Queen sono l'incarnazione di tutto ciò che il movimento disprezza pubblicamente. Nel 1984 finiscono addirittura nella "lista nera" compilata dalle Nazioni Unite degli artisti che, fregandosene della lotta contro l'apartheid, accettano di suonare in Sudafrica. Per ben otto sere consecutive suonano a Sun City, la Las Vegas della nazione simbolo del razzismo, città che per altri loro colleghi è divenuta invece il simbolo di una battaglia planetaria contro la discriminazione razziale. Non c'è premeditazione, ma semplice disinteresse per tutto ciò che accade fuori dalla loro ristretta visuale. Professionali, senza opinioni e buoni venditori di se stessi diventano una sorta di band esemplare per il music business e anche l'omosessualità di Freddie lungi dall'essere proclamata come una bandiera di libertà viene vissuta come un fatto privato e personale come si conviene alle "persone per bene". Pur essendo campioni di vendite sono però poco amati dalla critica che considera la loro storia musicale sostanzialmente finita nel 1975 con la pubblicazione di A night at the Opera, l'album di Bohemian Rhapsody, una sorta di manifesto musicale che mescola in modo geniale hard rock, pomposità barocca e melodramma. Pochi mesi prima della morte di Mercury l'idea di un gruppo ormai arrivato alla frutta è divenuta più generale. Ciascuno dei componenti sembra più impegnato nei propri progetti individuali per far pensare a un nuovo colpo d'ala. Lo stesso Freddie coltiva con attenzione le potenzialità della sua straordinaria voce, uno strumento capace di valorizzare canzoncine di cui, senza la sua interpretazione, non rimarrebbe neppure il ricordo. In questa situazione si inserisce la morte di Freddy. Una fine straziante, che lo accomuna a moltissimi altri, e lo trasforma in un simbolo della lotta contro l'AIDS. È la catarsi. La sua mai rivendicata omosessualità si fa bandiera e il suo calvario finale diventano l'emblema di un impegno internazionale contro un morbo che ha fra i suoi più stretti e fedeli complici la discriminazione. In pochi mesi viene organizzato nello stadio di Wembley a Londra “A concert for life - Tribute to Freddie Mercury”, un grande concerto i cui proventi sono destinati a finanziare la ricerca contro l'AIDS. Centinaia di milioni di spettatori assistono all'evento, rimandato in settanta nazioni diverse, compreso anche quel Sudafrica, finalmente uscito (e non grazie ai Queen) dal lungo tunnel dell'apartheid. La vera anima dell'evento è da ricercare nel gruppo di personaggi del mondo dello spettacolo da anni impegnati su questo fronte e che hanno un'agguerrita testimonial proprio nell'attrice Elizabeth Taylor. Nessuno si nega all'invito. Sul palco allestito nello stadio di Wembley sfila l'élite della musica pop internazionale di quel periodo, dai Metallica agli Extreme, dall'ideatore di Live Aid Bob Geldof agli Spinal Tap, dai Def Leppard ai Guns N’ Roses, dall'italiano Zucchero agli irlandesi U2 in collegamento via satellite da Sacramento in California. Particolarmente emozionanti sono le esecuzioni delle canzoni di Freddie Mercury da parte di una lunga serie di amici, a partire da George Michael che canta Year of 39 da solo, These are days of our lives con Lisa Stanfield e Somebody to love insieme al London Community Gospel Choir. David Bowie esegue Under pressure in coppia con Annie Lennox mentre Elton John dedica all'amico scomparso le commoventi versioni di Bohemian rhapsody con l'aiuto di Axl Rose e, soprattutto, di The show must go on, il brano che i Queen giurano solennemente di non eseguire più dopo la morte del loro leader. La morte di Freddy esalta la solidarietà ma anche il music business che, ancor più di quando era in vita, ne sfrutta voce, immagine, registrazioni e inediti al di là di ogni immaginazione come accade con il miliardario remix di Living on my own, una disinvolta operazione commerciale priva di rispetto ma molto redditizia. Il music business oggi lo ricorda con un'alluvione di iniziative commerciali che non aggiungono nulla al suo valore artistico. C’è chi preferisce ricordarlo per quello che era: un'artista con luci e ombre, una voce unica, ma soprattutto un uomo, una persona, uno fatto di carne e ossa come noi che è morto di AIDS dopo un lungo calvario di sofferenze.
23 novembre, 2024
23 novembre 1950 - Richard Raux: la musica non è solo l'America

