09 aprile, 2019

9 aprile 2003 – Shakira contro la guerra in Iraq

«Sono contro la guerra. Non dimentico che le bombe e i missili non cascano sopra manichini di cartone, ma su persone vere, che spesso sono bambini e madri. I padroni del mondo hanno dimenticato l’amore, ma noi dobbiamo tornare a quello perché è l’unico modo di sopravvivere. Abbiamo bisogno di nuovi leader, leader che parlino di amore, come Gandhi e Martin Luther King. Ciascuno però deve fare la sua parte. Io faccio la mia perché sono convinta che filosofi, i giornalisti, gli scrittori e gli artisti di questa generazione, proprio perché hanno un grande potere mediatico, hanno il dovere di parlare alla gente per risvegliarla, per prevenire disastri futuri». Firmato Shakira. Quando all'elenco degli artisti schierati contro la guerra si è aggiunto il suo nome c'è stata un po' di sorpresa e qualcuno, storcendo il naso, ha pensato a una boutade mediatica inventata da qualche ufficio stampa, mentre i giornali schierati sul versante guerrafondaio hanno accolto la notizia con frizzi, lazzi e allusioni di cattivo gusto. Queste reazioni, lungi dall'essere fondate, hanno dimostrato una volta di più la sostanziale ignoranza di gran parte della scena musicale italiana su ciò che avviene oltre i confini delimitati dagli uffici stampa delle major. Shakira non è un'invenzione a tavolino, né una bambola prestata a un managing disinvolto, ma una cantautrice sveglia con una storia artistica importante. Tra i suoi estimatori e amici c'è anche un certo Gabriel Garcia Marquez che nel 2002 scriveva: «È difficile essere quello che è oggi Shakira, non solo per il suo genio o il suo valore, ma anche per il miracolo rappresentato da una maturità inconcepibile per la sua età». Il suo nome è arabo e significa "piena di grazia" e lei lo porta come segno distintivo della sua caratteristica multiculturale. Shakira Isabel Mebarak Ripoll, infatti, nasce a Barranquilla, in Colombia, da madre colombiana e padre libanese. Inizia a cantare giovanissima e dopo un paio di dischi d'assaggio, nel 1996, a diciannove anni pubblica Pies descalzos (Sueños blancos), un album che vende più di tre milioni di copie, in cui, oltre all'amore, guarda ai temi importanti della realtà colombiana, schierandosi dalla parte di chi ogni giorno lotta per sopravvivere. I testi, scritti di suo pugno, sono evocativi e simbolici e affondano le loro radici nella storia del suo popolo («appartieni a una razza antica/dai piedi nudi/e dai sogni bianchi… hai cercato di costruire un mondo preciso/perfetto nei particolari/nello spazio e nel tempo/ma io sono il disordine vivente…»). Tre anni dopo il quarto album Dónde están los ladrones?, tuttora considerato il suo miglior lavoro in assoluto, la consacra definitivamente grazie a brani come Ojos así, Octavo dia, Ciega, sordomuda e quello che dà il titolo al disco. Da quel momento gli uffici marketing della Sony cominciano a pensare a un suo lancio internazionale. Il resto è storia nota: il primo album in inglese Laundry service fa conoscere a tutto il mondo la mescola di rock, musica latina e sonorità mediorientali delle sue canzoni. A parte il colore dei capelli (nei primi dischi è di un nero profondo), la nuova realtà non ne cambia né il carattere né le idee e ben presto il music business si trova a fare in conti con la sua sostanziale indipendenza. Dopo l'11 settembre è uno dei tanti bersagli dell'ondata di intolleranza sospesa tra razzismo e maccartismo che si abbatte sulla cultura statunitense. Gli strali della censura si abbattono sui suoi "passi di danze arabe a piedi nudi " nei concerti. La Sony l'invita ad astenersi «per non offendere la sensibilità dell'opinione pubblica statunitense dopo gli attentati» ma lei lo fa sapere in giro provocando robuste reazioni in tutta la comunità latina degli States. La sua presa di posizione contro la guerra suscita nuove polemiche e un vespaio di reazioni. «Mi sento come la ragazza terribile che si preferisce non invitare alle feste, ma chi se ne frega. La gente mi appoggia e questo conta più di ogni critica». E a chi sostiene che in fondo la politica non dovrebbe interessarla risponde decisa: «Sono nata e cresciuta in Colombia, un paese sotto la costante minaccia della violenza armata. A cinque anni non avevo davanti agli occhi solo le immagini degli eroi di Walt Disney, ma anche quelle della guerriglia e delle truppe paramilitari e so com’è il mondo veramente. Questo non significa che voglio candidarmi alle elezioni presidenziali, ma ho una mia opinione sulla politica».

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