22 novembre, 2024
22 novembre 1950 – Miami Little Steven: il rock è motivazione

21 novembre, 2024
21 novembre 1987 – T'Pau, la band dal nome vulcaniano

20 novembre, 2024
20 novembre 1960 – Quando Pier Paolo Pasolini difese Claudio Villa
Alla fine degli anni Cinquanta, nel pieno della sua battaglia contro le innovazioni indotte dal consumismo e dai modelli americani Pier Paolo Pasolini difende pubblicamente Claudio Villa sottoposto a una sorta di “processo” dal settimanale “Sorrisi e Canzoni”. Il cantante è accusato di essere espressione di forme artistiche sorpassate con l’aggravante di avere un atteggiamento aggressivo da “bullo” di periferia. Pasolini decide di prendere posizione e la sua firma prestigiosa compare in calce a un’arringa difensiva passata alla storia come un’appassionata dichiarazione di amore e di stima per il cantante. Questo è il testo pubblicato il 20 novembre 1960 sul n. 47 di “Sorrisi e Canzoni” e firmato per esteso da Pier Paolo Pasolini: «Mi piace il repertorio delle canzoni melodiche di Claudio Villa, perché mi piace il pubblico che ama questo stile popolare e verace. Approvo anche che Villa si scriva, si musichi e si interpreti le sue canzoni. Lui lo fa “nel suo piccolo”, come Charlot ha fatto “nel suo grande”. In quanto agli atteggiamenti da bullo, alla sua presunzione e agli atteggiamenti di sufficienza che si imputano al capo d’accusa numero due, io trovo che nella sua qualità di attore-cantante e di personaggio dello spettacolo, tali atteggiamenti gli si addicano, perché fanno, appunto, spettacolo. Disapprovo invece che Villa si dia a interpretazioni del genere urlato, anche perché io credo nella canzone come mezzo verace di espressione, e penso che il genere urlato non sia genuino. Vorrei che Claudio Villa fosse assolto, perché i cantanti mi sono simpatici e amo le canzoni».
19 novembre, 2024
19 novembre 1977 – Sonny Criss, uno dei più fedeli seguaci dello stile di Charlie Parke

Il 19 novembre 1977 muore il sassofonista Sonny Criss. Nato a Memphis, nel Tennessee il 23 ottobre 1927 viene registrato all’anagrafe con il nome di William Criss. Nel 1942 si trasferisce a Los Angeles dove comincia a suonare nelle ore libere con Shifty Henry. Terminati gli studi nell'inverno del 1946, Criss lavora con Sammy Yates, Johnny Otis, Howard McGhee, Al Killian, con un piccolo gruppo formato da Billy Eckstine al Billy Berg's e con Gerald Wilson. Nel 1948 viene chiamato da Norman Granz e compie diverse tournée con il Jazz at the Philharmonic, compresa anche agli inizi del 1950 quella con Billy Eckstine. Suona come indipendente a Los Angeles fino a quando viene scritturato da Stan Kenton per il Jazz Showcase '55, dopo di che dirige per un paio di anni gruppi sotto suo nome. L'anno successiva è a New York e in altre città della costa orientale con Buddy Rich e, nel 1959, torna a formare un proprio complesso. Partecipa a qualche trasmissione televisiva, chiamato da Bobby Troup, e appare in Europa tra il 1962 e il 1965. Tornato a Los Angeles continua il suo lavoro come free-lance dedicandosi, a partire dagli anni Settanta, all'insegnamento, anche a mezzo conferenze, rivolte ai giovani ottenendo numerosi riconoscimenti. Nel 1973 torna in Europa per esibirsi in numerosi concerti e registrazioni radiotelevisive. Di nuovo negli Stati Uniti continua la sua opera di insegnamento tornando poi in Europa e stabilendosi a Parigi nel 1974. Nella sua carriera ha inciso con Charlie Parker, Flip Phillips, Wardell Gray, Tommy Turk, Ralph Burns, Hollywood Jazz Concert e, sotto suo nome, per Mercury, Prestige, Impulse, Clef, Muse. Sonny Criss è considerato uno dei più fedeli seguaci dello stile di Charlie Parker, insieme a Sonny Stitt.
18 novembre, 2024
18 novembre 1960 – Kim, la figlia di Marty Wilde

17 novembre, 2024
17 novembre 1962 - Rita Pavone nel pallone

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